Talete (Tale)
Filosofo e naturalista greco, cittadino di Mileto, vissuto tra la seconda metà del via e la prima del VII secolo a. C.; è considerato dalla tradizione dossografica il più antico filosofo greco e il fondatore della scuola ionica (cfr. Diogene Laerzio Vitae philos. I I 22-44, VIII I 1).
Le indagini di T. pare si orientassero soprattutto alla speculazione naturalistica e cosmologica e al sapere astronomico-matematico, e ciò ha contribuito a farne il primo dei physiologoi, cioè di quei primi pensatori greci che incentrarono la loro ricerca sui problemi della filosofia naturale e dell'origine del cosmo. Tratto saliente della cosmologia taletiana è la definizione dell'acqua come materia primordiale, come caos primigenio padre di tutti gli esseri naturali. L'elemento umido fu concepito da T. come radice cosmica che tutto produce e nutre, e come principio divino che tutto contiene e anima.
La tradizione rilevò in T. soprattutto i caratteri del sapiens, dell'indagatore della natura e del capostipite dei filosofi greci. Posto, nella genealogia della tradizione speculativa greca, tra i poeti-teologi e la nuova filosofia naturalistica ionica, T. sortì a un tempo i connotati del grande sapiente e del princeps della philosophia naturalis (cfr. Aristotele Metaph. I 3, 983b 6 ss. e commento ad l. di Tommaso; Alberto Magno Metaph. I III 3; ma v. anche Clemente Aless. Strom. I XIV ss., Lattanzio Div. inst. I 5, III 14 e 16). Egli fu infatti celebrato come importante mediatore della sapienza orientale (cfr. Plinio Nat. hist. XXXVI 12 e 82, Proclo In Euclid. 65), come indagatore profondo e come instauratore di nuove conoscenze nell'ambito delle scienze naturali, matematiche e astronomiche (per tutti valga Apuleio Flor. 18). In tal senso T. è continuamente ricordato come capo dei Sette sapienti (a lui, secondo la leggenda, toccò per primo - su decreto di Apollo delfico - il celeste tripode di Elena, simbolo della sapienza), come modello di saggezza speculativa e pratica e come autore di capitali scoperte (cfr. Cicerone Div. I XLIX 111, II XXVII 58, De Orat. III XXXIV 137, Acad. II XXXVII 118, Leg. II XI 26, Rep. I XIV 22, XVI 25, Valerio Mass. IV I 7, Igino Fab. 221, Diogene Laerz. I proem. 13-14, Ausonio Ludus sept. sap. vv. 69, 162-188, Girolamo Chron. a. Abr. 1430 e 1377, Lattanzio Div. inst. I 5, Sidonio Apoll. Carm. II 157, XV 44, 79-88, XXIII 101 ss., Isidoro Etymol. II XXIV 4, Chron. 39, Nat. VI 3, Vincenzo di Beauvais Spec. hist. II 119-120; due lettere di T. furono tramandate, in veste latina, nella traduzione di Ambrogio, Patrol. Lat. XVII 1183).
L'aneddoto della sua caduta nel pozzo nel mentre, di notte, è chiamato da una vetula a contemplare le stelle, e l'altro di lui che noleggia i frantoi in previsione di un abbondante raccolto e di un lauto guadagno, passeranno a significare, nelle interpretazioni in bonam partem, il disinteresse per il contingente del sapiente, scrutatore degli astri, e la capacità di dominio ‛ pratico ' della filosofia (cfr. tra la ricca dossografia Arist. Polit. I 11, 1259 a 6 ss. e Tommaso Polit. I 9; ancora Aristotele, in Eth. nic. VI 6, 1141b 4 ss., indica T. e Anassagora come esempi di " sapientes " piuttosto che di " prudentes ", in quanto ignorarono l'utile immediato e i " superflua " in nome degli " admirabilia et difficilia et divina "; cfr. anche il commento di Tommaso ad l.; per una diversa formulazione e interpretazione dell'episodio della caduta, cfr. Diogene Laerz. II II 4 e Tertulliano De An. VI 2 e Ad Nat. II II 11, IV 18).
Fondamentale per la dossografia medievale fu la partizione fissata definitivamente da Agostino, dei " duo philosophorum genera ", l'uno l'italico, con a capo Pitagora (v.), l'altro lo ionico, con a capo T., del quale ultimo tracciava i caratteri più spesso ripresi dagli scrittori medievali: " Quantum enim adtinet ad litteras Graecas... duo philosophorum genera traduntur: unum Italicum... alterum Ionicum in eis terris, ubi et nunc Graecia nominatur. Italicum genus auctorem habuit Pythagoram Samium... Ionici vero generis princeps fuit Thales, Milesius, unus illorum septem, qui sunt appellati sapientes. Sed illi sex vitae genere distinguebantur et quibusdam praeceptis ad bene vivendum accommodatis; iste autem Thales, ut successores etiam propagaret, rerum naturam scrutatus suasque disputationes litteris mandans eminuit maximeque admirabilis extitit... " (Civ. VIII 2, e vedi XVIII 24 e 25 dov'è estesamente ripresa la tradizione dei Sette sapienti; cfr. Giovanni di Salisbury Policr. VII 5). Parimenti ritornante è l'opinione di T. primo sostenitore dell'immortalità dell'anima e di Dio come mens informatrice del cosmo. Giovanni Walleys (Floril. III I 1) e, soprattutto, Gualtiero Burley (De Vita et morib. philosoph. 1) raccoglieranno gran parte della dossografia medievale sul filosofo ionico.
In D. il nome di T. (nella forma Tale, derivata dal nominativo latino Thales) è ricordato una sola volta, tra quelli dei filosofi abitatori del Limbo (già Marziano Capella aveva rappresentato lo " udus Thales " nell'Olimpo pagano, II 213), che fanno da corteggio ad Aristotele, in If IV 137 Democrito che 'l mondo a caso pone, / Dïogenès, Anassagora e Tale, / Empedoclès, Eraclito e Zenone. Evidentemente il ‛ tòpos ' di T. capo dei Sette sapienti e princeps dei naturalisti greci, non agi sul poeta, che, almeno fino alla stesura del Convivio, certamente non seppe della nozione, pure vulgatissima, di T. primo dei sapienti. In Cv III XI 4, infatti, dove D. enumera la serie di quelli sette savi antichissimi, che la gente ancora nomina per fama, omette i nomi di T. e di Pittaco, sostituendoli con gli attributi di Lindio e Prieneo probabilmente sulla base di una falsa lettura, o di excerptum corrotto, di Agostino Civ. XVIII 25 (per il testo agostiniano e le eventuali ragioni dell'errore dantesco, v. LINDIO).