TANCREDI da Pentima
TANCREDI da Pentima. – Nome dell’architetto e scultore tramandato da un’iscrizione apposta sul prospetto principale della fontana della Rivera all’Aquila: «a. d. m.c.c. l.x.x.i.i. | magister. Tancredus. de. Pen|toma. de Valva. fecit. hoc. opvs».
La lapide duecentesca, che fa parte di una memoria formata da iscrizioni risalenti a momenti diversi della storia del monumento, attesta che Tancredi, non altrimenti documentato, era originario del borgo costituitosi sui resti di Corfinium, antica città della valle peligna e sede della diocesi di Valva, unita a Sulmona da papa Gregorio Magno.
La fontana, detta delle Novantanove cannelle, è il più antico edificio pubblico dell’Aquila giunto fino ai giorni nostri. Fu realizzata a ridosso delle mura cittadine presso la porta Rivera, in un borgo intra moenia sede di attività inerenti alla lavorazione della lana e dei pellami che necessitavano di abbondanza d’acqua. La costruzione della fonte coincise con la rinascita della città che, dopo la distruzione subita nel 1259 per essersi ribellata a re Manfredi, poté contare sul sostegno di Carlo I d’Angiò nell’impegnativa opera di riedificazione. Alla nuova dinastia regnante fanno riferimento i gigli a coronamento della seconda lapide duecentesca di cui si compone l’epigrafe della fonte. Questa tramanda anche il nome del committente dell’opera monumentale, Lucchesino da Firenze, regio governatore dell’Aquila: «Ur(b)s . nova . fonte . no; e, proseguendo a capo in un corpo minore oggi di difficile lettura, «gente . florentinvs .» (Antinori, 1742, col. 549). Lucchesino è celebrato nelle vesti di committente della fontana anche nella più antica cronaca cittadina (ante 1363), che lo ricorda «capetano» (capitano) dell’Aquila negli stessi anni in cui Guelfo da Lucca vi era giudice (Buccio di Ranallo, Cronica, a cura di C. De Matteis, 2008, vv. 139, 208).
La fonte odierna, che ha l’aspetto di «uno chiostro quadro, aperto d’una parte, con tre frontespitij» (L’Aquila, Biblioteca regionale S. Tommasi, ms. 288, Dell’antichità innovata dell’Aquila, c. 17v), è l’esito di una rilevante serie di manomissioni, restauri e ampliamenti succedutisi nei secoli. La fonte primitiva consisteva in un unico prospetto, quello orientale, che era però molto più corto dell’attuale e lievemente inflesso al centro, come si può tuttora constatare nella porzione destra di questo lato del monumento. Dalla parete aggettavano soltanto quindici degli attuali novantré mascheroni portagetto: dotati di sembianze ora maschili ora femminili ora animali, essi formano «un complesso di grande omogeneità, dovuto indubbiamente a una medesima mano» (Bologna, 1997, p. 44), quella di uno scultore che si suole appunto identificare con Tancredi da Pentima dell’epigrafe commemorativa. Apparteneva alla fontana antica l’alternanza fra la chiara pietra delle protomi umane e animali e quella rossa di Genzano dell’Aquila delle formelle quadrate che vi sono intercalate, recanti al centro rosette a quattro o cinque petali (pp. 39-74). Andrebbe invece posticipato di poco più di un ventennio il paramento murario a conci bicromi che si eleva al di sopra del parapetto orientale (pp. 75-92). Dall’incrocio delle fonti con le evidenze stilistiche si ritiene che ai primitivi mascheroni portagetto nuovi si aggiungessero agli inizi del Trecento, nella prima metà del secolo successivo e nel 1494, anno al quale viene fatto risalire anche lo stemma cittadino sovrapposto alla composita epigrafe commemorativa (pp. 93-97). L’intervento decisivo per la fisionomia odierna della fontana ebbe luogo al tempo di Margherita d’Austria, figlia naturale dell’imperatore Carlo V, che ebbe il perpetuo governo della città dal 1572 al 1586. Il progetto di ampliamento, da interpretarsi «nel quadro della rivalutazione post-tridentina del primitivo» (p. 121) e riconducibile per via indiziaria all’architetto e trattatista aquilano Geronimo Pico Fonticulano, comportò il prolungamento del fronte primitivo, al quale fu aggiunta una seconda vasca, l’addizione dei lati settentrionale e meridionale – quest’ultimo addossato alle mura cittadine – e un corredo di cinquantanove nuovi mascheroni. Il risultato fu la trasformazione della fontana medievale in una sorta di piazza destinata alla funzione di pubblico lavatoio (pp. 105-152). Soltanto dopo il 1871, che è l’anno inciso nella lapide più recente dell’epigrafe commemorativa, furono aggiunte le sei cannelle prive di mascheroni visibili all’estremità destra del prospetto meridionale, verosimilmente per far sì che i getti risultassero in tutto novantanove: è questo il mitico numero assegnato dalla tradizione storiografica aquilana ai castelli fondatori della città (pp. 21 s., 157).
L’estrazione toscana dei magistrati aquilani in carica al tempo dell’edificazione della fontana può aver contribuito alla scelta della primitiva configurazione dell’opera monumentale, che ha difatti «la premessa più diretta» (p. 60) nella mostra a parete con protomi animali portagetto della fonte dei Canali nel porto vecchio di Piombino (1248), attribuita pressoché unanimemente a Nicola Pisano.
Come Nicola, originario de Apulia, anche Tancredi dovette peraltro frequentare in gioventù i cantieri artistici meridionali promossi dall’imperatore Federico II, con particolare riferimento a Castel del Monte. «Organismi sculturali a globi integri, corposi e aggettanti a tutto tondo nella loro elementare tridimensionalità, nei quali una tensione stilizzatrice arditamente metaforica si congiunge a una credibilità naturalistica vivacissima» (p. 45), i più antichi mascheroni portagetto della fonte aquilana trovano infatti «il più convincente punto di derivazione culturale solo nel nodo della plastica pugliese-federiciana di cui il giovane Nicola Pisano (con gli echi protratti di Nicola di Bartolomeo) è insieme il maggior testimone e il continuatore più creativo» (Bologna, 1983, p. 308).
Sulla base di importanti indizi stilistici, a Tancredi è stata anche attribuita la paternità di una notevole testa-mensola dalla fisionomia di giovanetto che spicca fra i peducci figurati degli archetti ricorrenti fra il livello della cripta e quello del presbiterio delle absidi di S. Panfilo a Sulmona (Aceto, 1990, pp. 77-83). La proposta cronologica formulata per questo pezzo, che tiene conto del rifacimento dell’area absidale della cattedrale sulmonese in seguito a un incendio e della conseguente riconsacrazione degli altari principali nel 1238, fa dell’opera in parola un incunabolo del maestro, il quale sembra precorrervi le sculture di Castel del Monte maggiormente improntate a gotico naturalismo. Di particolare efficacia risultano in tal senso i confronti di ordine fisionomico e di condotta scultorea fra la testa-mensola di Sulmona e quella di giovane donna ridente nella terza torre della fortezza pugliese (ibid., figg. 107-108).
Malgrado il prestigio della commissione aquilana, a Tancredi non si sono potute finora ricondurre altre opere né su base stilistica né su base documentaria.
Fonti e Bibl.: Buccio di Ranallo, Cronica (ante 1363), a cura di C. De Matteis, Firenze 2008, pp. 45, 208; L’Aquila, Biblioteca regionale S. Tommasi, ms. 288, cc. 1-29v: Dell’antichità innovata dell’Aquila (sec. XVII, prima metà); A.L. Antinori, Aquilanarum rerum scriptores, in L.A. Muratori, Antiquitates Italicae Medii Aevi, VI, Milano 1742, col. 549; Francesco Milizia, Memorie degli architetti antichi e moderni, Parma 1781, I, p. 128; A. Leosini, Monumenti storici artistici della città di Aquila e suoi contorni, Aquila 1848, pp. 69 s.; I.C. Gavini, Storia dell’architettura in Abruzzo, Milano-Roma 1927-1928, II, pp. 238 s.; F. Bologna, Busto virile. Chiesa di San Giovanni Battista. Castelli, in Documenti dell’Abruzzo teramano, I, 1, La valle Siciliana o del Mavone, Roma 1983, pp. 305-310; F. Aceto, “Magistri” e cantieri nel “Regnum Siciliae”: l’Abruzzo e la cerchia federiciana, in Bollettino d’arte, LXXV (1990), 59, pp. 15-96 (in partic. pp. 77-83); F. Bologna, La Fontana della Rivera all’Aquila, detta delle novantanove cannelle, L’Aquila 1997; F. Gandolfo, Scultura medievale in Abruzzo: l’età normanno-sveva, Pescara 2004, pp. 216 s.