TATTI, Francesco de
Fu figlio dell’orafo attivo a Varese Giovanni Antonio, scomparso nel 1515, e della sua seconda moglie Bartolomea Bossi, originaria di Azzate, di stirpe nobile, entrambi terziari francescani (Dallaj, 1998, p. 17; Bertoni, 2006-2007 [2007], p. 85; Cairati, 2011b, pp. 73 s., doc. 30 e 2011a, p. 51). I fratelli di Francesco, Benedetto (che dettò testamento nel 1569) e Gabriele, furono orafi e zecchieri come il padre (Cairati, 2011a, pp. 52, 62); forse minori di lui, visto che le ipotesi più recenti vedono Francesco precocemente attivo, sempre e soltanto come pittore, nel cantiere della Certosa di Pavia, nel 1495 circa (anche se la proposta non ha trovato seguito), e, più plausibilmente, in S. Maria delle Grazie a Bellinzona, nel 1505 circa (Romano, 2011, pp. 9-11; per una diversa ipotesi sulle nascite dei fratelli, cui va aggiunta una sorella, Maddalena: Dallaj, 2000, p. 266, nota 58; cfr. anche Cairati, 2011a, p. 62).
All’«orizzonte culturale» che ha visto maturare Francesco è stato accostato un vetro dipinto e dorato con l’Adorazione del Bambino, accompagnata da una serie di Santi cari al culto varesino, tra cui Vittore, oggi al Victoria & Albert Museum di Londra (inv. n. 2288-1855: Dallaj, 2000, pp. 264-266; Cairati, 2011a, p. 51, che la suppone del padre Giovanni Antonio, ma le derivazioni gaudenziane nell’Annunciazione alla base della struttura, con l’Angelo che riprende quello della Pinacoteca di Varallo, inv. n. 678, e quello in San Gaudenzio a Novara, spingono a crederla almeno del secondo decennio del Cinquecento). I Tatti furono imparentati con i Campanigo, famiglia dove spiccarono vari pittori, tra cui Martino Spanzotti, figlio di Pietro Campanigo (Agosti - Stoppa, 2018, pp. XII, XXXV, nota 15). Cugino di Martino fu il prozio di Francesco, Galdino Campanigo, noto come Galdino da Varese, che firmò alcuni affreschi nella cappella della Madonna del Latte in S. Stefano a Bizzozero, datati 1498 (Cairati, 2011a, p. 51).
A monte delle prime testimonianze sicure di Francesco, allo scadere del primo decennio del Cinquecento, si potrebbe collocare il «trittico» del Museo Bagatti Valsecchi a Milano (inv. n. 999; Giani, 2018, pp. 58-63), che forse può essere ricostruito nella sua forma originaria sottoponendogli un pezzo, di analoghe proporzioni e simile per apparato decorativo, noto solo a partire da una fotografia (Agosti - Stoppa, 2018, pp. XV, XVII, fig. XI). Giovanni Romano ha tentato pure di assegnargli il cartone di una vetrata ora al Museo civico medievale di Bologna (inv. n. 2798; da ultimo: ibid., p. XVI, fig. XII; ma anche, per eventuali contatti con il mondo delle vetrate, Romano, 2011, p. 13, nota 2).
Francesco dichiarò di appartenere a una delle famiglie nobili varesine, come risulta dalla sua prima attestazione: la firma apposta, nel 1512, sulla tabula ansata ai piedi della Madonna con il Bambino e angeli oggi al Musée des beaux-arts di Nancy (inv. n. 1075; Cairati, 2011b, p. 63, doc. 1; Id., 2011a, p. 51); la stessa discendenza è ribadita nel 1517, nel cartiglio del polittico di Bosto (infra). L’aspetto della città di Bellinzona antecedente al maggio 1515 è delineato sullo sfondo di un disegno, a matita nera e gessetto bianco, raffigurante la Madonna con il Bambino tra i ss. Rocco e Sebastiano (Venezia, Gallerie dell’Accademia, Gabinetto disegni e stampe, inv. n. 345), un foglio la cui cronologia sembra in realtà da spostare, per ragioni di stile, più avanti di almeno un lustro, forse due, dato il sentore raffaellesco (Allegri, 2018, pp. 36-39). Il disegno reca un’iscrizione antica «Franciscus da | Tactis de varissi | faciebat», che ha fatto da base alla ricostruzione del pittore, a partire dalla fuggevole menzione di Wilhelm Suida (1920, p. 265) tra i Provinzmaler che risentono di Leonardo, per confluire poi nella voce del Thieme-Becker (1938, non firmata), dove, insieme alla Madonna di Nancy, costituiva il corpus noto del pittore. Tra il 1512 e il 1515 vari documenti videro Tatti presente sul fronte varesino, in particolare per il versamento, insieme ai fratelli, di un affitto relativo a una vigna al capitolo di S. Vittore (Cairati, 2011b, pp. 63 s., docc. 3-6; Id., 2011a, pp. 51 s.). In questo momento si ha notizia di una Madonna realizzata dal pittore e della commissione di un’ancona di sette tavole, ricevuta dal prevosto di Varese Giovanni Guido Orrigoni (da ultimo: Cairati, 2011b, p. 63, doc. 2). In questo stesso frangente dovrebbero cadere gli affreschi riconosciuti da Anna Maria Ferrari (1992, pp. 107-111) già nell’oratorio di S. Bernardino a Gazzada, e ora nella locale parrocchiale, l’apice di bramantinismo del pittore (Giani, 2018, pp. 76-91).
Giovanni Romano (in Recuperi, 1975, p. 14) sciolse per primo le iniziali alla base del trittico nel santuario della Madonna della Neve a Domodossola in «F[ranciuscus] T[attus] P(inxit)»: la firma è preceduta dalla data 1516. Tra vari documenti varesini, dove Tatti figura come testimone in diversi atti, gli unici relativi a dipinti sono quelli che, a partire dal 18 febbraio 1516, vedono alcuni rappresentanti del Comune di Bosto, una castellania di Varese, stipulare patti con il pittore perché completi un’ancona per la chiesa di S. Michele, che aveva già iniziato a dipingere (il lascito con cui fu realizzata è del 20 dicembre 1515: Cairati, 2011b, pp. 64 s., doc. 7, pp. 66 s., doc. 11). Il polittico è firmato e datato 1517 e, dopo essere stato descritto con entusiasmo dalla guidistica locale, approdò a fine Ottocento a Santiago del Cile, dove restò un secolo prima di tornare in Europa, per essere finalmente riconosciuto come opera di Tatti e infine acquistato, nel 1972, dal Castello Sforzesco di Milano: nello sfondo della Crocifissione del registro superiore s’identificava una testimonianza della distrutta torre del Filarete (inv. n. 1428/1-7; Renzi, 2018, pp. 40-45). Di lì a poco Giovanni Romano (in Recuperi, 1975, pp. 12-15) riannodò i fili della vicenda, recuperando la provenienza ottocentesca da Bosto. È stato merito della Ferrari (1992, p. 115) di individuare i prelievi letterali, nella predella, da invenzioni di Spanzotti.
Dalla considerevole mole di documenti varesini della seconda metà del secondo decennio del Cinquecento che riguardano Tatti emerge pure il nome di un apprendista, preso a bottega per cinque anni, dal 9 ottobre 1518: Girolamo Carentani, fratello del più noto maestro di legname Andrea (da ultimo Cairati, 2011b, pp. 72 s., doc. 29; Id., 2011a, p. 56). A Tatti spetta pure, in questo giro d’anni, l’insegna del Monte di Pietà di Milano, con un Cristo nel sepolcro (Collezione UBI Banca, inv. n. 5736.BKI), che dichiara una diretta dipendenza dai modelli di Bernardo Zenale, e costituisce finora il suo unico affondo noto nella capitale del Ducato (Allegri, 2018, pp. 64-67), a meno che non siano suoi i frammentari affreschi con Storie della Passione e un Cristo in pietà nella cappella di S. Aquilino in S. Lorenzo.
Nel 1519 Francesco datò (ma l’iscrizione non è più presente) un’ancona per S. Maria Annunciata a Brunello: doveva inquadrare una Madonna del latte su muro – un’immagine devozionale rimaneggiata dallo stesso Tatti, che vi appose la data 1520 –, ora separata dal resto del polittico. Sul polittico ricorre più volte il bue, simbolo araldico dei Bossi di Azzate, cui apparteneva la madre di Francesco, che sarebbero stati, però, signori di Brunello solo dal 1538. Oltre a una letterale ripresa dalla stampa di Marco Dente con l’Annunciazione, tratta da un’invenzione di Raffaello (per cui il polittico di Brunello fornisce un prezioso ante quem: Tatti la usa anche nello scomparto di una predella ora al Poldi Pezzoli, inv. n. 1631), si avverte uno spiccato leonardismo nelle figure laterali con S. Rocco e S. Sebastiano, facendo registrare un palese aggiornamento sulla maniera moderna da parte del pittore (Giani, 2018, pp. 92-101).
Per tutto il 1519 ricorsero ancora i pagamenti per il polittico di Bosto (Cairati, 2011b, pp. 75, 76 s., 79, docc. 33, 35, 36, 41-42), insieme a una serie di documenti non rilevanti dal punto di vista storico-artistico. Bisogna aspettare il 1526, il 12 marzo, perché si abbia testimonianza di un altro garzone, Bernardino de Cochis, preso a bottega per quattro anni (pp. 85 s., doc. 58). Al 13 giugno di quell’anno risale il primo pagamento noto per un’ancona realizzata per la comunità di Rancate, da collocare nell’antica chiesa di S. Stefano. Si tratta di una complessa macchina additata ancora come modello nel 1563, insieme al polittico Torriani di Bernardino Luini nella vicina Mendrisio, per un’opera di forma analoga destinata alla chiesa servita di S. Giovanni a Mendrisio. Il polittico, disperso nel 1796, è stato ipoteticamente ricostruito di recente, seguendo le antiche descrizioni: al centro poteva esserci la Madonna con il Bambino di Berlino (inv. n. 1181) – ripresa da una stampa di Marcantonio Raimondi da Raffaello raffigurante la Sacra Famiglia –, ai lati S. Stefano e S. Lorenzo, oggi alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano (inv. nn. 1176-1177: Agosti - Stoppa, 2018, pp. XXXIII, XXXIV; Agosti, 2018, pp. 26-33). Mancano all’appello tutto il registro superiore, con al centro una Crocifissione, e i due elementi laterali della predella, con Storie di S. Stefano, mentre quello centrale, con S. Stefano davanti ai giudici del Sinedrio, è approdato nel 2017 alla Pinacoteca Züst di Rancate (inv. n. Pz.525). Il passaggio di quest’ultimo nella collezione del conte Giacomo Sannazari della Ripa, insieme agli altri due dispersi, permette di ipotizzare che anche i due Santi dell’Ambrosiana, che non hanno una storia collezionistica nota, e la perduta Crocifissione siano transitati per la stessa prestigiosa collezione, dove sono attestati dipinti con questi soggetti (De Cecilia, 2017-2018, pp. 40, 91, 93 s., 97 s.). Nello stesso 1526, il 29 settembre, si ha notizia di riscossioni di denaro per il pittore a Busto Arsizio (Cairati, 2011b, p. 86, doc. 61; forse anche nel luglio 1528: Id., 2011a, p. 57): è stato ipotizzato che siano relative a un intervento nelle figure di Profeti e Sibille nella volta di S. Maria di Piazza (Agosti - Stoppa - Tanzi, 2011, pp. 29-31). A Carabietta, a pochi chilometri da Rancate, si trova una Crocifissione ripresa dallo stesso cartone di quella a Gazzada (Agosti - Stoppa, 2018, p. XVI); ancora nel 1527, l’11 febbraio, Tatti ricevette il saldo dell’ancona di Rancate (Cairati, 2011b, pp. 87 s., doc. 63). A rinforzare la testimonianza dei rapporti di Francesco con le terre ticinesi è anche la notizia che il fratello Benedetto, nel 1529, abitava a Bellinzona (p. 88, doc. 65; per i legami, secolari, della famiglia con i territori del Cantone: Chiesi, 2012, p. 371). Al tratto più avanzato della carriera dell’artista dovrebbero risalire pure gli interventi ad affresco nel santuario di S. Maria alla Fontana a Venegono Superiore (Dimori, 2007).
L’ultima notizia è del 29 settembre 1530, quando Francesco è descritto come «vegio»; risulta già morto il 13 gennaio 1532 (Cairati, 2011b, pp. 88 s., docc. 66-67). Il linguaggio di Tatti non è stato privo di seguito nella produzione pittorica del Varesotto (Id., 2011a, p. 57).
T., F., in U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXXII, Leipzig 1938, p. 465; Recuperi e nuove acquisizioni (catal.), Torino 1975, passim; A.M. Ferrari, Per F. de T. e la pittura del primo Cinquecento nel territorio di Varese, in Arte cristiana, n.s., LXXX (1992), pp. 107-122; A. Dallaj, Una vigna per il polittico di Bosto, in Tracce, n.s., XVIII (1998), 19, pp. 17-24; Ead., Aspetti della produzione figurativa per le Confraternite di S. Giuseppe nel Ducato di Milano agli inizi del Cinquecento, in Il pubblico dei santi. Forme e livelli di ricezione dei messaggi agiografici. Atti del III Convegno di studio… Verona 1998, a cura di P. Golinelli, Roma 2000, pp. 251-283; A. Bertoni, Novità su F. de T. e altre botteghe di artisti presenti in Varese al principio del XVI secolo, in Rivista della Società Storica Varesina, XXIV (2006-2007 [2007]), pp. 77-136; S. Dimori, Gli affreschi, in Il Santuario di Santa Maria alla Fontana in Venegono Superiore, Venegono 2007, pp. 109-124; G. Agosti - J. Stoppa - M. Tanzi, Dopo Rancate, intorno a Varese, in F. de T. e altre storie, a cura di G. Agosti - J. Stoppa - M. Tanzi, Milano 2011, pp. 15-49; C. Cairati, F. de T. nei documenti, ibid., 2011a, pp. 51-62; Id., Documenti, ibid., 2011b, pp. 63-89; G. Romano, Per F. de T., ibid., Milano 2011, pp. 9-13; Dizionario storico della Svizzera, XII, Locarno 2012 (in partic. nota a cura di G. Chiesi, p. 371); I. De Cecilia, Ricerche sulla collezione del conte Giacomo Sannazzari della Ripa (1756-1804), tesi di specializzazione, Università degli Studi di Milano, facoltà di Studi umanistici, a.a. 2017-2018 (relatore: prof. G. Agosti); Il Rinascimento nelle terre ticinesi 2. Dal territorio al museo (catal., 2018-2019), a cura di G. Agosti - J. Stoppa, Bellinzona 2018 (in partic.: G. Agosti, Scheda n. 1, pp. 26-33; G. Agosti - J. Stoppa, Tenere botta, pp. I-XXXVII; A. Allegri, Scheda n. 2, pp. 36-39; Id., Scheda n. 12, pp. 64-67; F.M. Giani, Schede nn. 9-11, pp. 58-63; Id., Schede nn. 14-17, pp. 76-91; Id., Scheda n. 18, pp. 92-101; G. Renzi, Scheda n. 3, pp. 40-45).