TEDERICO
(Thederico, Theodorico). – Nacque forse a Cesena, verso la fine del XII secolo.
Si ipotizza da parte di alcuni, ma senza riscontri documentari, un’origine dalla famiglia Calisesi (Caliseti, Calesidi, o de’ Calesi; anche da Calisese o di Calisese), estinta probabilmente già nella prima metà del XVII secolo, oppure semplicemente dalla località Calisese (frazione di Cesena). È attestata peraltro nel 1254 (pochi anni dopo la morte di Tederico) l’esistenza a Ravenna forse di un suo omonimo, Tederico de Galisidio (o Calisese), cittadino di Cesena e cugino di Guido, allora abate di San Severo di Classe, poco distante da Ravenna.
Tederico fu dapprima suddiacono della Chiesa di Ravenna, e successivamente canonico cantore e praepositus del capitolo dei canonici cantori; negli anni 1209-23 compare probabilmente come testimone importante in diversi atti. Fu eletto arcivescovo nel giugno 1228, e confermato da papa Gregorio IX prima del 28 agosto; ne è prova ulteriore un privilegio pontificio a suo favore (9 dicembre). L’elezione però fu caratterizzata da contrasti e sospetti.
Dopo la morte del predecessore Simeone (31 maggio 1228), gli elettori subirono notevoli pressioni e intimazioni da parte dei rappresentanti delle fazioni cittadine per differire l’elezione. In particolare, la parte ghibellina (rappresentata da Paolo Traversari e dai Malvicini di Bagnacavallo) a scopo intimidatorio circondò con numerosi armati la cattedrale per impedire l’elezione di un presule filoromano. Intervenne tuttavia il podestà di Ravenna, Raimondo Zogolo, e si poté procedere all’elezione adottando il sistema per compromissum per accelerare la procedura, cioè rimettendo la scelta al magister Giacomo, arcidiacono della Chiesa ravennate, il quale designò infine Tederico come arcivescovo. L’adozione di questo sistema non mancò di allarmare Gregorio IX, che convocò a Roma Giacomo, lo stesso Tederico e tre o quattro esponenti del collegio elettorale; ma anche per le pressioni del podestà e del Comune di Ravenna la conferma giunse in fretta.
Tederico ricevette inoltre l’investitura della carica arcivescovile probabilmente dall’imperatore Federico II: «Iste accepit Investituram Archiepiscopatus a Friderico Secundo Imperatore» (Anonimo - P. Scordilla, Appendix, 1723, p. 209B; ma si veda contra Amadesi, 1783, p. 46).
Prima e principale preoccupazione di Tederico fu di difendere e restaurare il grande patrimonio della sua Chiesa. Innumerevoli furono i contenziosi con i Comuni cittadini e rurali romagnoli (circostanza non insolita, a partire dagli inizi del XIII secolo): con Ravenna soprattutto, ma anche con Ferrara, Argenta, Cervia, Rimini, Cesena, Coriano, Monte Colombo, Osimo, Montalboddo (Ostra), Forlimpopoli, Forlì e Faenza.
In quegli anni godette della fiducia del papa. Per suo ordine nel 1233 si recò a Bologna, per presiedere a suo nome alla traslazione del corpo di s. Domenico; nell’estate del 1234, nonostante i seri problemi interni (le citate esigenze di recupero patrimoniale, la necessità di ampliare i diritti giurisdizionali), ebbe l’incarico di legato pontificio presso il regno latino di Gerusalemme per le importanti questioni concernenti la crociata in Terrasanta (e poco dopo, in un contesto di relativo accordo e sintonia politica tra papa e imperatore, Federico II lo designò come suo nunzio per le stesse questioni). Partì dunque per l’Oriente, anche se il suo incarico durò molto poco.
Tederico giunse ad Acri in una situazione diplomatica piuttosto difficile, e di fronte all’opposizione della popolazione volle forzatamente difendere i diritti dell’imperatore e di suo figlio Corrado: perciò proclamò l’interdetto sulla città (come si deduce da una successiva lettera di Gregorio IX a Federico II, da Assisi, 22 settembre 1235). Tale suo agire, poco sensibile e soprattutto poco prudente, molto probabilmente non piacque a Gregorio IX che, più o meno rapidamente, destituì Tederico dal suo incarico e sciolse l’interdetto nel corso del 1235.
Prima del 29 aprile 1235 Tederico era nuovamente in sede; in quella data appose personalmente il suo Legimus a una concessione livellaria nel territorio argentano (agendo insolitamente insieme al suo visconte di Argenta, Nicola de Montecerro). Nel 1236 si ha notizia di un intervento di Tederico anche a favore dei francescani di Bologna per la loro nuova sede in detta città.
A questi anni risale uno dei non molti documenti noti sui rapporti fra Tederico e il clero ravennate: nell’aprile del 1240 egli concesse gli statuti al collegio dei canonici cardinali di Ravenna.
Dopo la presa di Ravenna alla fine di agosto 1240 da parte dell’imperatore Federico II, a causa soprattutto del tradimento reiterato di Paolo Traversari, morto proprio agli inizi di quello stesso mese di agosto, Tederico fu preso come prigioniero illustre di parte guelfa dallo stesso imperatore, e tradotto in Puglia; per cinque anni non si hanno di lui notizie. Sul finire del 1245, a seguito dell’anatema con cui il nuovo papa, Innocenzo IV, colpì Federico II (concilio di Lione, 17 luglio 1245), Tederico – timoroso della vendetta dell’imperatore per la recente scomunica – riuscì a fuggire (probabilmente proprio con l’aiuto del papa e dopo aver corrotto le guardie).
In una lettera al papa (molto probabilmente dello stesso anno), l’arcivescovo descrisse le difficoltà patite durante la prigionia in Puglia e la liberazione; inoltre, lamentò la dispersione di diversi beni della sua Chiesa e i gravosi compiti che lo attendevano nella difficile impresa del recupero, invocando al riguardo l’aiuto dello stesso papa.
Tederico non affrontò subito i rischi della situazione ravennate e si recò a Bologna, ove si trovava ancora il 23 gennaio 1246 (quando appose il suo Legimus a un documento – rogato a Bologna – di concessione in feudo del tabellionato a Marcoaldo, figlio di Beniamino, giudice della Chiesa di Ravenna, per la quarta parte della terra, del castello arcivescovile e degli uomini di Argenta). I primi mesi del 1246 furono comunque un altro periodo di frenetica attività per il recupero di beni e titoli, usurpati con la violenza o concessi e non più restituiti dopo la scadenza. Tederico si recò forse a Ferrara o nelle vicinanze, mentre i suoi visconti operavano con le medesime finalità patrimoniali nell’ambito delle loro giurisdizioni.
Ad esempio, il 5 e 6 marzo 1246, tramite il visconte Guglielmo de Montecerro, Tederico fece diverse concessioni enfiteutiche, a titolo di conferma, nel territorio di Argenta, e il 17 aprile 1246, a Portomaggiore, fece pubblicare uno statuto per i possessori di beni appartenenti alla Chiesa ravennate nell’Argentano e a Portomaggiore.
Nello stesso periodo si concretizzò anche l’aiuto del papa. Il 18 aprile 1246 Innocenzo IV inviò una lettera al prevosto di Ferrara invitandolo a provvedere a che i vescovi suffraganei di Ravenna, che ancora non l’avessero fatto, ripetessero il giuramento di fedeltà all’arcivescovo, e con lettera del 1° maggio 1246, da Lione, chiese al podestà e al Comune di Bologna di recare aiuto all’arcivescovo nell’ardua impresa di difendere i beni dello stesso. Ciò rientrava nella più ampia politica antifedericiana di papa Fieschi. Dopo avere dichiarato deposto Federico II nel 1245, nell’estate del 1246 Innocenzo IV affidò infatti in Germania a Filippo da Pistoia, vescovo di Ferrara e futuro successore di Tederico (5 aprile 1250-18 settembre 1270), il compito di fare in modo che fossero prestati i soliti giuramenti di fedeltà al neoeletto re dei Romani Enrico Raspe, già langravio di Turingia.
Il 30 novembre 1246 lo stesso Enrico scrisse una lettera a Tederico esortandolo ad adoperarsi per recuperare Ravenna e, di conseguenza, fare rientrare tutti coloro che Federico II aveva mandato in esilio; ma ciò avvenne solo un paio d’anni più tardi, perché Tederico fu personalmente impegnato nella guerra contro l’imperatore in atto nella pianura Padana. Infatti il 28 (o 29) dicembre 1247, a Mantova, il cardinale Ottaviano degli Ubaldini, legato pontificio in Italia, nominò Tederico suo «generalem et specialem nuncium et procuratorem» (A. Tarlazzi, Appendice ai monumenti ravennati..., I, 1869, pp. 202 s., n. CXXXII) presso il podestà e il consiglio di Parma al fine di organizzarne meglio la difesa (molto probabilmente contro l’esercito imperiale, asserragliato nell’accampamento di Vittoria); e contemporaneamente lo destinò sempre come nunzio anche presso le milizie di Milano e Piacenza per lo stesso scopo. Inoltre nell’aprile del 1248, poco dopo la sconfitta imperiale presso Vittoria (febbraio 1248), a Bologna Ubaldini designò Tederico suo procuratore e vicario per ricevere la sottomissione al papa di tutte le città e di tutti i castelli che si fossero arresi spontaneamente, concedendogli la facoltà di assolverli dall’interdetto. L’8 giugno 1248 l’esercito del cardinale legato riconquistò Ravenna, e l’arcivescovo Tederico poté finalmente rientrare nella sua città (Chronica de civitate Ravennae, 1725, p. 578C), con l’ausilio delle truppe bolognesi.
Il rientro dell’arcivescovo, insieme agli altri esuli, mise fine sostanzialmente all’evoluzione autonomistica locale, favorendo non più una parità di gestione tra aristocrazia laica e potere arcivescovile, come era stato in passato, ma una decisa ingerenza di volontà esterne, in modo particolare quelle della Curia romana e del Comune di Bologna. Sintomatico di ciò fu senz’altro la nomina del podestà bolognese Alberto Caccianemici, il quale palesemente mostrava le sue mire egemoniche sulla Romagna. A distanza di circa un anno, però, Ravenna venne occupata il 3 ottobre 1249 dai fratelli Ruggero e Guido Malvicini, conti di Bagnacavallo, ghibellini, ostili alla recente occupazione pontificia. Questi, approfittando del fatto che le milizie bolognesi e lo stesso podestà erano accorsi in aiuto di Bologna che aveva posto sotto assedio Modena, aggredirono Ravenna occupandola e saccheggiandola.
Proprio in quel frangente quanto mai grave Tederico morì, a Forlì: non si sa bene come mai si trovasse in quella città, forse perché ritenuta più sicura per lui rispetto ad altre. Dall’indicazione più antica dell’Anonimo continuatore di Agnello (che scrisse nel 1296 – usando nella datazione lo stile della Natività – «obiit anno Domini MCCL. die Lunae V. exeunte Decembri apud Forolivium»; Appendix, 1723, p. 209B), si arguisce che Tederico morì precisamente lunedì 27 dicembre 1249 (la tradizionale indicazione del 28 dicembre è errata di un giorno a causa dell’ordinale). Il suo cadavere fu trasportato da Forlì a Ravenna, e sepolto vicino alla porta maggiore della cattedrale, nella stessa arca dove era stato riposto il corpo dell’arcivescovo Mosè (ante 1144 luglio 6-1154 ottobre 26), suo illustre predecessore. Solo dopo la sua morte nel 1249 fu reso noto il documento della sua considerevole eredità.
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