TAZIANO (Τατιανός)
Apologeta cristiano del sec. II. Nato nel territorio degli Assiri (com'egli dice, ma l'indicazione potrebbe riferirsi alla Siria), tra il 120 e il 130 (secondo l'opinione di A. Puech), egli è tra gli apologeti del suo secolo una mente delle più originali e profonde. Ebbe larga conoscenza della letteratura e filosofia greca, della quale, specialmente della stoica, subì qualche volta l'influsso; condusse la vita dei retori e sofisti di quel tempo, girando di città in città a fare il conferenziere. Venuto a contatto con gli ambienti cristiani, prese conoscenza delle Sacre Scritture e si convertì al cristianesimo, come egli stesso dice al c. 29 del Discorso ai Greci. Venuto a Roma, vi s'incontrò con Giustino, e ne divenne discepolo, subendone in molti punti l'influsso. Restò a Roma fino alla morte del maestro; non è sicuro che durante questo periodo si sia allontanato da Roma e poi vi sia ritornato. In Oriente, dove lo troviamo nel 172, fondò una scuola (il didaskaleion), e specialmente ad Antiochia di Siria, in Cilicia e in Pisidia, esercitò la sua attività d'insegnante, che già dopo il martirio di Giustino s'era volta decisamente all'eresia degli gnostici e precisamente a quella di Valentino (v. gnosticismo). Deriva da lui la setta degli encratiti, i quali tra l'altro condannavano il matrimonio come cosa illecita, e si astenevano dall'uso delle carni e del vino. Nulla sappiamo del luogo e della data della sua morte.
All'infuori del Discorso ai Greci, che è l'unica opera giuntaci intera, e del Diatessaron (τὸ διὰ τεσσάρων, una specie di "armonia dei quattro Vangeli") che possiamo ricostruire solo attraverso commenti, derivazioni e traduzioni (v. diatessaron), delle altre opere di T. non possediamo che i titoli e qualche insignificante notizia. Egli stesso ci parla nel Discorso (c. 15) di una sua opera sugli animali, che è forse la stessa opera di cui parla nel capitolo seguente, sulla natura dei demoni. Come progetto è annunziato nel c. 40 un libro "contro coloro che hanno esposto ciò che concerne Dio". Dal suo allievo Rodone apprendiamo che egli aveva composto un libro di Problemi, inteso a chiarire il significato nascosto delle Scritture: non è dimostrato che esso dati dal periodo eretico, sebbene la spiegazione dell'Antico Testamento sia un argomento che interessò molto gli gnostici. Al periodo gnostico appartiene certamente il trattato Sulla perfezione secondo il Salvatore di cui parla S. Clemente Alessandrino (Stromata, III, 12, 81) per dirci che la carne vi era condannata. Ma già nel Discorso erano tracce, se pure non molto evidenti, di pensiero gnostico.
A differenza di altre apologie antiche (v. apologetica), l'apologia di T., compiuta probabilmente poco dopo la rottura di T. con la Chiesa (forse nel 170, come suppone l'Ubaldi), non ha per scopo la difesa giuridica dei cristiani, ma la confutazione del paganesimo e la dimostrazione delle verità del cristianesimo: essa perciò è rivolta, non all'imperatore, ma ai Greci. Temperamento aspro e violento, tutto diverso da quello di Giustino, T. disprezza ogni tentativo di avvicinamento e di conciliazione col pensiero e la cultura dei Greci; anzi, la dimostrazione delle verità cristiane per lui non incomincia se non dopo che ha umiliato l'orgoglio dei Greci, additando le contraddizioni dei loro filosofi, l'immoralità dei loro miti e della loro arte, la vana bellezza della loro lingua, il vanto ingiustificato d'essere gli inventori di ogni cosa (Mosè anteriore a Omero: è l'argomento cronologico della polemica giudaico-ellenistica eontro i pagani). A servizio di questa causa T. porta, oltre alla naturale irruenza del suo carattere, la chiarezza di un ingegno vigoroso, reso più esperto dall'educazione sofistica ricevuta; il Discorso segue, benché non sempre chiaramente, una linea logica di svolgimento, secondo schemi retorici, e in uno stile artificioso mirante all'effetto, spesso a scapito della chiarezza.
In contrasto con Giustino nella valutazione delle concordanze tra la filosofia greca e il cristianesimo, T. svolge e precisa del suo maestro alcuni punti essenziali della costruzione teologica. Quest'opera di precisazione e di sistemazione è soprattutto visibile nella dottrina del Logos, a cui già la filosofia cristiana di Giustino, a contatto con la speculazione greca, aveva dato una chiara impostazione di problemi.
Questa dottrina si riassume nelle parole stesse del Discorso, c. 5: "In principio era Dio, e noi abbiamo appreso che il principio è la potenza del Verbo. Poiché il Signore di tutte le cose che è pure il principio sostanziale dell'universo, in quanto a creazione non era ancora avvenuta era solo Egli, ma in quanto ogni potenza delle cose visibili e invisibili era in Lui per la potenza del suo Verbo, Egli stesso e il Verbo che era in Lui conteneva tutte le cose" (trad. Ubaldi). E riguardo alla generazione del Verbo, precisa ancora il concetto di Giustino che il Verbo nasce per comunicazione e non per divisione, poiché ciò che è diviso è separato da ciò da cui è diviso, ma ciò che è distribuito suppone una dispensazione volontaria e non produce nessuna deficienza in ciò da cui è derivato. "È come di me che parlo e di voi che udite; per la trasmissione della parola, io che parlo a voi, non divento perciò privo di questa".
Bibl.: Indicazione dei codici, delle edizioni e delle versioni in: Taziano, Il discorso ai Greci, versione italiana di P. Ubaldi, Torino 1921, pp. lx-lxiii; buone indicazioni bibliografiche per le edizioni moderne, anche in A. Puech, Histoire de la littérature grecque chrétienne, II, Parigi 1928, p. 171 e 182; id., Recherches sur le Discours aux Grecs de T. suivies d'une traduction française du Discours, Parigi 1903. Per il resto, v. O. Bardenhewer, Geschichte der altkirchl. Lit., III, Friburgo in Br. 1912, I, pp. 262 segg.