BARBERINI, Taddeo
Nacque a Roma da Carlo, duca di Monterotondo, generale della Chiesa e fratello di Urbano VIII, e da Costanza Magalotti, il 16 nov. 1603. Fu l'unico dei suoi fratelli (gli altri due, Francesco e Antonio, divennero cardinali) a non essere destinato alla carriera ecclesiastica e perciò, pur essendo secondogenito, alla morte del padre divenne il capo della famiglia, ereditandone, oltre ai beni, le cariche e i titoli, e per tutto il pontificato di Urbano VIII fu implicato, per le funzioni onorifiche di cui era investito, e spesso in maniera del tutto nominale, nella vita politica dello Stato della Chiesa, avendo aggiunto ai titoli patemi quello di principe di Palestrina e di prefetto di Roma. Il B. infatti, che i maggiori storici della politica romana del suo tempo concordemente ritengono personaggio di secondo piano (e in tale giudizio hanno concordato sia il Ranke sia il Pastor), si dedicò soprattutto ad ingrandire i beni ed i privilegi familiari e quando intervenne negli avvenimenti pubblici fu sempre in funzione del bene della sua casa, coerentemente a tutto l'orientamento del pontificato Barberini, non mai per interesse o capacità politica, che in lui erano assai scarsi e strumentali.
A perciò che, salvo alcuni casi eccezionali, le numerose carte e documenti che di lui si conservano, e che di lui ci offrono un'immagine non episodica, sono quelle relative all'amministrazione domestica e ai rapporti con i parenti.
Scarse e frammentarie sono le notizie relative agli anni giovanili del B.: a questo periodo si riferisce la minuta di un chirografo, che però non fu mai rogato, fatto preparare dal pontefice per assolvere il B. dell'uccisione in cui era stato implicato, di una guardia, nel 1626.
Il 24 ott. 1627 il B. sposò Anna Colonna, figlia del connestabile Filippo e di Lucrezia Tomacelli; il matrimonio, celebrato in Castel Gandolfo da Urbano VIII, prometteva ai Barberini una dote di 180.000 scudi. Cifra enorme, superiore al limite fissato dalle leggi suntuarie di Pio IV, che però non fu mai interamente versata, come risulta da una causa intestata dopo la morte di Ama (1658) dai Colonna agli eredi della famiglia Barberini per farsi rimborsare la parte della dote che avevano pagato. Poco dopo, nell'autunno del 1629, in seguito a un lungo mercanteggiamento condotto dal padre Carlo, il B. acquistò da Francesco Colonna il feudo di Palestrina, che comportava il titolo principesco, per 575.000 scudi. Per tale acquisto i Barberini dovettero procedere all'alienazione di numerosi beni, tra luoghi di Monte e possedimenti ad Anticoli e Roviano. Nel 1631 le entrate del B. erano calcolate a circa 143.384 scudi (così composte: entrate di beni: scudi 82.495; entrate camerali - che gli provenivano cioè dalle cariche pubbliche occupate -: scudi 34.330; entrate di Monti e varie: scudi 26-559). Nonostante le molte spese (nello stesso anno il totale delle uscite ammontava a scudi 174.823) il B. proseguiva nell'ingrandimento dei suoi possessi, acquistando dagli Sforza nel 1634, non senza esercitare prepotenze verso il venditore, il feudo di Valmontone.
Il, B. si trovò a occupare, dopo la morte del padre (1630), le cariche di generale della Chiesa, di governatore di Borgo, di castellano di Castel S. Angelo oltre alle minori incombenze. Nel 1631, dopo la morte di Francesco Maria della Rovere ricevette il titolo, spettante tradizionalmente ai della Rovere, di prefetto di Roma, titolo che, pur essendo puramente onorifico, fu da lui tanto apprezzato da provocare non poche complicazioni ed incidenti diplomatici, pretendendo il B. che, per tale sua funzione, gli spettasse la precedenza su tutti gli ambasciatori compresi quelli delle tre grandi potenze cattoliche. Preso possesso della sua carica il 10 ag. 1631, con l'entrata solenne da Porta del Popolo, il B. venne investito dal pontefice, il 5 agosto, nella cappella del Quirinale, della sua dignità prefettizia.
Tra gli incidenti è indicativo quello del 1632, riferito nelle carte dell'Archivio Barberini (busta 105, col titolo Prefetto di Roma e Ambasciatore Veneto) ove si narra che, per una questione di precedenza di carrozze, si arrivò ad una feroce e cruenta rissa tra i servitori del B. e quelli del rappresentante di Venezia, senza che da parte delle autorità di Roma si cercasse poi di ottenere alcuna soddisfazione per i violati diritti di un ambasciatore.
Sempre in quegli anni (1634-1635) il B. si trovò implicato nell'intervento programmato dal Richelieu nel Regno di Napoli. Il piano contava sull'appoggio dei B. e del fratello, il cardinale Antonio, il quale difendeva la politica francese in seno al Sacro Cofiegio, e sull'intervento del maresciallo di Toiras, legato al duca di Savoia Vittorio Amedeo; i tre avrebbero capeggiato con l'aiuto dei Colonna, imparentati come si è detto col B., e soprattutto col sostegno della Francia, del papa e dei Savoia una rivolta antispagnola nel Meridione. Ma il progetto non si tradusse mai in realtà e con l'intervento successivo della Francia in Germania tutto venne a cadere.
Soprattutto però il B. continuava a contribuire alla politica familiare dei Barberini, della quale gli artefici erano, oltre al papa medesimo, i cardinali Francesco e Antonio, nelle mani dei quali egli era spesso un puro strumento: con la propria alterigia, egli favoriva complicazioni ed attriti diplomatici, occasione di ulteriori manovre. Cosi, è all'origine della guerra di Castro il rifiuto del principe Odoardo Farnese, che per diritto ereditario era gonfaloniere della Chiesa, di prestare omaggio al B. nella sua qualità di prefetto di Roma, quando si era recato dal papa nel 1639. A tale inimicizia occasionale si aggiunse del resto il proposito del pontefice di sottrarre al Farnese il feudo di Castro e i privilegi ad esso connessi. L'azione si iniziò infatti proprio come abolizione dei privilegi commerciali (sulle vie di comunicazione per il commercio del grano) di cui godeva il feudo di Castro fin dal tempo di Paolo III. La caduta di tale privilegio fece subito crollare la rendita del feudo, che assicurava in gran parte con 94.000 scudi annui i Monti di pegno dei Farnese in Roma. Prendendo pretesto dalle lamentele dei creditori dei Monti dei Farnese, il pontefice decise di garantirsi contro il previsto fallimento di tali Monti, facendo occupare Castro, il 13 ott. 1641, per opera di un piccolo esercito comandato dal Barberini. Successivamente furono sequestrati (16 novembre) i beni allodiali dei Farnese nello Stato pontificio e, il 13 genn. 1642, fu scomunicato Odoardo Farnese e comminato l'interdetto contro Parma e Piacenza. Ma proprio a tal punto si rivelava la debolezza della politica barberiniana, poiché, mentre da una parte si provocava uno schieramento degli Stati italiani ostile al papa e favorevole al Famese (lega tra Venezia, Modena e Toscana, 31 ag. 1642), l'organizzazione militare della Chiesa, affidata al B., coadiuvato dal marchese Taddei e poi anche dal Malvasia, si rivelò paurosamente inefficiente.
In questa guerra il B., nonostante egli fosse il supremo comandante militare, appare in maniera alquanto fantomatica, partecipando egli all'organizzazione della guerra, ma affidandone la condotta militare ai suoi due aiutanti; quanto alla direzione politica, poi, questa era assunta, oltre che dal pontefice, dai due cardinali fratelli. Il 10 sett. 1642, com'è noto, il Famese varcava il confine dei domini ecclesiastici presso Ferrara a capo di un piccolo esercito di cavalleria (3.000 cavalieri) e sbaragliava le truppe pontificie raccolte nel Forte Urbano. Proseguiva poi nella sua rapida avanzata fino al lago Trasimeno alla fine di settembre. L'armata pontificia, disfatta, non opponeva alcuna resistenza, pur essendo numericamente molto più forte, giacché all'inizio delle ostilità il B. disponeva di 18.000 fanti e di 3.000 cavalieri. L'anno successivo si verificarono gli interventi degli Stati italiani, e coll'estensìone della guerra la condizione dello Stato pontificio peggiorò sempre più anche per le crescenti difficoltà finanziarie che impedivano di far fronte alle spese militari (il Ranke ha calcolato che la guerra venne a costare 12 milioni di scudi). Si arrivò infine all'umiliante pace che vedeva restaurati tutti i vecchi diritti dei Famese, mentre, quasi contemporaneamente, moriva Urbano VIII (29 luglio 1644).
Nel lungo conclave che doveva portare all'elezione di Innocenzo X Pamphili pervenne ai due cardinali Barberini un memoriale scritto dal B. - che è un ottimo documento della sua psicologia - nel quale tra le altre cose si diceva: "Pensino bene se fanno cosa di loro riputatione, perché finalmente il parentado de' Papi ha da finire et havemo visto altri restar senza esser parente di papa et pur sono vissuti. Pensino bene se gli riuscirà il Papa che presuppongono, overo restaremo impegnati et con l'obbligo et dichiaratione senza haver il Papa che si presuppone, né altro amico* E dopo aver esaminato tutti i possibili risultati delle elezioni, non senza aver dato numerosi consigli su ciò, il B. concludeva: "Scusino perché chi non sa quel che bolle nella pignatta fa di bei conti che non può farli chi vi sta dentro: bisogna far il meglio o il meno male che si può et d'accordo tra loro, perché quel che a loro sta bene et loro giudicano quasi necessario conviene che io ratifichi et approvi * (Bibl. Ap. Vat., ms. Barb. lat.10-042 ff. 52-53). Ma il nuovo pontefice (16 sett. 1644) iniziò subito un'inchiesta sull'attività dei Barberini durante il pontificato precedente, chiedendo loro soprattutto conto dell'anuninistrazione della guerra di Castro. I Barberini speravano nell'appoggio francese (Antonio era cardinale protettore di Francia), ma Innocenzo X non si arrese di fronte ad un simile ostapolo, sicché vedendo che le cose peggioravano rapidamente, Antonio per primo se ne fuggi in Francia (notte del 28-29 settembre 1645), seguito poco dopo anche dal B., dai suoi figli e dal cardinale Francesco.
Il papa fece occupare i possessi ed i palazzi dei Barberini (quello del Quirinale alle Quattro Fontane e quello di via dei Giubbonari che era l'abitazione del B.), e venne deciso di restaurare con le sostanze barberiniane il dissestato tesoro della Chiesa. Aúna Colonna, moglie del B., rimasta a Roma, scriveva al figlio Carlo in Francia il 29 marzo 1646: "... qui il Papa ha preso tutta la robba vostra, cioè tutte le terre: Palestrina, Vahnontone, Lugnano, San Gregorio, Cas'Ape, Montelanico, Monterotondo e Montelibretti, stato de' Signori Orsini non ancora finito di pagare. Ha già preso possesso di tutto il dominio, discacciati tutti li governatori messi da vostro padre et apposti tutti li governatori il Papa, di che io vi concludo che tutto il dominio è già perduto. Il frutto, cioè tutto quello che se ne cava da cotesti stati, tutto è dalla Camera subastato, che vol dire che si venda per fame denaro, cioè del grano e anche delle altre biade' come anche delli vini e de' denari et infine non c'è più cosa sia un giulio di robba dove si possa pigliare per venderla et per poter vivere, a voi, figliol mio, et alli vostri fratelli..." (Bibl. Ap. Vat., ms. Barb. lat. 10-043, f. 73, citato anche in P. Pecchiai, I Barberini, p. 184).
Il B. non poté assistere alla reintegrazione dei suoi beni, ottenuta mediante l'azione del Mazzarino; morì infatti a Parigi il 14 nov. 1647.
Dal suo matrimonio erano nati cinque figli: Camilla, morta già nel 1631; Lucrezia, che divenne nel 1654 la terza moglie del duca di Modena Francesco I; Carlo, che diventerà cardinale nel 1653; Maffeo, che erediterà il titolo principesco; Niccolò che si farà carmelitano.
Fonti e Bibl.: Arch. Segreto Vaticano, Archivio Barberini, Documenti contemporanei al pontificato, buste 105-116; Bibl. Vat.: ms. Barb. lat.10-042, ff. 52 SS.; ms. Barb. lat.10-043; C.Strozzi, Discorso [Storia della famiglia Barberini], s.l. e s.d. [ma Roma 1640]; il discorso è dedicato a T. Barberini; H. Coville, Etude sur Mazartin et ses démélées avec le Pape Innocent X (1644-1648), Paris 1914, passim; L. von Pastor, Storia dei papi, XIII, Roma 1931, passim; R. Quazza, Preponderanze straniere, Milano 1938, passim; L. Cracas, Don T. B. ultimo Prefetto dell'Urbe, in Illustrazione romana, 1939, fasc. 23, pp. 11-12; P. Pecchiai, I Barberini, in Archivi, Roma 1959, quad. s, pp. 152-189, 238 s. e passim; L. von Ranke, Storia dei Papi, Firenze 1959, passim, Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., VI, coll. 644 s.