TATTICA
. È il ramo dell'arte militare che riguarda la condotta delle unità terrestri, marittime, aeree nel combattimento.
La tattica nella guerra terrestre e navale degli antichi.
I monumenti dell'Egitto ci mostrano le varie armi degli antichi eserciti egiziani; truppe di arcieri e di lancieri, costituite da indigeni o da allogeni mercenarî, con scudi o senza, alle quali armi, con il nuovo impero, s'aggiunge preponderante la carreria da guerra. In quest'ultima età, gli eserciti sono divisi in corpi, che portano nomi particolari; si distinguono nell'ordine di battaglia centro ed ali e nei monumenti le schiere marciano ordinate intorno alle loro insegne, inquadrate da ufficiali, e accampano sistematicamente. Perciò gli Egiziani del nuovo impero devono aver impiegato una tattica assai complessa, ma essa è difficilmente ricostruibile dai testi vaghi e dalle convenzionali figurazioni artistiche. Si hanno rappresentazioni di cariche della carreria e pare che prevalesse l'impiego delle armi da tiro. Idee più concrete possiamo formarci dei sistemi degli Egiziani nell'assalto delle piazze fortificate, operazione molto frequente nelle loro guerre d'Asia. Dal principio del III millennio a. C., i Sumeri della Babilonia conoscono la falange ordinata e serrata dei fanti pesantemente armati, mirabilmente rappresentata nella stele degli avvoltoi di Eannatum. Ma l'apogeo della tattica orientale si ha con gli Assiri. I loro eserciti sono composti di carreria, cavalleria di arcieri e di lancieri, fanteria con archi e con lance, frombolieri; e dispongono di un ricco assortimento di macchine da guerra e di reparti del genio. Eserciti così complessi dovevano seguire norme tattiche evolute, ma i numerosi rilievi assiri di battaglie sono convenzionali e i resoconti sono, rispetto alla tattica, sommarî; tuttavia essi parlano di attacchi frontali e di fianco, di attacchi notturni, di energici inseguimenti. L'arco era l'arma principale, e, come tutta la condotta della guerra, anche la tattica assira ha carattere impetuoso e travolgente.
Non è facile discernere quando Omero, narrando lo svolgimento delle battaglie, le immagini combattute secondo i metodi del suo tempo o cerchi di riprodurre metodi più antichi o subordini le sue descrizioni ad esigenze artistiche. La celebre ordinanza di Nestore (Il., IV, 297 seg.), con la carreria in prima linea, i fanti più deboli in seconda e i fanti più valorosi in terza linea come serraschiere e la raccomandazione di evitare la lotta individuale e di attaccare in massa, sembra richiamare le ordinanze tattiche orientali del II millennio a. C. Altrove prevale la lotta individuale dei capi e dei loro amici, molto superiori, per qualità di armi e per allenamento, alla folla dei loro seguaci. È naturale che nell'età feudale greca la lotta dovesse avere spesso questo carattere, ma bisogna anche tener presente che la lotta individuale meglio si presta alla rappresentazione artistica. E sovente anche la massa ha la sua importanza e le sue ordinanze: essa è disposta per gruppi di tribù e di famiglie (Il., II, 362), e assume forme tattiche particolari, come i πύργοι, torri, cioè colonne d'attacco profonde, con gli uomini meglio armati in prima linea. In alcuni punti compaiono anche le falangi di tipo classico: v., ad es., Il., XIII, 130 e XVI, 212.
Aristotele ricorda che nel tempo più antico i nobili con i loro cavalli, i loro carri e le loro armi eccellenti dominavano il campo di battaglia. La tattica greca classica, che segue a quella del periodo cavalleresco, è una conseguenza dei progressi sociali e tecnici dei secoli VII e VI, che permisero a numerosi cittadini l'acquisto della panoplia, cioè dell'armatura metallica completa del fante, detto perciò oplita. Gli opliti individualmente non potevano competere coi signori montati, forniti di armi superiori e addestrati al loro impiego; ma capirono che il numero e l'ordine facevano la forza e si disposero quindi in schiere compatte, protette dalla muraglia degli scudi e dalla selva delle punte delle aste. Contro questa ordinanza, i signori non potevano far valere la loro superiorità individuale; anzi, se essa avanzava mantenendosi compatta, era irresistibile. Si giunse così gradatamente alla falange degli opliti, che rimase la formazione tattica per eccellenza del mondo greco e che svalutò carreria, cavalleria e arcieri. E poiché la falange, per mantenersi serrata e in ordine, aveva bisogno di terreno favorevole, cioè piano e senza ostacoli, le battaglie greche erano di solito battaglie predisposte. La falange, avanzando, aveva la tendenza ad appoggiare verso destra e ad accelerare la marcia con l'ala destra, perché gli uomini istintivamente cercavano di porre il loro lato dritto scoperto sotto la protezione dello scudo del loro commilitone di destra e inoltre gli uomini dell'estrema destra si preoccupavano di non essere attaccati di fianco e tendevano perciò a sopravanzare l'estrema sinistra del nemico (Tucidide, V, 71). Inoltre era norma che gli elementi più gagliardi prendessero posto sulla destra della falange. Perciò di solito la battaglia si apriva con l'urto delle due ali destre contro le opposte ali sinistre nemiche, e spesso le due parti riuscivano contemporaneamente vittoriose sulla destra. Seguiva allora lo scontro decisivo fra le due ali destre vincitrici (così nelle battaglie di Delio, Mantinea nel 418, Nemea, Coronea, ecc.). Per queste e per altre ragioni, l'inseguimento e lo sfruttamento a fondo della vittoria era quasi ignoto ai Greci classici. L'innovazione tattica di Epaminonda, che rimase però sempre fedele alla falange, consistette nel tenere indietro a bella posta un'ala e nel rinforzare molto e spingere innanzi l'altra, e precisamente la sinistra, in modo che questa potesse avere ragione subito, con l'urto della sua massa, delle migliori truppe nemiche schierate sulla destra, ciò che importava la decisione immediata della battaglia e la possibilità di sfruttare largamente il successo. Inoltre Epaminonda, per proteggere l'ala offensiva, si valse della cavalleria in organico collegamento con la fanteria. Gli inconvenienti della tattica falangita, specialmente nei riguardi del terreno, indussero varî capitani greci a cercare altri sistemi. Ificrate armò più leggermente le sue truppe di mercenarî, li esercitò a manovrare in piccoli reparti e su terreni rotti, e riuscì così ad avere ragione della falange di opliti. Senofonte, durante la ritirata dei 10.000, non potendo la falange manovrare compatta sul terreno montagnoso dell'Armenia, la articolò in una linea di colonne, ciascuna di un loco (λόχοι ὄρϑιοι: Anab., lV, 8, 10). Queste innovazioni avrebbero potuto avere importanti sviluppi; ma da una parte i Greci erano troppo attaccati alla loro tattica tradizionale della falange, dall'altra le nuove forme tattiche richiedevano un addestramento che si poteva ottenere da mercenarî professionisti, non dalle milizie cittadine, che costituivano sempre il grosso degli eserciti greci.
I Macedoni conservarono la falange, alleggerirono l'armamento difensivo del fante, ma allungarono le aste per infittire la selva delle punte sulla fronte e serrarono ancor più le file. Ciò accrebbe la forza di resistenza e d'urto della falange, però a danno della mobilità. Ma l'innovazione tattica più importante di Filippo e di Alessandro consistette nell'impiego della cavalleria, della quale essi potevano disporre in masse considerevoli. La cavalleria, di solito quella dell'ala destra, doveva attaccare a fondo il punto della linea nemica prescelto per lo sfondamento, mentre la falange e la cavalleria dell'altra ala dovevano premere il nemico sul resto del fronte. Inoltre i Macedoni non si servivano delle loro ottime truppe leggiere soltanto per molestare il nemico, ma assegnavano ad esse obiettivi precisi in armonia con le azioni delle altre armi; cosi che i moderni parlano per questo periodo di una "tattica delle tre armi" (già Demostene, Philippica, III, 59 aveva rilevato la cosa). È poi notevole che, pur essendoci un tipo normale di schieramento, i duci sanno staccarsene se le circostanze lo richiedono; tipiche, sotto quest'aspetto, sono le battaglie di Gaugamela e dell'Idaspe. I Macedoni, infine, sfruttavano la vittoria tattica spingendo sino all'estremo l'inseguimento e la distruzione del nemico. Nelle guerre fra i successori di Alessandro, combattute fra generali della stessa scuola, si escogitarono nuovi accorgimenti tattici, ma i principî fondamentali rimasero gli stessi sino a Magnesia e a Pidna, le ultime battaglie combattute da eserciti greco-macedoni.
Riguardo ai modi di marciare, schierarsi e combattere dei Greci, diamo solo, per mancanza di spazio, un particolare. Nell'ordinanza le squadre si disponevano in file nel senso della profondità (οτίχοι), con gli uomini migliori nei primi posti delle file. Ne veniva che, per far fronte all'indietro, ogni fila doveva eseguire una contromarcia (ἐξελιγμός), per avere sempre gli uomini migliori in testa. Gli scrittori dei secoli V e IV a. C. ci dànno un certo numero di particolari su questa tattica elementare, specialmente per gli Spartani, ed esistono inoltre scritti speciali greci di tattica.
Quando possiamo formarci un'idea della tattica dei Romani, questi erano già passati dalla tattica cavalleresca e dalla falange all'ordinamento manipolare. In esso la fanteria si schierava su tre linee distanziate, ciacuna formata di piccole unità (manipoli) separate da intervalli; i manipoli della seconda e terza linea si disponevano in corrispondenza agli intervalli fra i manipoli della linea precedente. Lo scopo di questo ordinamento, cosiddetto a quincunce, era di rendere, con gl'intervalli fra i manipoli di una linea, più facile il movimento su terreni accidentati, e di potere con le linee successive alimentare a lungo la lotta, fino a quando cioè l'abilità individuale dei soldati romani nella scherma con la spada avesse logorato l'avversario e preparato il successo all'urto risolutivo. Il nemico veniva scosso, già prima dell'inizio della lotta con la spada, dal lancio dei proiettili e dei giavellotti delle truppe leggiere e dei pili dei legionarî. La cavalleria, disposta sulle ali, doveva fiancheggiare l'azione della fanteria. Per conseguenza la tattica romana era di solito l'attacco frontale, condotto, si potrebbe dire, da tre ondate successive. Le legioni e le ali dei socii, nelle quali la fanteria dell'esercito si divideva, non erano unità tattiche, ma amministrative, e sebbene si parli di ala destra e sinistra e di centro, l'intera fanteria dell'esercito, su tre linee, costituiva una sola unità. Il grande avversario dei Romani, Annibale, aveva invece organizzato il suo esercito in grosse unità, distinte secondo criteri etnici e di armamento: fanteria africana, iberica, gallica, cavalleria pesante e leggiera, e queste unità egli impiegò per eseguire manovre complesse, come quella di Canne. Quando, sul suo esempio, i Romani tentarono manovre tattiche, dovettero impiegare le varie linee, o parte di esse, come gruppi tattici di manovra (ai Campi Magni, in Africa, Scipione fa marciare verso destra e sinistra la seconda e terza linea per avviluppare sui fianchi il nemico trattenuto dalla prima linea; alle Cinocefale, venti manipoli delle seconde linee dell'ala destra romana lasciano la loro prima linea vincitrice e si gettano alle spalle della destra della falange, che premeva l'ala sinistra romana) e dovettero inoltre costituire, riunendo i tre manipoli dello stesso numero di una legione, delle unità più grosse dei manipoli, le coorti. Le legioni, ora formate su dieci coorti e con armamento uniforme, divennero anch'esse unità tattiche; anzi vediamo nella pratica costituirsi anche gruppi di legioni agli ordini di un legato del generale in capo. Gruppi di legioni, legioni, coorti, manipoli rendono così l'esercito articolato e rispondente alle esigenze di una tattica di manovra. Però la tattica di combattimento romana si basò sempre sui due elementi tradizionali del lancio dei pili e della scherma con la spada, e rimase quindi sempre una tattica ad azione lunga, intramezzata da pause e da tentativi di risoluzione (impetus). Perciò rimasero anche le linee successive, perché intimamente connesse con quel tipo di combattimento; ma le coorti non si disposero più sempre su tre linee, come un tempo i manipoli, ma su due, tre, quattro linee a seconda delle circostanze. Ciò corrispondeva alla libertà infinitamente maggiore, rispetto all'età dell'ordine manipolare, dei dispositivi di combattimento. Infatti, oltre all'attacco frontale e in combinazione con esso, sono noti dispositivi che si propongono o l'accerchiamento del nemico o l'attacco principale su una delle ali o l'aggiramento di un'ala e così via. Il più agile tattico è sotto questo aspetto Cesare, i cui dispositivi tattici sono svariatissimi. Tipico quello di Farsalo. Nell'imminenza dell'attacco, Cesare formò una quarta linea di sei coorti, da contrapporre alla soverchiante cavalleria pompeiana, che minacciava il suo fianco destro. Questa linea, respinta la cavalleria nemica, doveva aggirare l'ala sinistra della fanteria pompeiana rimasta scoperta. All'attacco frontale erano destinate le due prime linee; invece la terza non doveva muoversi che per ordine del generale, che, vista riuscire la manovra aggirante, la impiegò per decidere l'attacco frontale. Era il concetto della riserva tattica, che il generale tiene a sua disposizione per le circostanze impreviste; concetto che diviene poi generale (Tacito, Hist., V, 16 di una battaglia del 70 d. C.: dux sibi delectos retinuerat ad improvisa).
Dopo Cesare, la tattica romana non subì più variazioni sostanziali, almeno fino a che nell'esercito rimase viva la tradizione romana. Da notare è la larga parte che, col sec. I d. C., prende l'artiglieria alle operazioni di campagna: si veda, ad es., Tacito, Hist., III, 23 per la battaglia presso Cremona del 69 d. C. Importante per la storia della tattica è l'iscrizione di Lambaesis, che riproduce la critica dell'imperatore Adriano alle manovre eseguite in sua presenza dalla legione III Augusta e dai relativi auxilia (Corpus Inscr. Lat., VIII, 2532, 18042; Dessau, Inscriptiones selectae, 2847, 9133-34). Quando l'esercito romano s'imbarbarì e gli stessi ufficiali e generali provenivano dai barbari, al pari dell'armamento e dell'organizzazione, vennero meno anche i metodi tattici romani. Sparì la lotta col pilum e con la spada e la formazione d'attacco germanica del cuneus, o testa di porco, colonna d'assalto col fronte ristretto e successivamente allargantesi, sostituì la tattica romana delle linee. Nello stesso tempo, la cavalleria prese il sopravvento sulla fanteria. Al principio del sec. V, Vegezio (III, 20) enumerava ancora sette interessanti tipi di schieramento; ma era in gran parte dottrina tradizionale del passato, non pratica viva.
Nelle battaglie navali, i Greci usarono lo sprone da tempo molto antico; ma fino al sec. V la decisione della lotta era di solito affidata ai guerrieri che riempivano le navi, i quali lottavano prima con armi da tiro e poi cercavano di accostare la nave nemica e di venire all'arrembaggio (v. Tucidide, I, 49, che dice la pugna navale più antica simile alla terrestre). In seguito venne dai mari dell'Oriente la tattica moderna, che usava la nave come un'arma per sé stessa, come un proiettile, e che richiese quindi l'aumento dei rematori, cioè della forza di propulsione, ed eliminò quasi del tutto i combattenti. Caratteristica della nuova tattica è la manovra del διέκτλους, la quale consisteva nel passare attraverso la linea delle navi nemiche, danneggiando i loro remi, e quindi, virando di bordo, assalire con lo sprone le parti deboli della nave nemica (fianco e poppa), alla quale si era tolta la capacità di governarsi. Era la manovra classica degli Ateniesi dei secoli V e IV e richiedeva navi agili e grande allenamento e abilità negli equipaggi. Per pararne gli effetti, si disponevano le navi su due linee, in modo da investire con le unità della seconda linea le navi nemiche che avessero oltrepassato la prima e impedir loro di virare. Oppure si cercava di presentare alla nave attaccante la prora o il fianco obliquamente per deviare l'urto. Il περίπλους consisteva invece nel doppiare la linea nemica per attaccarla alle spalle. Il διέκτλους era pressoché ineseguibile con le grandi navi di linea dell'età ellenistica, le quali perciò agivano con le loro macchine da tiro e poi venivano all'arrembaggio. I Romani, nella prima guerra punica, ritornarono decisamente alla tattica dell'arrembaggio, anzi escogitarono arnesi per costringere le navi avversarie alla lotta bordo a bordo. Quando nelle loro flotte ritorna in onore la manovra, ciò avviene per influenza degli elementi greci. Le flotte antiche si disponevano in battaglia con le prore volte al nemico, su una sola linea, con le navi migliori alle ali, o su più linee, formando una specie di falange navale. La flotta poteva essere divisa in parecchie squadre. La nave ammiraglia stava sulla destra o al centro e attaccava per prima. La linea di schieramento era di solito retta o concava; ma poteva essere anche convessa o a cuneo e c'è anche qualche caso di formazione circolare. Alle volte si nota il tentativo di estendere la linea su una o su ambedue le ali per aggirare le ali nemiche, oppure la battaglia si svolgeva frontalmente. Notevole l'applicazione alla tattica navale dell'ordine obliquo di Epaminonda fatta da Demetrio Poliorcete alla battaglia di Salamina di Cipro (306 a. C.); egli collocò le sue unità più potenti alla sua ala sinistra, che sfondò la destra della flotta egiziana e decise la battaglia. Si preferiva per la battaglia il mare tranquillo, e si cercava di avere il vantaggio del mare aperto, per avere libertà di manovra e addossare il nemico alla costa. Le navi, quand'era possibile, venivano nell'imminenza del combattimento alleggerite degli impedimenti, comprese le vele, perché fossero più agili; in ogni caso le vele venivano ammainate, perché la nave doveva essere manovrata solo con i remi.
Bibl.: A. Erman e H. Ranke, Aegypten, Tubinga 1923, p. 620 seg.; H. Kees, Aegypten, in Kulturgeschichte des alten Orients, I, Monaco 1933, p. 227; B. Messiner, Babylonien und Assyrien, I, Heidelberg 1920, p. 80 seg.; per la stele degli avvoltoi, L. Heuzey e F. Thureau-Dangin, Restitution matérielle de la stèle des vautours, Parigi 1909; H. Delbrück, Geschichte der Kriegskunst, I, 3a ed., Berlino 1920; J. Kromayer e G. Veith, Heerwesen und Kriegführung der Griechen und Römer, Monaco 1928; M. P. Nilsson, Die Hoplitentaktik und das Staatswesen, in Klio, XXII (1928), p. 240 segg.; W. W. Tarn, Hellenistic Military and Naval Developments, Cambridge 1930; E. Lammert e F. Lammert, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., XI, col. 1834 (Greci) e Suppl., IV, col. 1082 (Romani); F. Lammert, Die römische Taktik zu Beginn der Kaiserzeit u. die Geschichtsschreibung, in Philologus, Suppl. XXIII, Lipsia 1931; A. Köster, Das antike Seewesen, Berlino 1923 (dello stesso autore esposizione della tattica navale in Kromayer e Veith, op. cit., pp. 197 e 624); F. Miltner, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., Suppl. V, col. 900.
Tattica terrestre moderna.
Cenni storici sull'evoluzione della tattica terrestre dall'inizio del Medioevo alla guerra mondiale sono dati alla voce guerra, arte della; qui si espongono i criterî attualmente dominanti.
Alcuni scrittori fanno una distinzione tra grande attica, riferendo questa all'azione di grandi unità complesse, e tattica, che dovrebbe riferirsi all'impiego delle unità più semplici. Queste ultime agiscono a contatto vivo e stretto con l'avversario che opera in contrasto: ciò porta, com'è ovvio, a una sensazione tattica del tutto diversa da quella che può essere sentita dai comandi delle grandi unità complesse e a provvedimenti più minuti e contingenti.
Comunemente con la parola tattica si comprende così l'azione delle grandi unità complesse come l'azione di quelle minori.
La tattica, in qualsiasi fase della sua storia, ha sempre avuto alle sue basi tre elementi fondamentali: offesa a distanza (armi da gitto prima, da fuoco poi), movimento e urto.
Le armi da gitto, nelle epoche più remote, assolvevano al compito di preparare, appoggiare e proteggere, per quanto in brevi limiti di tempo e di spazio, il movimento che doveva poi condurre all'urto della massa. Le armi da fuoco non hanno mutato questa fisionomia basilare della tattica, ma hanno solo dato diverso e più grande valore ai limiti di spazio e tempo e al peso attivo tendente a favorire il movimento e l'urto amico e a danneggiare quello avverso. Attraverso il tempo, in dipendenza dell'ambiente politico, del carattere e della capacità dei capitani, della qualità delle truppe, delle condizioni economiche dei varî paesi, dei mezzi tecnici a disposizione, ecc., i tre elementi fondamentali dell'azione tattica hanno subito, nel quadro generale del combattimento, un processo di sviluppo differente; ne sono conseguite, nelle varie epoche storiche, speciali norme tattiche d'impiego delle truppe, le quali hanno portato a nuove formazioni organiche delle unità combattenti.
L'arma da fuoco, che, in un momento in cui la cavalleria conservava ancora il predominio sul campo di battaglia come arma d'offesa per eccellenza, veniva a dare alla fanteria una capacità offensiva e difensiva di valore sempre crescente, ha costretto per secoli interi le menti dei capitani a escogitare formazioni su formazioni per contemperare al movimento e all'urto l'imprescindibile necessità del fuoco. E a mano a mano che i mezzi di fuoco crebbero in potenza, e quindi in micidialità, il problema divenne più arduo per assumere poi un aspetto completamente inverso: l'elemento fuoco prese il sopravvento nel combattimento e allora questo ristagnò, si prolungò all'infinito, non venne a risoluzione. S'iniziò allora lo studio assillante per ridare al movimento e all'urto tutta la loro efficienza e per giungere a formazioni capaci di rispondere pienamente ai tre assiomi sui quali si basa l'azione tattica: avanzare - offendere - conquistare.
Le "maniche" aggiunte ai famosi battaglioni quadrati svizzeri, le linee di moschettieri frammiste a quelle dei picchieri, la lunga rivalità tra queste due specie di fanti per contendersi il predominio nei reparti, l'azione sempre crescente delle mitragliatrici pesanti e leggiere, ecc., sono i testimonî dell'aumentata importanza dell'elemento fuoco.
L'adozione della sciabola baionetta, lo sviluppo dato all'impiego dei pugnali, l'alleggerimento del carico dei combattenti, la tenzone annosa non ancora spenta tra fucilieri e mitraglieri, dimostrano la reazione esercitata dagli elementi movimento e urto, per poter dare all'azione tattica il suo necessario "stato di equilibrio".
La guerra mondiale, con la stabilizzazione delle fronti, conseguenza dell'affossamento delle truppe nelle trincee e dello sviluppo enorme dato alle armi automatiche interrate e protette, ha dato al fuoco un esponente difensivo di eccezionale valore e all'azione tattica una struttura statica che ne ha trasformato fisionomia e valore.
L'impiego dei carri armati non è servito, nonostante la loro opera schiacciante e penetrante sulle corazzature difensive, a ridare alla tattica il suo contenuto fondamentale, basato sulla manovra; e tutti gli studî attuali mirano appunto a determinare un rapporto tra fuoco, movimento e urto, atto a ridare alla tattica il vigore offensivo indispensabile alla decisione vittoriosa.
Non tutti valutano tale rapporto nella stessa maniera.
Due tendenze dominano: quella che dà al fuoco la preminenza sul campo del combattimento e che vede il movimento completamente inquadrato nel fuoco organizzato per basi successive: organizzata la base di fuoco, il movimento fa uno sbalzo fino a una linea antistante e procede solo quando su questa è riformata la nuova base di fuoco. Tale tendenza risente alquanto dei metodi della guerra stabilizzata; presuppone una grande ricchezza di mezzi; evita al massimo il rischio, conseguente al forte valore spirituale dell'uomo che è stato e sarà sempre l'agente primo e assoluto della lotta, e cerca la soluzione più nell'impiego metodico della forza materiale che nello slancio manovriero dei combattenti. Naturalmente ciò porta all'appesantimento delle unità di fanteria, piccole e grandi, volendosi concentrare in esse, dal reggimento in giù, tutti i mezzi di fuoco a tiro teso e a tiro curvo, leggieri e pesanti, indispensabili per un'azione così concepita, magari lenta, ma prepotente e soffocante.
La seconda tendenza, pur contando sul fuoco, "senza del quale non si avanza", basa la decisione del combattimento sullo slancio dei combattenti, spinti, con il loro fuoco e con l'aiuto dei mezzi più potenti delle unità superiori, sulla fronte o meglio sui fianchi o sul rovescio del nemico nell'intento di decidere la lotta con una manovra d'avviluppamento. Quindi armamento delle unità di fanteria idoneo a consentire il movimento e l'urto, ma tale da permettere possibilità, almeno teoriche, di movimento rapido; le armi più pesanti accentrate in unità superiori al reggimento, per essere adoperate a favore di questo a norma delle circostanze.
Si potrebbe quasi dire che la prima tendenza adopera il fuoco come spinta al movimento, e la seconda il movimento come trascinatore del fuoco.
L'efficacia del fuoco - che sostanzialmente è da tutti riconosciuta - e la necessità di offendere più in profondo e più rapidamente possibile schiacciando gli ostacoli passivi e attivi opposti dal nemico e riducendo al minimo le perdite, ha portato ad altre tendenze di indole, diremo così, meccanica:
La meccanizzazione, scuola inglese creata e sostenuta strenuamente dal gen. Fuller e dai suoi seguaci, che vede la guerra condotta quasi esclusivamente da macchine (carri d'assalto di varî tipi, carri armati leggieri, medî e pesanti - carri cannoni -, carri antiaerei, carri collegamenti, carri trasporti, carri servizî, ecc.) alle quali sono andati tutti i compiti del combattimento.
La motorizzazione, scuola francese proclamata dal generale Camon e sostenuta dal generale Allahaut, che vede nel motore il mezzo per servire l'uomo e le sue armi e consentire ad entrambi più rapido, potente, sicuro intervento nel combattimento, pur lasciando all'uomo, combattente principe, l'onore e l'onere d'affrontare la lotta. Nella prima il carro armato sta alla base del combattimento; nella seconda esso è solamente un valido elemento d'appoggio alle unità combattenti.
La tendenza francese è quella che ha raccolto la maggioranza dei consensi, ma anch'essa da molte nazioni è stata accettata con aderenza ai proprî terreni di presumibile lotta, giacché la maggioranza delle terre di Francia dà ai mezzi meccanici possibilità molto più vaste di quanto, ad esempio, possono darne i terreni alpestri delle frontiere italiane.
Se dalle idee e dai concetti dottrinarî si scende nel più ristretto campo dei procedimenti tattici per i minori reparti di fanteria, si constata che essi si somigliano in tutti gli eserciti.
La guerra di movimento (questo più o meno saturato di fuoco) è sancita da tutti; quindi educazione e preparazione massima al combattimento offensivo, l'unico che cunsente la decisione. Contro nemico non organizzato, schiacciamento con fuoco o con macchine corazzate ed avanzata incessante fino a conquista degli obiettivi assegnati alle varie unità: movimento basato sulla manovra diretta sui punti più deboli, o più indeboliti con il fuoco o comunque più sensibili del nemico (fianchi, tergo); progressione dell'azione senza soluzione di continuità, sfruttando le crepe aperte nel dispositivo avversario per penetrare in esso e subissarlo, mentre i carri armati di rottura e d'assalto sostengono l'azione dei fanti, precedendoli nell'attacco e nel contrattacco e completando poi il loro successo.
Contro nemico organizzato, apertura dei varchi nelle difese accessorie e schiacciamento dei posti-scoglio con carri armati di rottura, seguiti dalle unità di fanteria che debbono sfruttarne i successi iniziali; proseguimento dell'azione in profondità con metodo analogo a quello sopra descritto.
In difensiva, organizzare il fuoco, la controffesa, l'osservazione, il comando, il terreno, i servizî; inchiodare l'attaccante con il fuoco e contrattaccarlo senza requie, fin dalle sue prime infiltrazioni, per reprimere anche i suoi piccoli successi iniziali.
Da questo quadro sintetico è facile rilevare che nell'azione tattica, considerata nel suo complesso, interferiscono principalmente due armi: la fanteria, con tutti i suoi mezzi e specialità, quale agente diretto; l'artiglieria, quale agente cooperante.
Ambedue fanno parte della grande unità elementare, la divisione.
Due o tre divisioni e artiglierie di maggiore potenza e di più lunga gittata costituiscono il corpo d'armata, grande unità tattica complessa.
Le artiglierie cooperano con le fanterie in tutte le fasi della loro azione, sostenendole nell'avvicinamento e nella presa di contatto, appoggiandole nell'attacco e proteggendole nella difesa.
Esse svolgono azioni di controbatteria, caratteristiche delle artiglierie di corpo d'armata; di distruzione, caratteristiche delle artiglierie di maggior calibro; di neutralizzazione, in prevalenza devolute alle artiglierie divisionali; di interdizione, affidate, a seconda della distanza cui sono eseguite, o ad artiglierie di lunga gittata o ad artiglierie leggiere; d'appoggio e d'accompagnamento (o di protezione), devolute alle artiglierie divisionali.
Le grandi unità manovrano il fuoco delle loro artiglierie e l'impiego delle loro unità in base ad un concetto d'azione unitario, formulato dal loro comandante. Le minori si regolano in modo analogo.
Il corpo d'armata agisce a colpi di divisione, predisponendo queste in prima, seconda ed eventualmente in terza schiera (corpo d'armata d'ala o agente su stretto settore).
La divisione opera invece a colpi di battaglione, scaglionando questi in estensione (1° scaglione) e in profondità (2° e 3° scaglione), a seconda delle esigenze operative prestabilite o che si manifestano nel corso dell'azione.
Le minori unità di fanteria (fino al battaglione compreso) si spiegano con parte dei loro reparti avanzati e parte di rincalzo, adoperando le loro armi di accompagnamento (mitragliatrici, mortai, pezzi per fanteria) decentrate (caso normale) in tutto o in parte, o accentrate (caso eccezionale), per accompagnare l'attacco o rafforzare la difesa dei reparti fucilieri.
L'azione offensiva, presa nel suo quadro generale, può essere preceduta dalla preparazione, compiuta nel preludio dell'attacco da tutte le artiglierie di corpo d'armata e divisionali per distruggere, disgregare e sconvolgere le preorganizzazioni difensive e controffensive avversarie; quella difensiva dalla contropreparazione, scatenata improvvisa e a ragion veduta per soffocare la preparazione dell'avversario e l'organizzazione del suo attacco.
In base alle tendenze sopra illustrate e in armonia coi procedimenti descritti, i varî eserciti europei hanno creato le loro formazioni organiche e dettato le loro norme tattiche.
L'Italia, caposcuola della tendenza che si appoggia prevalentemente sulla manovra, pur dando la giusta importanza al fuoco, quale appoggio delle unità avanzanti, ritiene che il movimento ardito, irruento, incessante, porti più rapidamente alla decisione. Mette il potenziale umano al di sopra di quello materiale delle macchine e riconosce gran forza al senso del rischio, al quale l'uomo deve abituarsi per potere e sapere combattere vittoriosamente. Quindi armi automatiche leggiere nelle più piccole unità di fanteria, mitragliatrici e mortai d'assalto nel battaglione, pezzi anticarro e d'accompagnamento nel reggimento, ma il tutto armonizzato alla leggerezza e snellezza indispensabili alla celerità di movimento; mortai pesanti, cannoni di accompagnamento, carri armati, accentrati in enti maggiori e decentrabili solo quando necessario; artiglierie divisionali leggiere e mobilissime, pronte a intervenire, manovrando il loro fuoco, al momento opportuno. Il movimento, la volontà offensiva, la manovra, quest'ultima intesa come rapidità delle mosse, scelta opportuna della direzione, tempestività e potenza dell'urto, valorizzazione dell'uomo come capo e come combattente, sono alle basi della nuova dottrína tattica italiana.
La Francia, caposcuola della tendenza che si appoggia prevalentemente sul fuoco, ha una ricca dotazione di armi automatiche leggiere e piccoli lanciabombe nella squadra (gruppo), mitragliatrici pesanti e mortai leggieri nel battaglione, cannoncini e mortai pesanti nel reggimento di fanteria, e due reggimenti di artiglieria, di cui uno di piccolo calibro, nella divisione. In questa dottrina la manovra, in un certo qual modo, è subordinata al fuoco, il quale imbriglia il movimento nelle basi di fuoco progredienti a sbalzi, rendendolo meno rapido, ma più metodico. Un tale procedimento richiede organizzazione perfetta e tempestiva del fuoco di fanteria e d'artiglieria, rende più facile la cooperazione tra queste armi e, forse, meno costosa, sebbene più lenta, l'avanzata delle fanterie.
L' Inghilterra è avviata verso il criterio di affidare a corazze semoventi la protezione delle armi e degli uomini nella fede di aumentare l'efficacia di entrambi, e alle sue macchine corazzate la spinta offensiva e controffensiva. Nell'attesa di un più radicale sviluppo del suo programma ha informato la sua dottrina alla prevalenza del fuoco, dando però un coefficiente di sensibile valore anche al movimento.
La Germania è molto prossima alla tendenza italiana, pur dando al fuoco, anche in dipendenza dei terreni di sua probabìle lotta, un rilevante potenziale: il tiro delle armi automatiche al disopra delle truppe amiche e, soprattutto, negl'intervalli preorganizzati o creati durante l'azione tra le unità avanzate, veri corridoi di fuoco inviolabili al nemico e all'amico, sono un canone della sua dottrina.
Nella Iugoslavia, già orientata verso la dottrina francese, si nota ora un più accentuato decentramento di armi alle unità avanzate e la tendenza ad affidare all'elemento uomo un maggiore compito combattivo, forse in virtù dello spiccato spirito bellicoso di una parte dei suoi regnicoli, del terreno prevalentemente boscoso delle sue frontiere e dell'attitudine alla guerriglia dei suoi comitagi.
Il Belgio si associa invece alla tendenza italiana, accentuando il decentramento dei mezzi pesanti ai reparti avanzati e predisponendo un impiego di rincalzi costituiti, fin dall'inizio, con unita di movimento e di fuoco pesante.
Per il combattimento difensivo quasi tutte le dottrine si assomigliano, con qualche differenziazione più teorica che pratica nella fisionomia del dispositivo di resistenza: difesa schierata in profondità - sbarramento di fuoco e azioni di contrattacco - linee successive che, nella tendenza di quanti dànno al fuoco importanza prevalente, costituiscono base alle successive difese ed eventualmente pedane di lancio per la controffesa, e nella tendenza che dà massima importanza alla manovra hanno compiti opposti.
È tuttavia ovvio che la tattica, fermi i punti fondamentali, non sosta nel suo cammino, ma rinnova e trasforma formazioni e procedimenti in armonia con i mezzi dei quali può disporre e dei nemici che deve affrontare, in aderenza sempre alle leggi che ne informano dottrina e applicazione: metodo nel preparare e organizzare, accortezza e decisione nel procedere, inflessibilità nel colpire.
Tattica navale moderna.
Il campo della tattica navale comincia da quando la vicinanza del nemico (o la possibilità della sua vicinanza) impone di subordinare i criterî di manovra alle esigenze del combattimento.
Mezzi e forme di azione. - Periodo della vela. - I vascelli erano armati con numerose artiglierie sui fianchi; la direzione perpendicolare alla rotta ("traverso") era quindi una direzione di massima offesa; la formazione in linea di fila, cioè con le navi disposte l'una dietro l'altra, prese il nome di "linea di battaglia", poiché permetteva di avere sgombro il campo di tiro e di preservare le navi dal tiro d'infilata.
I movimenti della nave a vela non sono possibili in un settore di 135° avente per mediana la direzione da cui spira il vento, poiché le due rotte NA e NB (fig.1), più prossime alla direzione del vento ("andatura di bolina"), fanno con detta direzione un angolo di 67 30′ (in pratica per i pesanti vascelli l'angolo era maggiore, per le condizioni di attrezzatura).
Per guadagnare posizione verso la parte da cui il vento spirava occorreva bordeggiare percorrendo le spezzate come A A′A″ ... o B B′ B″ ..., cioè seguire alternativamente rotte parallele a NA e NB, mentre una nave che si trovasse sopravento a un'altra poteva raggiungerla con rotta diretta. Da ciò derivava l'importanza tattica della posizione sopravento, che consentiva a una flotta la facoltà di evitare l'azione tattica o di obbligare il nemico a subirla nel momento e nel modo che la flotta di sopravento aveva la facoltà di prescegliere.
La flotta che veniva a trovarsi in posizione di sottovento, col nemico vicino, se cercava di rifiutare il contatto ("prender caccia") correndo a vento largo, si esponeva ad avere navi che rimanevano arretrate senza possibilità di essere soccorse; perciò la flotta di sottovento era obbligata ad accettare il combattimento mettendo "in panna", ossia ogni nave orientava diversamente i pennoni dei tre alberi in modo da tenersi quasi ferma. La flotta era pronta ad attendere l'attacco quando le navi erano fra loro a distanza serrata sulla linea di fila di bolina o sulla normale alla direzione del vento, perché tale schieramento consentiva con piccoli movimenti di riunire le navi che rispetto alla formazione fossero scadute sottovento.
La flotta schierata in linea di battaglia sottovento aveva teoricamente la possibilità di concentrare il tiro contro le navi che venivano all'attacco prendendole d'infilata; però in pratica il vantaggio era poco sensibile, perché la convergenza del tiro di diversi vascelli non poteva effettuarsi a distanza di tiro efficace.
La primitiva manovra di attacco della flotta di sopravento (fig. 2) consisté nel formare una linea di fila parallela all'avversario che attendeva l'attacco e poi far accostare simultaneamente le navi verso il nemico; la flotta veniva così a risultare in formazione quasi frontale, da cui veniva eseguita una nuova accostata per riprendere la linea di fila con rotta parallela e nello stesso senso di quella del nemico. Tale sistema portava ad opporre nave contro nave; la tattica di quel tempo aveva caratteri poco risolutivi, perché in generale l'azione si limitava a un cannoneggiamento a distanza tale che il tiro risultava poco redditizio.
L'importanza della formazione in linea di battaglia fu esagerata al punto da costituire una regola assoluta. Fu esclusa l'iniziativa dei comandanti; in Francia l'ordinanza reale del 1765 prescrisse che "durante il combattimento nessun comandante potesse uscire di formazione per appoggiare un'altra nave a meno che ricevesse l'ordine dall'ammiraglio". Così la tattica si irrigidì tanto che argutamente si poté dire che il colmo dell'abilità degli ammiragli era quello di "farsi battere secondo le regole".
Un progresso della tattica fu ottenuto cercando di sfruttare la manovrabilità della flotta di sottovento, correndo a bordo opposto al nemico anziché aspettare passivamente l'attacco, così da tentare concentramenti di offese sulla testa della linea nemica (avanguardia) o sulla coda (retroguardia). Questo portò a combattere "defilando a controbordo" (fig. 3); ma i defilamenti, anche se avvenivano a breve distanza, per i cambiamenti di bersaglio erano sterili fin che si rispettava il dogma della compattezza della linea di battaglia.
Il decisivo progresso della tattica avvenne il 12 aprile 1782 alla battaglia della Dominica, quando la flotta inglese al comando dell'ammiraglio Rodney, impegnata contro quella francese comandata dal De Grasse, durante un defilamento a controbordo, essendosi occasionalmente formato un vuoto nella linea nemica, ne approfittò per dirigere col suo centro fra le due frazioni dell'avversario, ossia tagliò la linea nemica anziché seguire i movimenti della sua avanguardia. Tale movimento in contrasto con le regole vigenti fu imitato dalla retroguardia inglese; Rodney raggiunse così lo scopo di mettere l'avversario fra due fuochi, riportando una decisiva vittoria.
Da allora la linea di battaglia cessò di essere intesa rigidamente, e la condotta tattica mirò a trarre vantaggio dalla posizione per cadere al più presto sulla flotta nemica, dividerla in due o tre parti, così da poter concentrare su una parte la totalità delle proprie forze.
La parte della linea che più facilmente si prestava a essere attaccata era la retroguardia, perché le navi di testa prima di arrivare al soccorso dovevano impiegare tempo considerevole essendo costrette a virare di bordo e poi a percorrere un considerevole spazio, data l'estensione della linea. Risultava perciò possibile all'attaccante di conseguire una posizione tattica vantaggiosa (fig. 4), realizzando la superiorità anche con un numero di vascelli uguale o inferiore a quello del nemico.
Su tali concetti s'imperniò la condotta delle flotte vittoriose nell'ultimo tempo del periodo velico in cui acquistarono gloria imperitura principalmente Suffren (v.) e Nelson (v.); il più importante segreto del successo fu enunciato da Nelson che definì la sua flotta come una "banda di fratelli", poiché ammiragli sottordini e comandanti erano abituati a manovrare con libertà d'iniziativa ma in modo coordinato, sostenendosi mutuamente; la perfetta intesa col comandante in capo dava ad essi la certezza di agire secondo la sua volontà anche quando le circostanze li obbligavano a comportarsi in modo diverso da quello previsto.
Periodo dell'elica. - Il passaggio dalle flotte a vela a quelle a vapore produsse in un primo tempo la risurrezione del rostro come arma principale.
I cannoni crebbero di potenza e nonostante la corazzatura delle navi andò crescendo l'importanza di un'azione combattuta con le sole artiglierie; nel 1894, durante la guerra cino-giapponese, la battaglia di Yalu dimostrò come il cannone avesse acquistato la capacità di arma risolutiva.
I progressi delle armi, nonché degli strumenti e dei metodi di direzione e di condotta del tiro, l'invenzione e i progressi del siluro, l'evoluzione dei tipi di navi, hanno reso assai complessa la tattica navale, le cui forme non si limitano, come nel passato, a quelle del combattimento fra navi similari ad uguali armi. I limiti della fase tattica si sono andati sempre più estendendo per la continua minaccia dei mezzi di sorpresa, così che l'impiego delle forze si può dire costantemente dominato da esigenze di ordine tattico (v. logistica, XXI, p. 404: Condotta della navigazione).
Per un quadro sintetico delle principali forme tattiche basta accennare: a) come attaccano i sommergibili e come si svolge l'azione dei mezzi destinati a combatterli; b) manovra di navi sotto attacchi aerei; c) azioni diurne e notturne tra forze di superficie; d) attacchi in porto.
Tattica dei sommergibili e difesa attiva contro di essi. - Cerchio di lancio del siluro. - Essendo fornito di organi proprî, propulsori e di governo, il siluro quando è lanciato in una direzione si mette automaticamente in moto e prosegue nella stessa direzione (ovvero nel lancio angolato accosta subito dell'angolazione e prosegue poi diritto). Se S è la silurante (fig. 5) e N la nave nemica, occorre che siluro e nave si incontrino in O, essendo SO il percorso del siluro e NO il percorso fatto dalla nave N nello stesso tempo. Da ciò risulta che il siluro deve essere lanciato entro un cerchio che ha come raggio il massimo percorso di cui il siluro è capace e come centro il punto O che precede la nave di una lunghezza che sta al percorso del siluro nel rapporto
Evidentemente questa nozione del "cerchio di lancio" è fondamentale per l'impiego del siluro, qualunque sia la specie dell'unità silurante.
Zona pericolosa rispetto al sommergibile (fig. 6). - Di giorno il sommergibile si deve immergere tempestivamente per non essere visto e cercare di portarsi entro il cerchio di lancio, in modo che il siluro debba fare un percorso abbastanza piccolo per avere buona probabilità di colpire. Per la piccola velocità del sommergibile immerso, la possibilità che esso arrivi nel cerchio di lancio è subordinata alla condizione che la nave diriga in modo che il sommergibile risulti nel settore compreso fra le due tangenti al cerchio di lancio che divergono dalla rotta della nave di un angolo di cui il seno trigonometrico è dato dal rapporto
Da ciò si comprende come questa "zona pericolosa" sia tanto meno ampia quanto più elevata è la velocità della nave.
Condizioni favorevoli alla manovra di attacco del sommergibile. - Affinché il sommergibile non sia visto occorre che durante il suo avvicinamento al bersaglio navighi a piccola velocità, in modo che pur faeendo di tanto in tanto affiorare l'estremità del periscopio (per regolare la manovra e determinare i dati del lancio) non avvenga che il periscopio faccia scia rivelando la presenza del sommergibile e permettendo alla nave di manovrare in tempo, così da produrre il fallimento dell'attacco.
I sommergibili hanno oggi la possibilità di regolare la manovra di avvicinamento anche senza far emergere il periscopio, mediante istrumenti che consentono di prendere successivi rilevamenti del bersaglio, captando il rumore delle eliche e determinandone la direzione di provenienza; tuttavia se il sommergibile non va a piccola velocità alla quota d'attacco produce alla superficie bolle d'aria visibili anche quando il periscopio non affiora. Il sommergibile deve avvicinarsi ed eseguire l'accostata per l'esecuzione del lancio; dopo aver lanciato deve rapidamente immergersi alla massima profondità consentita dalla resistenza dello scafo per sottrarsi al contrattacco.
La posizione più favorevole per il sommergibile si verifica quando la nave segue rotta costante passando a piccola distanza dal sommergibile, in modo che questo non abbia da manovrare per l'avvicinamento, ma semplicemente accostare per l'esecuzione del lancio. Condizioni di mare leggermente mosso, posizione dalla parte del sole, sono propizie al sommergibile. Di notte il sommergibile attacca in emersione; l'attacco subacqueo è possibile solo con chiaro di luna e in condizioni particolari.
Difesa attiva. - La scorta contro i sommergibili (v. logistica: Logistica navale) ha il compito di impedire o almeno di ostacolare gli attacchi alle navi scortate; subordinatamente a questo obiettivo la scorta ha il compito di distruggere il sommergibile. Oltre che dai mezzi navali e aerei destinati ai servizî di scorta il sommergibile è esposto ad essere attaccato da speciali tipi di piccole navi: principalmente caccia-sommergibili e motoscafi antisommergibili (MAS) con adatte caratteristiche e speciali mezzi di scoperta subacquea (idrofoni e periteri). Nella guerra mondiale anche i sommergibili si sono dimostrati efficaci cacciatori di sommergibili, stando nelle zone di azione dei sommergibili avversarî e cercando di sorprenderli col lancio di siluro quando quelli emergevano credendo il mare deserto. Ma le armi più efficaci contro il sommergibile sono quelle impiegate dalle unità di superficie adibite ai servizî di scorta o alla ricerca dei sommergibili. Tali armi sono: 1. le bombe di profondità munite di un piatto idrostatico per far avvenire lo scoppio a profondità conveniente; si lanciano rapidamente numerose bombe da unità veloci nella zona in cui si ritiene di aver localizzato ìl sommergibile; 2. le torpedini da rimorchio; quando l'unità rimorchiante passa ad alta velocità sopra il sommergibile immerso, il cavo di rimorchio striscia sullo scafo del sommergibile portando la torpedine ad urtare contro di esso (v. subacquee, armi).
Navi contro velivoli nell'azione al largo. - I velivoli da offesa possono agire contro navi al largo mare quando quelli da ricognizione dopo aver ricercato e avvistato una forza navale riescano a mantenerne il contatto, cioè a seguirne i movimenti per trasmettere durante il volo agli aerei attaccanti le necessarie indicazioni.
Le navi possono essere attaccate da velivoli bombardieri o da velivoli siluranti; questi ultimi per eseguire l'attacco devono agire a bassissima quota.
L'azione aerea contro navi al largo fa parte delle nuove possibilità per le quali manca l'esperienza di guerra.
I mezzi di difesa delle navi sono le artiglierie antiaeree e la manovra; le navi attaccate manovreranno alla massima velocità, con rotte variabili, in modo da creare le maggiori difficoltà all'attacco. Una forza navale numerosa, se ammassata, potrà trovarsi in situazione critica sotto un attacco aereo; sarà perciò necessario un pronto diradamento della formazione per assicurare una conveniente libertà di manovra; d'altra parte l'attacco aereo, se precederà di poco l'incontro con una forza navale avversaria, anche se non conseguirà diretti risultati potrà disordinare la forza navale attaccata, influendo in tal modo sulla situazione d'inizio dello scontro navale. L'attacco aereo si effettuerà in circostanze favorevoli se le condizioni di visibilità consentiranno ai velivoli di arrivare di sorpresa sulle navi; inoltre, un attacco di bombardieri e di siluranti, se questi riusciranno ad arrivare su uno stesso obiettivo in modo simultaneo, avrà probabilità di successo maggiore di quella di un attacco di velivoli della stessa specie. Soprattutto l'attacco aereo sarà importante se avverrà durante un combattimento navale, ossia quando la manovra delle navi sarà massimamente vincolata; ma questa tempestività del concorso aereo è difficile a realizzare a largo mare, a meno di disporre di una nave portaerei che accompagni la forza navale (v. guerra marittima: Le nuove condizioni, XVIII, p. 91).
Azioni tra forze di superficie. - Azioni diurne. - In linea generale, le fasi e le forme di un combattimento navale diurno si possono comprendere nel seguente quadro:
a) La presa di contatto. Le notizie fornite dai mezzi di esplorazione lontana (aerei e sommergibili), anche se positive, lasceranno pur sempre un notevole campo d'incertezza sulla posizione, sui movimenti e sulle intenzioni del nemico; d'altra parte per le alte velocità, se gli avversari avranno rotte convergenti, il loro avvicinamento potrà verificarsi con una rapidità senza riscontro nel passato. Perciò è indispensabile che una forza navale mantenga un servizio di esplorazione vicina per garantire la sua libertà d'azione, cioè la possibilità di eseguire un tempestivo spiegamento e manovrare nel modo più conveniente per arrivare al contatto tattico, oppure evitarlo qualora si verifichino condizioni svantaggiose. A questi scopi occorre l'impiego di velivoli da ricognizione a disposizione immediata del comando della forza navale per esplorare nel momento e nel modo che il suo apprezzamento di situazione fa stimare necessario. Oltre alla ricognizione aerea occorre un servizio di copertura mediante gruppi navali di esplorazione che devono essere abbastanza forti per attaccare i reparti avversarî aventi analogo compito e avvicinarsi alla forza nemica quanto necessario per accertarne la composizione e trasmettere notizie sui movimenti. In ciò si riassume la fase di presa di contatto che dà luogo ad azioni parziali aventi forma d'inseguimento e di ripiegamento: scontri di avanguardie, più o meno importanti secondo i casi.
b) Lo spiegamento. In base alle notizie dei velivoli da ricognizione e dei reparti navali in contatto col nemico si esegue la manovra di spiegamento per l'entrata in azione della forza principale.
Dall'arrivo a distanza di apertura del tiro ogni nave deve presentarsi al nemico in modo da sviluppare la massima potenzialità di fuoco, cioè la congiungente col bersaglio deve mantenersi in un settore di massima offesa (fig. 7). La formazione dev'essere tale che le navi abbiano libero il campo di tiro.
Ogni reparto deve perciò normalmente combattere in linea di fila o in una formazione che poco ne differisca; la manovra in linea di fila per contromarcia consente il pronto adattamento alle contingenze. Dunque in sostanza le manovre dei reparti si svolgeranno per contromarcia o con accostate simultanee.
In generale, comunque la rotta possa variare nei limiti consentiti dalle condizioni anzidette, la posizione relativa di due forze navali contrapposte è definita dai rispettivi schieramenti, intendendo per schieramento la figura geometrica costituita dai segmenti che congiungono le navi o i reparti della forza navale. Il massimo vantaggio di posizione si verifica se una forza navale ha uno schieramento perpendicolare alla sua congiungente col nemico, qualora lo schieramento di quest'ultimo risulti orientato secondo la congiungente suddetta (fig. 8); in questo caso si dice che il primo schieramento taglia il T rispetto all'altro. Per consentire lo sviluppo della massima offesa e la massima libertà di manovra lo spiegamento di ciascun reparto consiste generalmente nel formare la linea di fila su uno schieramento normale alla congiungente col reparto nemico su cui si vuol dirigere l'offesa. Per evitare che il nemico possa trovarsi in posizione vantaggiosa è necessario che lo spiegamento sia fatto con anticipo rispetto all'arrivo a distanza di tiro; in conclusione la manovra iniziale consiste nel formare la linea di fila sulla normale alla congiungente col nemico in senso opportuno e poi nell'eseguire un'accostata simultanea delle varie unità semplici o complesse per avvicinarsi al nemico secondo che si vuole stringere più o meno la distanza di combattimento. Per quanto il concetto della manovra sia molto semplice, l'aumento delle distanze di tiro e della velocità delle navi ha reso sempre più arduo il problema della tempestiva esecuzione dello spiegamento che include la determinazione della parte da cui secondo le circostanze conviene di accostare, perché il modo in cui è scelta la rotta di spiegamento produce importanti conseguenze sul seguito dell'azione. Un tipico esempio è costituito dallo spiegamento della Grand Fleet alla battaglia dello Jütland (v.), per le condizioni d'incertezza in cui il comando in capo della Grand Fleet venne a trovarsi, quando stava per arrivare a distanza di tiro, mentre ancora non vedeva il nemico e aveva notizie contraddittorie, così da non poter stabilire se convenisse eseguire lo spiegamento a dritta oppure a sinistra della rotta di avvicinamento. Anche con una flotta molto meno numerosa di quelle contrapposte allo Jütland potranno verificarsi analoghe difficoltà, poiché l'avvicinamento al nemico dovrà eseguirsi nell'atmosfera già perturbata dal combattimento fra le avanguardie, che avranno fatto presumibilmente largo impiego di cortine nebbiogene.
c) Lo sviluppo del combattimento. La rotta media che il reparto principale si prefigge di mantenere (salvo necessità di accostate transitorie) segna la direttrice di movimento di tutta la forza navale.
Affinché il combattimento possa riuscire efficace occorre che le navi non siano obbligate a cambiare frequentemente bersaglio; perciò le forze navali contrapposte avranno all'incirca la stessa direttrice di movimento, ossia rotte prossimamente parallele e nello stesso senso. In generale la direttrice di movimento è determinata dall'interesse strategico di una forza navale a spostarsi verso una determinata zona; reciprocamente, per la forza navale contrapposta, la direttrice di movimento deve adattarsi alla necessità di contrastare gli obiettivi del nemico.
Ne consegue che le situazioni si possono così compendiare: 1. Gli avversarî combattono rilevandosi al traverso, cioè secondo la normale alla direttrice di movimento; 2. La congiungente degli avversarî è obliqua alla direttrice di movimento, cioè una forza navale si trova nella posizione di inseguitrice mentre l'altra combatte in ritirata (fig. 9). Giova notare che le azioni d'inseguimento saranno le più frequenti, e assumeranno, come nella battaglia del Dogger Bank (v.), la forma d'inseguimento laterale, anziché d'inseguimento diretto (prora su poppa). Infatti l'inseguitore dovrà tenersi lateralmente alle acque percorse dall'avversario per rilevarlo in un settore di massima offesa delle artiglierie e non esporsi agli eventuali pericoli derivanti da torpedini in deriva o eventualmente da produzione di gas. La forza navale ehe sarà nella posizione avanzata verrà a trovarsi in condizione critica se qualche nave sarà costretta a ridurre di velocità; tuttavia la posizione avanzata potrà permettere di affrontare il combattimento anche con inferiorità di forze offrendo i seguenti vantaggi:
A) Possibilità di impiego del siluro. Nel lancio eseguito da posizione nei settori prodieri del nemico il siluro deve fare un percorso inferiore alla distanza fra gli avversarî al momento del lancio (fig. 10), mentre si veifica il contrario per il lancio eseguito da poppavia (fig. 11). Da ciò risulta come sotto questo riguardo la forza navale inseguita sia in posizione vantaggiosa. Il naviglio sottile disposto a proravia del reparto principale potrà con breve percorso arrivare sul cerchio di lancio rispetto alla forza navale inseguitrice; inoltre le navi potranno, senza bisogno di speciale manovra, lanciare siluri a lunga corsa che avranno tuttavia probabilità di colpire non potendo il nemico percepire l'istante del lancio.
B) Possibilità di cooperazione fra navi e sommergibili; la forza navale inseguita potrà manovrare per attrarre il nemico su linee di sommergibili che potranno sulle sue indicazioni eseguire opportuni spostamenti.
C) Possibilità di sfruttare largamente l'arma aerea per l'attacco della forza inseguitrice, essendo l'intervento aereo facilitato dalla manovra di avvicinamento verso le proprie basi.
La necessità di avere il naviglio minore a proravia del reparto principale si verifica anche per la forza navale inseguitrice per poter respingere gli attacchi del naviglio sottile avversario. Si conclude dunque che in ogni caso è importante la posizione prodiera dei reparti del naviglio minore sia per l'impiego offensivo sia per quello controffensivo. Ma l'evoluzione dei tipi di navi ha elevato la velocità delle navi maggiori, in modo tale che il naviglio minore non ha più un vantaggio di velocità molto sensibile; perciò i problemi dello spiegamento e della direttrice di movimento presentano difficoltà all'atto pratico, al punto da richiedere estrema prontezza di manovra, immediata comprensione delle necessità contingenti, affinché non si produca una pericolosa dispersione di forze.
Per riassumere i caratteri del combattimento navale occorre aggiungere che la direttrice di movimento segnalata dal comando della forza navale non potrà costituire una rigida prescrizione, ma soltanto un'indicazione generale per l'imitazione della manovra del nucleo principale, lasciando libertà ad ogni gruppo di regolarsi secondo le necessità, per aumentare o diminuire la distanza di combattimento, per rendere difficile al nemico il concentramento del tiro e più in generale affinché ogni reparto possa sfruttare le sue particolari caratteristiche con scioltezza d'impiego per afferrare l'attimo fuggente propizio al successo.
Già prima della guerra mondiale, mentre le flotte erano essenzialmente costituite da navi di linea, si comprendeva che l'atmosfera di battaglia e la lunghezza dello schieramento di una forza navale numerosa avrebbero impedito ai comandante in capo l'apprezzamento della situazione dei singoli reparti, ossia avrebbero reso assai difficile di manovrare la linea per mezzo di segnali; perciò fu riconosciuta la necessità di organizzare una flotta in squadre e divisioni, consentendo ai reparti una certa autonomia. Dopo la guerra mondiale i mutamenti avvenuti nella costituzione delle flotte, l'incremento del naviglio leggiero e sottile hanno fatto riconoscere come l'organizzazione tattica debba consentire un'estrema elasticità. A questo scopo occorre fare il massimo assegnamento sulla comprensione reciproca, sull'affiatamento e sullo spirito d'iniziativa dei comandanti in sottordini. Ciò non diminuisce l'importanza della funzione direttiva del comandante in capo; la condotta generale dell'azione sarà conseguenza del modo con cui egli avrà saputo trasfondere nei dipendenti il suo spirito aggressivo, far intendere i suoi criterî, così da assicurarne l'attuazione anche quando i movimenti non possano essere da lui direttamente ordinati.
Azioni notturne al largo. - Piccole unità veloci possono durante la notte avvicinarsi di sorpresa alle grandi navi in modo da eseguire il lancio di siluro con buona speranza di successo e con poca probabililà di essere colpite dal tiro delle artiglierie. Principalmente allo scopo dell'attacco notturno in seguito all'invenzione del siluro furono costruite le prime torpediniere, che però, avendo piccole dimensioni, potevano agire soltanto in vicinanza delle loro basi. Per aumentare la velocità, l'armamento e l'autonomia si è verificata l'evoluzione del naviglio silurante di superficie compreso sotto la denominazione generica di "naviglio sottile"; le dimensioni delle siluranti d'alto mare sono cresciute in modo da ridurre notevolmente la capacità di realizzare la sorpresa notturna; tuttavia tale riduzione non si verifica al punto da escludere la possibilità di riuscita dell'attacco, quando le condizioni di luce siano favorevoli e l'attacco sia decisamente eseguito.
Sussiste quindi la probabilità che durante la notte si verifichino attacchi di siluranti contro navi maggiori (azioni di naviglio sottile e di sommergibili in emersione), nonché scontri fra naviglio sottile combattuti col siluro, col cannone ed eventualmente anche con l'urto. Sono invece improbabili scontri notturni fra navi maggiori; infatti i risultati di uno scontro, in cui dalle due parti fossero impegnati incrociatori e corazzate, sarebbero imprevedibili; perciò in generale le azioni notturne tra grandi navi saranno scontri fortuiti.
L'azione del naviglio sottile contro le navi maggiori avrà probabilità di successo qualora gruppi di unità sottili si trovino al tramonto in posizione favorevole per eseguire l'attacco al cadere della notte. Dopo un combattimento diurno, anche quando la rottura del contatto tra gli avversarî sia avvenuta diverse ore prima del tramonto, le circostanze favorevoli agli attacchi notturni potranno verificarsi qualora i movimenti del nemico siano vincolati da navi in avaria.
Gruppi di unità sottili e di sommergibili moventi da posizioni intermedie tra quella della forza navale nemica e i suoi probabili obiettivi, qualora non riescano ad arrivare al contatto al tramonto, potranno essere impiegati nel modo che sarà consentito dalle condizioni geografiche dello scacchiere delle operazioni, eseguendo crociere notturne nei passaggi ristretti o ricercando il nemico al largo nelle zone in cui si presume il suo movimento.
Il passaggio dalla notte al giorno offre condizioni di luce che dànno la possibilità di azioni di sorpresa, specialmente nel caso di una forza navale che si trovi a transitare all'alba in un passaggio ristretto (così nell'alba del 10 giugno 1918, in cui il comandante Rizzo con due MAS riuscì ad affondare la corazzata austriaca Szent Istvan nelle acque di Premuda). D'altra parte è da tener presente che l'alba determina una fase critica per i gruppi di naviglio sottile che dopo essersi frazionati per la ricerca notturna cerchino di riunirsi fra loro e alla forza navale a cui sono assegnati allo scopo di tenersi pronti all'azione diurna; da ciò si comprende come siano complesse e svariate le forme che può assumere il combattimento navale.
Attacchi in porto. - Lo sviluppo degli aerei e dei mezzi marittimi insidiosi mobili e fissi ha grandemente aumentato i rischi dei bombardamenti navali contro le coste. Le forze navali nelle basi e le navi mercantili ammassate nei porti principali saranno esposte ad essere attaccate, specialmente di notte, da velivoli e da mezzi navali di tipo speciale, aventi come requisiti l'invisibilità, la silenziosità del funzionamento e la possibilità di superare gli ostacoli disposti a difesa dei porti.
Oltre all'azione di piccoli mezzi navali potranno essere tentate azioni di sfondamento di ostruzioni galleggianti e d'imbottigliamento di passi ristretti impiegando navi opportunamente preparate. Coordinando l'azione dei mezzi aerei e di quelli navali di varia specie si potranno eseguire attacchi in grande stile.
Tattica aerea.
L'impiego dei mezzi aerei obbedisce ai principî fondamentali della tattica. Le particolarità dell'ambiente aereo e delle operazioni dell'arma aeronautica, alle quali corrispondono adatte specializzazioni d'impiego, determinano, tuttavia, aspetti caratteristici dell'azione bellica aerea, considerata come: azione di offesa dall'aria alla superficie, alla quale corrispondono le organizzazioni dell'aviazione da bombardamento e da assalto; azione di offesa e di difesa nell'aria, alla quale corrisponde l'organizzazione dell'aviazione da caccia; azione di esplorazione nell'aria e sulla superficie, esplicata dall'aviazione da ricognizione.
Le norme tattiche o d'impiego di queste singole specialità possono ricapitolarsi come segue:
Aviazione da bombardamento. - Destinata ad esercitare offesa a carattere distruttivo, di logoramento, d'interdizione, su obiettivi della superficie, svolge la sua azione tattica con la massa concentrata nel tempo o nello spazio, in modo da uniformarsi ai principî dell'economia delle forze, del rendimento, della sorpresa.
Tatticamente la massa si realizza con l'ordinato raggruppamento dei velivoli, destinati ad una determinata operazione, in formazioni di squadriglia, di gruppo, di stormo, aventi lo scopo di realizzare:1. il concentramento a scopo offensivo, ossia la migliore disposizione rispetto alle dimensioni del bersaglio da battere per ottenere: a) con la massima efficacia: l'attacco simultaneo dell'intera formazione, la manovra coordinata delle formazioni minori componenti la formazione d'attacco; b) facilità e rapidità nell'esecuzione delle manovre, necessarie ad aumentare o diminuire la fronte d'attacco, la profondità e la densità dell'offesa;
2. il concentramento dei mezzi a scopo difensivo, in modo da ottenere la migliore disposizione della massa dei velivoli impiegati agli effetti della difesa dall'attacco aereo nemico e del fuoco delle armi contraeree e inoltre la maggior facilità di esecuzione delle manovre necessarie a distanziare o serrare i velivoli nelle formazioni.
Circa le modalità dell'esecuzione del bombardamento, l'azione tattica si svolge con il lancio di proiettili (bombe) ad esplosivo, incendiarî o a gas.
L'azione normale tattica del bombardamento è quella che si svolge in volo orizzontale, in formazioni, con lancio collettivo di pattuglia o di squadriglia, su obiettivi di dimensioni apprezzabili, ad alta quota (oltre i 4000 m.), a media quota (tra i 2000 e i 4000 m.) e a bassa quota (dai 600-700 fino ai 2000 m.).
Circa la tattica del lancio delle bombe vengono osservate le modalità seguenti: lancio a proiettili isolati; lancio a salva (contemporaneo di due o più proiettili); lancio in serie (lancio successivo di singoli proiettili a intervalli determinati ed uguali in modo da assicurare la copertura di una determinata superficie); lancio a serie di salva (lancio successivo di due o più proiettili a intervalli determinati ed eguali, mediante il quale i vantaggi del tiro in serie sono aumentati dalla maggiore densità dei proiettili). Forme tattiche particolari o eccezionali del bombardamento sono: l'attacco a bersagli mobili dotati di rilevante velocità; l'attacco da quote minime (inferiori ai 600-700 m.); l'attacco in picchiata.
Aviazione da assalto. - Svolge la propria azione tattica con il bombardamento, il mitragliamento, e l'erogazione, utilizzando il volo rasente, cioè il volo effettuato alla più bassa quota possibile. Tale volo consente i seguenti vantaggi tattici: la sorpresa; la minor vulnerabilità nei riguardi della difesa aerea e contraerea; il maggior rendimento dell'offesa, determinato dalla minima dispersione del tiro di caduta.
Circa il bombardamento, l'aviazione da assalto opera con le modalità precedentemente esposte, ma con le limitazioni dovute alla minore profondità dell'azione e al minor calibro delle bombe trasportabili dagli apparecchi d'assalto. L'azione di mitragliamento contro bersagli animati va considerata sia come azione avente fine a sé stessa, sia allo scopo di disorganizzare difese contraeree. L'azione di erogazione consiste nella proiezione di speciali sostanze chimiche allo scopo di ottenere effetti d'intossicazione (nubi o spruzzamento di aggressivi chimici) o effetti di copertura di un bersaglio (cortine fumogene o nebbiogene). L'aviazione da assalto agisce anch'essa in formazione.
Aviazione da caccia. - È destinata a neutralizzare o a ostacolare ogni attività aerea nemica, e a proteggere l'attività dell'aeronautica amica; ha compiti tattici offensivi e difensivi che si risolvono tutti nel combattimento aereo, ossia nello scontro di nuclei o unità che si contendono lo spazio aereo. Tatticamente il combattimento si svolge attraverso le seguenti fasi: ricerca e avvistamento; avvicinamento; attacco; combattimento.
La tattica della specialità s'impernia sull'azione di massa per realizzare, dato il ridottissimo tempo del contatto balistico nel combattimento odierno, la massa di fuoco necessaria per ottenere risultati concreti. Pertanto anche l'aviazione da caccia agisce in formazioni, allo scopo: di entrare in combattimento in condizioni di poter svolgere l'attacco con ordine e disciplina agli ordini di un capo; di sostenere il combattimento con la manovra dei varî nuclei componenti le unità tattiche e di poter realizzare l'azione collettiva di fuoco.
Aviazione da ricognizione. - Può essere destinata ad agire o nel quadro delle operazioni terrestri o marittime, o nel quadro delle operazioni aeree. Nel primo caso la sua azione tattica si svolge sulla superficie terrestre o marittima, subordinatamente alle particolari esigenze tattiche delle unità terrestri o marittime; nel secondo essa agisce sulla superficie terrestre o marittima come elemento esplorante dell'armata aerea o delle unità operanti:
1. allo scopo di determinare: l'aggiornamento degli obiettivi di cui si conosce approssimativamente l'ubicazione, e la precisazione delle sue caratteristiche; la ricerca di obiettivi di cui si presume l'esistenza; il riconoscimento dell'organizzazione difensiva avversaria (difesa aerea e contraerea) e l'aggiornamento della situazione stessa; il rilevamento dello schieramento generale delle forze armate avversarie: aeree, di terra, di mare;
2. oppure, quando, per assicurare parallelamente all'azione esplorativa l'immediatezza d'intervento di altre forze aeree, si rende necessario far precedere unità da offesa, in movimento, da velivoli da esplorazione.
La tattica nell'aviazione da esplorazione non ammette l'impiego in formazione (massima unità è la coppia, due velivoli, specie per l'esplorazione sul mare). Essa si basa esclusivamente: nella ricognizione strategica sulla tempestività dell'esplorazione; nell'esplorazione tattica sulla tempestività dell'esplorazione e delle segnalazioni relative, e inoltre sulla continuità dell'esplorazione stessa.