POLLACK, Sydney
Regista cinematografico e televisivo statunitense, nato a Lafayette (Indiana) il 1° luglio 1935. Assistente a New York di S. Meisner, fu invitato da J. Frankenheimer a dirigere film televisivi a Hollywood (1960-63). Nel cinema esordì nel 1965 con The slender tread (La vita corre sul filo), dramma familiare su una moglie decisa a suicidarsi. Migliore è il successivo This property is condemned (Questa ragazza è di tutti, 1966), nel quale l'attenzione per il sociale prende il sopravvento sull'intreccio melodrammatico (all'origine c'è un atto unico di T. Williams). Le questioni negra e indiana sono trattate contemporaneamente e senza compromessi nel western, irrispettoso dei canoni tradizionali, The scalphunters (Joe Bass l'implacabile, 1968), e altrettanto poco ortodosso è il ''bellico'' Castle keep (Ardenne 44: un inferno, 1969): in entrambi dominano un deciso senso dell'ironia e la condanna della violenza. Nello stesso 1969 P. diresse They shoot horses, don't they? (Non si uccidono così anche i cavalli?), dal romanzo omonimo di E. McCoy. L'epoca è di nuovo, dopo This property is condemned, quella della Depressione, ma stavolta il regista l'affronta di petto tratteggiando un quadro impietoso e tragico delle contraddizioni messe in luce dalla Grande Crisi.
Dei film di P. è inevitabile sottolineare l'impegno morale e civile; non se ne può però trascurare la componente stilistica che, nonostante inevitabili concessioni al mercato, lo pone tra i più interessanti registi statunitensi della sua generazione. Se ne ha la conferma in Jeremiah Johnson (Corvo rosso non avrai il mio scalpo!, 1972), un western d'inusitata e suggestiva fattura, e in modo particolare in The way we were (Come eravamo, 1973) il quale, a dispetto degli ampi tagli imposti dalla produzione per ragioni politiche, rievoca efficacemente l'atmosfera oscura del maccartismo. Un'altra riflessione sul passato è The Yakuza (Yakuza, 1975), solo apparentemente un film d'azione (sui gangsters nipponici). Neppure Three days of the Condor (I tre giorni del Condor, 1975) è soltanto un film di spionaggio quantunque l'intreccio induca a crederlo (c'è per es. un preciso riferimento al Watergate), ma è forse esagerato andarvi a cercare, come è stato fatto, concezioni filosofiche che sono destinate a deludere quando affiorano con più evidenza, come in Bobby Deerfield (Un attimo una vita, 1977), da Il cielo non ha preferenze di E.M. Remarque. Alla fine degli anni Settanta, il ritorno a tematiche a lui più congeniali ha consentito a P. di allestire due interessanti film di fervore civile quali Electric horseman (Il cavaliere elettrico, 1979) e Absence of malice (Diritto di cronaca, 1982), realizzati con tecnica impeccabile, messa poi a frutto in due film di largo successo: Tootsie (1983), piacevole intrusione nel campo della commedia brillante, e il pluripremiato (sette Oscar) Out of Africa (La mia Africa, 1985), fastosa trasposizione dei racconti autobiografici di K. Blixen. Hanno confermato il suo talento Havana (1989) e The firm (Il socio, 1993). Vedi tav. f.t.
Bibl.: A. Gili, Sydney Pollack, Nizza 1971; R. Trotta, Sydney Pollack, Milano 1977; F. La Polla, Sydney Pollack, Firenze 1978; Id., Il nuovo cinema americano, Venezia 1978; Id., Sogno e realtà americana nel cinema di Hollywood, Bari 1987.