TAMMUZ
. Forma ebraica, e passata nell'uso comune occidentale, del nome del dio babilonese e assiro Tamūz uno dei più cospicui tra gli dei minori del pantheon mesopotamico. Esso è di origine sumera, e in questa lingua il suo nome suona Dumu-zi o Dumu-zi-abzu, che vorrebbe significare "figlio legittimo dell'Abzu" o "dell'Abisso", vale a dire del dio dell'abisso, che era Ea. Infatti Tammuz era riguardato quale figlio primogenito del dio dell'acqua e della sapienza, Ea. Secondo un'altra genealogia egli sarebbe però figlio del dio del sole Shamash. Tammuz era il dio della vegetazione, un antico dio agrario, la personificazione della vita lussureggiante della natura e della forza vitale e generatrice che si manifesta nella crescita delle piante e dei greggi. Ogni anno egli discende agli inferi e risuscita a nuova vita col rinnovarsi della natura a primavera. Nella crescita e nel deperire della natura, gli antichi abitanti della Mesopotamia vedevano la resurrezione e la morte del "figlio", il quale viene ad essere l'incarnazione del grano, della vegetazione e dei corsi d'acqua benefici. Dumu-zi è detto perciò, negli inni sumeri che lo esaltano e che compiangono la sua sorte, "quello della germinazione delle piante", "quello del molto vino". Egli è colui che davvero è vivo, il germinatore di molte frutta, il figlio di vita, il pastore che ha abbandonato le pecore, il vero pastore, il saggio della terra, colui che sorge dall'oceano, il signore di vita, il risanatore, il medico. Egli mangia il pane consacrato e beve l'acqua pura. Egli è un bambino e un giovane, è il grano che cade sotto la falce. T. è anche un dio della salute che concede longevità, poiché la vita dipende dal suo sacrificio, dalla sua morte e dal suo ritorno dagl'inferi. Perciò lo s'invoca per gli ammalati. Con allusione alla sua dimora nell'ade babilonese nell'arallū, lo si dice ancora signore dell'ade. Secondo alcuni testi sarebbe il figlio, secondo altri invece il marito o il fratello della dea sua compagna. Sua sorella o moglie o madre è Geshtin-anna, che vale in lingua sumera "vite del cielo" o "vite celeste".
Ogni anno aveva luogo una solenne cerimonia in suo onore, il mortorio per il dio, durante il quale i suoi fedeli lamentavano altamente la sua morte e invocavano il suo ritorno sulla terra dall'ade. Questa cerimonia, che conteneva anche una rappresentazione sacra, aveva luogo nel mese di Tammuz, chiamato mese della festa di Tammuz, che era il sesto mese dell'anno e cadeva in estate. Durante il rito si rappresentava più o meno drammaticamente la morte del dio, la discesa della dea agli inferi e il ritorno di lui sulla terra. Si soleva mettere un suo simulacro in una barca, la quale si affidava alle onde del fiume, oppure si raffigurava la sua morte soltanto simbolicamente gettando grano e piante nelle onde. La dea piangendo e alzando alte lamentele discendeva allora agli inferi e chiedeva alla regina del triste luogo, Ereshkigal, la liberazione del dio. Allora il dio risuscitava dal suo sonno di morte ed era ricondotto dalla dea sulla terra. Tammuz ha per compagna non soltanto Geshtin-anna ma anche Innini di Uruk e Ishtar. La dea è chiamata anche Bēlit-ṣēri, la signora della campagna. Egli sta inoltre in rapporto con parecchi altri dei della vegetazione, con Ningishzida, Ninazu e Ningirsu. Nel mito di Adapa il dio Tammuz sta insieme a Ningishzida alla porta del dio del cielo Anu. Affine a Tammuz era anche Girra, dio degli animali e divinità ctonia, infernale.
Finora non si è riusciti a trovare una raffigurazione sicura del dio. Qualcuno ha creduto di riconoscere Tammuz in quella figura mitica, molto comune in quasi tutte le arti dell'Asia anteriore antica, che si suole ritenere una figura dell'eroe Gilgamesh, ma questa interpretazione non è affatto verosimile. Il mese di Tammuz era nel calendario antico di Nippur il quarto mese dell'anno, nel calendario di Lagash invece era l'ottavo, in quello di Umma il dodicesimo. Dal calendario mesopotamico questo nome del mese passò nel calendario ebraico, e perciò il nome Tammuz ricorre in nomi ebraici di persona. Il dio aveva templi in varie città della Mesopotamia. Egli era adorato segnatamente a Eridu, sede di suo padre Ea, a Uruk, Kinunir, Dūr-gurgurri, Akkad, Babele, e ancora in altre città. T. aveva anche una stella per luogo di sua dimora: era l'Ariete, una delle stelle della via di Anu.
La sua figura di dio che muore e risuscita, di divinità della vegetazione e della crescita, ebbe larga diffusione e venne a sovrapporsi e a fondersi con divinità agrarie simili di altri paesi, ma in origine indipendenti dalla sua figura di dio mesopotamico. L'Adone fenicio di Byblos, quello siriano e quello degli Aramei di Ḥarrān, che fu adorato, sembra, fino nel Medioevo, nonché Telipinush hittita e Osiride egiziano sono tutti figure divine più o meno affini a quella del dio mesopotamico. Si può affermare che i tratti più generali del mito di Adone ritornino in ciò che i Babilonesi e gli Assiri raccontavano del loro dio Tammuz; mancano però in Babilonia alcuni tratti che sono veramente fondamentali nei racconti mitici occidentali su Adone come sarebbe segnatamente l'uccisione del dio da parte di un animale, uccisione della quale non si è trovata finora nessuna traccia in Mesopotamia. Ai tempi d'Isaia (I, 29; XVII, 10 segg.) la sua figura era nota agl'Israeliti sotto la forma di Adone. Più tardi, ai tempi di Ezechiele (VIII, 14) si facevano a Gerusalemme le lamentazioni per Tammuz. Qualcuno ha voluto sostenere che il dio dei Yezidi Melek Ṭā'ūs ricordi nel suo nome quello del dio mesopotamico, ma questa affermazione non è corroborata dai fatti.
Bibl.: G. Furlani, La religione babilonese e assira, I, Bologna 1928, pp. 279-285 e 295-299, con tutta la bibl. Per il dio Melek Ṭā'ūs, v. G. Furlani, Religione dei Yezidi. Testi religiosi dei Yezidi, ivi 1930, pp. 22-24.