TAUROBOLIO (Ταυροβόλιον; taurobolium, tauropolium, su iscrizioni)
Si chiama così, con parola greca composta, il sacrificio di un toro (ταῦρος "toro", βάλλω "colpisco"), effettuato a scopo rituale, come era richiesto, nel mondo greco-romano e orientale, dal culto della dea Cibele. Questo culto, originario dell'Asia Minore si trova acclimato e sempre più diffuso in Occidente, specie nelle Gallie, a partire dalla metà del sec. II d. C. Il sacrificio del toro è proprio del culto di varie altre antiche divinità, principalmente di quello di Zeus; ma esclusivo del culto di Cibele è il "battesimo del sangue", strettamente connesso col taurobolio. La ragione immediata, principale, del sacrificio cruento era appunto quella di cospargere del sangue della vittima la persona del devoto a cura del quale il taurobolio si effettuava (Prudenzio, Peristeph., X, 1011 segg.). Il devoto veniva introdotto in una specie di cella sotterranea, la quale, a poca profondità dal suolo, era soltanto coperta da un graticciato ligneo. Poiché il sacrificio della vittima, a cura del sacerdote di Cibele, aveva luogo immediatamente al di sopra del graticciato, era facile ottenere che il sangue della vittima piovesse direttamente sul capo e sulla persona del devoto in attesa. Costui stando coricato, forse nudo fino alla cintola, doveva procurare di essere irrorato quanto più possibile da quella pioggia di sangue caldo, cui si attribuivano virtù altamente purificatrici e redentrici. Così com'era lordo di sangue, per attestare l'avvenuta purificazione, il devoto, "rinato a nuova vita", doveva presentarsi alla folla dei fedeli inneggianti fuori della cella.
Taluni altari taurobolici figurati, pur senza darci la figurazione del sacrificio o del battesimo, ci offrono qualche importante documentazione relativa a particolari della cerimonia del sacrificio. Così l'arma che veniva impugnata per immolare la vittima era di una forma particolare, del tipo che i Greci chiamavano ἅρτη: una corta spada appuntita e a doppio taglio, avente presso la punta un'appendice ritorta ad uncino e tagliente soltanto dal lato esterno, convesso. Tale tipo di spada conficcato nel petto della vittima dalle mani del victimarius, non poteva, a causa dell'uncino, tornare facilmente fuori, se non descrivendo un mezzo giro sul proprio asse; cosa che il victimarius aveva cura di fare, allargando la ferita e determinando così una fuoruscita di sangue tanto più rapida e violenta.
Insieme col taurobolio le epigrafi commemorative dell'avvenimento ricordano spesso il criobolio, cioè il sacrificio di un montone. Poiché il taurobolio si riferisce direttamente al culto della dea Cibele, e poiché questo culto fa anche un certo posto al giovinetto Attis al fianco di Cibele, così è opinione che il sacrificio deì montone avvenisse appunto in onore di Attis. Altri oggetti rituali inerenti al taurobolio si trovano rappresentati nei rilievi decorativi di altari taurobolici.
Da parte dei sacerdoti di Cibele si attribuiva al sangue sparso dal toro un potere redentore, simile a quello del sangue sparso dall'Agnello divino. In evidente concorrenza con la propaganda cristiana, anche il battesimo cruento serviva a purificare il credente da ogni colpa, non solo, ma ad assimilarlo alla divinità, rendendolo immortale. Ciò nel senso di un'immortalità dell'anima, ottenuta mediante la redenzione dalla colpa. Il concetto di resurrezione era inoltre implicito alla cerimonia del taurobolio. La discesa nella fossa o cella sotterranea era infatti concepita come una discesa nel sepolcro, accompagnata da funebri canti. Risuscitando simbolicamente con l'aspersione del sangue, il credente, in aeternum renatus, appariva simile a un dio, e canti di gioia si dovevano levare dalla folla dei fanatici presenti al miracolo. È interessante notare che il taurobolio aveva luogo non soltanto a favore di singoli individui, ma per interposta persona, anche in nome e nell'interesse di città e di sovrani, verso i quali si desiderava di propiziare la divinità. Si ha memoria di taurobolia propiziatorî celebrati per il ritorno, la salute e la vittoria dell'imperatore (pro salute, reditu et victoria).
Per quanto siano frequenti le figurazioni del dio Mitra in atto di sacrificare il toro, è del tutto escluso che il culto mitriaco, anche d'origine orientale e diffuso nei tardi secoli in tutto il mondo romano, abbia mai richiesto iniziazioni e cerimonie purificatorie del genere del taurobolio.
Bibl.: E. Espérandieu, in Daremberg e Saglio, Dictionn, des antiquités, ecc., s. v. Taurobolium; F. Cumont, Le religioni orientali nel paganesimo romano, Bari 1913 (trad. Salvatorelli); P. Fabre, Un autel du culte phrygien au Musée du Latran, in Mélanges d'arch. et d'hist., XL (1923), p. 3 segg.; C. H. Moore, The duration and efficacy of the "taurobolium", in Class. Philology, XIX (1924), p. 363 segg.; R. Pettazzoni, I misteri, Bologna 1924, pp. 107 segg., 128, 131 segg.