teatro
La fortuna dell'opera dantesca e dello stesso personaggio di D. in teatro è fenomeno tipicamente ottocentesco, generato dalla più ampia riscoperta dei valori morali e civili della sua poesia. Di tale riscoperta s'impadronì subito il t. per tentarne una drammatizzazione che coinvolgesse non solo l'opera del poeta, ma anche, e in misura ancora maggiore, la sua figura di cittadino profondamente impegnato nei problemi del suo tempo.
Il primo uomo di teatro che intuì il significato della poesia dantesca e il ruolo che essa avrebbe potuto sostenere nella difficile lotta per l'unità d'Italia fu proprio un attore, Gustavo Modena (Venezia 1803 - Torino 1861).
Fervido mazziniano, uomo di forte sentire, il Modena ebbe il grande merito di divulgare la poesia dantesca tanto in Italia che all'estero. Esule per motivi politici in Inghilterra, recitò per la prima volta D. al Queen's Theatre di Londra nel 1839. Da allora la poesia dantesca diventò uno dei suoi cavalli di battaglia non esclusivamente da un punto di vista artistico, ma anche politico. Attraverso la sua vigorosa dizione, infatti, essa giunse al pubblico con un'immediata suggestione, che non si esauriva in sé stessa, ma finiva per mutarsi in calda partecipazione ai suoi significati più attuali. Il Modena scelse naturalmente i canti che più si prestavano alle sue intenzioni, come per esempio il canto dei simoniaci, dei barattieri, del conte Ugolino, di Sordello.
Altri attori, celebri e meno celebri, seguirono il suo esempio, forse con minore passione civile, ma, più di una volta, con pari rigore interpretativo. Da Paolo Fabbri a Luigi Capodaglio fino ad attori del livello di Adelaide Ristori, Tomaso Salvini, Ernesto Rossi, Gaetano Gattinelli (di questi ultimi quattro rimase memorabile l'interpretazione di alcuni dei più suggestivi canti della Commedia nello spettacolo commemorativo del 1865, rappresentato al Teatro Pagliano di Firenze) si creò tutta una grande tradizione d'interpreti della poesia dantesca; tradizione che presto ebbe degni eredi in Giovanni Emanuel e Giacinta Pezzana. Tuttavia, con l'esaurirsi dei motivi che erano all'origine della fortuna dantesca sul palcoscenico, si assottigliò questa nutrita schiera d'interpreti. Nel nostro secolo si possono ricordare, per la qualità dei risultati e per la decisa affermazione dei valori ‛ teatrali ' della poesia dantesca, Ruggero Ruggeri e soprattutto Ermete Zacconi, forse l'ultimo, penetrante dicitore della Commedia.
La strada aperta da Gustavo Modena segnò anche l'inizio di un rigoglioso filone teatrale, ispirato al poeta e ai suoi più celebri personaggi. Già prima di lui non erano mancate opere di questo genere, ma, dopo, esse finirono per costituire una parte non irrilevante del repertorio nazionale per un lungo periodo dell'Ottocento. Per lo più furono opere di circostanza, concepite per sfruttare un tema popolare che, nel clima risorgimentale, possedeva una notevole carica di attualità.
È singolare tuttavia che il primo dramma in cui appare il personaggio di D. appartenga al teatro tedesco. È un dramma satirico-fantastico di Ludwig Tieck, Prinz Zerbino oder Die Reise nach dem guten Geschmack (Jena 1799), in cui l'ombra del poeta mette a tacere il servo Nestore, che si esprime con grande disinvoltura su ciò che non conosce.
Del 1820 è il Dante Alighieri di Vincenzo Pieracci, commedia in 5 atti in versi martelliani, pubblicata a Firenze. Primo esempio di una lunga schiera di opere che calpestano la realtà storica, introducendo nella biografia del poeta i fatti più inverosimili e anacronistici, questa commedia si distingue anche per un altro primato: quello di mettere in bocca al personaggio di D. grottesche battute, composte di versi tratti dalle sue opere maggiori, adattati metricamente e inseriti nelle più improbabili situazioni. Altrettanto caotico e romanzesco è il Dante in Ravenna di Antonio Morrocchesi (Firenze 1822), celebre attore tragico e maestro di declamazione, dramma che, secondo Cesare Levi, " si salva soltanto per una maggior nobiltà del verso ". Pieno di ambizioni, quanto mai ingiustificate, è il poema drammatico in 5 atti Dante di Ignazio Kohlmann (Graz 1826), in cui compaiono, nel disordine cronologico più completo, tutti i personaggi che hanno avuto qualche rapporto con il poeta o che sono nominati nelle sue opere. Solo una noiosa e qualche volta incomprensibile parafrasi dell'Inferno è, dal canto suo, Il viaggio di Dante, di Luigi Forti (Palermo 1827, ristampato a Prato nel 1829). Dante a Ravenna di Giovan Carlo Cosenza (Venezia 1830), nonostante l'indubbio ‛ mestiere ' dell'autore, fecondissimo commediografo, si risolve in un modestissimo dramma di gelosia, che ha per protagonista Iacopo della Gherardesca, sdegnato nientedimeno contro D. per aver quest'ultimo sposata Gemma Donati che egli ardentemente amava. Più dignitoso sul piano formale è il Dante a Ravenna di Luigi Biondi (Torino 1837), anche se non privo di molte violenze alla realtà storica. Nel Dante Alighieri di Agamennone Zappoli (Bastia 1846) non manca qualche sprazzo di buon teatro, ma, nell'insieme, si annega nel grigiore dello stile e nelle consuete inverosimiglianze storiche. Il dramma tragico Dante (Copenaghen 1852) del danese C. Kurt Molbech è vera e propria fantasia romanzesca che con le vicende del poeta ha poco o nulla da spartire.
Tentativo tra i più seri, per l'accuratezza della ricostruzione dell'ambiente in cui visse D. in un momento delicato della sua vita, è la commedia di Paolo Ferrari Dante a Verona, scritta nel 1853 e mandata, senza alcun risultato, al concorso drammatico del Carignano di Torino. Pubblicata solo nel 1862 a Milano in un'edizione priva del secondo atto, dovette aspettare fino al 1875 per essere rappresentata dalla compagnia di Luigi Bellotti-Bon, protagonista Francesco Ciotti. Opera assai discussa e certamente sfortunata, si presenta come un vasto affresco storico, preciso e rigoroso anche in alcuni dettagli, che tuttavia manca di vitalità proprio sul piano teatrale.
Il dramma di Henry de Bornier Dante et Béatrix (Parigi 1853) è essenzialmente un melodramma ricco di azione, nel quale però spicca una singolare dignità letteraria. Della Morte di Dante di Giovanni Fontebasso (Milano 1854) si può dire, per quanto è visibile dal frammento che è rimasto, che anch'essa dimostra un completo disprezzo per la storia. Seguace del Pieracci e dei suoi maldestri saccheggi dalla Commedia è Michele Bonanni, autore di una mediocrissima Beatrice Portinari (Firenze 1854) il cui protagonista, tuttavia, nonostante il titolo, è Dante.
Il dramma tragico in 5 atti di Pompeo di Campello Dante Alighieri (rappresentato nel 1855, edito a Torino nel 1856), considerato il capolavoro del genere dal maggior studioso della materia, Carlo Del Balzo, è in realtà un onesto componimento, abbastanza felice nel delineare il dramma dell'esilio del poeta, senza che per questo raggiunga un effettivo livello poetico. Tediosa è l'azione drammatica di Evandro Caravaggio La morte di Dante (Pavia 1859), che però si riscatta in parte per un certo rilievo psicologico del protagonista. Le ultime ore di Dante Alighieri di Bonifacio Calzecchi-Onesti (Fermo 1865) raggiunge, da parte sua, limiti d'inconsistenza e, talora, di assurdità assai notevoli. Singolare è La congiura del Venerdì Santo e Dante Alighieri di Nazario Gallo (Trieste 1865), che coinvolge il poeta, nell'anno 1300, nelle fantasiose trame della sollevazione della città di Pola contro il suo tiranno. Dello stesso anno è Dante in Patria di Carlo Martelli, rappresentato dalla compagnia di Cesare Dondini il 16 giugno al Niccolini di Firenze. Neppure due mesi dopo, il 3 agosto, andò in scena all'Arena Nazionale di Firenze Dante Alighieri di Gaetano Gattinelli (Roma 1867), dramma che dimostra, pur nei suoi grandi limiti e nei suoi numerosi errori storici, un senso del t. proprio di quello scaltro uomo di palcoscenico che era l'autore. Di Angelica Bartolomei Palli è un Dante a Verona (Livorno 1872), in versi martelliani, quanto mai romanzesco nel confuso svolgimento della vicenda. Dante a Gubbio di Angelico Fabbri (Foligno 1874) è chiaramente " scritto per carezzare qualche velleità locale " (Del Balzo), dal momento che non siamo a conoscenza di una particolare attività del poeta nella cittadina umbra. Personaggio del tutto secondario è D. nel Dante in Ravenna di Tito Mammoli (Rocca San Casciano 1875), inconcludente melodramma. Quasi tutto di fantasia è Dante e Gentucca di Giuseppe Grassi (Monza 1879), del quale è da notare il continuo sforzo nel saccheggiare i versi danteschi per far parlare i suoi personaggi. Altrettanto ricco di versi della Commedia, singolarmente inseriti nell'insieme, è il Dante Alighieri di Filippo Tolli (Roma 1880). Dante al convento di Santa Croce (ibid. 1884), ristampato con il nuovo titolo Dante al Monistero del Corvo (ibid. 1885), è un suggestivo atto unico di Ercole Rossi, non privo di qualche merito sul piano scenico. Grigia sceneggiatura di alcuni episodi della giovinezza è il Dante Alighieri di Ignazio Di Natale Basile (Modica 1891). Berta Barbensi è autrice di un convenzionale atto unico Dante morente (Pistoia 1894). Di grandi ambizioni ideologiche, Il Millennio di Giovanni Bovio (Napoli 1895), ultima parte della sua trilogia sul cristianesimo (comprendente Cristo alla festa di Purim, 1877, e San Paolo, 1888), rappresenta D. nelle vesti di giudice dei cristiani. Il personaggio possiede un'indubbia statura spirituale, ma manca completamente, come del resto tutta l'opera, di consistenza teatrale. Scritta nel 1893, ma pubblicata solo nel 1899 per le nozze Parravicini-Del Fungo Giera, è la Vita Nuova, " scena fiorentina del secolo XIII " di F.G. Monachelli, semplice parafrasi dell'omonima opera dantesca.
Del 1903 è il Dante di Victorien Sardou (con la collaborazione di Émile Moreau), un prologo e 4 atti, scritto per Henry Irving e rappresentato dal celebre attore inglese al Drury Lane di Londra il 30 aprile 1903: melodramma di estese proporzioni, gonfio di situazioni e personaggi di grande risalto scenico, servì a Irving per creare un fastoso spettacolo, in cui l'elemento visivo, potenziato al massimo, finiva per prevalere sulla parola. Di gran lunga peggiore, privo com'è anche di qualche merito scenico, si presenta Dante and Beatrice di Daniel Rees e Gwyn Jones (Londra 1903). Ennesime, maldestre parafrasi sono L'Inferno di Dante e Il Purgatorio di Dante di Giuseppe Semerano (Ostuni 1904). La scrittrice inglese Heloïse Durand Rose ha creato in Dante un copione su misura per le doti interpretative di Ermete Novelli, che lo rappresentò con la sua compagnia il 20 ottobre 1908 al Teatro Filarmonico di Verona.
Gli Alighieri (Milano 1910), poema drammatico di Francesco Cazzamini-Mussi e Marino Moretti, ispirato al libro di Corrado Ricci L'ultimo rifugio di Dante, è opera di discreta dignità artistica, ma del tutto inconsistente teatralmente. Nel 1911 si hanno due atti unici, in versi, che mettono in scena alcuni interessanti episodi della vita del poeta. Il primo, assai mediocre, è Dante alla corte degli Scaligeri di Agostino Bartolini (Roma 1911); il secondo, altrettanto modesto, è La potenza di Dante di Sesto Liburno (Milano 1911). Quest'ultimo, tuttavia, è abbastanza originale perché tratta, pur con le consuete inverosimiglianze e falsificazioni storiche, l'episodio della condanna della Monarchia da parte del cardinale Bertrando del Poggetto.
Uno dei migliori drammi del genere, sia per un certo rigore poetico che per la notevole vitalità drammatica, è il Dante di Tommaso Salvini, nipote dell'omonimo grande attore, rappresentato al Niccolini di Firenze, nel marzo 1917, da suo padre Gustavo. Scritto in endecasillabi sciolti, in uno stile che arieggia quello dantesco, esso è diviso in tre ‛ visioni sceniche ', che hanno un preciso riferimento ai tre momenti principali della vita di D.: l'amore per Beatrice, l'attività politica, la creazione artistica negli ultimi anni della sua esistenza. Il dramma, che riscosse un grande successo di pubblico, anche per merito dell'appassionata interpretazione di tutta la compagnia diretta dal padre dell'autore, meritò vivi elogi da parte di dantisti come il Del Lungo, il Passerini, il Flamini.
Nel 1921 fu pubblicata a Torino la modestissima Vita nova di Giuseppe Ellero, scritta fin dal 1903, riduzione drammatica del primo libro della Cronica di Dino Compagni, in cui D. compare solo episodicamente. Dello stesso anno è Dante e la patria di Virginio Prinzivalli, mediocre opera di occasione che coglie il poeta negli anni che vanno dal 1300 al 1302.
Passando ora all'esame dei più fortunati personaggi danteschi sul piano teatrale, spicca fra tutti Francesca da Rimini. Interminabile sarebbe l'elenco delle opere sceniche ispirate a quest'affascinante figura, perciò citeremo fra esse solo quelle che, per un verso o per l'altro, possiedono qualche particolare motivo di considerazione. Interessante, se non altro sul piano cronologico, è la Francesca da Rimini di Ulivo Bucchi (Pisa 1814), che precede di un anno quella, assai più celebre, del Pellico. Quest'ultima, rappresentata al Teatro Re di Milano il 18 agosto 1815, interpreti principali Carlotta Marchionni e Luigi Domeniconi, fu accolta con tale successo che, da allora, rappresentò per diversi anni il modello da seguire per una vasta schiera dei drammaturghi più attenti al favore popolare. Nel 1821 fu pubblicata la suggestiva Francesca da Rimini di Edoardo Fabbri, scrittore e patriota, la quale era stata scritta fin dal 1801. Questa tragedia, che quindi fu concepita prima di quella del Pellico, presenta singolari analogie con quest'ultima, particolarmente nelle situazioni più dichiaratamente ‛ sentimentali '. Rimase inedita invece l'omonima opera di Francesco Saverio Salfi, il più importante teorico se non autore del Teatro Giacobino, scritta in esilio a Parigi dove egli si era rifugiato dopo la caduta di Napoleone. In essa, conformemente alle idee dell'autore, hanno un rilievo di primo piano i motivi libertari e patriottici. A conferma di un interesse che supera i nostri confini, ricorderemo la Françoise de Rimini di Christian Ostrovskij, rappresentata al Théâtre de la Porte Saint-Martin di Parigi il 23 dicembre 1849 e quella di Victor de Méri de la Canorgue (Nizza 1850), dedicata a Silvio Pellico e dichiaratamente imitata da lui. Solo cinque anni più tardi E. Davenport rappresentava al Broadway Theatre di New York la Francesca da Rimini di George Henry Boker, considerata dalla critica il miglior testo teatrale americano dell'Ottocento.
Agl'inizi del Novecento la fortuna del personaggio non accenna minimamente a diminuire, anzi sembra accrescersi grazie a un clima letterario particolarmente propizio. Rappresentata il 9 dicembre 1901 al Costanzi di Roma con interpreti principali Eleonora Duse (Francesca), cui era dedicata, Gustavo Salvini (Paolo), E. Varini (Malatestino), C. Galvani (Ostasio), C. Rosaspina (Gianciotto), direttore artistico lo stesso autore, la Francesca da Rimini di Gabriele D'Annunzio ebbe, nonostante qualche discussione, grandissimo successo. L'anno seguente andavano in scena, anch'esse felicemente, la Francesca da Rimini dell'americano (nato e morto in Italia) Francis Marion Crawford, interpretata da Sarah Bernhardt al Teatro di Parigi a lei dedicato (22 aprile 1902), e Paolo and Francesca dell'inglese Stephen Phillips, rappresentata al St. James's di Londra il 6 marzo 1902, ambedue opere fortunate oltre i loro effettivi meriti. Accennato di passaggio alla Francesca da Rimini di G.A. Cesareo (Palermo 1906), ricorderemo infine quella di Nino Berrini, convenzionale ‛ dramma in costume ', rappresentato nel settembre 1923 a Buenos Aires dalla compagnia diretta da Dario Niccodemi con Vera Vergani e ripreso tre mesi dopo a Milano dalla compagnia Betrone.
Altro personaggio che ebbe gran risalto per tutto l'Ottocento fu Pia dei Tolomei, protagonista, fra tanti mediocrissimi esempi, di una tragedia di Carlo Marenco, scritta per Carlotta Marchionni e da essa interpretata con la " Reale Sarda " il 17 giugno 1836 al Carignano di Torino.
Numerose, anche se di assai scarso significato, le tragedie ispirate al conte Ugolino, dalla prima di Andrea Rubbi, Ugolino Conte de' Gherardeschi (Bassano 1799) a quella dell'infaticabile Carlo Marenco (Torino 1835) fino all'‛ azione tragica ' di Pietro Sterbini (Bastia 1835).
Fortunata per essere divenuta una delle opere preferite di Adelaide Ristori, la Piccarda Donati di Leopoldo Marenco fu rappresentata, protagonista la grande attrice, dalla " Reale Sarda " nella Quaresima del 1855 al Carignano di Torino.
Dell'onnipresente Carlo Marenco è Buondelmonte e gli Amidei, rappresentata sempre dalla " Reale Sarda " al Carignano di Torino nel 1827, di cui abbiamo anche un'altra versione di Carlo Tedaldi-Fores con il titolo di Buondelmonte, anteriore di tre anni.
Popolare fu anche il personaggio di Pier della Vigna, protagonista di due drammi, il primo di Angelo De Gubernatis, rappresentato con successo al Teatro Gerbino di Torino dalla compagnia di Ernesto Rossi nel dicembre 1860, il secondo di Beniamino Pandolfi del 1864 dedicato a Tomaso Salvini.
Non mancano neppure diversi Manfredi, tra i quali citeremo quello di Carlo Marenco, rappresentato dalla " Reale Sarda " al Carignano di Torino nel 1836, e l'altro di Giuseppe Checchetelli, messo in scena dalla compagnia Mascherpa al Teatro Alibert di Roma nel 1839 e ritirato per intervento della censura pontificia.
Per finire, senza per questo esaurire l'argomento, ricorderemo il Corso Donati (Torino 1830) e l'Ezzelino (ibid. 1835) di Carlo Marenco, il Farinata degli Uberti di Pietro Corelli, interpretato dalla " Reale Sarda " nel 1848, la Cunizza da Romano di Giuseppe Pieri (Firenze 1858), la Ghisola Caccianemico di Lorenzo Antonio Liverani (ibid. 1865), il Sordello di Pietro Cossa (Milano 1872), il Fra' Dolcino di Ulisse Bacci (Roma 1884), il Guido da Montefeltro di Agostino Bartolini (ibid. 1912) e il Gianni Schicchi (atto unico) di Gioacchino Forzano musicato da G. Puccini (Metropolitan di New York, 14 dicembre 1918), e, con lo stesso soggetto, il lavoro di Gildo Passini, rappresentato nel 1922 all'Olympia di Milano dalla compagnia Talli-Melato-Betrone.
Venuto a mancare, dopo il primo quarto del nostro secolo, l'interesse per il ‛ t. in costume ' di origine dannunziana, si esaurì completamente la fortuna di D. sulle scene. Solo molto più tardi, nel 1966 al Lirico di Milano, Orazio Costa ha tentato un adattamento teatrale di episodi e personaggi della Commedia. Il suo esperimento, per quanto rigorosamente realizzato, ha ancora una volta dimostrato l'impossibilità di materializzare sul palcoscenico l'essenza poetica dei personaggi danteschi.
Bibl. - Sugl'interpreti danteschi cfr. G. Cauda, I divulgatori di D. sulla scena, in " La Lettura " agosto 1920, 607-608. Sul teatro ispirato alla vita del poeta e ai suoi personaggi, cfr. C. Del Balzo, Poesie di mille autori intorno a D., Roma 1889-1909; ID., D. nel teatro, in " Nuova Antologia " 1 giugno 1903, 389-415; I. Del Lungo, Medio Evo dantesco sul teatro, ibid., 1 marzo 1902, 23-31; C. Levi, Le sfortune di D. sul teatro, in " Marzocco " 19 settembre 1920; ID., D. " dramatis persona ", in " Arch. Stor. Ital. " LXXIX (1921) 123-166; M. Ferrigni, D. e il teatro, in Annali del teatro italiano, I, Milano 1921, 1-23; B. Corrigan, D. and Italian Theater: A Study in Dramatic Fashions, in " Dante Studies " LXXXIX (1971) 93-105.