NUCLEARI, TECNOLOGIE
(App. IV, II, p. 616)
Trattamento ed eliminazione dei rifiuti radioattivi. - I rifiuti radioattivi provenienti dai vari usi dell'energia nucleare presentano caratteristiche, qualitative e quantitative, variabili entro limiti straordinariamente estesi. Ciò ha posto, fin dagli inizi, la necessità di una loro classificazione, in relazione, da una parte, ai danni o agli inconvenienti che i rifiuti possono causare all'uomo e all'ambiente, dall'altra al tipo di provvedimenti da adottare per il loro smaltimento.
Da un punto di vista generale, i rifiuti si possono suddividere in due grandi gruppi, a seconda che la classificazione si basi su considerazioni qualitative oppure sul valore di parametri quantificabili. Le classificazioni di tipo qualitativo sono fondate su elementi descrittivi, come: natura delle operazioni di provenienza, natura dei rifiuti in sé, tipo di radiazione emessa dai radionuclidi associati ai rifiuti, i metodi di trattamento cui i rifiuti devono essere sottoposti, ecc. Le classificazioni di tipo quantitativo sono basate sui valori numerici di taluni parametri, come: periodo di dimezzamento dei radionuclidi associati ai rifiuti, concentrazione di radioattività, intensità d'irradiazione, fattori di moltiplicazione di certe grandezze usate in radioprotezione (come ''introduzione massima ammissibile'', ''carico corporeo massimo ammissibile'', ''concentrazione massima ammissibile'', ecc.), fattori di decontaminazione dei processi di trattamento, ecc.
Le sostanze radioattive possono grossolanamente raggrupparsi in due specie: i nuclei risultanti dalle fissioni (prodotti di fissione di cui, fra i più pericolosi, gli isotopi 90Sr, 137Cs, e 85Kr, con periodi di dimezzamento non superiori ai 30 anni) e i nuclei che si formano per assorbimento neutronico negli elementi fissili e fertili (attinidi o transuranici, con periodi di dimezzamento molto più lunghi).
Con riferimento a una centrale nucleare ad acqua leggera da 1000 MWe, il volume dei rifiuti solidi dopo trattamento e condizionamento può variare da 100 a 500 m3/anno a seconda del tipo di reattore (BWR o PWR) e del sistema di condizionamento. Si tratta di rifiuti con bassa o media attività specifica (da 0,1 a 10 Ci/m3) dovuta esclusivamente a radionuclidi emettitori.
Riferendosi a medie annuali relative alle esigenze di ritrattamento per una centrale da 1000 MWe ad acqua leggera, si possono valutare:
a) circa 3 m3 di rifiuti ad alta attività solidificati (scorie) con un'attività complessiva di 150 MCi beta-gamma;
b) circa 3 m3 di rifiuti compattati del deguainaggio, con un'attività complessiva di 1,5 MCi beta-gamma più attinidi;
c) circa 10÷100 m3 di rifiuti solidi a bassa e media attività complessiva di 0,01 MCi beta-gamma più contaminazione alfa;
d) 1÷10 m3 di rifiuti alfa solidi o solidificati, i quali contengono da 1 a 5 kg di plutonio.
I residui solidi prodotti direttamente in centrale derivano, oltre che da una modesta quantità di materiali attivi comprimibili quali plastica, carta, stracci, piccoli utensili, ecc., dalla solidificazione di resine polverizzate o granulari, fanghi di filtri, concentrato di evaporatori o di altri sistemi utilizzati per trattare fluidi di processo o effluenti liquidi in modo da purificarli dalla radioattività in essi contenuta.
Il consumo di combustibile annuo per una centrale con reattore ad acqua leggera da 1000 MWe si aggira sulle 30 t e i rifiuti sono circa 900 kg. Essi, una volta inglobati in una matrice vetrosa, hanno un volume di circa 3 m3. Da un kg di combustibile nucleare si ottengono circa 700.000 kWh termici e, poiché la fissione di un grammo di uranio produce 24.000 kWh termici, ciò significa che le fissioni avvenute nel combustibile hanno distrutto circa il 3% dei nuclei che si ritroveranno, sotto forma di prodotti di fissione, nel combustibile scaricato, mentre il restante 97% sarà rimasto come uranio o plutonio che possono essere recuperati e riutilizzati.
Per ''gestione dei rifiuti radioattivi'' s'intende il complesso dei provvedimenti relativi alla raccolta, al trasporto, al trattamento o al condizionamento, all'immagazzinamento e allo smaltimento finale dei rifiuti radioattivi. Si possono individuare tre principi-base adottati nella gestione dei rifiuti radioattivi:
a) diluizione e dispersione nell'ambiente sotto forma di effluenti contenenti radionuclidi in quantità inferiori ai limiti di radioprotezione prescelti;
b) custodia e decadimento dei rifiuti che contengono solamente radionuclidi a vita breve;
c) concentrazione e confinamento dei rifiuti che contengono importanti quantità di radionuclidi a vita lunga.
I provvedimenti estremi che possono venire adottati sono evidentemente: massima dispersione nell'ambiente, massimo isolamento. Tra questi due estremi si possono avere delle soluzioni intermedie (per es., immagazzinamento provvisorio seguito da uno scarico all'esterno). La scelta dell'uno o dell'altro tipo di smaltimento dipende soprattutto dal livello di contaminazione dei rifiuti e dalle caratteristiche dell'ambiente. Per es., i residui ad attività molto bassa possono venire immessi nell'ambiente nei limiti della ricettività di quest'ultimo, mentre i rifiuti altamente contaminati, come quelli provenienti dal ritrattamento del combustibile irraggiato, non possono che venire sottoposti a un contenimento totale.
Oggi si conoscono circa 2000 diversi radionuclidi, caratterizzati da proprietà chimiche, meccanismi di decadimento, tipi di radiazioni e loro spettro energetico. Ovviamente più lunga è la vita media, più debole è la radioattività specifica. Circa 70 radionuclidi hanno vite medie più lunghe di qualche mese: solo questi sono importanti per i depositi radioattivi. I rifiuti ad alta attività contengono, in forma concentrata, il 95% dell'attività totale dei rifiuti.
Il fine precipuo del trattamento dei rifiuti radioattivi è quello di concentrare parte dell'attività in un volume ridotto che può essere contenuto in modo più agevole. Fine del condizionamento è invece quello di mettere i rifiuti, che devono essere contenuti, in una forma per cui l'affidabilità del contenimento ne risulti aumentata. Per i depositi dei rifiuti si fa distinzione fra i depositi temporanei (storage), con spazi attrezzati per il loro recupero, e depositi definiti (disposal).
I depositi temporanei possono svolgere una funzione di polmone che consente sia di svincolare tra loro le fasi attive del ciclo del combustibile (e quindi di avere una maggior flessibilità operativa degli impianti e di dimensionare in maniera ottimale le linee di ritrattamento e di condizionamento), sia di selezionare con maggiore tranquillità le tecniche di condizionamento da adottare e i siti per lo smaltimento definitivo. Nel periodo storage (circa 50 anni) i livelli di radioattività e di produzione di calore diminuiscono di una decade rispetto al loro valore tre anni dopo lo scarico dal reattore. Nei successivi 300 anni l'attività è dominata dal decadimento degli isotopi di Cs e Sr che sono emettitori β e γ. In poche centinaia di anni la radioattività decresce di un fattore oltre 100.000, dopo di che le specie più attive sono l'americio e, successivamente, il tecnezio, emettitore β di 210.000 anni di vita media, e il nettunio, emettitore α di due milioni di anni di vita media. Il deposito temporaneo, in linea di principio, può essere a secco (circolazione di aria di raffreddamento forzata o naturale) o a umido (piscine d'acqua). Lo stoccaggio a secco, per ora meno diffuso, non dà luogo alla produzione di rifiuti radioattivi (prodotti, invece, nei depositi a umido). Si tratta di un tipo di deposito praticamente ''passivo'', vale a dire che non richiede interventi nel tempo.
Il più delle volte i rifiuti presentano un'attività troppo elevata perché li si possa scaricare, e un volume troppo grande perché li si possa immagazzinare. In questi casi è necessario sottoporli a trattamenti capaci di concentrare la maggior parte possibile delle sostanze radioattive entro volumi minori di quelli di partenza (fase di accresciuta attività) e quindi più economicamente immagazzinabili o comunque isolabili in località remote, così da poter disperdere il resto (fase di diminuita attività) liberamente nell'ambiente.
Ogni operazione che si compie sui rifiuti comporta dei rischi e un costo. Una buona gestione dei rifiuti è evidentemente quella che permette di ridurre i rischi a un costo ragionevole. Per es., nel caso della gestione dei rifiuti ad alta attività prodotti dal ritrattamento del combustibile irraggiato, una certa ''sosta'' presso l'impianto di ritrattamento viene generalmente considerata opportuna, poiché permette il decadimento dei nuclidi a vita breve e quindi riduce la produzione di calore nei rifiuti. Ciò semplifica notevolmente le successive fasi di smaltimento definitivo dei rifiuti stessi.
La radiotossicità diminuisce, in qualche decina di migliaia di anni, al di sotto del livello tipico dei depositi naturali di uranio. I meccanismi protettivi non devono garantire l'assoluto isolamento, ma solo limitare a livelli non pericolosi la trasmigrazione dei radionuclidi dal deposito alla biosfera. Il mezzo di trasporto più pericoloso è l'acqua, la cui assenza dev'essere garantita da adatte formazioni geologiche. Nel caso di formazioni argillose, anche se queste possono contenere fino al 20÷30% di acqua, la sua mobilità e quindi la migrazione degli eventuali radionuclidi disciolti è estremamente bassa. Le proprietà di scambio ionico delle argille collaborano alla riduzione della migrazione. Nel caso di formazioni cristalline il maggior pericolo è costituito dalla possibilità di fratture o fessure che potrebbero agire come vie preferenziali per la migrazione dei radionuclidi.
Le barriere artificiali create dall'uomo per tali depositi sotterranei hanno caratteristiche tali da rimanere comunque efficienti per centinaia di migliaia di anni, in assenza di dissesti geologici gravi. Esse consistono in speciali vetri al borosilicato, a bassissimo tasso di lisciviazione, entro contenitori di acciaio, in appositi materiali che riempiono lo spazio fra i contenitori e nel cemento armato che riveste le gallerie dei depositi sotterranei.
Assai interessanti sono le ricerche effettuate sulla diffusione e sull'accumulo dei prodotti radioattivi verificatisi, nell'arco di un miliardo e 800 milioni di anni, in seguito a una reazione nucleare naturale avvenuta in tempi lontanissimi nella località di Oklo (nel Gabon). Kr e Xe sono scomparsi quasi completamente: solo l'1% delle quantità inizialmente formatesi è tuttora presente. La relativamente bassa concentrazione dello 90Zr fa ritenere che un'importante migrazione dello 90Sr abbia avuto luogo. Ru, Rh, Pd, Ag e, particolarmente, 99Ru (dal 99Tc) e 107Ag (dal 107Pd) sono rimasti tuttora sul luogo ove avvenne la reazione. Fra le terre rare, La, Ce, Pr, Nd e Sa, in particolare, hanno dimostrato un'eccezionale stabilità. Il rapporto di conversione medio in plutonio del ''reattore naturale'' di Oklo è stato di circa 0,45, con una produzione di circa 1,5 t di 239Pu, la cui gran parte (con un periodo di 24.000 anni) si è trasformata in 235U. È molto probabile che quasi tutto il Pu formatosi si sia formato sul luogo di origine. È stato calcolato, in base alla quantità di 235U mancante, che la reazione a catena abbia prodotto circa 90 miliardi di kWh in un periodo di tempo valutato sulla capacità di trasporto termico dei materiali e sull'entità delle tracce di prodotti di fissione del plutonio generato, di circa 100.000 anni; la potenza media risultante è dell'ordine dei 100 kW.
In sostanza, si può dire che la maggior parte dei prodotti di fissione formatisi sono rimasti sul luogo della loro generazione, senza migrare e disperdersi, per quasi 2 miliardi di anni; e ciò fa considerare con ottimismo le tecniche proposte per l'eliminazione definitiva delle scorie radioattive.
Bibl.: M. Cumo, Impianti nucleari, Torino 19862; Enea, Commissione tecnica per la sicurezza nucleare e la produzione sanitaria, Gestione dei rifiuti radioattivi in Italia, Roma 1990; Atti del Congresso High level radioactive waste, Las Vegas 1992.