TAZZA FARNESE
Questo capolavoro della glittica ellenistica, probabilmente alessandrina, (v. tav. a colori vol. i, s. v. allegoria), ci è noto dal 1471, da quando cioè Lorenzo de' Medici acquistò la tazza dal patrimonio di Papa Paolo II Barbo. Giunse per eredità in possesso della famiglia Farnese, e più tardi nella collezione dei Borboni (oggi Napoli, Museo Nazionale).
Il sardonice (20 cm di diametro) ha colore nero giallastro. Nella parte interna, in uno strato bianco avorio, sono intagliate 8 figure. Un gorgonèion posto su di un'egida adorna la parte esterna. Sulla interpretazione e sulla datazione non si è ancora raggiunto un accordo. Lo stile fortemente eclettico aggrava i problemi. Secondo il Furtwängler (1900) che segue in parte il Visconti, il vegliardo seduto, appoggiato ad un albero, con cornucopia, rappresenta il Nilo. A lui di fronte compare, avanzando dallo sfondo, l'inventore dell'aratro, Horus-Trittolemo, con perizoma e sacco. Solleva il timone di un aratro e tiene nella mano sinistra un coltello. Ai suoi piedi, adagiata dietro una sfinge, riposa Iside-Euthenia. Reca nella mano destra alcune spighe. Un poco più a destra sono sedute le due Horai che simboleggiano le inondazioni del Nilo e la fruttifera coltivazione della terra, e dietro ad esse si ergono delle spighe. Sopra, nell'aria, volano due divinità raffiguranti i venti etesii che secondo una antica tradizione provocano la crescita del Nilo. La raffigurazione è dunque una allegoria della fertilità della terra del Nilo (prima del 1900 esistono anche altre interpretazioni, v. Furtwängler, p. 255). La datazione al III sec. a. C. è oggi difesa probabilmente soltanto ancora da Ch. Picard. La maggioranza degli studiosi propende per il II o I sec. a. C. Lo Charbonneaux indica nella figura centrale il giovane re Tolemeo VI Filometore, nella cosiddetta Iside la madre di lui Cleopatra I, e nella sfinge il defunto re Tolemeo V Epifane, e data di conseguenza la tazza al 181-173 a. C. Sarebbe dunque qui simbolicamente rappresentata in primo luogo la reggenza di Cleopatra sul figlio minorenne. Tuttavia rimane dubbio se questa interpretazione e datazione siano giuste. Lo Schefold osservò che la composizione è lontana dalla densità che presentano i fregi dell'altare di Pergamo. Egli ritenne la rappresentazione dello spazio del tutto simile a quella del II stile pompeiano, trattata però in modo attenuato e classicistico. Lo Schefold data la tazza al 40-30 a. C. Al contrario il Matz, proprio attraverso la composizione, è arrivato alla conclusione che essa difficilmente possa essere tardo-ellenistica. La decisione appare ardua, come già ebbe a sottolineare il Möbius, perché non possediamo un solo esemplare di artigianato di alto valore che possa essere paragonato con la tazza. A lui la datazione nell'alto ellenismo, che lo Charbonneaux suppone sulla base dell'interpretazione, non pare affatto contraddetta dallo stile. Malgrado ciò l'Adriani e lo Horn sottolineano, invece, che la tazza debba appartenere alla fase eclettica e classicistica, posteriore al 150 a. C. Il Buschor e il Küthmann attribuiscono il tipo del gorgonèion al secondo venticinquennio del I secolo. Un nuovo esame stilistico ha portato il Bastet a sottolineare, nel 1962, la parentela con le opere tardo-ellenistiche, come le lastre del fregio dello Hekateion di Lagina, i crateri a rilievi della nave naufragata presso Madhia (v.), alcune figure di terracotta di Mirina databili intorno al 100 a. C. e alcuni ritratti della medesima epoca. Conseguentemente la T. Farnese potrebbe essere datata al 100 circa a. C. Con questo le figure centrali potrebbero rappresentare Tolemeo Alessandro con la madre Cleopatra III. Infine non appare impossibile, ma purtroppo rimane soltanto una ipotesi, che nella piena del Nilo sia inclusa anche una allegoria dell'età aurea. Con questa si potrebbero spiegare, comunque, le analogie che sono attestate dal piatto d'argento di Aquileia, dalla patera di Parabiago, ecc. e che si riferiscono alla rappresentazione e ad alcune singole figure della composizione. Questa continuità fu già sottolineata da A. Levi. Troviamo spesso in età romana un collegamento fra la raffigurazione dell'età aurea ed un nuovo sovrano, il cui impero sarà apportatore di benessere. Comunque sia, sicuro appare solo, come ha visto anche lo stesso Möbius, che un'opera artistica così spiccatamente aulica non può voler rappresentare esclusivamente la fertilità del Nilo.
Bibl.: S. Maffei, Osservazioni letterarie, II, Verona 1738, p. 339 ss.; E. Q. Visconti, Museo Pio Clementino, 1817, III, tav. d'agg. c, I; Museo Borbonico, XII, 1839, tav. 47 (Testo del Quaranta); Dict. Ant., I, p. 103, fig. 145, s. v. Aegide; A. Furtwängler, Gemmen, I, tavv. LIV, LV; II, p. 253 ss. (con la completa bibl. precedente); A. Ruesch, Guida illustrata del Museo Nazionale di Napoli, 1908, p. 400 ss.; A. Levi, La patera d'argento di Parabiago, Roma 1935, p. 12 ss.; A. Adriani, Testimonianze e momenti di scultura alessandrina, Roma 1948, 20 e n. 70; G. A. Mansuelli, Ricerche sulla pittura ellenistica, Bologna 1950, p. 58 ss.; G. Lippold, Antike Gemäldekopien, Monaco 1951, p. 155 ss.; Ch. Picard, La patère d'Aquileia, in Ant. Class., XX, 1951, p. 362; F. Matz, Bemerkungen zur römischen Komposition, Stoccarda 1954, p. 638 ss.; M. Bieber, The Sculpture of Hellenistic Age, New York 19612, p. 101; R. Horn, in Gnomon, XXVII, 1955, p. 355; K. Schefold, Vom Ursprung und Sinn römischer Reliefkunst, in Charites, Bonn 1957, p. 195; A. Adriani, in E.A.A., I, 1958, p. 231, s. v. Alessandrina, Arte; J. Charbonneaux, Sur la signification et la date de la Tasse Farnèse, in Mon. Piot, L, 1958, p. 85 ss.; E. Buschor, Medusa Rondanini, Stoccarda 1958, p. 20; A. Adriani, Divagazioin intorno ad una coppa paesistica del Museo di Alessandria, Roma 1959, pp. 21 ss.; 32; 72; n. 170; Ch. Picard, in Rev. Arch., 1959, p. 106; H. Küthmann, Beiträge zur späthellenistischen und frührömischen Toreutik, Basilea 1959, p. 74, n. 516; H. Möbius, Der Silberteller von Aquileja, in Festschrift Friedrich Matz, Magonza 1962, p. 92 ss.; F. L. Bastet, Untersuchungen zur Datierung und Bedeutung der Tazza Farnese, in Bull. Ant. Besch., XXXVII, 1962, p. i ss., con ampia bibl., p. 24.