TANIT
. Fu la principale divinità dell'Africa settentrionale preromana, e particolarmente di Cartagine. La sua origine sembra anzi sia stata libica, e il suo culto, secondo un'ipotesi, sarebbe stato poi accolto dai Cartaginesi, che vi avrebbero mescolato e adattato elementi proprî, portati dalla madrepatria. Per quanto dotata di epiteti come "volto di Baal" e connessa strettamente alla figura del dio solare Ba‛al Shamman, essa aveva la preminenza nel culto su questo suo paredro. Non certo, ma probabile, è il suo significato di divinità lunare, e soprattutto della fecondità, come poi appare chiaramente nella sua continuazione romana di Caelestis Dea. Il culto di Tanit nella Cartagine preromana è documentato da una gran quantità di stele votive puniche, ritrovate nel sito dell'antica Cartagine: in esse sono di frequente raffigurati il disco e la falce lunare, oltre al cosiddetto "simbolo di Tanit", di assai discusso significato, in cui sono combinati un triangolo equilatero, una linea orizzontale e un disco, in modo da rendere approssimativamente una rozza figura umana.
La venerazione di Tanit sopravvisse alla distruzione di Cartagine e si rinnovò nella città che sorse al posto dell'antica, si diffuse da allora ed acquistò larga popolarità, non soltanto in Africa, ma nell'Occidente in genere e poi anche in Roma stessa e nell'esercito romano. Secondo una tarda tradizione, già al tempo della distruzione di Cartagine la dea punica sarebbe stata introdotta in Roma da Scipione Africano Minore; ma si tratta evidentemente di una leggenda, come dimostra anche la mancanza di ogni indizio di un culto romano di Caelestis anteriormente a Settimio Severo. Fu infatti questo imperatore, africano di nascita, che introdusse in Roma il culto della dea: sulle sue monete si vede l'immagine della dea, seduta in groppa a un leone. Un tempio della dea sorse in Roma - probabilmente non prima del regno di Caracalla - sul fianco settentrionale del Campidoglio; nel cuore, dunque, della città, e, precisamente, vicino all'antico e venerato santuario di Giunone Moneta: a ciò dové indubbiamente contribuire, non solo l'accoglimento del culto della dea fra i sacra urbana, ma anche l'assimilazione, ormai definitiva, della divinità poliade dei Cartaginesi con Giunone, invocata quindi, come tale, con l'epiteto di Caelestis. È vero che l'epiteto di Caelestis oltre che a Giunone si trova dato ad altre divinità, come a Venere, a Diana, a Fortuna, a Bona Dea, ma per queste non è, in genere, sicuro il riferimento alla dea punica. Eliogabalo volle fare di Celeste la consorte del dio solare di Emesa; ne fece trasportare dal santuario cartaginese l'immagine a Roma e celebrare quivi le nozze col suo dio.
Oltre che in Roma e nell'esercito romano, il culto si diffuse specialmente nella Numidia, nella Mauritania e nella Spagna; a Cartagine fu celebrato con riti fastosi e anche licenziosi e si mantenne tenacemente fino all'invasione dei Vandali, quando ne fu distrutto il tempio.
Sulle forme del culto della Caelestis Dea, non abbiamo che scarse notizie; pare vi fossero addetti sacerdoti e comunità di iniziate e di sacerdotesse. La dea cartaginese aveva naturalmente un corrispondente maschile, identificato, oltre che con Ba‛al Shamman, anche con Eschmun, che nelle iscrizioni si trova generalmente identificato con Esculapio.
Bibl.: Preller, Römische Mythologie, 3a ed., Berlino 1881-83, II, p. 406 segg.; art. Caelestis, in Dizionario epigrafico di antichità romane di E. De Ruggiero; Cumont, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., III, col. 1247 segg., s. v. Caelestis; G. Wissowa, Religion und Kultus der Römer, 2a ed., Monaco 1912, p. 373 segg.; J. Toutain, Les cultes païens dans l'empire romain, III, Parigi 1920, p. 29 segg.; U. Antonielli Tanit-Caelestis nell'arte figurata, in Notiz. arch. Min. Col., III.