GALLUZZI, Tarquinio
Non ci sono noti i nomi dei genitori di questo gesuita, certamente di umile origine, nato nel 1573 circa a Montebuono, un paese della Sabina non molto lontano da Rieti. Le prime notizie su di lui risalgono all'11 nov. 1590, quando fece il suo ingresso nel noviziato romano di S. Andrea.Ultimata la preparazione teologica e concluso il terzo anno di probazione nella cittadina di Sezze, il 30 nov. 1610 il G. pronunciò i quattro voti solenni; nel frattempo aveva già iniziato l'insegnamento: fu, infatti, prima professore di retorica (dal 1606 al 1617) e successivamente di etica; mantenne quest'ultimo incarico fino a quando, nel 1621, venne nominato prefetto degli studi inferiori.
Nel "Catalogo" triennale dei gesuiti della provincia romana del 1616 il G. risultava avere una spiccata attitudine all'insegnamento; veniva però annotata la sua natura collerica che, con il trascorrere degli anni, gli causò non pochi problemi, soprattutto nel periodo in cui fu rettore del Collegio greco e del seminario romano.
Il ruolo di professore di arte oratoria comportava l'onore di pronunciare nella cappella pontificia, alla presenza del papa e del Sacro Collegio, l'Oratiode Christi Domini morte durante la liturgia del venerdì santo che, come in passato Gregorio XIII aveva stabilito, doveva essere di competenza proprio di un docente del Collegio romano. Alcune orazioni, composte da B. Stefonio, da F. Strada, dal G. e altri gesuiti, furono poi riunite in un'antologia (Patrum S. I. orationes, Romae 1641) con lo scopo di tramandare le norme stilistiche di generi oratori e poetici e fornire modelli per eventuali altre composizioni, destinate ad analoghe ricorrenze.
Frequenti furono le occasioni in cui, investito di una sorta di ministero letterario e, per questo, responsabile dell'optimus stylus latino, gli vennero affidati discorsi solenni, per la visita di ospiti illustri o in occasione di celebrazioni di particolare rilevanza. Tra quelli che riscossero maggiore credito furono l'orazione funebre del cardinale Arnaud d'Ossat (ibid. 1604) e l'elogio funebre del cardinale Roberto Bellarmino (ibid. 1621).
Fu legato da amicizia e stima intellettuale al suo maestro B. Stefonio, divenuto famoso per la creazione della "tragedia cristiana" e considerato il più importante drammaturgo della storia teatrale della Compagnia di Gesù. Dopo la messa in scena delle due tragedie latine dello Stefonio, il Crispo e la Flavia, fu il G. che si occupò di trarre le conclusioni teoriche del successo ottenuto; nel 1621, pubblicò il trattato Virgilianae vindicationes et Commentarii tres de tragoedia, de comoedia et elegia che, basandosi sui lavori dello Stefonio (nei quali si fondevano i valori estetici di origine umanistica con quelli della sensibilità cristiana), diventò una vera e propria poetica ufficiale dell'Ordine. Nel 1633, invece, con i due scritti polemici, Rinovazione dell'antica tragedia e Difesa del Crispo, sostenne la causa e la poetica dell'opera dai vari attacchi così come dalle accuse di plagio di cui l'autore era stato fatto oggetto.
Tra le altre opere del G. meritano di essere ricordate la sua unica raccolta di poesie Carminum libri tres (ibid. 1611), che, apprezzata dai suoi contemporanei, conobbe parecchie edizioni e, ancora, il testo In Aristotelis libro quinque priores Moralium ad Nicomachum nova interpretatio, commentarii et quaestiones (Parisiis 1632), frutto degli anni del suo insegnamento al Collegio romano.
Quando Urbano VIII creò una Congregazione per la riforma del Breviario romano, volendo servirsi della collaborazione dei più preparati tra i professori gesuiti di retorica, affidò a F. Strada, G. Petrucci, M.K. Sarbiewski e allo stesso G. l'incarico di rielaborare gli inni paleocristiani secondo il gusto umanistico dell'epoca; questi, approvati il 29 marzo 1629, vennero poi dati alle stampe (Hymni Breviarii Romani…, Romae 1629).
Con molta probabilità si occupò anche dell'istruzione del nipote di papa Urbano VIII, Francesco Barberini; con certezza, nel 1625-26, fece parte del suo seguito quando quel cardinale venne inviato come legato a latere a Parigi e a Madrid per trattare la pacificazione tra Francia e Spagna. In particolare, L. Azzolini, che in quell'occasione assisteva il Barberini in qualità di segretario, racconta che durante il viaggio il G. fu colto da febbre, come molti altri membri della spedizione, e fu costretto a fermarsi in Francia in attesa di ristabilirsi.
In quello stesso anno, il G., rientrato a Roma, successe a N. Zucchi nel rettorato del Collegio greco di S. Atanasio, ricoprendo l'incarico fino al 1630. Il compito si rivelò piuttosto difficile, soprattutto per la grave situazione economica nella quale si trovava il Collegio.
Al termine di questo incarico assunse il governo del seminario romano; l'impegno si rivelò non meno gravoso rispetto al precedente: il seminario era, infatti, in costante agitazione a causa dell'elevata percentuale di giovani nobili convittori destinati alle armi e alla politica, i quali non riuscivano ad adeguarsi alla disciplina dei seminaristi. Nel tentativo di dominarne la sregolatezza il G. scatenò il loro sdegno e uno di loro sfogò la sua indignazione in un libello diffamatorio.
Il G. accettò di tornare al Collegio greco dove sarebbe rimasto, sostituendo il rettore uscente A. Garzadoro, dal 1632 al 1645. Anche i tredici anni di questo rettorato furono contrassegnati da forti contrasti: qualche seminarista venne addirittura espulso e non furono pochi coloro che ebbero modo di lamentarsi del suo carattere e della sua arroganza.
Si ritiene che negli ultimi anni di quel rettorato, anche per motivi di salute, il G. perdesse il controllo della disciplina della scolaresca, tanto che il 22 luglio 1645, al tempo della visita del cardinale P.E. Rondinini, protettore, amministratore e giudice del Collegio greco, era già stato predisposto di fargli subentrare il nuovo rettore G.B. Canauli. Ormai settantenne il G. si ritirò dalla sua carica, non sappiamo quanto spontaneamente, pur continuando a vivere all'interno di quel collegio.
Morì a Roma il 28 luglio 1649.
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