Nucleari, tecnologie
(App. IV, ii, p. 616; V, iii, p. 694)
I principi fondamentali della fisica e dell'ingegneria dei reattori nucleari sono stati trattati nelle voci pila atomica (App. II, ii, p. 548) e reattore nucleare (App. III, ii, p. 583); le caratteristiche dei reattori per ricerca e di quelli per impiego industriale nella produzione di energia elettrica, secondo le diverse filiere sviluppate che hanno raggiunto la maturazione industriale, sono descritte nella voce reattore nucleare (App. IV, iii, p. 156), unitamente agli sviluppi allora in atto nei reattori avanzati e anche nel settore della fusione nucleare, e riprese in App. V (iv, p. 421). Le problematiche del ciclo del combustibile nucleare, con gli aspetti di trattamento dei minerali, arricchimento, fabbricazione degli elementi di combustibile e di ritrattamento, sono illustrati nella voce nucleari, tecnologie (App. IV, ii, p. 616), mentre nell'App. V (iii, p. 694) viene affrontato in modo specifico il problema del trattamento e dell'eliminazione dei rifiuti. Infine, i problemi della sicurezza degli impianti e i criteri per aumentarla sono stati ripresi e approfonditi nella voce reattore nucleare (App. V, iv, p. 418). *
Stato dell'arte e prospettive degli impieghi dell'energia nucleare
I problemi connessi all'impiego pacifico dell'energia nucleare hanno subito nel corso del tempo profondi cambiamenti in relazione a un quadro di riferimento in continua evoluzione. Così le prospettive di esaurimento dei combustibili fossili (in particolare del petrolio) hanno sollecitato negli anni Cinquanta e Sessanta le attività e gli investimenti per far raggiungere all'ingegneria nucleare una maturazione industriale. Tuttavia, a seguito di alcuni incidenti (soprattutto quello di Černobyl´) in centrali elettronucleari e della minore attenzione all'esaurimento dei combustibili fossili (per le scoperte di nuovi giacimenti e la maggiore utilizzazione del gas naturale in centrali caratterizzate da cicli termici di elevato rendimento), le spinte verso l'uso dell'energia nucleare si sono fortemente ridotte, mentre i problemi della sicurezza hanno avuto il sopravvento. D'altro canto, le gravi preoccupazioni per l'inquinamento dell'aria e in particolare per le emissioni di anidride carbonica possono determinare un rinnovato interesse per l'impiego dell'energia nucleare.
In questa Appendice si tratteranno gli aspetti delle t. n. che hanno subito ulteriori sviluppi negli ultimi anni: i progressi della tecnologia dei reattori per centrali elettriche (sia di quelli tradizionali sia di quelli di nuova concezione), l'aumento della sicurezza degli impianti, l'eliminazione delle scorie, i problemi della chiusura degli impianti e del recupero dei siti, i programmi di ricerca nella fusione nucleare.
L'energia nucleare ha fornito nel 1998 il 17% dell'elettricità prodotta nel mondo, un quarto di quella prodotta nei paesi OCSE e oltre un terzo di quella dei paesi dell'Unione Europea. Nel decennio successivo al disastro di Černobyl´ la potenza degli impianti elettronucleari in funzione nel mondo è cresciuta del 40%, passando da 250.000 a 350.000 MWe, con 440 reattori in funzione in 32 paesi. Attualmente sono in costruzione 39 nuove centrali in 15 paesi. A fronte di questa indiscutibile affermazione della tecnologia dei reattori a fissione, l'Italia si trova in una posizione di evidente singolarità rispetto al resto dei paesi industrializzati, nonostante le chiare indicazioni emerse dalla Conferenza Nazionale sull'Energia del 1987.
Le più recenti previsioni di sviluppo della domanda di energia nucleare elaborate dalla NEA (Nuclear Energy Agency) dell'OCSE stimano una crescita della quota nucleare sul totale della produzione di energia elettrica che raggiunge valori del 20÷25% nell'America del Nord e del 40÷60% nella zona europea dell'OCSE e in Giappone (tab. 1).
A meno di una prolungata fase di recessione dell'economia mondiale, esiste ampio accordo sul fatto che la domanda di energia, e in particolare di energia elettrica, continuerà ad aumentare sia nei paesi sviluppati sia in quelli in via di sviluppo. Il ritmo con il quale questi paesi riusciranno a far crescere la loro economia dipende in larga misura dalle politiche e dalle prestazioni economiche dei paesi più sviluppati, che costituiscono i mercati di sbocco e le principali fonti di tecnologia e di capitali necessari per sostenere lo sviluppo.
Sulle decisioni di politica energetica è in forte crescita anche l'influenza delle politiche ambientali. La tendenza a ridurre la dipendenza dalle fonti energetiche fossili potrà in futuro dominare le scelte politiche, in particolare per quanto riguarda la produzione di energia elettrica, dove questa riduzione può essere conseguita più facilmente che nel settore dei trasporti. Le spinte originate dalle preoccupazioni per gli effetti delle piogge acide e delle potenziali conseguenze climatiche della crescita del tasso di anidride carbonica nell'atmosfera si sono intensificate negli ultimi anni e contribuiscono ad aumentare un consenso per il ricorso all'energia nucleare. L'accettabilità sociale delle t. n. è fortemente condizionata da due rischi paventati: quello della sicurezza degli impianti e quello della sorte dei rifiuti radioattivi. Questi due argomenti verranno, anche per questo, discussi nel seguito.
I reattori a fissione e loro evoluzione
L'esperienza di esercizio di oltre 400 reattori di potenza è stata la migliore suggeritrice delle evoluzioni dei progetti dei nuovi reattori.
Due linee di tendenza si sono manifestate fra i progettisti e hanno portato a due distinte tipologie di progetti. La prima è stata chiamata linea evolutiva, moderatamente innovativa, concepita per poter sfruttare appieno l'esperienza di esercizio dei reattori della prima generazione senza compiere 'salti' tecnologici non sufficientemente consolidati. Questa linea ha visto negli USA lo sviluppo degli APWR (Advanced Pressurized Water Reactors) da parte della Westinghouse Electric Corporation, degli ABWR (Advanced Boiling Water Reactors) da parte della General Electric Company, società che hanno operato in collaborazione con industrie giapponesi, e dell'EPR (European Pressurized Reactor, 1500 MWe) in Europa, da parte delle società Framatome per la Francia e Siemens per la Germania, opportunamente consorziate. Un reattore che appartiene a questa linea, ma ancor più innovativo, è l'Advanced Passive Pressurized Reactor della Westinghouse, da 600 MWe (denominato AP600), in cui è stata aumentata la percentuale di sistemi di sicurezza 'passivi', che non necessitano cioè di alimentazione di energia. Le ricerche effettuate per aumentare il livello di sicurezza sono state la principale fonte di informazione e di guida per questi progetti evolutivi.
Per meglio comprendere la logica del progetto di sicurezza dei reattori, nonché la sua evoluzione, si può dire che essa è basata su un'architettura detta di difesa in profondità, contro il rilascio all'ambiente dei nuclidi radioattivi, strutturata su tre livelli. Il primo, di natura preventiva, è basato su un progetto e una costruzione eseguiti secondo i canoni della garanzia di qualità. Il secondo, di natura protettiva, prevede sensori e macchine che intervengano in caso di anomalie e guasti per impedire il propagarsi di catene incidentali. Il terzo, di natura mitigativa, prevede strutture e dispositivi atti a frenare e contenere gli effetti dannosi degli incidenti che dovessero innescarsi nonostante i primi due livelli di difesa (a Černobyl´ i primi due livelli erano largamente insufficienti, con un progetto neutronico sbagliato, e il terzo livello, con il contenitore rinforzato, assente del tutto).
Soprattutto il secondo livello è articolato in numerosi sistemi di sicurezza, schematizzabili in sistemi attivi e passivi. I primi, per funzionare, hanno bisogno di sensori elettrici e di attuatori (motori, macchine, organi) alimentati da energia. I secondi, invece, intervengono per ineludibili leggi di natura, indipendentemente dalla fornitura di energia o dall'intervento degli operatori. La percentuale dei sistemi attivi, nei primi reattori, era di gran lunga maggiore di quella dei sistemi passivi. La tendenza moderna di progetto è quella di aumentare la percentuale dei sistemi di sicurezza passivi, chiamando advanced passive alcuni recenti progetti, come l'AP600.
La seconda linea di tendenza dei nuovi progetti, detta innovativa, introduce, rispetto ai reattori della prima generazione, concepiti quarant'anni fa, cambiamenti più radicali che non la 'linea evolutiva' e pertanto necessita di più approfondite conferme. Sono stati elaborati diversi progetti, a partire dagli anni Ottanta. Fra questi possiamo ricordare i reattori modulari ad alta temperatura (MHTGR, Modular High Temperature Gas Reactor) sviluppati negli Stati Uniti e in Germania, il reattore PIUS (Process Inherent Ultimate Safety) sviluppato in Svezia dalla ABB e il reattore MARS (Multipurpose Advanced Reactor inherently Safe), sviluppato in Italia dall'Università di Roma "La Sapienza" e dall'ENEA. Caratteristica comune di questi reattori della seconda generazione è quella di garantire la sicurezza con dispositivi passivi o sulla base di principi fisici intrinseci, legati a necessarie leggi di natura, così da rendere inutili i piani di emergenza esterni e da poter essere avvicinati ai centri abitati e ai complessi industriali che necessitano di energia.
Sinteticamente, gli MHTGR hanno un combustibile di microsfere con ossidi o carburi di uranio, torio o plutonio, sono moderati a grafite e refrigerati a elio. Il nocciolo di grafite non può fondere, ma solo sublimare a 3600 °C. A temperature ben più basse, e tali da non provocare la fuoriuscita dalle microsfere di nuclidi radioattivi, però, la reazione nucleare a catena si interrompe. Il calore residuo di decadimento radioattivo può essere eliminato per conduzione e radiazione, senza compromettere la resistenza meccanica del contenitore a pressione, in acciaio. L'elio refrigerante può essere portato a 900 °C e più, consentendo interessanti impieghi chimici e metallurgici (gassificazione del carbone e altro) prima di portarsi a temperature ancora sufficientemente elevate da consentire cicli termici di buon rendimento (fig. 1).
Il reattore PIUS è ad acqua pressurizzata con il nocciolo immerso in una grande vasca di cemento armato (fig. 2). Un particolare sistema di guardia termoidraulico agisce in modo tale che, se l'acqua refrigerante si surriscalda per una differenza termica fra potenza generata e potenza asportata dal generatore di vapore, prima ancora che il nocciolo sia messo in pericolo per incipiente fusione, l'acqua 'fredda' borata della piscina entra nel reattore e spegne la reazione a catena raffreddandolo e smaltendo il calore residuo di decadimento radioattivo.
Per il progetto italiano MARS, del tipo ad acqua pressurizzata, conviene soffermarsi sulle linee evolutive di progetto. Tutti i suoi sistemi di sicurezza sono di tipo passivo (fig. 3) e questa caratteristica impone che la taglia del reattore sia medio-piccola, per consentire l'adozione di un sistema di refrigerazione di emergenza a circolazione naturale. L'ottimo è intorno a una potenza di 170 MWe. La piccola taglia ha suggerito il progetto di un reattore modulare, in modo da raggiungere potenze maggiori assemblando più moduli e adeguando con gradualità la potenza disponibile alle richieste, generalmente crescenti, della rete elettrica. La piccola taglia consente inoltre di aumentare il rendimento complessivo con una cogenerazione di elettricità e calore, con la possibilità di impiegare quest'ultimo per la dissalazione dell'acqua di mare o per il teleriscaldamento.
Per diminuire tempi e costi, il MARS è concepito per essere costruito in pezzi assemblabili direttamente in officina, con lavorazioni in serie, in ambiente pulito e con controlli più accurati e rapidi in situazioni agevolate. L'assemblaggio è reso possibile dall'adozione di un doppio involucro pressurizzato che consente collegamenti flangiati e imbullonati (e non più saldati su forti spessori), unendo progressivamente i vari componenti sul sito ove si eseguono solo le costruzioni di ingegneria civile. L'intero impianto è pertanto costituito da componenti metallici assemblati, il che consente di allungare di molto la sua vita utile per semplice sostituzione dei soli pezzi usurati e, a fine vita consente lo smontaggio di tutte le parti attivate e il loro trasporto in un adatto deposito, smantellando completamente il reattore.
La sicurezza passiva dell'impianto è garantita da un sistema aggiuntivo di barre di controllo che si sganciano per dilatazione termica differenziale quando il refrigerante si scalda troppo, interrompendo così la reazione neutronica a catena, e dall'asportazione del calore residuo di decadimento radioattivo per circolazione termoconvettiva naturale con un pozzo termico di concezione originale.
Contestualmente alle linee di tendenza sopra descritte, nell'ex Unione Sovietica si erano sviluppate due filiere di reattori, quelli refrigerati ad acqua bollente e moderati a grafite (RBMK, Reaktor Bol´šoj Moščnosti Kanal´nyi, Reattore a canali di potenza elevata) e quelli refrigerati ad acqua pressurizzata (VVER, Vodo-Vodjanoj Energetičeskij Reaktor, Reattore energetico ad acqua), nelle due taglie da 440 MWe e 1000 MWe. La prima filiera comprendeva anche l'unità 4 della centrale di Černobyl´, che ha mostrato una totale insufficienza sia di progetto sia di conduzione con il grave incidente del 1986.
Nonostante alcuni miglioramenti introdotti, tutte le 15 unità di questa filiera, di potenza di 1000 MWe o di 1500 MWe, a parere unanime degli esperti occidentali di sicurezza, devono chiudere al più presto ed essere gradualmente smantellate. Della filiera VVER gli esperti chiedono la chiusura del modello più vecchio della taglia piccola (440 MWe), vale a dire del VVER 440/230.
La sicurezza
Le ricerche per elevare il grado di sicurezza dei reattori prendono in considerazione l'accadimento dei più gravi incidenti possibili e la maniera di fronteggiarne le conseguenze. Fra gli incidenti rientrano la fusione del nocciolo e la perforazione del suo contenitore a pressione, con il materiale fuso che cola al di sotto del reattore, aggredendo termicamente il calcestruzzo di fondazione. Anche nell'eventualità in cui dovessero verificarsi gli incidenti più gravi, i rilasci radioattivi all'esterno del reattore dovrebbero essere così limitati da rendere inutile un piano di emergenza esterno all'impianto che preveda l'evacuazione della popolazione. È per questo motivo che si affinano le tecniche di analisi probabilistica dei guasti e soprattutto le strategie di mitigazione delle conseguenze. Per es., per controllare gli effetti degradanti di un nocciolo fuso che fuoriuscisse dal contenitore a pressione dopo averlo perforato (la temperatura di tale materiale, rasentando i 3000 °C, è ben superiore a quella di fusione degli acciai), si è pensato di far scivolare il materiale fuso e di spanderlo su una larga superficie, in modo da contenerne lo spessore e raffreddarlo meglio con acqua. Per questi studi è essenziale la conoscenza delle interazioni fra materiale fuso e calcestruzzo, nelle sue diverse tipologie. In questi incidenti si produce anche idrogeno per reazione metallo-acqua fra le guaine in lega di zirconio delle barrette di combustibile nucleare, oltre i 1000 °C di temperatura, e il refrigerante.
Se l'idrogeno che si produce in seguito alla reazione di ossidazione dello zirconio raggiunge percentuali troppo elevate, dell'ordine del 10%, mescolandosi all'aria del contenitore esterno, vi è il rischio di un'esplosione la cui onda d'urto può compromettere le parti più deboli del contenitore (portelli e penetrazioni) e quindi la sua tenuta della radioattività liberatasi all'interno.
Per questo la ricerca si appunta sullo sviluppo di ricombinatori catalitici idrogeno/ossigeno di capacità adeguata a garantire il non-sorpasso dei limiti indicati. Sempre nel caso dei più gravi incidenti concepibili, è di vitale importanza la rimozione della potenza residua di decadimento radioattivo in modo che, per effetto dell'accresciuta pressione, non vengano rilasciati all'esterno prodotti radioattivi. In questo senso si vanno svolgendo studi e ricerche per garantire una rapida diminuzione della pressione dell'atmosfera all'interno dell'edificio del reattore (in cui si è avuto l'incidente con fuoriuscita del refrigerante) e dei prodotti radioattivi sospesi in esso presenti.
Un altro settore di ricerca è dedicato al controllo e al monitoraggio dell'impianto nucleare, che è ora altamente computerizzato. Si tratta di definire norme e linee guida universalmente accettate sia per il software sia per l'hardware di tali sistemi, anche in condizioni ambientali ostili in seguito agli incidenti. Occorre certificare la resistenza degli strumenti e sviluppare algoritmi che aiutino l'operatore a capire quali strumenti continuano a operare correttamente, e su quali quindi poter contare. I dispositivi di sicurezza che si sviluppano in queste ricerche sono di tipo attivo e di tipo passivo. I primi necessitano, per funzionare, di sensori e attuatori energizzati, i secondi agiscono sulla base di ineludibili leggi di natura. Ove possibile, si cerca di progettare e impiegare dispositivi di tipo passivo.
Altre aree di ricerca riguardano la resistenza degli edifici di contenimento dei reattori con programmi mirati ad aumentarla nei confronti delle sollecitazioni sismiche più severe e degli impatti esterni, con riferimento principale alle cadute di aerei. Pure molto studiata è la protezione dagli incendi, con l'utilizzo di banche dati e di modelli computerizzati.
Una ricerca di natura trasversale è relativa al prolungamento della vita operativa degli impianti nucleari, per cui bisogna quantificare i margini di sicurezza, per es. mediante moderni metodi di meccanica della frattura, approfondendo nel contempo la conoscenza dei meccanismi di invecchiamento e del comportamento dei materiali nelle più gravose condizioni incidentali.
Per quanto riguarda il ciclo del combustibile nucleare, le ricerche più importanti in corso riguardano l'incremento possibile della resa energetica, il riciclo del plutonio nei combustibili a ossidi misti (MOX), e una migliore resistenza ad ampie escursioni di potenza, con particolare riferimento all'integrità dell'incamiciatura delle barrette di combustibile.
La chiusura degli impianti e lo smaltimento delle scorie
L'impatto ambientale legato a un impianto industriale non più operante comporta aspetti diversi, dal semplice disturbo estetico e paesaggistico all'indisponibilità del sito per nuove attività, fino al rischio sanitario derivante dalla presenza nell'impianto abbandonato di sostanze nocive. La necessità di ripristinare il territorio nelle condizioni preesistenti all'insediamento industriale o, comunque, compatibili con l'assetto attuale del territorio è oggi divenuta comune consapevolezza. Un impianto nucleare non è che un esempio di impianto industriale contenente sostanze potenzialmente inquinanti che, alla fine della sua vita utile, non può essere lasciato incustodito, ma richiede il mantenimento di una sorveglianza sino all'eliminazione del rischio rimanente attraverso opportune operazioni. Le attività di disattivazione dell'impianto (decommissioning) hanno origine al termine della sua vita produttiva e non possono considerarsi concluse se non con la liberazione del sito per nuovi usi.
L'obiettivo, perciò, della disattivazione di un impianto nucleare consiste nel raggiungimento di una condizione priva di vincoli all'uso del sito, in particolare di ogni vincolo radiologico. È altresì obiettivo non secondario che ogni attività di disattivazione venga effettuata nel rispetto della protezione sanitaria dei lavoratori addetti, per cui occorre un'accurata pianificazione. Questa dev'essere concepita fin dall'inizio della progettazione dei nuovi insediamenti. Un corretto processo di disattivazione non potrà verificarsi se non saranno predisposti tutti gli strumenti necessari, da un adeguato assetto normativo alla disponibilità di depositi per i rifiuti derivanti dallo smantellamento.
Agli obiettivi parziali del processo di disattivazione, e naturalmente al suo obiettivo finale, viene attribuito il nome di stadi. Ogni stadio è caratterizzato da due elementi principali: le condizioni di impianto e le modalità di sorveglianza. La IAEA (International Atomic Energy Agency, organo delle Nazioni Unite) ha definito tre stadi: stadio 1, o custodia sorvegliata; stadio 2, o rilascio parziale del sito; stadio 3, o rilascio totale del sito.
Lo stadio 1 presuppone una custodia in sicurezza per alcuni decenni, anche per consentire un decadimento naturale della radioattività. È consigliata la rimozione del combustibile dal reattore, la rimozione dei fluidi di processo, il condizionamento e preferibilmente l'allontanamento dall'impianto dei rifiuti radioattivi prodotti durante l'esercizio. Lo stadio 2 si raggiunge quando parte dell'impianto e del sito è stata resa libera per uso incondizionato, mentre la radioattività rimanente è stata confinata all'interno di zone ben delimitate e isolate da ogni accesso esterno, con una sorveglianza ulteriormente ridotta. Lo stadio 3 consiste nel rilascio incondizionato dell'intero impianto e del sito. Le attività che conducono da uno stadio all'altro prendono generalmente il nome di fasi; esse possono consistere in operazioni di smantellamento o di decontaminazione.
Tra gli aspetti economici, occorre evidentemente considerare da un lato il costo dello smantellamento, dall'altro il costo della custodia e manutenzione. Il sistema di gestione dei rifiuti radioattivi, completo di depositi, di norme di esercizio e di sicurezza, e di standard industriali, è un fattore fondamentale.
I diversi paesi si comportano in maniera difforme, ma in generale ritengono tecnicamente possibile, ed economicamente conveniente, differire lo smantellamento per la durata di alcuni decenni per beneficiare sia della riduzione del livello della radioattività residua sia dell'evoluzione delle tecniche di smantellamento, dal punto di vista della loro efficacia. Come regola generale è tuttavia opportuno lo smantellamento immediato, subito dopo l'arresto definitivo, di quelle parti di impianto che rischiano un deterioramento eccessivo delle strutture o che contengono, in maniera preponderante, radionuclidi a vita media lunga che non decadrebbero apprezzabilmente.
Sul piano nazionale, si rende necessaria un'importante opera di sistemazione di tutti i rifiuti nucleari derivati dalle passate attività industriali, di ricerca e di applicazioni mediche, razionalizzando meglio le procedure e le modalità di raccolta e soprattutto individuando un adatto sito ove concentrare in deposito definitivo nazionale i rifiuti di prima e seconda categoria (tab. 2) e ove costruire un deposito temporaneo, adeguatamente attrezzato, per quelli millenari di terza categoria, in attesa della determinazione di una formazione geologica adeguata alla loro consegna definitiva. Una pregevole analisi dell'ANPA (Agenzia Nazionale per la Protezione dell'Ambiente) fornisce un quadro esauriente dei quantitativi e delle tipologie radioattive dei rifiuti giacenti in varie località italiane (tab. 3). ENEA ed ENEL sono da tempo all'opera per queste sistemazioni nei propri centri, ma non vi è dubbio che ora è necessario soprattutto trovare un sito adeguato per compiervi le opportune opere di accoglimento, evitando costose duplicazioni di servizi.
La razionalizzazione e normalizzazione delle opere di raccolta, condizionamento e sistemazione in un apposito e qualificato sito sul piano nazionale avrebbe anche un riflesso indiretto sull'opinione pubblica di rassicurazione sulla completa chiusura del ciclo delle applicazioni pacifiche dell'energia nucleare. In altri paesi queste operazioni sono compiute da agenzie nazionali create ad hoc (tab. 4).
Le società industriali producono enormi quantità di rifiuti non radioattivi. I paesi dell'OCSE generano ogni anno 9 miliardi di t di rifiuti solidi (l'equivalente di circa 10 t a persona); di questi, 420 milioni di t rappresentano i rifiuti urbani, 1500 milioni sono i rifiuti dell'industria manifatturiera (di cui 300 tossici e nocivi), e i 7 miliardi restanti sono attribuibili alla produzione di energia, all'agricoltura, all'industria mineraria, a demolizioni, dragaggi ecc.
I rifiuti radioattivi sono una percentuale, estremamente piccola, di quelli tossici e hanno una durata di pericolosità, per quanto talora molto lunga, certamente non indeterminata come quella di molti veleni. Essi si dividono in tre categorie, a bassa, media e alta radioattività (tab. 2). In relazione alla loro durata, per periodo radioattivo si intende il tempo di decadimento a metà della loro radioattività: in due periodi la radioattività diminuisce a un quarto del valore iniziale, in dieci periodi a circa un millesimo e in venti periodi a circa un milionesimo.
Ogni elemento radioattivo, o radionuclide, ha un proprio periodo radioattivo ed emette radiazioni di tipo ed energie specifici, che lo caratterizzano pienamente. Nei criteri di classificazione dei rifiuti è determinante la concentrazione dei radionuclidi (e quindi l'intensità delle radiazioni) e il loro periodo radioattivo, che può espandersi a milioni di anni. I rifiuti di bassa attività non necessitano di alcuna protezione speciale e possono essere trattati prendendo misure di protezione elementari, come l'uso di guanti di gomma. I rifiuti di media attività richiedono protezioni in metallo o calcestruzzo e dispositivi di telemanipolazione. Quelli che contengono plutonio e altri elementi transuranici sono a vita lunga. I rifiuti ad alta attività richiedono protezioni massicce e telemanipolatori. Le radiazioni intense generano calore che va asportato per evitare che si raggiungano temperature eccessive, il che significa che vanno previste strutture adeguate in cui circoli aria per convezione naturale o forzata per un periodo di alcuni decenni.
Un elemento della gestione dei rifiuti che può assumere particolare rilevanza è il trasporto, dato che, a parte situazioni favorevoli, i produttori di rifiuti raramente sono situati nelle immediate prossimità del luogo di eliminazione finale. Oltre all'onere economico, è indubbio che il trasporto dei rifiuti presenta un certo rischio potenziale, per cui, a parità di altre condizioni, è vantaggioso minimizzare tale trasporto; ciò però non deve tradursi in un'indebita proliferazione di 'cimiteri superficiali' o profondi. In tal caso, infatti, il vantaggio del minore trasporto verrebbe più che annullato dalla moltiplicazione dei siti da gestire e da sorvegliare.
Per quanto riguarda il tipo di rischi associati alla gestione dei rifiuti radioattivi, il problema più immediato è costituito dal pericolo delle radiazioni, che riguarda sia i lavoratori dell'industria nucleare, sia le popolazioni. Le misure e le norme di protezione dalle radiazioni sono quindi di importanza fondamentale; esse sono basate su principi e standard di radioprotezione ben stabiliti e internazionalmente accettati.
Oltre a tali principi generali di radioprotezione, due altri principi sono generalmente condivisi: a) il livello di protezione delle generazioni future dev'essere almeno equivalente a quello della generazione presente che sistema i rifiuti; b) la sicurezza non dev'essere subordinata a una gestione attiva (presenza di custodi o altro) dei depositi da parte delle generazioni future al di là di un lasso di tempo generalmente stimato dell'ordine dei 300 anni.
I depositi dei rifiuti a bassa attività sono per lo più superficiali o sub-superficiali (fig. 4); dopo poche decine di anni molti rifiuti risultano decaduti a livello di rifiuti comuni e non presentano più rischi, mentre i depositi per quelli a media e ad alta attività sono realizzati (i primi) e previsti (i secondi) a profondità maggiori entro formazioni argillose, saline o granitiche (fig. 5).
I depositi ad alta attività (a lunga vita) sono situati a profondità da 500 a 1000 m, per tener conto anche dell'effetto erosivo delle glaciazioni, e sono costituiti da barriere artificiali e naturali tali da garantire l'isolamento per milioni di anni, come si dice, 'a perdita di memoria'.
Per la situazione italiana la scelta ottimale sarebbe quella di un deposito superficiale, per i rifiuti di bassa attività, nello stesso sito in cui si potesse realizzare un deposito attrezzato provvisorio (storage) per i rifiuti vetrificati e per gli elementi di combustibile in contenitori a secco, e in cui si potesse, con buona prospettiva di successo, compiere delle ispezioni e delle esperienze sotterranee (in formazioni argillose particolarmente adatte) al fine di creare il deposito definitivo (disposal) a futura perdita di memoria. Tutto questo se nel frattempo le tecniche di separazione dei radioisotopi e di trasmutazione nucleare degli attinidi non renderanno inutile il deposito più impegnativo per l'alta attività, risolvendo il problema alla base con l'eliminazione dei radionuclidi a vita più lunga.
La fusione nucleare e i programmi di ricerca
Tra le diverse linee di ricerca per arrivare al controllo del processo di fusione termonucleare, quella basata sul confinamento magnetico toroidale di tipo Tokamak (Toroidal Kamera Magnetik) continua a raccogliere i maggiori consensi della comunità tecnico-scientifica internazionale, e su di essa viene concentrata la maggior parte delle risorse disponibili nel mondo. L'obiettivo è quello di fornire, per l'inizio del 21° secolo, la dimostrazione della fattibilità fisica del processo e della possibilità di controllarlo ai fini della produzione energetica nonché, sul piano tecnologico, di esplorare le possibilità di realizzazione di una filiera di reattori di potenza. I paesi tecnologicamente più avanzati (Unione Europea, Stati Uniti, Giappone e Russia) hanno deciso fin dal 1987 di congiungere i loro sforzi e suddividersi i costi nel programma comune ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor), che dovrebbe condurre all'avvio dei primi reattori sperimentali a fusione. Le difficoltà incontrate nella soluzione di alcuni problemi di fisica e tecnologia non hanno consentito, finora, di pervenire a un progetto definitivo dell'impianto, previsto come un reattore con plasma di deuterio-trizio da circa 1000÷1500 MW termici. Esso è basato su una ragionevole estrapolazione delle attuali conoscenze di fisica del plasma, anche se plasmi deuterio-trizio sono stati limitatamente studiati nelle macchine JET (Joint European Tokamak) e TFTR (Tokamak Fusion Test Reactor) e la fisica del 'divertore', il componente preposto al controllo della purezza del plasma mediante la sua deviazione, non è ancora ben nota. Altrettanto arduo è il salto di qualità che ITER richiede sul piano tecnologico. Per la prima volta, infatti, le strutture di un Tokamak prospicienti il plasma dovrebbero essere sottoposte a una fluenza neutronica significativa dal punto di vista del danneggiamento dei materiali e a carichi termici, dovuti a radiazione elettromagnetica e neutronica, tali da richiedere un raffreddamento attivo dei componenti esposti.
Ciò comporta la necessità di un vigoroso programma di qualificazione nucleare dei materiali prima di arrivare alla costruzione dell'impianto. Un ulteriore problema è costituito dal funzionamento intrinsecamente pulsato del Tokamak, che sottopone le strutture a un regime di fatica ciclica. Infine, com'è ben noto, per limitare la potenza elettrica impegnata nella creazione dei campi magnetici richiesti per il confinamento del plasma, ITER sarà equipaggiato con magneti superconduttori alla temperatura dell'elio liquido, con una certa estrapolazione delle attuali tecnologie. Dopo una prima fase di esercizio con un regime di ignizione per tempi sufficientemente lunghi (~1000 s), tali da consentire lo studio del plasma ignito, il programma sperimentale prevede una seconda fase destinata all'esecuzione di prove tecnologiche sui componenti nucleari, ivi compreso il mantello fertile triziogeno per la produzione in sito del trizio necessario al funzionamento del reattore (fig. 6).
Altre linee sperimentali di ricerca si perseguono nei due principali filoni di indagine basati sulla configurazione magnetica lineare (Tandem Mirror) e su quella toroidale (Tokamak, Stellarator, EbT). In Italia le due macchine sperimentali di avanguardia sono FTU (Frascati Tokamak Upgrade) dell'ENEA e RFX (Reversed Field [pinch e]Xperiment) di Padova (CNR). Sulla fusione a confinamento inerziale l'impegno di ricerca, in Europa, è stato di gran lunga inferiore rispetto a quello sulla fusione a confinamento magnetico (circa l'1%), mentre un maggior impegno è stato profuso negli Stati Uniti e in Giappone, ove vengono effettuati esperimenti utilizzando i laser a neodimio più grandi esistenti al mondo (Nova e Gekko xii, rispettivamente). Come è ben noto, lo schema più considerato per la fusione inerziale è quello in cui un impulso di energia dell'ordine di alcuni megajoule e una durata di 10÷30 ns, prodotto da un sistema remoto (un laser, un acceleratore di particelle o, più genericamente, un driver), viene usato per accendere 5÷10 mg di deuterio e trizio contenuti in una capsula sferica di alcuni millimetri di diametro. Una centrale da 1000÷2000 MW termici richiederà che vengano innescate circa 1÷5 microesplosioni al secondo al centro di una camera di 5÷8 m (il reattore), entro cui saranno convogliati e focalizzati gli impulsi di energia provenienti dai drivers. Per ottenere implosioni ad alte prestazioni è necessario che la deposizione di energia sulla capsula sferica sia uniforme in modo adeguato (entro alcuni percento). La ricerca si sviluppa seguendo due approcci comunemente indicati come metodo dell'irraggiamento diretto e metodo dell'irraggiamento indiretto, in relazione alla via scelta per deporre sulla capsula l'energia proveniente dai drivers. Nel metodo diretto gli impulsi di energia generati dal driver vengono focalizzati direttamente sulla capsula sferica.
L'uniformità della deposizione dell'energia è ottenuta con l'uso di un notevole numero di fasci disposti in appropriata simmetria e con sistemi ottici esterni, essendo trascurabile la ridistribuzione di energia per processi diffusivi nella capsula. La ricerca con il metodo indiretto è stata condizionata dalla restrizione sulla diffusione delle informazioni imposta nei paesi con programmi sugli armamenti nucleari e riguardanti la struttura e la fisica del bersaglio usato. Nel metodo indiretto la capsula viene posta in una cavità rivestita con materiale pesante e delle dimensioni di alcune volte il suo diametro. L'energia del driver viene iniettata nella cavità e trasformata, con efficienza fino al 70%, in raggi X molli. I raggi X provocano, per ablazione, l'implosione della capsula. I sostenitori di questo metodo sono convinti della possibilità di ottenere per questa via una maggiore uniformità di illuminazione e migliori effetti di stabilizzazione idrodinamica in fase di implosione.
bibliografia
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