TEBE (Θῆβαι, Thebae)
2°. - Città in Beozia e antica capitale di questa parte della Grecia, una delle più illustri città della leggenda e della storia ellenica, centro di un ciclo di miti indigeni, fondata secondo gli antichi dal fenicio Cadmo che l'avrebbe popolata seminando i denti di un dragone da lui ucciso, e munita di mura per il prodigio musicale di Anfione e Zeto. Oggi piccola città, in gran parte ricostruita dopo il terremoto del 1893, sul luogo dell'acropoli.
L'antica metropoli si estendeva su un colle (Cadmeia) formato da quattro alture e nella pianura circostante (città bassa). Sulla Cadmeia sono state rinvenute le più antiche tracce di insediamento, di età protoelladica (circa la fine del III millennio); si trattava di genti preindoeuropee, forse Carî, che possono aver dato al loro abitato il nome pregreco di T., e recavano una ceramica neolitica lucida (Urfirnis). Verso il 2000 a. C. i Carî furono scacciati dai portatori di una cultura mesoelladica, probabilmente i primi invasori greci, designati dalle fonti come Aoni (Ionî?), cui appartiene una ceramica opaca (Matmalerei) o quella detta minia, nota in quest'epoca su tutta la terraferma ellenica e con epicentro a Orchomenos. Succede a questa l'epoca più fiorente della protostoria tebana (Tardo-Elladico): è l'epoca del Palazzo di Cadmo e di numerose sepolture a Ismenion e Kolonaki (1600-1400 a. C.). Il Palazzo di Cadmo, la vasta dimora che occupa uno dei colli dell'acropoli, scoperta dal Keramopoullos nel 1906, è un'abitazione principesca con pianta di tipo minoico, come attesta la mancanza di un vero e proprio mègaron e la presenza di un gineceo, di numerosi cortili, di magazzini, pozzi di luce, ecc.; è ricca di oggetti preziosi e decorata di pitture fra cui la rappresentazione di una processione di donne a grandezza quasi naturale, stilisticamente molto prossima ai fregi dipinti di Tirinto e Micene, e databile al 1500 circa, appartenente, cioè, ad una prima fase del palazzo. Molte parti della costruzione dovevano essere lignee; entro un corridoio furono scoperte circa ottanta anfore che recano 47 segni alfabetici di cui 39 sicuramente in Lineare B. Recenti scavi (1963) hanno portato alla luce un'ampia sala, probabilmente appartenente al palazzo, nella quale sono stati rinvenuti due tesoretti comprendenti lapislazzuli, agate, oro, pietre e cilindri del terzo millennio a. C., con iscrizioni cuneiformi e del Miceneo Recente III a (circa XIV sec.). Secondo Erodoto i Cadmei, costruttori del palazzo e fondatori della città, erano fenici; si esclude ora un predominio fenicio sulla terraferma ellenica e si pensa piuttosto ad una immigrazione di genti eoliche che verso la metà del II millennio avrebbero seguito gli Ionî recando con sé elementi di cultura cretese-micenea (segni alfabetici e oggetti di importazione). Il palazzo distrutto dal fuoco non fu più ricostruito; ai Cadmei successe una nuova invasione di popoli adombrati nella leggenda di Anfione e Zeto (Beoti ed elementi argivi?); caddero in disuso anche le mura della Cadmeia, di cui sussistono scarse tracce e la città conobbe un periodo di decadenza e forse anche di soggezione a Orchomenos. Presso il vecchio palazzo ne fu costruito un altro molto minore che fu poi trasformato in un santuario di Demetra Thesmophòros (Paus., ix, 16, 5). Nell'VIII e nel VII sec. T. acquistò il predominio su tutta la Beozia e la città si estese certamente anche sulle pendici della Cadmeia. Nemica acerrima di Atene favorì i Persiani nelle guerre mediche e nella prima metà del IV sec., ad opera di Pelopida ed Epaminonda, divenne la più potente città greca. Nel IV sec. l'acropoli fu cinta di nuove mura isodome, ove, secondo le fonti, si aprivano sette porte. Alcune di queste sono state riconosciute, di altre rimangono incerti sia il nome che l'esistenza anche per la discordanza delle fonti. Sull'antica strada di Atene-Platea era la Porta di Elettra, anch'essa non anteriore al IV sec. (dal nome della figlia di Atlante e madre di Armonia o, secondo altre fonti, da Elektryon, padre di Alcmena, o da Elettra figlia di Anfione); essa ricorda nella sua struttura la porta principale di Messene, forse era a dìpylon, affiancata da due torri in pòros, collegate alle mura cittadine mediante un muro di raccordo esterno, e probabilmente aveva nell'interno una corte circolare. L'agorà sorgeva, secondo Pausania (ai tempi del quale, però, era già distrutta), nel sito del palazzo di Cadmo e se ne è voluto riconoscere un avanzo in cinque basi di colonne. Sulla Cadmeia Pausania ricorda ancora vari simulacri e luoghi di culto e fra questi un'antichissima immagine lignea di Dioniso caduta dal cielo, accanto alla quale era poi sorto un altare, opera dei figli di Prassitele.
La città bassa, abitata fin dai tempi antichi per l'esuberanza della popolazione della Cadmeia, fu cinta solo tardi di mura (IV sec. a. C.), che sorsero come difesa contro la minaccia di Alessandro. Queste mura, con un perimetro di circa 7 km hanno fondamenta in calcare locale, una larghezza di 2,5-3 m e un elevato in mattoni crudi con copertura in mattoni cotti; ma esse non valsero contro il Macedone che rase al suolo T. (335 a. C.) risparmiando solo la casa di Pindaro, crudele nemesi per la città che aveva chiamato in Grecia Filippo. Visse in seguito alterne vicende: cintata da Tolemeo conobbe una nuova, breve fioritura; passata nel 197 a. C. ai Romani si ribellò più volte e decadde gradualmente tanto che nel II sec. d. C., quando la visitò Pausania, l'abitato era ristretto alla sola Cadmeia.
Il santuario più famoso di T., l'Ismenion, originariamente dedicato al culto di un eroe locale a cui si sovrappose il culto di Apollo nel IV sec., o forse ancora prima, sorgeva su un colle ad E della porta di Elettra. Lo scavo stratigrafico ha rivelato i resti di tre santuari sovrapposti: 1) un tempio più antico, databile in età geometrica, in legno e mattoni, probabilmente ancora senza colonne e già costruito su una necropoli micenea e submicenea, distrutto dal fuoco verso il 700 a. C.; 2) un tempio arcaico, in pòros, con colonne doriche di cui Pindaro ed Erodoto magnificano le ricche reliquie e gli ex voto regali, cui appartengono dei restiarchitettonici del VI sec., ma che probabilmente risale ancora al VII sec.; 3) un periptero dorico, probabilmente di 6 × 12 colonne, (m 46,25 per 22,83), ricostruito nel 383 e dopo il 371 a. C. ma non finito, con un pronao molto profondo (m 21,60 × 9,30) per custodirvi i doni. La statua di culto era opera di Kanachos (VI sec.) simile a quella che l'artista aveva fatto per il santuario dei Branchidi, ma solo in legno di cedro (invece che in bronzo) e rappresentava Apollo ignudo con l'arco nella sinistra e il cervo nella destra. All'ingresso del santuario erano le statue di Atena Prònaia, opera di Skopas, e di Hermes Prònaios, opera di Fidia.
Molti altri monumenti sono menzionati da Pausania: un teatro, un'agorà di età macedone, due ginnasi, uno stadio, un ippodromo, la casa di Pindaro, nativo di T., ed i sepolcri che si attribuivano agli eroi indigeni, Anfione, Zeto, Anfitrione, Edipo, ecc. Al difuori del peribolo murario, verso S, nei pressi di Kolonaki, è stata trovata una vasta necropoli micenea.
Nei dintorni di T. era l'Amphiareion, sede del culto oracolare e ctonio di Anfiarao; lo si è voluto riconoscere sulla strada di Tachy, in un insieme di ruderi che dall'epoca micenea vanno fino al V sec. a. C., data che coincide con quella che Erodoto pone per la distruzione di questo santuario tebano, cui sarebbe subentrato quello di Oropos.
Sulla strada antica, verso Tespie, a circa 6 km da T. era il santuario dei Cabiri, che fu scoperto nel 1887 dopo la comparsa sul mercato antiquario di Atene di piccoli bronzetti di tori con iscrizioni votive ai Cabiri. Gli scavi, compiuti dal Wolters, dal Dörpfeld, dalla Bruns, ecc. proseguirono saltuariamente fino al 1939 e i loro risultati furono confermati da uno scavo di controllo nel 1956. Il santuario era situato nella stretta valle di un ruscello quasi sempre asciutto ed era dedicato al culto misteriosofico di divinità della fertilità, assimilabili a Dioniso e collegate con Demetra a cui era dedicato un vicino santuario (v. cabiri). Il culto durò dai tempi arcaici fino in età romana tarda. Le tracce più antiche risalgono all'VIII sec. (ceramica geometrica). Sono stati riconosciuti muri di recinzione, uno più antico ed un altro più recente, un tempio in tre redazioni successive e varî edifici. Del tempio più antico, che si presume risalga al VI-V sec. a. C. e che fu forse distrutto dai Persiani, si conservano solo pochi resti di un muro circolare che fa supporre un tempio absidato, e altri due muri in pòros. Il secondo tempio sorse nel V sec. e dovette essere distrutto dai Macedoni alla fine del IV secolo. Nella sua costruzione erano stati usati varî materiali: pòros per le fondamenta e le pareti della cella, calcare duro per l'euthyntèria e breccia dura per lo stilobate del pronao e la parete della porta fra quello e l'avancella. È un tempio con stretto pronao prostilo, tetrastilo, ad E (m 2,74 × 5,73) e ad O un'avancella quasi quadrata (m 4,76 × 4,37) e una cella principale più grande (m 4,76 × 6,10) con all'estremità occidentale il basamento della base della statua di culto. L'ampiezza degli intercolumni angolari potrebbe far supporre che questo tempio fosse stato ionico, ma l'ipotesi non ha molta attendibilità perché il tempio successivo fu dorico. A occidente del tempio era addossata una grande camera (m 4,80 per 6,82) che non era in nessun diretto collegamento con la cella e a cui si accedeva da due lati lunghi. Nella redazione contemporanea al terzo tempio quest'ambiente presenta due fosse per le offerte che ne chiariscono la funzione. Il secondo tempio dovette essere completamente distrutto perché nessuna delle sue parti, ma solo singoli blocchi, furono utilizzati nel terzo tempio, che sorse in epoca ellenistica (come rivelano le marche della costruzione e la forma delle grappe). Questo tempio era piuttosto simile al precedente, ma senza avancella; aveva un pronao profondo circa 5 m con quattro colonne doriche (o due pilastri e due colonne), una cella di circa m 9,50 con la base per l'immagine di culto, e ad O l'ambiente con le fosse per le offerte, che probabilmente non aveva tetto, ma era un peribolo aperto. In epoca romana furono eseguite riparazioni nelle fondamenta del pronao che presentano intonaco con calce. Ad E dell'ingresso del tempio sono i resti di un altare principale e una gradinata semicircolare di cui sono conservati sei gradini, limitata da muri di pàrodoi. In tal modo il luogo veniva considerato come un telestèrion a cielo aperto, con l'altare al centro e la fronte del tempio come una scena che permetteva al sacerdote la diretta comunicazione con l'àdyton del tempio. Probabilmente le gradinate sono ellenistiche e le pàrodoi romane. Il diametro dello spiazzato in età romana era di circa 63 m, quello dell'orchestra di circa 26 m. A S del tempio era un colonnato e più a O un portico aperto ad E (m 40 × 7) con tracce di varî periodi costruttivi dal tardo classico-ellenistico al romano, quest'ultimo attestato da una rivestitura marmorea della parete interna. In età romana tutta la pendice rocciosa a N era stata chiusa nel recinto dei misteri. Dal santuario provengono figurine in bronzo, piombo, terracotta, rappresentanti le divinità, piccole figure di animali e di pastori e tutta una serie di vasi a figure nere databili fra la seconda metà del V e la prima metà del IV sec. a. C., dal caratteristico stile popolaresco (v. cabirici, vasi). La presenza di monete tardoromane attesta la vita del santuario ancora in quest'epoca.
La monetazione tebana inizia nel 6oo a. C., con monete anepigrafi che recano sul dritto lo scudo beotico e sul rovescio un quadrato incuso. Quando, dopo la battaglia di Cheronea (447 a. C.), si ricostituì la lega beotica, T. monopolizzò il diritto di conio; sono di quest'epoca gli stateri con Eracle (cui era sacro un luogo di culto, l'Herakleion), lo scudo beotico e la testa di Armonia.
T. fu anche un notevole centro artistico; molti dei più famosi artisti greci vi lasciarono loro opere e altri vi ebbero le origini (elenco degli artisti tebani in P. Decharme, De Thebanis artifìcibus, Parigi 1869). Nel V sec. vi fiorì una scultura votiva e funeraria che influenzò verso il 440 il rinnovamento delle stele attiche, e conservò caratteri autonomi fino al III-II sec. a. C.; ma il maggior lustro artistico fu la scuola di pittura tebana, di cui resta una testimonianza nelle stele dipinte di Mnason (fine V sec.), di Rhynchon e di Saugenes (inizio IV sec.) e che ebbe i suoi principali esponenti nei due Aristeides (v.), il primo attivo al principio del IV sec., bronzista e pittore, fondatore della scuola di pittura tebana, e il secondo, figlio di Nikomachos e forse nipote del primo, che visse all'epoca di Alessandro Magno e fu largamente celebrato dalle fonti antiche.
Bibl.: P. Decharmes, De thebanis artificibus, Parigi 1869; W. Dörpfeld, in Ath. Mitt., XIII, 1888, pp. 96-99; H. Winnifeld, ibid., XIII, 1888, pp. 412-428; P. Wolters, ibid., XV, 1890, pp. 354-377; E. Szanto, ibid., XV, 1890, pp. 378-419; W. Vollgraff, in Bull. Corr. Hell., XXVI, 1902, pp. 554-570; A. D. Keramopoullos, in ᾿Αρχ. ᾿Εϕ., 1909, cc. 57-122; id., ibid., 1910, cc. 209-252; B. V. Head, Historia numorum, Oxford 1911, pp. 349-353; A. D. Keramopoullos, in Δελτίον, III, 1917; E. Pfuhl, Malerei und Zeichn., Monaco 1923, II, p. 703; A. D. Keramopoullos, in Πρακτικα, 1927, pp. 32-44; id., ibid., 1929, pp. 60-63; id., in Bericht über die Hundertjahrfeier (21-25 aprile 1929), Berlino 1930, pp. 252-253; A. Pernier, in Enc. Ital., s. v.; L. Ziehen, in Pauly-Wissowa, V A, 1934, cc. 1423-1553, s. v. Thebai; G. Bruns, in Arch. Anz., LIV, 1939, cc. 581-598; G. De Sanctis, Storia dei Greci, Firenze 1939; P. Wolters-G. Bruns, Das Kabirionheiligtum bei Theben, Berlino 1940; L. G. Granger, in Numismatist, LX, aprile 1947, pp. 265-268; Y. Bequignon, in Rev. Arch., XXIX-XXX, 1948, pp. 61-75; H. Reusch, in Arch. Anz., LXIII-LXIV, 1948-49, (1950), cc. 240-253; R. Demangel, in Stud. to D. M. Robinson, S. Louis, I, 1951, pp. 621-625; M. P. Nilsson, in Opuscula Selecta, I, Lund 1951, pp. 25-34; P. J. Reimer, Zeven Tegen Thebe, Gouda 1953; H. Reusch, in Arch. Anz., LXVIII, 1953, cc. 16-25; A. Rumpf, Malerei und Zeichn., Monaco 1953, pp. 118; 128; O. Walter, in Antidoron M. Abramic, I, 1954-57, pp. 173-176; H. Reusch, in Abhandl. Deutsch. Akad. Wissensch., Berlino 1956; G. Bruns, in Neue Deutsch. Ausgrab. im Mittelmeergebiet, Berlino 1959, pp. 237-243; J. Delorme, Gymnasion, Parigi 1960, pp. 74-76; P. Cloché, Thèbes de Béotie des origines à la conquête romaine, Namur, s. d.; Bull. Corr. Hell., LXXXVIII, 1964, p. 775 ss.; E. Touloupa, in Kadmos, 1964, p. 25 ss.; N. Platon-E. Touloupa, in Illustrated London News, 28-xi-1964, p. 859 ss., e 5-xii-1964, p. 896 ss. Per i sigilli: M. T. Larsan, in Nestor, 1° luglio 1964, p. 335; A. Falkenstein, in Kadmos, 1964, p. 109.
(L. Vlad Borrelli)
Museo. - Riaperto nel dicembre 1962, il museo espone materiale archeologico proveniente da vari centri della Beozia (principalmente Eutresis, Platea, Ptoion, Ritsona, Tespie e T. stessa), sufficiente per un quadro d'insieme della produzione artistica della regione.
Di notevole interesse un busto tardodedalico frammentario, da Liatani (Tanagra), ascritto dallo Jenkins a fabbrica corinzia. Ma, per la scultura arcaica, i monumenti di maggior rilievo sono i koùroi dal santuario di Apollo Ptòion, distribuiti nel corso di tutto il VI sec. e nei cui esemplari migliori (torsi nn. 4 e 6, e koùros n. 3, l'unico che conservi la testa), si riconoscono influssi ionico-insulari. Al secondo quarto del secolo appartiene la testa n. 15 (non esposta) forse di mano attica; e certamente attica è una stele frammentaria con oplita (da Tebe), molto vicina a quella di Aristion del Museo Naz. di Atene. Il torso di Eutresis, di stile severo, e una statuetta femminile seduta di qualche decennio più antica, dalla stessa località, completano il quadro della plastica arcaica.
La scultura classica è principalmente rappresentata da un gruppo di stele funerarie, provenienti in gran parte da Tespie e Platea. Tale produzione si estende dal 460 circa oltre la metà del IV sec. e segue piuttosto fedelmente i temi e i modi stilistici della scultura attica contemporanea. Tra le più interessanti si ricordano la stele n. 45 con colloquio tra un giovane e un piccolo schiavo (fine del V sec.), la n. 35, con guerriero che conduce un cavallo, e la n. 33 con giovane cacciatore attorniato dai suoi cani (metà del IV sec.). Forse a T. si deve localizzare la fabbrica delle stele in marmo nero, recanti incisa, in una riquadratura architettonica, una figura di guerriero combattente coperto di chitone o clamide e armato di spada, asta, elmo e scudo (spesso decorato con Bellerofonte in lotta con la chimera); scene minori (di banchetto, di ambiente familiare, ecc.) compaiono nel timpano, i nomi dei defunti sono incisi sull'architrave (Rille, Mnason, Saugenes, Rhynchon). Notevolissimi appaiono il rendimento degli scorci e più ancora gli accenni all'ambiente (linee ondulate di terreno con pianticelle, massi, ecc.); ascritte alla fine del V-inizi del IV sec., tali stele sono da tempo note come una preziosa testimonianza della grande pittura dell'età di Parrasio.
Tra le sculture di età ellenistica si segnala, per la ibrida mescolanza di eterogenei elementi decorativi, un gruppo di epithỳmbia in calcare con fregio a triglifi e metope con rosette, e timpano riempito da girali. Ellenistica sembra una statua arcaistica di Artemide, dal santuario di Aulide (v.), donde provengono anche alcune statue di sacerdotesse (età romana). Infine si ricordano una statua eroica acefala con balteo (un imperatore, forse Adriano), e un grande rilievo con una Nike.
Attualmente è esposta solo una parte della ceramica e degli oggetti d'arte minore. Ai vasi proto- e medioelladici di Eutresis si sono ora aggiunti nuovi complessi ceramici della stessa epoca dagli scavi di T. (inediti); un gruppo assai interessante di anfore a staffa con iscrizioni in lineare B (nomi di persona?) proviene, assieme ad altro materiale tardo-elladico, dalla Cadmea e dalle necropoli della città. Per l'età greca, dal geometrico all'ellenistico, una continua documentazione è fornita principalmente dalle necropoli di Ritsona, in cui ceramica locale (specialmente coppe su alto piede, con decorazione a vari colori tenacemente attardantesi in forme di provinciale subgeometrismo) si unisce a materiale di importazione, corinzio dapprima, poi attico, con sporadici pezzi di altra provenienza (un calice chiota, ecc.).
Del museo si prevede un ampliamento, in cui esporre i vasi del Kabirion, i frammenti di affreschi micenei dal palazzo di Cadmo (processione di donne con oggetti rituali), una serie di sigilli a cilindro con figurazioni incise, in parte di produzione orientale (dai nuovi scavi della Cadmea) e altro materiale.
Bibl.: Catalogo-guida del museo: Ch. Karouzos, Τὸ Μουσεῖο τῆς Θήβας, Atene 1934 (non è aggiornato e segue il vecchio ordinamento).
(F. Zevi)