TAURISKOS (Ταυρίσκος, Tauriscus)
1°. - Figlio di Artemidoros, scultore greco di Tralles, adottato insieme al fratello (v. Apollonios, 4°) da Menekrates di Rodi (Plin., Nat. hist., xxxvi, 34).
Il nome di T. ha fatto pensare ad un'origine celtica dell'artista, in relazione alle invasioni di Galati in Asia Minore (Lippold); si tratta comunque di una famiglia di scultori di Tralles la cui fortuna cominciò con il trasferimento dei due fratelli a Pergamo, dove Menekrates partecipava ai lavori del grande altare di Zeus. Anche un figlio o nipote di T., di nome Apollonios, fu scultore: ma è incerto se una sua firma a Magnesia appartenga al I sec. a. C. (v. apollonios, 5°). In tal caso dovrebbe trattarsi di un figlio di T., poiché gli elementi stilistici delle opere riferibili a T. e quel che sappiamo del padre adottivo Menekrates, suggeriscono di porre l'attività dei due fratelli attorno alla metà del II sec. a. C.
Plinio ricorda due opere di T., entrambe nella collezione di Asinio Pollione: gli Hermerotes (Nat. hist., xxxvi, 33) ed il gruppo di Zethos ed Amphion che legano al toro Dirce, eseguito in collaborazione col fratello Apollonios (Nat. hist., xxxvi, 34). Gli Ermeroti sono stati spiegati come erme che terminavano in alto con una testa di Eros (Klein): l'interpretazione della parola, che è un apax di Plinio, in realtà non è sicura, ma per analogia con monumenti del tipo dell'Hermathena (v.) e dell'Hermerakles (v.) ricercati dai collezionisti romani nel I sec. a. C. al tempo cioè della formazione della raccolta di Asinio Pollione, si potrebbe pensare a figure di Eroti, scolpite fino a mezza gamba e desinenti in basso con un sostegno a guisa di erma. Repliche degli Ermeroti, forse una coppia nella creazione di T., sarebbero allora da riconoscere tanto nel tipo di erma Ny Carlsberg n. 182, che in un altro da Efeso: si tratta in ogni caso di opere ispirate ad originali di gusto francamente barocco, di scuola rodio-pergamena. Allo stesso ambiente, e più precisamente alla metà del II sec. a. C., porterebbe pure l'accostamento del termine pliniano al gruppo di un'erma con Eros appoggiato, a noi noto dal bronzo di Mahdia (v. boethos, 1° ed anche: W. Fuchs, Der Schiffsfund von Mahdia, Tubinga 1963, p. 12 ss.).
Del gruppo di Dirce, celebre per la copia proveniente dalle Terme di Caracalla, il cosiddetto Toro Farnese, (v.), Plinio dice esplicitamente che era stato portato da Rodi. In particolare, gli elementi paesistici dell'originale, rocce e qualche pianta, richiamano immediatamente il fregio di Telefo nell'ara di Pergamo, dove peraltro si sospetta l'intervento di Menekrates e dello stesso T., e sembrano essere tra i primi elementi di paesaggio nel tutto tondo; la torsione del corpo di Dirce, che esce da un viluppo di pieghe a spirale, si ritrova puntualmente nel busto di una Ninfa o Afrodite di Rodi, databile entro il II sec. a. C., dove si è anche voluto riconoscere la mano di T. o di Apollonios (Bieber); infine, il supplizio di Dirce è descritto tra i rilievi che decoravano il tempio di Cizico (v.) dedicato da Attalo II ed Eumene Il alla madre Apollonide attorno al 16o a. C. (Anth. Gr., iii, 7). L'attribuzione anche di questi a T. (Albizzati, Enc. Ital., xxxiii, p. 337 s.) non è giustificata, ed è incerta la natura stessa dell'opera, forse pinakes di marmo appesi alle colonne (v. pinax) o sculture sul tamburo inferiore del fusto (ἀναγλύϕοι, στυλοπινάκια, Anth. Gr., III, nel titolo), ma è di grande interesse trovare in ambiente pergameno già costituita l'iconografia del gruppo, prima della metà del II sec. a. C. La presunta ispirazione di T. e Apollonios ad una pittura, non porta invece elementi utili alla cronologia, avendo la loro opera una sufficiente giustificazione nei precedenti formali e contenutistici del fregio di Telefo e dei rilievi di Cizico.
La complessa struttura piramidale del Toro Farnese si attribuisce per buona parte al copista dei primi anni del III sec. d. C., ma anche il più semplice accostamento dei personaggi attorno all'animale, che si ricostruisce nell'originale da altre testimonianze (v. dirce), esprime una libertà di composizione nello spazio più vicina a quella dei donari pergameni del III sec. a. C. che alla disposizione frontale (sostanziamente non mutata dal nuovo restauro) del Laocoonte (v.). Converrà pertanto conservare per il gruppo di Dirce la datazione tra il 16o a. C. (Klein) ed il 130 (Dickins), eventualmente attorno alla metà del secolo (Lawrence), a preferenza non solo dell'ipotesi che il gruppo fosse stato eseguito al tempo di Asinio Pollione (Lippold, in Pauly-Wissowa, v a, c. 15 s.), ma anche della cronologia un poco più alta, tra il II ed il I sec. a. C. (Lippold, Handb., III, I, p. 384; Richter; Bieber) che sempre lo farebbe contemporaneo del Laocoonte, mentre si tratta di un'opera che per il gusto pittorico e la qualità drammatica del racconto è evidentemente anteriore alla corrente classicheggiante dell'ultimo ellenismo.
Monumenti considerati. - Erma con Eros, Copenaghen, Gliptoteca Ny Carlsberg: P. Arndt, La Glyptothèque Ny-Garlsberg, I, Monaco 1914, tav. 14; F. Foulsen, Catalogue of Ancient Sculpture in the Ny-Garlsberg Glyptothek, Copenaghen 1951, n. 182; S. Reinach, Rép. Stat., I, p. 351, n. 2; dello stesso tipo è l'erma di Londra, Newly Hall: A. Michaelis, Ancient Marbles in Great Britain, Londra 1882, Newly Hall, n. 28. Erma di Efeso: J. Keil, in Òsterr. Jahresh., xxiii, 1920, Beibi., p. 276 ss.; G. Lippold, Kopien u. Umbildungen Griech. Statuen, Monaco 1923, p. 166. Busto di Ninfa, Rodi, museo: v. dirce, inoltre: M. Bieber, The Sculpture of Hellenistic Age, New York3 1961, p. 133 s., fig. 528.
Bibl.: J. Overbeck, Schriftquellen, n. 2038; H. Brunn, Gesch. Griech. Künstler, I, Stoccarda 1889, pp. 471; 474; 495 ss.; F. Studnickzka, in Zeitschrift für bildende Kunst, XIV, 1903, p. 171 ss.; W. Klein, Gesch. der Griech. Kunst, III, Vienna 1921, p. 211; A. von Salis, Der Altar von Pergamon, Berlino 1912, p. 11 s.; M. A. Guy Dickins, Hellenistic Sculpture, Oxford 1920, p. 48 s.; W. Klein, Vom antiken Rokoko, Vienna 1921, pp. 17; 22; A. W. Lawrence, Later Greek Sculpture and its Influence on East a. West, Londra 1927, p. 120; G. Lippold, in Pauly-Wissowa, V A, 1934, c. 15 s., s. v., n. 3; M. Bieber, in Thieme-Becker, XXXII, 1938, p. 477; G. Becatti, Attikà, in Riv. Ist. Arch. St. Arte, VII, 1938-39, p. 76; S. Ferri, Plinio il Vecchio, Roma 1946, p. 239; G. Lippold, Handb., III, i, Monaco 1950, p. 384; G. M. A. Richter, Three Critical Periods in Greek Sculpture, Oxford 1951, p. 30; M. Bieber, The Sculpture of Helenistic Age3, New York 1961, p. 133 s.; G. M. A. Richter, The Sculpture a. Sculptors of the Greeks, New Haven3 1962, pp. 49; 302; G. Jacopi, L'antro di Tiberio a Sperlonga, Roma 1963, p. 53, n. i.