DELLA VOLPE, Taddeo
Nacque ad Imola nel 1474 da Nicola, di famiglia attiva nella vita politica locale del sec. XII. Nel 1498 era capitano di una compagnia di fanti, sotto il comando di Ottaviano Riario, condottiero dei Fiorentini nella guerra contro Pisa. Passato in seguito al servizio di Cesare Borgia, ne comandò le truppe durante l'assedio di Faenza, nel 1501. In questa occasione perse un occhio per ferita: esperienza che lo colpì comunque più nella vanità che nel coraggio lasciandogli, per tutta la vita, una viva avversione a farsi ritrarre. Cesare Borgia, in riconoscimento dei suoi meriti, lo premio per mano di Magno Vitellozzi e di Giulio Orsini, che gli cinsero gli speroni d'oro, alla presenza del papa e di molti principi, e lo nominò capitano di cavalieri pesanti. Donatogli un feudo nel territorio di Urbino ed esentata la sua famiglia da ogni genere di pesi e taglie comuni, gli concesse poi, il 9 maggio 1502, il titolo ereditario di cavaliere, decidendo egli stesso il motto e l'effige dei quali il D. avrebbe dovuto ornarsi.
In seguito alla morte del Valentino il D. passò al servizio di Giulio II, assumendo il grado di "general comandante delle truppe pedestri ed equestri" che il pontefice aveva destinato alla difesa di Bologna. Nel 1509 però la Repubblica di Venezia lo chiamò al suo servizio, assegnandogli 100 cavalieri pesanti nella guerra contro Giulio II. Dopo la sconfitta subita dall'esercito veneto alla Ghiara d'Adda, il D. partecipò alle campagne militari per il recupero dei territori occupati dall'Impero. Sotto il comando di Andrea Gritti, allora provveditore generale dell'esercito, prese parte alla battaglia di Padova, restando ferito ad una coscia. Combatté poi contro Leonardo Trissino, Dionisio Naldi ed il Gonzaga, sconfiggendoli. Difese Arcoli e riconquistò la Stellata e Mirandola. Fu successivamente in Friuli con il provveditore Pietro Marcello per organizzare la difesa del territorio dal temuto attacco dei Turchi.
Nel 1511 guidò le truppe venete che scacciarono i Francesi da Bologna e negli anni seguenti fu sempre al fianco di Andrea Gritti nella guerra contro l'Impero. Insieme a Federico Contarini, Baldassarre Rimbotti, Gian Paolo Manfroni e Guido Rangoni comandò la compagnia di soldati di mestiere che nel febbraio del 1512 riconquistò Brescia. Nel successivo attacco dei Francesi alla città, avvenuto nell'estate dello stesso anno, venne fatto prigioniero insieme al Gritti e Baldassarre Scipion. Fu liberato dietro riscatto di 250scudi. Nel luglio del 1514 ottenne la nomina di governatore di cavalli leggeri e con tale grado fu mandato a Treviso, poi nuovamente in Friuli dove, a Gradisca, cadde di nuovo prigioniero degli Imperiali. Nel dicembre del 1516la Repubblica procedette ad uno scambio tra lui e il capitano R. Bavaro, scambio per il quale garantirono per 3.000 ducati Federico Vendramin e un tal Blusfardo, mercante tedesco del fondaco dei Tedeschi, dove il Bavaro fu custodito fino alla liberazione dei D., avvenuta nel gennaio del 1517. Durante la prigionia del D. era rimasto in Friuli il fratello Cesare, da alcuni anni anche lui al servizio di Venezia. Dopo la liberazione, il D. tornò in Friuli e nel settembre 1524 accompagnò Carlo Contarini che andava oratore dall'arciduca d'Austria Ferdinando.
Poco si sa della vita privata del D.; i soli particolari conosciuti sono la sua relazione con una nobildonna, dalla quale ebbe due figli, Alberto ed Alessandro, ed una certa partecipazione alla vita mondana della Repubblica. Il Sanuto segnala la sua presenza in tutte o quasi le occasioni di festeggiamenti pubblici, al seguito del doge Gritti, non ultima naturalmente la ricorrenza di S. Marina, il 17 luglio, giorno del recupero di Padova. Il D. fece parte della Compagnia degli immortali e nel febbraio del 1520 fu tra gli invitati ad una grande festa data a Ca' Foscari per accogliere nella Compagnia tre nuovi membri, tra i quali Federico Gonzaga, marchese di Mantova, e durante la quale si svolse una recita del Ruzante.
Morì a Venezia il 19 genn. 1534. Per decreto del doge Gritti, gli vennero fatti pubblici funerali e Agostino Brenzoni scrisse la sua orazione funebre. Fu sepolto in S. Marina e il Senato gli dedicò un'epigrafe ed una statua equestre in rame dorato, andata perduta.
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