MONTEFELTRO, Taddeo di
MONTEFELTRO, Taddeo di (Taddeo Novello, Taddeo di Pietrarubbia). – Nacque presumibilmente verso il 1230, da Taddeo di Montefeltrano. La frequenza del nome Taddeo nella casa di Montefeltro nel secolo XIII e soprattutto l’omonimia con il padre e l’incertezza dell’anno di morte di quest’ultimo hanno creato difficoltà nella ricostruzione genealogica e confusione tra i due personaggi. Per distinguerlo è chiamato usualmente Taddeo Novello o di Pietrarubbia, dal nome del suo principale dominio, un forte castello che gli toccò quando i conti di Montefeltro, ormai schierati su due fronti, divisero i beni patrimoniali e le giurisdizioni, rivendicando però entrambi i rami i titoli di conte di Montefeltro e di Urbino, città che era di fatto in mano al solo ramo ghibellino.
Taddeo seguì l’indirizzo politico del padre, che nel 1248 era passato dalla parte di Innocenzo IV e fu uno tra i più solidi alleati dei pontefici e degli angioini in Italia centrale, fino a divenire, nel 1281, capitano generale dell’esercito della Chiesa. In particolare, si oppose al suo parente Guido di Montefeltro, capo riconosciuto dei ghibellini italiani (e da alcuni storici ritenuto impropriamente suo fratello), cosicché negli anni Sessanta e Settanta del Duecento, i due esponenti della medesima casa di Montefeltro furono acerrimi nemici.
Fu podestà di Jesi, Osimo e Montegiorgio e successivamente, nel 1261, 1265 e 1266, di Rimini. Nel 1265 ricevette una lettera gratulatoria da Clemente IV per aver riportato la pace in quella città e per la devozione mostrata alla Chiesa.
Il 26 agosto 1268 il papa gli scrisse per dare la notizia della sconfitta di Corradino a Tagliacozzo, avvenuta tre giorni prima. Il 30 ottobre (giorno successivo all’esecuzione di Corradino) lo raccomandò a Carlo d’Angiò, dal quale Taddeo si recò insieme con Malatesta Malatesta (Malatesta da Verucchio). Il papa chiese al re, tra le altre cose, di trattare liberalmente i due nobili, che non abbondavano in ricchezze. Il re di Sicilia, che era al contempo vicario della Chiesa, vicario imperiale e «paciere» in Toscana, lo impiegò immediatamente come magistrato, conferendogli il vicariato regio a Lucca (22 gennaio-29 settembre 1270), quindi a Firenze (dal 13 luglio 1271 e per tutto l’anno seguente), poi lo scelse come podestà di Siena tra i quattro candidati proposti dal Comune (primo semestre del 1273) e, quasi contemporaneamente, gli conferì la podesteria di Arezzo.
Il 6 marzo 1273 Taddeo si trovava a Orvieto, presso la Curia romana, per implorare al papa il perdono dei senesi, ancora colpiti dall’interdetto per avere sostenuto Manfredi. Ai primi di luglio era tra i firmatari di una pace fiorentina tra le diverse fazioni. Nel secondo semestre di quello stesso anno, Taddeo, che «era un uomo della Curia romana» (Franceschini, 1970, p. 64), fu nominato dal pontefice rettore e capitano generale del Patrimonio di S. Pietro in Tuscia, nonché governatore di Todi e di Città di Castello. Per adempiere ai nuovi incarichi, rinunciò alla podesteria di Siena scegliendo due sostituti temporanei.
Mancano informazioni dettagliate su Taddeo negli anni 1274-1280, ma si può ritenere che abbia continuato a svolgere la propria attività in qualità di officiale della Chiesa romana fino alla morte di Gregorio X (10 gennaio 1276). Il cronista Marco Battagli afferma che Taddeo edificò la fortezza di Montefiascone, che insegnò agli ecclesiastici a occuparsi delle cose mondane e che fu molto temuto e rispettato, tanto che «donec vixit, in eius conspectu multi silent» (p. 35). Secondo quanto riferiscono gli Annales Caesenates, di diversi decenni più tardi e ostili alla parte guelfa, Taddeo fu il responsabile, insieme con Malatesta da Verucchio, Guido minore da Polenta e Alberigo Manfredi, della consegna della Romagna alla Sede apostolica (1278). Il 6 luglio 1280, è ricordato come garante della pace tra i Geremei e i Lambertazzi, nell’ambito della generale opera di pacificazione tentata dal conte di Romagna Bertoldo Orsini. In quello stesso anno fece sposare suo figlio Corrado con Costanza di Azzo Ravignani.
Sembrerebbe che proprio come ritorsione al suo atto di sottomissione al pontefice, i ghibellini, tra i quali Uguccione della Faggiola, nella primavera del 1281 distrussero il suo castello di Pietrarubbia. Il 18 maggio di quello stesso anno, mentre era podestà di Santa Maria in Giorgio, Martino IV gli conferì il comando dell’esercito composto da tutti i milites e gli equites delle terre della Chiesa e della Toscana, congregato contro i ribelli di Romagna e contro lo scomunicato Guido da Montefeltro. Il comando supremo fu invece affidato al nuovo rettore in temporalibus della Romagna Jean d’Eppe (Giovanni d’Appia).
La campagna militare fu indirizzata contro Forlì, città in cui si era asserragliato Guido da Montefeltro, e durò alcuni mesi senza che si arrivasse a uno scontro decisivo. Il 1° maggio 1282, cadendo nella trappola ordita da Guido e dal suo celebre astrologo e consigliere Guido Bonatti, le truppe guelfe entrarono imprudentemente in città, che credevano abbandonata dai difensori, e furono massacrate. Nel «sanguinoso mucchio» dei francesi (Dante, Inf., XXVII, vv. 43-44), anche Taddeo morì.
Egli aveva preventivamente dettato le sue ultime volontà a Faenza il 17 giugno 1281: dalle disposizioni testamentarie, in cui sono ricordati diversi lasciti a enti ecclesiastici feretrani, si ricava che era crociato. Gli sopravvissero sei figli: Corrado (1260-1298), Taddeo (1265-1299), Giovanna (1268?-1298), che fu dotata di 1000 lire, Rainaldo e Filippardo (1268?-1298), figli naturali, Roberto (1269- 1285). Corrado e Taddeo svolsero una politica di ambito più limitato, alternativamente a fianco o contro il pontefice.
La faida familiare non si concluse con la morte di Taddeo: solo uno o due mesi dopo, il capitolo vescovile di San Leo imprigionò il preposito Ugolino, figlio di Guido, ed elesse come proprio vescovo il figlio di Taddeo, Roberto (per il quale cfr. A. Bartolini, I vescovi del Montefeltro, Sogliano al Rubicone 1976, pp. 45-51). Il ramo dei Pietrarubbia fu per alcuni anni padrone di Urbino e del Montefeltro, dopo che il conte Guido aveva capitolato rifugiandosi in Italia settentrionale (1285). Tuttavia, sempre meno in grado di reagire ai potenti cugini, ostacolato nei propri ambiti di azione anche dalla crescente potenza dei Malatesta, con cui furono ricercate alterne e fortunose alleanze, questo ramo della famiglia ricevette un altro durissimo colpo alla fine del secolo, quando Corrado fu trucidato insieme con i suoi congiunti dagli abitanti di Pietrarubbia (1298) e Taddeo fu ucciso dai Gaboardi di Macerata Feltria (1299). Il ramo si spense alla metà del XIV secolo con un omonimo bisnipote di Taddeo, e parte dei beni patrimoniali passarono al ramo urbinate.
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