Sylvester
(Germania 1923, 1924, bianco e nero, 66m a 18 fps); regia: Lupu Pick; produzione: Rex Film; sceneggiatura: Carl Mayer; fotografia: Karl Hasselmann, Guido Seeber; scenografia: Robert A. Dietrich.
Un modesto caffè, la notte di San Silvestro, dalle undici di sera a poco dopo mezzanotte. Nel retrobottega, tre persone, il marito, sua madre, sua moglie. Fra i tre, i rapporti sono pessimi per la gelosia, a lungo covata, della vecchia madre nei riguardi della giovane moglie. Di fronte, al di là della strada, un ristorante di lusso, dove una piccola folla gaudente celebra l'arrivo del nuovo anno. Di tanto in tanto, fra le opposte scene, appaiono brevi inquadrature di mare in tempesta, paesaggi tranquilli, quadri di un cimitero, volti di medicanti. L'amore dispotico della madre per il figlio, il suo odio per la giovane donna con la quale è costretta a condividere quella che considera la sua proprietà, porterà alla crisi. Anche perché la moglie esige, per por fine alla tensione, che il figlio allontani la madre. Ma al momento in cui è costretto a prendere una decisione, lui, dopo aver inutilmente implorato la madre di andarsene, non sa far altro che abbandonare il capo sulle sue ginocchia mentre lei lo accarezza come un bambino. Allo scoccare della mezzanotte, l'uomo si allontana verso il suicidio. Più tardi, i festeggianti che escono dal ristorante s'imbattono in un cadavere. Non lo guardano neppure. L'orologio della torre segna le ore del nuovo anno.
Il Kammerspielfilm, di cui Lupu Pick, regista romeno attivo nel cinema tedesco, è stato il maggior esponente e di cui Sylvester è il riconosciuto capolavoro, trae origine dall'omologo genere teatrale (Kammerspiel, teatro da camera o 'teatro intimo'), nel quale un numero limitato di personaggi si muove in un ambiente estremamente ristretto. Ciò che più conta, al cinema come a teatro, è far conoscere quel che avviene nell'animo dei protagonisti attraverso eloquenti silenzi, movimenti esitanti, battiti di ciglia, un gioco interpretativo raccolto ma così intensamente espressivo da rendere superfluo il ricorso alle didascalie. Ancor più che nel precedente film di Pick Scherben (1921), anche questo un dramma a tre personaggi, Sylvester ci mostra un uomo, una moglie e una madre torturarsi l'un l'altro chiusi nell'angusto spazio domestico. "Si sente ‒ suggerisce Lotte H. Eisner ‒ che queste creature così distanti le une dalle altre si slanciano, si mancano e si smarriscono. Si sente la maledizione che pesa sull'umanità".
In Sylvester i giochi di luci e di ombre, così connaturati all'espressionismo cinematografico, hanno una funzione assolutamente marginale, limitandosi al proiettarsi di qualche ombra, o al lampo cupo di qualche riflesso. La definizione dei caratteri è essenziale, la messa in scena realistica ed estremamente semplificata: una sola stanza, una stufa di maiolica, la culla d'un bambino, tre piatti e tre bicchieri disposti su una tavola rotonda. Su tutto, un senso pesante di fatalità. "I conflitti ‒ scrive Ernst Engel nella introduzione alla sceneggiatura del film ‒ non nascono, come al solito, da passioni o intrighi, ma sembrano scaturire quasi da una condizione di passività, immotivati e come fortuitamente provocati da un apparente nulla; e inoltre, forse per la prima volta, l'ambiente sdoppiato di una storia in se stessa molto semplice non ha soltanto la funzione di fornire 'azione' parallela o di contrasto, ma piuttosto quella di produrre un 'ritmo' parallelo e di contrasto, un primo accordo, un accompagnamento e un'eco; un simbolo che amplia, rafforza e dà un senso ai fatti, così che, nell'attimo decisivo, la tensione si spezza e, quasi sotterraneamente, conduce senza scosse e con la accentuazione di quell'ambiente, che pure non era stato partecipe dell'azione, sino alla ripresa del racconto".
Nel ruolo del 'marito' Eugen Klöpfer, attore di teatro prestato al cinema ‒ fu anche protagonista di Die Strasse (La strada, 1923) di Karl Grune ‒ è di grande effetto espressivo; si muove con il busto taurino ma molle, oscillante ora all'indietro, ora di lato, come un automa senza controllo. La vecchia Frieda Richard, grintosa e dagli occhi vitrei, si sposta a piccoli passi come una tigre che punta la preda e ha scatti terrorizzanti; mentre Edith Posca (nella vita moglie del regista), la donna che cerca di strappare il suo uomo alla devozione filiale, è ora mansuetamente dedita a mansioni domestiche, ora rabbiosamente tesa alla difesa dei suoi diritti coniugali. Il film non ebbe all'epoca alcuna distribuzione italiana.
Interpreti e personaggi: Eugen Klöpfer (il marito), Frieda Richard (la madre), Edith Posca (la moglie), Karl Harbacher, Julius E. Hermann, Rudolf Blümner.
D. Kirsanoff, Pour et contre le film sans texte, in "Cinéa-Ciné pour tous", n. 17, 15 juillet 1924.
J. Epstein, Pour une avant-garde nouvelle (conferenza del 14 dicembre 1924), in Écrits sur le cinéma, 1921-1953, tome 1, Paris 1974.
R. Desnos, La nuit de la Saint-Sylvestre, in "Journal littéraire", 11 avril 1925, poi in Cinéma, a cura di A. Tchernia, Paris 1966.
J. Tedesco, La nuit de la Saint-Sylvestre, in "Cinéa-Ciné pour tous", n. 35, 15 avril 1925.
S. Kracauer, From Caligari to Hitler, Princeton (NJ) 1947 (trad. it. Milano 1954).
L.H. Eisner, L'écran démoniaque, Paris 1952 (trad. it. Roma 1955).
C. Vincent, Il 'Kammerspiel', in "Bianco e nero", n. 6, giugno 1953.
Sceneggiatura: Sylvester, ein Lichtspiel, Potsdam 1924 (trad. it. a cura di P. Chiarini, Venezia 1967).