TARTARUGHE
. Con i nomi di tartarughe e di testuggini (fr. tortues; sp. tortugas, galápagos, ted. Schildkröten; ingl. tortoises, turtles) si designa un ordine della classe dei Rettili (v.), scientificamente chiamato Chelonî (lat. sc. Chelonia [dal greco χελώνη], sinon. Testudinata). Le tartarughe sono marine; le testuggini, invece, sono terragnole e d'acqua dolce.
Viene qui trattato complessivamente l'ordine dei Chelonî.
Caratteri generali. - Rettili terragnoli o acquatici; corpo assai accorciato e rinchiuso in una robusta scatola (theca) o guscio formato da piastre ossee, costituito da una porzione dorsale detta scudo e da una ventrale chiamata piastrone, le quali lasciano libere un'apertura anteriore da cui fuoriescono il capo e gli arti anteriori, e un'apertura posteriore da cui fuoriescono gli arti posteriori e la coda. Scheletro facciale solidamente saldato al cranio; palato separante la cavità boccale dalle fosse nasali; mascelle prive di denti, a eccezione di qualche genere fossile arcaico, ma ricoperte di un astuccio corneo o becco. Vertebre e coste della regione toracica (nella quasi totalità dei casi) saldate insieme e con lo scudo alla cui formazione cooperano largamente; mancanza di sterno; cingolo pelvico in contatto con le piastre costali. Guscio ricoperto o no di piastre cornee. Arti pentadattili sia atti all'ambulazione terrestre sia trasformati in pale per la natazione. Apertura cloacale longitudinale o circolare; organo copulatore presente, impari. Ovipari.
I Chelonî rimontano al Triassico ed ebbero il loro massimo sviluppo fra la fine del Mesozoico e i primi periodi del Terziario; oggi sono assai meno numerosi. Vengono suddivisi in numerose famiglie ripartite in cinque sottordini, delle quali alcune esclusivamente fossili, altre fossili e viventi. I Chelonî sono cosmopoliti, mancano tuttavia nelle regioni molto fredde. Le forme viventi più note sono Testudo, terragnola; Emys, d'acqua dolce; Chelone, marina.
Morfologia esterna. - I Chelonî presentano rispetto alla forma generale del corpo una conformazione abbastanza uniforme, in quanto ciò che ne determina e fissa le caratteristiche fondamentali morfologiche e strutturali è la presenza della scatola ossea che ne circonda il tronco; tuttavia vi sono differenze assai profonde tra famiglia e famiglia. Il corpo è accorciato, massiccio, la scatola ossea è in genere molto robusta, solidissima; in qualche specie è tuttavia meno robusta e meno resistente. Così mentre il piastrone ê quasi sempre piatto, lo scudo può essere pianeggiante, poco convesso o invece fortemente convesso e quasi globoso; le piastre cornee sono nella maggior parte dei casi connesse insieme come a musaico, in altri pochi sono embricate con uno dei margini libero e sovrapposto al margine della piastra susseguente. La testa è breve e globosa, il muso è caratteristico in quanto porta un forte becco corneo; il capo è ricoperto da un tegumento per lo più con piastre cornee, il collo è più o meno lungo e ha la pelle morbida, nella maggioranza delle specie è retrattile, di modo che il capo viene a essere ritirato dentro o sotto il guscio. Il meccanismo di retrazione del capo è differente nei varî gruppi, vale a dire o il collo si ritrae in un piano verticale ripiegandosi a S (Cryptodiri) oppure invece si piega di lato (Pleudodiri); in poche specie (famiglia Dermochelydae) il capo e il collo non sono retrattili. Gli arti sono costituiti secondo il tipico piano pentadattilo; nelle specie terragnole e in quelle d'acqua dolce le dita sono terminate da unghie, e vi può essere una più o meno estesa palmatura interdigitale; nelle specie marine gli arti sono trasformati in pale per la natazione e soprattutto gli arti anteriori assumono un grande sviluppo e sono molto lunghi. Nella maggior parte delle specie gli arti sono retrattili e possono essere nascosti entro e sotto il guscio; la coda è in generale breve, conica, può essere retrattile o no.
Anatomia. - La presenza del guscio osseo induce in tutta l'organizzazione dell'animale e particolarmente nello scheletro, nei sistemi muscolare e respiratorio alcune profonde modificazioni che sono tipiche ed esclusive dei Chelonî. Il guscio è costituito di due porzioni, una dorsale detta scudo (o carapace) e una ventrale detta piastrone, riunite insieme sui lati da un ponte osseo più o meno esteso a seconda delle specie. Questo guscio, ad eccezione della famiglia Dermochelydae (detti anche Atheca) risulta di un certo numero di piastre ossee che si originano nel derma e che entrano successivamente in contatto con lo scheletro assile. Il piastrone è formato da quattro paia di piastre disposte simmetricamente e da una piastra impari anteriore, complessivamente nove, e precisamente entoplastron impari, epiplastron, hyoplastron, hypoplastron, xiphiplastron tutti pari, queste piastre sono state omologate sia in parte ad elementi del cingolo scapolare di altri Rettili (entoplastron = interclavicola, epiplastron = clavicola) sia alle cosiddette coste addominali dei Coccodrilli e dei Prosauri; nessuna di queste piastre prende connessione con parti dello scheletro interno. Nelle forme giovani di tutti i Chelonî e anche negli adulti di alcune famiglie esistono, fra le piastre, alcune fontanelle che nel primo caso vengono poi colmate. L'hyoplastron e l'hypoplastron sono connessi sui lati con le piastre marginali dello scudo e la congiunzione è chiamata ponte. Di norma la saldatura tanto delle piastre fra loro, quanto di queste ultime con lo scudo è perfetta e non concede alcuna mobilità, tuttavia in alcune specie l'unione fra scudo e piastrone è meno intima, e vi può essere una certa mobilità (es. Emys); così parimenti la saldatura fra le piastre costituenti il piastrone può non essere completa in guisa che sussiste una certa mobilità di una sezione del piastrone su un'altra.
Lo scudo è composto di una serie mediana di piastre, di due serie laterali: una destra e una sinistra, e di una serie marginale che circonda lo scudo; la serie mediana è formata da una larga piastra nucale, da otto piastre neurali e da una a tre piastre sopracaudali: queste piastre internamente si saldano con le apofisi spinose delle sottostanti vertebre. La piastra nucale presenta, a seconda delle specie, una maggiore o minore estensione e particolari caratteristiche, mentre le piastre caudali hanno perduto le loro connessioni con le corrispondenti vertebre caudali. Così anche le piastre neurali possono subire alcune modificazioni sia di forma sia di numero. Le piastre laterali sono anch'esse di origine dermica, ma molto precocemente vengono in contatto con le sottostanti cartilagini costali che con i loro apici distali raggiungono le piastre marginali. Le cartilagini costali per il progressivo svilupparsi delle piastre dermiche vengono da queste incluse; non si ossificano ma vanno invece incontro a un processo di calcificazione, infine sono quasi del tutto riassorbite e sostituite dall'osso dermico che le include lasciandone però qualche traccia mentre della primitiva costa non permane che la porzione prossimale: la testa connessa con la vertebra. Il numero delle piastre laterali è pressoché costante: otto per lato; però in alcune specie fossili erano in numero un poco maggiore. Le piastre marginali sono simmetriche e in genere sono undici paia, la pigidiale, che è la mediana posteriore impari, è probabilmente di origine doppia. Come ha luogo nel piastrone, anche nello scudo in certi casi fra le piastre marginali e le laterali permangono alcune fenestrature che sono più o meno ampie a seconda dei casi. Questa è la costituzione tipica dello scudo, che però può presentare notevoli variazioni: vi può essere una riduzione del numero delle piastre, come nei Trionychidae, oppure l'ossificazione può essere assai limitata, o anche vi può essere una certa mobilità fra alcune parti dello scudo (es. Cinyxis). Una condizione specialissima presentano i Dermochelydae in cui le due metà dorsale e ventrale del guscio si continuano sui lati senza una netta demarcazione, e il guscio risulta composto di molte centinaia di piccole piastre ossee, irregolamiente poligonali, accostate l'una all'altra come in un musaico; alcune di queste piastre sono più elevate e formano con il loro susseguirsi in serie lineari altrettanti cordoni o creste rilevati. Esternamente il guscio, a eccezione di alcune poche forme (Dermochelydae, Trionychidae, Carettochelydae), è rivestito da un invoglio di scaglie epidermiche cornee; queste scaglie non corrispondono esattamente, per numero e per posizione, alle sottostanti piastre ossee e anzi i loro margini di congiunzione non sono mai sovrapposti ai margini di congiunzione delle piastre ossee. Sullo scudo vi è una serie di scaglie mediane (generalmente una nucale e cinque neurali), due serie simmetriche, destra e sinistra (generalmente quattro per lato), di scaglie costali e due serie, destra e sinistra (generalmente dodici per lato), di scaglie marginali di cui le due mediane posteriori frequentemente si saldano a formare un'unica impari pigidiale. Sul piastrone tipicamente stanno tredici o quattordici scaglie, metà a destra e metà a sinistra, la più rostrale è unica o doppia; in alcuni casi, in corrispondenza del ponte vi possono essere altre scaglie aggiuntive dette inframarginali, eccezionalmente vi possono essere anche scaglie sopramarginali. Una caratteristica tipica di queste scaglie è rappresentata dal fatto che esse mostrano una serie di striature concentriche e che hanno notevole importanza in quanto ogni anellatura corrisponde grossolanamente a un anno di vita dell'animale; giacché col crescere della mole di esso le scaglie aumentano in superficie con un accrescimento concentrico periferico.
Il tegumento sul restante del corpo è più o meno sottile a seconda delle regioni e della specie, in alcune sul capo e sugli arti si formano scaglie cornee, che possono portare spine, e formazioni varie; vi possono essere anche piccole piastre ossee dermiche.
Lo scheletro risente nella sua architettura in maniera notevolissima della presenza del guscio osseo, e presenta di conseguenza modificazioni essenziali. Il cranio è molto solido e robusto e nelle grandi linee è assai simile a quello dei Rincocefali e dei Coccodrilli. Prescindendo dalla forma, dalla presenza o dall'assenza di particolari ossa, le caratteristiche più tipiche sono date dall'estensione del palato e delle fosse nasali, dall'intima fusione dello scheletro facciale con il cranio, dalla forma delle arcate mascellari. Il palato è ben individualizzato e le aperture delle coane sono spinte fra i palatini; il vomere, impari, forma il setto che divide nettamente le coane, le ossa della vòlta cranica sono di norma ampiamente sviluppate; in alcuni generi, squamoso, paraquadrato (quadrato-jugale), jugale, sopratemporale, postfrontale e postorbitario si riuniscono in maniera da formare un'unica larga lamina che copre l'ampia fossa temporale, in altri generi invece la fossa temporale è ampiamente aperta e manca l'arcata temporale; il quadrato è solidamente saldato con il cranio, le arcate mascellari sono molto robuste a margini assottigliati, e sono prive di denti (ad eccezione del genere Triassochelys); la regione occipitale è generalmente protesa in addietro a formare un robusto sperone osseo, l'apparato ioideo è molto sviluppato con alcune caratteristiche proprie. La colonna vertebrale è costituita da vertebre che sono a seconda delle regioni, procele, opistocele, anficele o biconvesse; tracce di corda permangono a lungo nel mezzo dei centri. Le vertebre cervicali sono tipicamente in tutti i Chelonî in numero di otto e sono mobili le une sulle altre, non portano coste, e al massimo qualche vestigio di esse sotto forma di piccoli noduli ossei. Le prime due vertebre cervicali, atlante ed epistrofeo presentano condizioni peculiari, in quanto le parti costitutive di ciascuna di esse possono o saldarsi insieme o invece rimanere distinte e semplicemente connesse. Le vertebre dorsali sono otto e immobili le une sulle altre, e con le loro apofisi spinose si legano con le piastre dello scudo. Le coste, come è già stato descritto, vengono inglobate nella scatola ossea per cui ne rimane individualizzata la sola porzione prossimale che si articola con le vertebre mediante una sola articolazione e sono perciò prive di porzione tubercolata. Le vertebre sacrali sono due, presentano coste più o meno sviluppate e sono più o meno distintamente connesse con il cingolo pelvico. Le vertebre coccigee sono spesso voluminose e numerose, le prime portano coste, e complessivamente mostrano caratteri similari a quelli delle vertebre caudali dei Coccodrilli. Il cingolo scapolare risulta costituito da un'esile scapola, da un robusto coracoide e da un procoracoide (da alcuni autori invece interpretato anziché come procoracoide come processo acromiale molto sviluppato), quest'ultimo connesso intimamente con la scapola a formare un unico osso; mancano le clavicole alle quali si ritiene corrispondano gli epiplastra del piastrone; l'estremità del procoracoide è connessa mediante un legamento con il coracoide che porta anche un epicoracoide cartilagineo; mancando lo sterno manca ogni connessione fra cingolo e scheletro del tronco. Il bacino è robusto; sono presenti ischio, ileo e pube che confluiscono a formare l'acetabolo; l'ileo è connesso con una o con entrambe le vertebre sacrali, ma oltre a questa vi è un'altra connessione con le corrispondenti piastre costali, anzi quest'ultima acquista maggiore importanza, così che spesso la connessione con le vertebre sacrali diviene nulla o di scarsissima importanza; ischio e pube sono riuniti alla loro estremità distale da un ponte cartilagineo od osseo in guisa che ne risulta un foro otturatorio; entrambi formano una sinfisi ventrale; in alcune famiglie (Pleurodiri) l'estremità degli ilei e quelle dei processi laterali del pube sono solidamente anchilosati con le ultime piastre costali e con il piastrone. Gli arti sono tipicamente pentadattili, e la composizione del carpo e del tarso presenta tutti gli elementi tipici primitivi costituiti; anche nelle forme marine in cui l'arto è trasfomiato in natatoia, gli elementi ossei conservano la loro individualità. Il numero delle falangi nelle diverse dita varia notevolmente; al massimo si hanno tre falangi come ha luogo nelle tre dita mediane, il pollice e l'alluce ne hanno due, il quinto dito può averne tre, due, una o nessuna.
Il sistema muscolare in dipendenza della presenza del guscio presenta profonde modificazioni; la muscolatura toracica è pressoché del tutto scomparsa, sviluppata è invece quella degli arti e del collo soprattutto nelle specie in cui queste parti sono retrattili.
Il sistema nervoso è costituito secondo il piano rettiliano: l'occhio è piccolo, con pupilla rotonda; nello spessore della sclerotica vi sono numerose piccole placche ossee, vi è oltre alle due palpebre anche una terza palpebra, sono anche presenti ghiandole lacrimali e ghiandole di Harder: l'udito non sembra molto acuto, non vi è condotto uditivo esterno, la membrana del timpano in alcune specie affiora alla superficie del capo, in altre è coperta di pelle; assai fini sono i sensi dell'olfatto e del tatto.
Il canale digerente non offre che poche particolarità; la lingua è molle e non protrattile, la mucosa dell'esofago è fornita di un grandissimo numero di robuste e sporgenti papille cornee; lo stomaco ad eccezione del genere Dermochelys è semplice, il cieco generalmente manca, ma è presente in alcune specie (Testudo, ecc.).
La cloaca è molto ampia e presenta in molte testuggini acquatiche due tasche laterali a pareti sottili, che durante la natazione vengono riempite di acqua e funzionano come organi respiratorî sussidiarî.
L'apparato respiratorio presenta caratteristiche molto importanti, i polmoni sono molto complicati, spugnosi, così da rassomigliare assai a un polmone parenchimatoso, poiché non vi è mobilità della gabbia toracica e quindi non vi è possibilità di un tipico movimento respiratorio come ha luogo in tutti gli altri tetrapodi, così a questo supplisce in parte il movimento del collo e degli arti che si comportano come i pistoni di uno stantuffo, e in parte la costituzione dell'apparato ioideo che permette un'ampia dilatazione della faringe e quindi favorisce l'inghiottimento di grande quantità di aria che viene spinta nei polmoni. Come ausiliarî stanno i sacchi cloacali sopra ricordati e una ricca vascolarizzazione faringea. Molte testuggini acquatiche possono restare sott'acqua per un tempo molto lungo. Il sistema circolatorio è del perfetto tipo rettiliano, con cuore a tre cavità.
Nulla di particolare presenta l'apparato uro-genitale, la cloaca ha apertura circolare o longitudinale; nei maschi vi è un organo copulatore impari. Le uova sono voluminose, ricche di vitello, e generalmente sono ovali o sferiche, sono racchiuse in un guscio che in alcune specie è papiraceo, in altre invece è duro e di aspetto porcellanoso.
In generale i Chelonî hanno colorazioni brune o verdastre e la faccia inferiore è più chiara della superiore con prevalenza di tinte gialle; alcune specie presentano sullo scudo macchiettature a forma di macchia o di strie più chiare o anche a colori più vivaci del fondo, talvolta di grande eleganza.
Riproduzione. - Ha sempre luogo l'accoppiamento e dopo la fecondazione la femmina scava nel terreno alcune buche in cui depone le uova, che vengono poi ricoperte con terriccio o con sabbia; il numero delle uova deposte varia a seconda delle specie da una dozzina fino a un centinaio. I piccoli nascono perfettamente conformati, ma con il guscio alquanto molle, e specialmente in questo tempo sono preda degli uccelli, dei pesci e di altri animali; nelle specie acquatiche i piccoli si portano al più presto in acqua. La corazza non raggiunge la sua durezza definitiva se non dopo parecchi anni, e in certi casi la corazza è di una grandissima resistenza.
Le testuggini sono molto longeve e crescono di mole assai lentamente, alcune specie raggiungono dimensioni gigantesche come è il caso delle testuggini delle isole Galápagos e delle isole Aldabra.
Etologia. - Le testuggini vivono sia in mare, sia nell'acqua dolce, sia sul terreno. Le specie marine stanno costantemente in acqua e vanno a terra soltanto all'epoca della riproduzione. Le specie che vivono nelle acque dolci (paludi, piccoli e grandi rivi) stanno preferibilmente nell'acqua ma possono vivere bene sulla terra, dove vengono per la deposizione delle uova. Le specie terragnole vivono sia nei luoghi umidi sia anche in regioni secche, non disdegnano però anche l'acqua; passano il periodo invernale in letargo. L' alimentazione delle testuggini è esclusivamente vegetale per alcune specie, esclusivamente animale per altre, mista infine per altre ancora. Le testuggini terrestri sono tipicamente erbivore; le palustri sono tipicamente carnivore e si nutrono di molluschi, vermi, pesci; le marine mangiano sia alghe sia anche animali pelagici.
Le testuggini marine vengono cacciate in grande quantità in conseguenza soprattutto dell'uso industriale che si fa del loro guscio, le cui piastre cornee vengono lavorate in varia maniera per formare numerosi oggetti di lusso.
Sistematica. - Distribuzione geografica. - I Chelonî appaiono nel Trias e si continuano attraverso alle varie epoche geologiche fino ai nosiri giorni. Per quanto alcune delle forme fossili più antiche presentino caratteri di primitività, tuttavia le differenze fra le forme più antiche e quelle recenti sono relativamente piccole, e già fin dal loro apparire i Chelonî si mostrano come un gruppo di Rettili perfettamente individualizzato, tanto che non è possibile riallacciarli con sicurezza ad alcun altro ordine fossile o vivente.
Da tutti gli autori i Chelonî vengono considerati come un ordine di Rettili bene individualizzato, al quale viene a seconda dell'ordinamento accettato per i Rettili, attribuito il valore di sottoclasse, di superordine o di ordine ma che nulla di meno è sempre considerato come gruppo completamente ben distinto e ben circoscritto. S.W. Williston nella sua recente osteologia dei Rettili stabilisce una prima sottoclasse, quella degli Anapsida in cui comprende i Cotylosauria, Eunotosauria e Testudinata. La classificazione dei Chelonî è stata ripetutamente rimaneggiata in dipendenza soprattutto dei continui nuovi dati che derivano dallo studio delle forme fossili.
Abitualmente si dividono i Chelonia nei due sottordini: Atheca e Thecophora, a seconda della costituzione del guscio; gli Atheca comprendono le sole Dermochelys (Sphargis), i Thecophora tutti i restanti Chelonî; tale ordinamento è seguito da G.A. Boulenger, H. Gadow e molti altri; però recentemente F. Broili, tenendo conto soprattutto delle forme fossili, non accoglie più questa prima divisione, ma invece segue un diverso ordinamento. Più recentemente ancora (1929) W.A. Lindholm ha proposto una nuova classificazione dei Chelonî, limitatamente però alle sole specie viventi, e che si discosta alquanto da quella del Broili, la quale viene qui seguita, in quanto tiene conto anche delle forme fossili.
Secondo dunque la classificazione del Broili, l'ordine Chelonia va diviso ín cinque sottordini, ciascuno suddiviso in un certo numero di famiglie. I caratteri distintivi sono desunti prevalentemente dalla forma delle piastre ossee, dalla presenza o assenza di scaglie cornee, dalla forma delle vertebre o di altre parti scheletriche, dal modo con cui si compie la retrazione del collo.
I sottordini e le famiglie sono i seguenti:
1. sottordine Amphichelidia, esclusivamente fossili del Triassico fino forse al Miocenico, trovati in Europa e America Settentrionale; per i loro caratteri più arcaici sono ritenuti come forme primitive, la suddivisione in famiglie, forse quattro, è ancora molto incerta; es. gen. Proganochelys, Triassochelys del Triassico superiore d'Europa e del Cretacico superiore dell'America Settentrionale.
2. Sottordine Pleurodira, già fossili nel Giurassico e tuttora viventi, capo e collo ripiegabili di lato, scudo e piastrone solidamente ossificati, presenza di scaglie cornee, vertebre cervicali con robusti processi trasversi, bacino anchilosato con lo scudo e generalmente anche con il piastrone; suddiviso in quattro famiglie: a) Pelomedusidae, capo e collo completamente nascondibili nel guscio; fossili del Cretacico, le forme viventi sono circoscritte esclusivamente all'Africa, Madagascar e all'America Meridionale: es. gen. Sternothaerus dell'Africa equatoriale e del Madagascar, e fossile del Miocenico inferiore dell'Egitto, Pelomedusa dell'Africa e Madagascar e pure fossile del Miocenico inferiore dell'Egitto, Podocnemis dell'America Meridionale e del Madagascar e fossile del Miocenico inferiore dell'Inghilterra, del Paleocenico del Congo, ecc. Sono tutte forme d'acqua dolce, presentano un guscio molto appiattito e le loro uova, specialmente quelle di Podocnemis, sono molto ricercate dagl'indigeni perché commestibili, o perché se ne può estrarre un olio usato per ardere o per cuocere le vivande; Stereogenys fossile del Miocenico e Oligocenico dell'Egitto; Bothremys, Ambleypeza, ecc., tutti fossili del Cretacico superiore dell'America Settentrionale e che potrebbero forse per i loro caratteri costituire una famiglia a parte. b) Chelydae (= Chelydidae, Boulenger), capo e collo non completamente nascondibili sotto lo scudo, fossili dell'Eocenico dell'India e viventi esclusivamente nell'America Meridionale, in Australia e Nuova Guinea, sono tutte d'acqua dolce con scudo per lo più appiattito non molto convesso. Circa una decina di generi viventi: es. gen. Chelys con la sola specie Ch. fimbriata dei fiumi delle Guiane e del Brasile settentrionale. Questa testuggine, chiamata dagli indigeni matamata, presenta alcune tipiche caratteristiche e più precisamente ha il muso prolungato in un lungo e molle tubo al cui apice stanno le narici, mostra sui lati del capo e del collo la pelle protesa a formare come delle fimbrie e delle formazioni molli fimbriate, mentre le scaglie dello scudo, che può raggiungere i 40 centimetri di lunghezza, sono rilevate a piramide; Chelodina delle acque dolci dell'Australia e Nuova Guinea, con poche specie fra le quali Ch. longicollis dell'Australia caratterizzata da una piccola testa e da un lungo collo e parecchie specie fossili del Pleistocenico, Hydraspis dell'America Meridionale, ecc.; c) Miolanidae con il solo genere Miolanis esclusivamente fossile di grandi dimensioni del Pleistocenico di Australia e del Cretacico della Patagonia; d) Plesiochelydae, esclusivamente fossile del Giurassico superiore al Cretacico inferiore, es. gen. Tholemys del Giurassico dell'Inghilterra, ecc.
3. Sottordine Cryptodira già fossili del Giurassico superiore e viventi. Capo e collo retrattile, la retrazione compientesi a S in un piano verticale, scudo e piastrone più o meno totalmente ossificati, presenza di scaglie cornee, vertebre cervicali senza o con brevissimi apofisi trasverse; bacino non connesso con il piastrone, acquatiche, o terragnole; suddiviso in tre famiglie: a) Thalassemydidae, esclusivamente fossili del Giurassico fino al Cretacico, forme che per alcuni loro caratteri si avvicinano ai viventi Chelonidae marini e Emydidae d'acqua dolce, caratterizzate soprattutto da un'assai estesa copertura delle fosse temporali, es., gen. Eurysternum del Giurassico superiore della Svizzera e dell'Inghilterra, Tropidemys del Giurassico superiore d'Europa, Desmemus del Waldeano della Vestfalia, ecc.; b) Chelydridae: piastrone piccolo a forma di croce, piastra nucale con appendici costiformi, fossili già del Giurassico e viventi. Due soli generi viventi e assai vicini: Chelydra e Macroclemmys entrambe dell'America Settentrionale e alcuni generi fossili Tretostermium del Waldeano dell'Inghilterra e del Belgio, Gafsachelys dell'Eocenico di Tunisi, ecc. La specie più nota è Ch. serpentina che vive negli stagni e nei fiumi dell'America Settentrionale e che è caratterizzata da un robusto becco uncinato e da un'assai lunga coda. c.) Testudinidae, piastrone di norma grande e largamente saldato con lo scudo, piastra nucale senza appendici costiformi, fossili dell'Eocenico e viventi. È la famiglia più numerosa con forme sia acquatiche sia terragnole. È costituita da una ventina di generi sparsi in tutte le regioni del globo a eccezione dell'Australia e della Papuasia: es. gen. Chrysemys dell'America Settentrionale e Meridionale, dove vive nelle acque dolci, presenta lo scudo poco globoso e parecchie specie mostrano sulla colorazione bruno olivastra dello scudo numerose picchiettature gialle rossastre, oppure macchie scure sul giallo del piastrone; Damonia della regione indiana e fossile del Panjab, Clemmys, cosmopolita d'acqua dolce, con parecchie specie fra le quali Cl. leprosa della Penisola Iberica, Emys con due specie la più nota delle quali è E. orbicularis, la comune testuggine palustre d'Europa, Asia occidentale e meridionale, Cistudo, terragnola dell'America Settentrionale, Cynyxis, terragnola, dell'Africa tropicale, caratterizzata dallo scudo molto convesso formato di due parti articolate così che la porzione posteriore è dotata di una certa mobilità, Testudo terragnola, con oltre quaranta specie sparse in Europa meridionale, Asia meridionale, Africa, sud dell'America Settentrionale e America Meridionale, delle quali le più note sono T. graeca, la comune testuggine terragnola dell'Italia e delle coste e delle isole mediterranee (scudo circa 15-20 centimetri di lunghezza, viene facilmente tenuta in cattività), T. elegans dell'India e di Ceylan, (scudo circa 30 cm. di lunghezza, di colore nero segnato di macchie e strie gialle), T. tabulata dell'America Meridionale tropicale (scudo di 50-60 cm. di lunghezza, bruno con macchie gialle o ranciate al centro di ciascuna scaglia), T. radiata del Madagascar (scudo 30-40 cm. di lunghezza a fondo bruno con strie molteplici giallo-chiare). Al genere Testudo appartengono infine le testuggini giganti, che differiscono dalle altre del genere quasi solamente per la loro grande mole; queste testuggini giganti con alcune specie ormai estinte, sono oggi confinate a due gruppi di isole: le Galápagos nell'Oceano Pacifico e le isole dell'Oceano Indiano poste di fronte alla costa africana e al Madagascar (Mascarene, Comore, Aldabra, Almiranti e Seychelles), però forme gigantesche vissero in altre epoche geologiche nei continenti e nelle grandi isole, come T. atlas del Miocenico di Sivalik Hills in India il cui scudo raggiungeva circa 2 m. di lunghezza, T. perpignana del Miocenico e Pliocenico d'Europa, T. Grandidieri del Madagascar estinta con ogni probabilità assai di recente; fra le specie viventi sono note particolarmente T. elephantina di Aldabra, scudo lungo 1,25 m. circa; T. nigrita, scudo lungo 1 m. circa e T. elephantopus, scudo 1 m. circa delle Galápagos.
4. Sottordine Cheloniidae già fossili del Cretacico superiore e viventi. Scudo e piastrone incompletamente ossificati, collo completamente o incompletamente retrattile nel guscio, apofisi trasverse delle vertebre cervicali estremamente corte; bacino non intimamente connesso con il piastrone; arti in forma di natatoia, scaglie epidermiche presenti o mancanti, oppure presenza di piastre poligonali giustapposte a musaico, suddiviso in sei famiglie: a) Dermochelydae (= Athecae, Sphargidae Boul.) fossili e viventi. Vertebre e coste libere, separate dall'esoscheletro osseo, esoscheletro consistente in piastre giustapposte a musaico, arti in forma di pala, dita fornite di unghie, fossili dall'Eocenico; vivente la sola Dermochelys (= Sphargis) coriacea, marina dell'Oceano Atlantico, dell'Indiano e del Pacifico. Questo genere che presenta, come è stato già sopra ricordato, caratteri del tutto peculiari tanto che costituiva un sottordine a parte, quello degli Athecae, raggiunge grandi dimensioni (circa 2 metri di lunghezza) ed è esclusivamente carnivoro; fossili: Psephophorus del Miocenico, Pliocenico ecc. d'Europa, Eocenico superiore d'Egitto, Cosmochelys dell'Eocenico della Nigeria, ecc.; b) Protostegidae, esclusivamente Fossili del Cretacico superiore e dell'Oligocene; scudo molto ridotto, piastre con caratteri peculiari; espon. gen. Protostega del Cretacico superiore dell'America Settentrionale, Archelon del Cretacico superiore dell'America settentrionale; Protosphargis del Cretacico superiore d' Italia; c) Cheloniidae, fossili e viventi; scaglie cornee presenti e molto ispessite, collo completamente retrattile, fossa temporale completamente coperta da un tetto osseo, zampe a forma di natatoia, con una o due unghie, fossili dal Cretacico inferiore, viventi due soli generi con tre specie, esclusivamente marini: Chelone mydas frequente nei mari tropicali, lunghezza circa m. 1,50, peso fino a 500 kg. prevalentemente costiera ed erbivora, che viene attivamente pescata perché le sue carni sono commestibili e anzi molto prelibate; Chelone imbricata pure dei mari tropicali alquanto più piccola, con le scaglie cornee dello scudo disposte ad embrice, e della quale si fa attivissima pesca per le scaglie che vengono impiegate nella fabbricazione degli oggetti di tartaruga; Thalassochelys caretta, volgarmente chiamata Tartaruga caretta, dei mari tropicali e subtropicali e del Mediterraneo, di grandi dimensioni, oltre 1 m. di lunghezza, carnivora, anch'essa assai ricercata per le sue carni commestibili; fossili: Euchelone dell'Eocenico del Belgio, Argillochelys, dell'Eocenico dell'Inghilterra, Belgio, ecc., Toxochelys e Porthochelys del Cretacico superiore dell'America Settentrionale e che alcuni autori ritengono potrebbero costituire, con altre poche forme la particolare famiglia: Toxochelydae. d) Dermatemydidae fossili e viventi; scudo e piastrone estesamente ossificati, piastra nucale prodotta in processi costiformi, scaglie cornee, collo completamente retrattile, coda breve. Già fossili del Cretacico superiore e viventi, acquatiche; es. gen. Dermatemys dell'America Centrale, Trachyaspis fossile del Terziario d'Europa, Staurotypus dell'America Centrale, ecc.; e) Cinosternidae, esclusivamente viventi, piastra nucale prodotta in processi costali, scaglie cornee, collo completamente retrattile nel guscio, assenza di entoplastron, costituita dal solo genere Cinosternum con una dozzina di specie acquatiche, circoscritte all'America a nord dell'Equatore; f) Platysternidae esclusivamente viventi, piastrone connesso con lo scudo mediante un legamento, un unico genere Platysternum con l'unica specie Pl. megacephalum delle acque della Birmania, Siam e Cina meridionale.
5. Sottordine Trionychia. - Scudo e piastrone incompletamente ossificati, superficie del guscio ricoperta di pelle, prive di scaglie cornee, collo retrattile, la retrazione compiendosi come nei criptodiri, vertebre cervicali senza o con brevissimi processi trasversi, bacino non connesso intimamente con il piastrone, fossili del Cretacico superiore e viventi; per la mancanza di scaglie cornee e per altre caratteristiche questo sottordine si differenzia notevolmente da tutti gli altri Chelonî; suddiviso in due famiglie: a) Carettochelydae con l'unico genere vivente Carettochelys con l'unica specie C. insculpta dei fiumi della Nuova Guinea; b) Trionycidae con parecchi generi viventi nelle acque dolci dell'Asia, Africa e America Settentrionale e parecchi generi fossili d'Europa, Asia, ecc.; es., gen. Trionyx con una quindicina di specie, carnivore, alcune anche di grandi dimensioni: Tr. gangeticus del Nilo e di altri fiumi di Africa, lunghezza dello scudo 80-85 cm., Chitra delle Indie, Aspideretes, Helapanoplia, Platypeltis, ecc., fossili di varî terreni di tutti i continenti.
La distribuzione geografica dei Chelonî viventi presenta alcune caratteristiche peculiari. I Pleurodira sono esclusivi dell'emisfero australe e anzi i Pelomedusidae sono circoscritti all'Africa tropicale e australe al Madagascar e all'Ameriea Meridionale mentre i Cheliydae sono proprî dell'America Meridionale, Australia e Nuova Guinea; i Cryptodira rappresentano la rnassa principale dei Chelonî viventi e delle due famiglie che li costituiscono: Chelydridae sono limitati alla sola America Settentrionale e Centrale, mentre Testudinidae comprendono le tipiche testuggini terrestri oltre a molte d'acqua dolce e sono presenti in tutte le regioni del globo a eccezione dell'Australia, Papuasia e regioni artiche, regioni queste ultime dove mancano del tutto i Chelonî; i Cheloniidae contengono sia le tipiche tartarughe marine: Dermochelydae, Cheloniidae con pochissime specie, però a larga distribuzione in tutti i mari tropicali e subtropicali, sia generi a limitatissima area quali: Dermatomydidae dell'America Centrale, Cinosternidae dell'America Settentrionale o Centrale e Platysternidae della regione indoaustrale; i Trionychia infine, pure assai limitati come numero di specie, sono proprî delle regioni tropicali con le famiglie: Carettochelydae circoscritta alla Nuova Guinea e Trionychidae delle acque dolci d'Asia, Africa e America Settentrionale.
Bibl.: O. Abel, Lehrbuch der Paläozoologie, Jena 1924; G. A. Boulenger, Chelonians, in Cat. British Museum, Londra 1889; H. Gadow, Amphibia and Reptiles, in Cambridge Natural History, VIII, Londra 1909; C. K. Hoffmann, Reptilien, I, Schildkröten, in Bronns Klassen und Ordnungen des Thier-Reichs, Lipsia 1890; J. E. V. Ihle, P. N. van Kampen, H. F. Nierstrazz, I. Versluys, Vergleichende Anatomie der Wirbeltiere, Berlino 1927; W. A. Lindholm, Revidiertes Verzeichnis der Gattungen der rezenten Schildkröten, nebst Notizen zur Nomenklatur einiger Arten, in Zoolog. Anz., LXXXI (1929), p. 275; T. J. Parker, W. A. Haswell, A Text-Book of Zoology, Londra 1928; S. W. Williston, The osteology of the Reptiles, Cambridge U. S. A.; K. A. v. Zittel, Handbuch der Paläontologie, II, Berlino 1888; K. A. v. Zittel, Grundzüge der Paläontologie (nuova ed. a cura di Broili e Schlosser), II, Vertebrata, Monaco e Berlino 1923.
Lavorazione della tartaruga. - Di tutti i Chelonî, le specie terrestri e palustri non sono adatte alla lavorazione quanto le specie marine, e di queste ultime la Chelone imbricata e in parte anche la "testuggine franca" (Chelone mydas) sono le più usate e apprezzate. Le qualità migliori provengono tuttora dai mercati di Nassu-Bama (Cuba). Nel Mediterraneo appaiono talvolta e vi sono pescate testuggini della specie Ch. mydas, ma all'atto pratico si sono dimostrate meno atte alla buona lavorazione che non le consorelle oceaniche.
La lavorazione comincia già con la scomposizione dell'intera corazza, dopo una prima generica pulitura, nelle sue due parti principali: scudo dorsale e piastrone ventrale, e nella suddivisione di queste parti nelle placche componenti che alla loro volta vengono sfaldate in moltissime scaglie più o meno grandi e più o meno macchiate. Il lavoro di cernita delle differenti scaglie è delicatissimo, e deve essere fatto in base alla trasparenza, alla bellezza, e all'aggruppamento delle singole macchie, cosa che richiede lunga pratica e conoscenza. Le placche dorsali, che i naturalisti distinguono in: nucali, omerali, pettorali, caudali, costali, ecc., sono chiamate, in gergo di lavoro: schiene, ali, pale, quadrelli e unghie.
Dalle unghie (che nella corazza della tartaruga formano, per così dire, il bordo esterno), e più ancora da tutto il piastrone ventrale (detto "pancetta") si ricavano le scaglie completamente trasparenti e di un bel colore dorato, che sono conosciute in commercio col nome di "tartaruga bionda". Occorrono spesso venti e più scaglie per ottenere un certo spessore di tartaruga bionda, e ciò, unito al fatto che tali scaglie sono sensibilmente più piccole e in minore numero che non le scaglie macchiate, ne giustifica il prezzo commerciale più elevato. A seconda della qualità e quantità delle macchie, dopo la qualità bionda, seguono, nell'ordine, le seguenti qualità: semibionda; passa (perché ricorda il colore dell'uva passa); jaspé; e nera. Quest'ultima variante, che in realtà è ottenuta dal rimpasto della lavorazione delle altre qualità, è quella di minor valore.
La vera lavorazione della tartaruga, dopo la scelta e la divisione dei diversi tipi di scaglie (che dovranno essere ad una ad una accuratamente raschiate, sia con raschietti d'acciaio, sia più comunemente e facilmente con pezzi di vetro come si fa anche per le suole, e ben pulite con pelle di squalo), comincia con la saldatura delle scaglie prescelte alla formazione del pezzo da lavorare. Tale saldatura è fatta utilizzando il potere adesivo proprio alla materia cornea delle scaglie stesse, e senza l'aiuto di nessuna colla, ma avendo somma cura che le scaglie da adoperarsi, una volta raschiate e pulite, non abbiano alcun contatto con materie grasse, bastando la più leggiera impronta dello stesso grasso cutaneo, per compromettere irreparabilmente tutto il lavoro. Quindi, a pulitura avvenuta, le scaglie scelte per essere saldate non sono più maneggiate che mediante pinze; esse sono accuratamente sovrapposte le une alle altre, tenendo sempre ben presente il giuoco delle macchie, e se ne pareggia lo spessore, specialmente sui margini, con acconci straterelli di carta. L'intero strato, dello spessore desiderato, è qua e là assicurato con piccole grappe di latta, e messo tra due pezzuole di tela grossa fortemente inumidite. Tale pacchetto, posto tra due tavolette adatte, lasciate anch'esse lungamente a bagno nell'acqua, e poi ancora fra due lastre di ferro (solette) scaldate a forte temperatura, è messo sotto una pressa. Il movimento di pressione dovrà iniziarsi lentamente e dolcemente, in maniera da dar modo al vapore caldo di penetrare a fondo, attraverso al legno e alle pezze, entro tutte le scaglie di tartaruga, accentuando e accelerando il movimento della pressa, a mano a mano che le solette si raffreddano. Tale raffreddamento, di regola, dovrebbe essere naturale, ma, in caso di necessità, può anche essere affrettato, mediante leggieri e continui spruzzi di acqua. L'operazione deve essere ripetuta due volte, rinnovando l'acqua alle pezzuole raffreddate, e riscaldando ancora le solette.
Dopo questa seconda stretta, la piastra di tartaruga è lasciata un poco nell'acqua bollente: questa immersione denuncia qualsiasi imperfezione e discontinuità nella saldatura, e rende al pezzo il primitivo spessore che le successive pressioni avevano alquanto ridotto. Immediatamente dopo, se la saldatura è avvenuta normalmente, con il seghetto si eliminano attorno alla lastra tutte le ineguaglianze e le sbavature, ungendone poi i bordi con olio di oliva per impedire all'aria di infiltrarsi tra le scaglie saldate e provocarne così lo scollamento o la torsione.
La tartaruga, a seconda della lavorazione si distingue in: tirata a mano, o schiacciata. S'intende "tirata a mano", quando dal pezzo di tartaruga ottenuto l'artigiano, prima con lavoro di traforo al seghetto, poi con lime e bulini scolpisce e incide il pezzo secondo il soggetto e il modo prefissosi. Sarà invece "schiacciata", quando schegge e rimasugli, sono, per così dire, fusi nella stessa forma. Le forme, per gli oggetti di tartaruga, sono di ghisa o, meglio, di bronzo. La mezza forma è prima unta all'interno di olio d'oliva, poi riempita abbondantemente delle schegge e dei pezzetti necessarî, raschiati e puliti come detto, quindi, coperta dell'altra metà, unta anch'essa all'interno, sarà posta sotto pressa, a caldo.
Anche qui, l'operazione di pressione è qualche volta ripetuta, e la sbavatura che ha traboccato dalla forma è eliminata, a raffreddamento avvenuto, con un taglio circolare di seghetto.
Gli oggetti "tirati a mano" o "schiacciati", dopo una prima raffinatura con carta vetrata, lime e pelle di squalo (raffinatura che, se è ben fatta, già deve dare alla tartaruga un certo lucido), vengono passati a pulitura. Tale pulitura è ottenuta con energiche e lunghe strofinazioni, prima con uno straccetto intriso in acqua e polvere di pomice, poi con tripoli e olio. L'ultimo brillante è dato con la pelle di guanto.
Nei casi in cui si voglia decorare la tartaruga con sovrapplicazioni di metallo, di madreperla o di corallo, o comunque di altra materia adatta, questo dovrà essere fatto a caldo, in modo da ammorbidire sufficientemente l'oggetto da decorare, così che una giusta pressione permetta alle decorazioni di penetrare nella tartaruga, senza spostamenti o variazioni. Il tutto sarà poi eguagliato e ripulito a freddo e passato a pulitura.
Il montaggio degli oggetti, per quanto concerne viti, cerniere e perni, è fatto ordinariamente a freddo.
Un piccolo flabello con il manico di tartaruga marina, ritrovato in epoca imprecisata a Pompei, ed ora al Museo nazionale di Napoli, sta a testimoniare come la lavorazione della tartaruga fosse già nota e trattata con arte, nel Napoletano, fino da tempi remotissimi.
Attualmente il centro di maggiore produzione degli oggetti di tartaruga lavorati è sempre Napoli, ma è ovvio che commercio e produzione variano con il variare della moda. Una forte diminuzione nella produzione della tartaruga, e nell'esportazione dei manufatti nella Spagna e America Latina, si è avuto, per es., con l'estendersi della moda dei capelli corti, che ha fatto decadere la fabbricazione dei sontuosi pettini spagnoli, che raggiungevano a volte anche i trenta centimetri di altezza.
Gli oggetti più comuni che si ricavano dalla lavorazione della tartaruga sono le montature di occhiali, i servizî da toletta, pettini, scatole, cofanetti porta-gioielli, pomi varî, tagliacarte, servizî da scrittoio, cornici, cerniere per borse, astucci varî, e altre infinite piccole applicazioni del genere. Sono da ricordare anche i tavoli e altri lavori di Boule (sec. XVII), tutti impiallacciati di tartaruga contenuta entro disegni di bronzo.
Le migliori imitazioni della tartaruga si ottengono con i derivati della caseina, impiallacciandola di scaglie di tartaruga vera, e trattandola e lavorandola esattamente, come la vera tartaruga.
V. tavv. a colori.