BRUSATI, Tebaldo
Apparteneva a una famiglia magnatizia di Brescia (le fonti lo ricordano come "nobilis vir" e "miles"), che insieme con quella dei Maggi fu tra le principali della parte guelfa di quella città, e nell'ambito del mondo guelfo italiano tra la fine del sec. XIII e l'inizio del XIV si sarebbe svolta anche tutta la sua attività.
La data della sua nascita non è nota. Appare nelle fonti per la prima volta nel 1283, in qualità di podestà di Parira per i primi sei mesi di quell'anno. Nel 1284 fu podestà di Bologna, che dopo la cacciata dei Lambertazzi, ghibellini, nel 1280, si era schierata definitivamente dalla parte guelfa e aveva instaurato un regime popolare basato su nuovi statuti. Essi, noti come gli Ordinamenti sacrati del 1282 e gli Ordinamenti sacratissimi, secondo la testimonianza di un codice di statuti bolognesi del 1292, sarebbero stati emanati proprio al tempo della podesteria del B., il 3 dic. 1284. Questa indicazione tuttavia contrasta con la tradizione delle cronache bolognesi, che non ricordano il B, come podestà di Bologna e indicano per il 1284 Giovanni da Peschara o Pescharolo. D'altra parte le stesse cronache accennano a un'azione del rettore pontificio di Romagna contro i ghibellini della provincia nell'ottobre di quell'anno, e forse proprio in seguito a questi avvenimenti il B., uomo di indubbi sentimenti guelfi, può avere esercitato per breve tempo le funzioni di podestà di Bologna.
In analoghe circostanze si svolse del resto anche la podesteria del B. a Faenza nel 1287. Alla fine del 1286 risulta podestà in questa città il ghibellino Maghinardo Pagani da Susinana. Con il suo consenso nel novembre del 1286 poterono ritornare a Faenza i Manfredi e i loro seguaci, messi al bando nel 1284. Ma il nuovo rettore pontificio, Pietro Stefani, li mise di nuovo al bando e sostituì il Pagani con il Brusati. Non dovette restare a lungo in carica, se già nel maggio del 1287 i Manfredi ritornarono in città "contra precepta et mandata domini comitis Romaniole". Nel novembre comunque il Pagani risulta nuovamente podestà.
Tra il 1288 e il 1291 il B. fu podestà di Treviso. In questa carica lo ricordano documenti che vanno, con varie interruzioni, dal maggio del 1288 fino al dicembre del 1291, ma non sono noti particolari di qualche rilievo relativi al suo periodo di podesteria. Sotto la signoria di Gherardo da Camino, capitano della città, al podestà del resto non era rimasta molta libertà di azione. Il B. fu di nuovo podestà di Treviso nel 1294-1295 e nel 1300.
Maggior rilievo ebbe invece la podesteria del B. a Firenze nei primi sei mesi del 1293, nel momento cioè in cui la sostituzione del governo dei magnati con quello delle Arti maggiori fu sanzionata dagli Ordinamenti di giustizia di Giano della Bella (18 gennaio 1293). È stata già rilevata la circostanza, certamente non casuale, che la nuova legge sia stata emanata sotto lo stesso podestà che pochi anni prima aveva assistito anche alla promulgazione degli Ordinamenti sacratissimi di Bologna, diretti come quelli di giustizia contro i magnati. È evidente che al nuovo regime, nel momento della scelta del podestà, il nome del B. dovette ispirare fiducia.
La tumultuosa situazione creatasi nel frattempo a Brescia, dilaniata dalle lotte di fazione (ne esistevano cinque allora, ghibellini, Bardelli, Griffi, Ferioli e guelfi, e quest'ultima verso il 1295 aveva cacciato tutte le altre), aveva richiamato il B. in patria dopo la sua seconda podesteria a Treviso. Per pacificare la città, le grandi famiglie guelfe, tra le quali quella dei Brusati, decisero di ricorrere all'instaurazione di una signoria. Fu proprio il B. che, insieme con Bresciano de Salis e Gherardo Gambara, propose il vescovo Berardo Maggi, rinunziando, il 6 marzo 1298, alla propria candidatura. Conferita la signoria al Maggi (26 marzo 1298) e richiamati successivamente gli esuli, la città sembrò avviarsi verso una generale pacificazione. Ma il nuovo equilibrio politico tra le fazioni non resistette alla prova del tempo. Scaduto il quinquennio per il quale era stata creata la signoria del Maggi, questi fece bandire dalla città il B. con la sua famiglia e i suoi seguaci, imponendo la proroga della propria signoria per altri cinque anni. I motivi dell'espulsione del B. sono abbastanza evidenti. Certamente il Maggi temeva, forse non a torto, che il B. stesso aspirasse ormai a succedergli nella signoria e sembra che abbiano convalidato questo timore i rapporti intrattenuti dal B. con i Della Torre, che nel 1302 avevano cacciato da Milano i Visconti legati al Maggi.
Il B. trovò un sostenitore nel papa Benedetto XI, trevigiano di nascita e per lunghi anni provinciale dei domenicani in Lombardia, che egli aveva sicuramente conosciuto personalmente in precedenza. Questi lo nominò, il 13 genn. 1304, rettore pontificio in Romagna, delle cui vicende il B. aveva fatto già esperienza. Giunto a Cesena il 5 febbr. 1304, fu implicato subito nelle consuete lotte locali, ma non rimase a lungo in carica. La morte del papa, sopraggiunta poco dopo il 7 luglio 1304 a Perugia lo fece decadere automaticamente dal suo ufficio.
Non si sa con precisione dove abbia trovato rifugio in seguito. Pare a Cremona: il cronista bresciano Giacomo Malvezzi riferisce infatti che nel 1306 il B., alla testa di altri esuli bresciani, si era impadronito di Gaido, ma, non sussistendo possibilità di rovesciare la signoria del Maggi, si era ritirato a Cremona, dove fu ricevuto "satis digne".
Una vera possibilità di ritornare in patria si offrì al B. solo in conseguenza della discesa in Italia di Enrico VII di Lussemburgo, animato appunto dal proposito di pacificare la penisola. Il B., che forse aveva mandato già in precedenza suoi ambasciatori in Germania alla corte del re, raggiunse Enrico VII al suo ingresso in Italia e nel corso del suo soggiorno ad Asti, tra il novembre e il dicembre del 1310, gli espose il suo caso, ottenendo ampie assicurazioni circa il suo rientro a Brescia. Subito dopo la sua incoronazione a Milano avvenuta il 6 gennaio 1311, Enrico VII ordinò infatti ai Bresciani di riammettere i fuorusciti, che l'8 gennaio gli prestarono il giuramento di fedeltà, e nominò Alberto di Castelbarco suo vicario a Brescia, destituendo in tal modo Matteo Maggi che nel 1308 era succeduto al fratello nella signoria.
Non sono del tutto chiari gli avvenimenti che portarono in breve tempo all'espulsione dei Maggi e all'instaurazione della signoria del Brusati. Secondo la tradizione locale che sembra la più attendibile, il vicario reale, una volta constatata l'immediata reviviscenza delle antiche lotte di fazione, avrebbe fatto rinchiudere nel palazzo del Comune, su richiesta dei Maggi, il B. con alcuni dei suoi seguaci, lasciando così libero il campo ai soprusi dei suoi avversari. La naturale reazione sarebbe stata la rivolta del guelfi il 24 febbr. 1311 che costrinsero il vicario a una fuga precipitosa. Dopo l'inevitabile espulsione dei Maggi la parte guelfa avrebbe offerto la signoria della città al Brusati.L'espulsione dei Maggi, legati da tempo alla fazione ghibellina, e l'instaurazione di una signoria guelfa a Brescia, che del resto si inseriva in un più vasto movimento di ribellione contro il re in Lombardia, costituì non solo un grave attentato alla politica di pacificazione di Enrico VII, ma anche una intollerabile offesa alla sua dignità di re. Come tale la intese almeno Enrico VII, il quale, dopo avere invano intimato la riammissione dei Maggi, iniziò il 19 maggio 1311 l'assedio di Brescia.
La città resistette tenacemente all'assedio delle truppe del re, ma dopo circa un mese, con tutta probabilità il 19 giugno, il B., che si era spinto con piccolo seguito fuori le mura per ispezionare certe fortificazioni su uno dei promontori della città, cadde nel corso di una scaramuccia nelle mani degli assedianti. Enrico VII fu spietato. Giudicato colpevole di tradimento e di altri reati, il B. il 20 giugno fu condannato a morte e giustiziato immediatamente in modo crudelissimo: trascinato attraverso il campo, fu impiccato e quindi squartato, le sue interiora furono bruciate, la sua testa e le membra esposte su pali al cospetto della città assediata, che tuttavia solo tre mesi dopo, e per intervento del pontefice, si arrese.
Non pare che il B. abbia lasciato eredi maschi. In un testamento redatto il 3 marzo 1301 a Treviso, dove è ricordata anche la moglie di nome Stefania, il B. istituì erede universale il fratello Giacomo. Secondo la testimonianza del notaio milanese Giovanni da Cermenate, una figlia del B. avrebbe sposato un nobile della val Camonica della famiglia dei Federici.
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