TALLERO (Tollero)
L'arciduca Sigismondo del Tirolo fu il primo ad emettere grosse monete d'argento (1484-86); poco dopo, nei primi anni del sec. XVI, altre ne vennero coniate dai principi della Sassonia e del Württemberg che furono denominate guldengroschen perché il loro valore corrispondeva a quello del fiorino o ducato d'oro gulden. Verso il 1520 i conti di Schlick, proprietarî delle miniere argentifere di Sankt-Joachimsthal (Jáchymov), fecero anch'essi tali monete che dal luogo d'origine si dissero joachimsthaler e più brevemente thaler; questa denominazione prevalse su quella precedente e divenne generale. Tali monete incontrarono subito il favore dei mercati che abbondavano di argento e, quando Carlo V, nonostante l'opposizione dei possessori delle miniere, riuscì nel 1524 a regolarne l'emissione e a introdurle nella monetazione imperiale, ebbero diffusione larghissima, non soltanto nei territorî dell'Impero, ma anche in tutti i luoghi che erano in rapporti commerciali con essi fino al più remoto oriente. Come "talleri dell'Impero", si chiamarono anche Reichsthaler (in Olanda rijksdaaler) o risdalleri. Non è possibile anche soltanto enumerare i luoghi che emisero talleri e accennare alle variazioni di peso e di lega che essi ebbero a subire, sia per effetto delle varie valutazioni locali sia per le speculazioni cui diedero luogo. Per quanto riguarda l'Italia si può dire che quasi tutti i principi più o meno grandi ne ebbero a fare, o per ostentazione, o per speculazione o anche per falsificazione e contraffazione, soprattutto poi per farne oggetto di commercio col Levante dove erano ricercati. La repubblica di Genova progettò un tallero per il Levante; quella di Ragusa, che tanti rapporti aveva coi paesi musulmani, lo introdusse con due tipi nel proprio sistema monetario. I granduchi di Toscana crearono tre talleri diversi detti tolleri, uno col porto, l'altro con la fortezza di Livorno e il terzo con lo stemma mediceo sovrapposto alla croce di S. Stefano: i primi due portano il nome di Livorno e l'ultimo quello di Pisa, non già perché vi fossero coniati ma perché la bontà dell'argento minore di quella dell'antica moneta fiorentina non avesse a screditare quella che portava il nome di Firenze dove erano fabbricate effettivamente. La repubblica di Venezia nella seconda metà del secolo XVIII allestì un macchinario apposito per la coniazione di talleri per il Levante; prese a modello il tallero di Maria Teresa che tanto credito godeva sui mercati orientali sostituendo al busto della imperatrice quello della repubblica. Questo tallero, che si continuò a fabbricare con due tipi diversi fino alla caduta della Repubblica, ebbe vita non inutile per quanto non raggiungesse lo scopo di eliminare dalla circolazione quello di Maria Teresa. Questo continua ancora a fabbricarsi nella zecca di Vienna ed era prima della conquista italiana la moneta base delle contrattazioni in Abissinia (detta anche girsh, piastra, tumun). Questo paese ebbe pure un tallero proprio fatto coniare a Parigi da Menelik II nel 1893. Poco prima (1890-1891) era stato coniato in Italia un tallero per la Colonia Eritrea col busto del re Umberto I. Nel 1918 si fece nella zecca di Roma la prova di un nuovo tallero destinato ai commerci con l'Abissinia, ma non fu poi emesso. Dopo la conquista italiana, il tallero continua ad aver corso nel territorio dell'ex-impero etiopico accanto alla lira italiana, al cambio di lire cinque per tallero.
Si ebbero anche i mezzi talleri e le frazioni del mezzo, quarto, ottavo.
Bibl.: G. Castellani, Catalogo della Raccolta Papadopoli-Aldobrandini, Venezia 1925, n. 1421, tav. ii; Corpus Nummorum Italicorum, I (Eritrea), tavola xxxvii, 6-11; III (Genova), tav. xi, 9; VI (Ragusa), tav. xxxi, 1, 4-7, 10; VIII (Venezia), tav. xxx, 1-4, xxxi, 12, xxxii, 10-12, xxxiv, 15-17, xxxvii, 1-4; XI (Toscana), tav. ii, 3-4, 9, 13-15, iii, 3-4, 12, xv, 19, 21, xxi 1, 5-7, 10; Engel e Serrure, Traité de numismatique moderne et contemporaine, Parigi 1897, p. 121 e passim; E. Martinori, La moneta, ecc., Roma 1915, s. v. e tavole CXXX-CXXXIII.