sussistenza
Il sostantivo, termine tecnico del linguaggio filosofico (dal latino subsistentia), ricorre nel Paradiso a designare un essere in quanto dotato di esistenza autonoma, o, più semplicemente, a indicare questa stessa autonomia nell'essere in sé considerata.
Il latino subsistentia (che talora equivale a ὕπαρξις, come nella traduzione dello ps. Dionigi dovuta all'Eriugena) secondo Boezio rende il termine greco οὐσίωσις e indica la proprietà per cui un ente, per poter essere, non ha bisogno di un altro ente; cfr. Liber de persona et duabus naturis 3, Patrol. Lat. LXIV 1344B-C " Neque... pensius subtiliusque intuenti idem videbitur esse subsistens quod substantia; nam quod Graeci οὐσίωσιν vel οὐσιῶσθαι dicunt, id nos sub" si "stentiam vel subsistere appellamus; quod vero illi ὑπόστασιν vel ὑφίστασθαι, id nos substantiam vel substare interpretamur. Subsistit enim, quod ipsum accidentibus, ut possit esse, non indiget; substat autem id quod aliis accidentibus subiectum quoddam, ut esse valeant, subministrat; sub illis enim stat, dum subiectum est accidentibus. Itaque genera vel species subsistunt tantum, neque enim accidentia generibus speciebusve contingunt. Individua vero, non modo subsistunt, verum etiam substant: nam neque ipsa indigent accidentibus, ut sint; informata enim sunt iam propriis et specificis differentiis et accidentibus, ut esse possint ministrant, dum sunt scilicet subiecta "; e alla col. 1345A, a proposito dell'uomo, si legge che esso è "οὐσίωσις... atque subsistentia, quoniam in nullo subiecto est; ὑπόστασις vero atque substantia, quoniam subest coeteris, quae subsistentiae non sunt ". Poiché anche generi e specie, e quindi gli universali o predicati, secondo Boezio, sono s., nell'interpretazione di Gilberto della Porrée (sec. XII) è s. tutto ciò che fa sì che qualsiasi cosa sia quello che è, cioè qualsiasi forma partecipando alla quale si assume un'essenza (se si tratta di forma sostanziale) o un accidente (se si tratta di forma accidentale). Così, la distinzione boeziana tra esse o forma, e id quod est, o individuo (cfr. Quomodo substantiae in eo quid sint, bonae sint, Patrol. Lat. LXIV 1311B " Diversum est esse et id quod est "), è glossata in questi termini da Gilberto (LXIV 1318C): " Diversum est esse, id est subsistentia, quae est in subsistente, et id quod est, id est subsistens, in quo est subsistentia: ut corporalitas et corpus, humanitas et homo, vere ".
L'interpretazione boeziana del termine ha una discreta fortuna nel Medioevo (cfr. in partic. Tommaso d'Aquino, come si vedrà) ma non riesce ad affermarsi definitivamente. In Cassiodoro s. rende ὑπόστασις (cfr. Hist. Trip. VI 21, Patrol. Lat. LXIX 1042B), in Fausto di Riez (De Spiritu Sancto I 5, ediz. Engelbrecht, Praga-Vienna-Lipsia 1891, 107) si legge: " Tria nunc in una deitate docemus .., tres essentias vel subsistentias, sed non tres substantias "; cfr. ancora Vittorino Adv. Arium I 4, Patrol. Lat. VIII 1092D " dictum est de una substantia tres subsistentias esse "; Pietro Lombardo Liber sententiarum I XXV 2 § 2 [in Dio] " Dicimus quia tres personae sunt, id est tres subsistentiae, scilicet tres entes; pro quo Graeci dicunt tres hypostases "; Alessandro di Hales Glossa in I Sent. XXIII 5, a proposito di s., afferma: " ‛ Sub ' dicitur respectu essentiae, et ‛ sistere ' dicitur respectu proprietatum, quibus persona determinatur. Sistitur enim per unitatem essentiae, ne sit infinita pluralitas personarum; et propter hoc dicitur tres subsistentias, propter proprietates personarum "; s. Bonaventura testimonia che οὐσίωσις vale substantia, e ὑπόστασις vale s. (In I Sent. d. XXIII, a. I, q. III) secondo Gerolamo e Agostino (XXIII, a. II, q. I; per Gerolamo, cfr. Lett. XV 4), mentre attribuisce la tesi di Boezio anche a Cicerone (seguendo un riferimento di Boezio a Cicerone non inequivocabile); ma egli ritiene che sostanza e s. possano in teologia avere un duplice significato: sostanza può valere " per se stans, vel sub alio sive sub proprietate "; nel primo caso non è suscettibile di pluralità (" una tantum est sive non numeratur "); nel secondo, essendo ordinata alle diverse proprietà personali, è suscettibile di pluralità; e conclude: " Primo modo tantum valet quantum usiosis, secundo modo tantum valet quantum hypostasis. Omnino eodem modo distinguitur hoc nomen ‛ subsistentia '... ". Tommaso d'Aquino afferma (Sum. theol. III 2 3c): " Subsistentia... idem est quod res subsistens: quod est proprium hypostasis, ut patet per Boethium in libro de Duabus Naturis " (cap. 3, 1344B " cum ipsae subsistentiae in universalibus quidem sint, in particularibus vero capiant substantiam, iure subsistentias particulariter substantes ὑποστάσεις appellaverunt "); in altro luogo richiama la dottrina di Boezio e di Gilberto già illustrata (I 29 2c), ma, precisando i termini usati nella dottrina trinitaria, fornisce altri elementi: " sicut nos dicimus in divinis pluraliter tres personas et tres subsistentias, ita Graeci dicunt tres hypostases. Sed quia nomen substantiae, quod secundum proprietatem significationis respondet hypostasi, aequivocatur apud nos, cum quandoque significet essentiam, quandoque hypostasim; ne possit esse erroris occasio, maluerunt pro hypostasi transferre subsistentiam quam substantiam " (I 29 2 ad 2). In breve, s. è l'ipostasi, cioè l'ente in quanto autonomo nella sua precisa e individua essenza; sostanza è questa stessa realtà autonoma e sussistente considerata come sostrato degli accidenti. Di qui un'ulteriore precisazione: la s. ha rapporto alla forma (v.), e Tommaso può affermare che l'autonomia della sostanza nell'essere per rispetto agli accidenti deriva al sinolo dalla materia mentre la s. è dalla forma (I 29 2 ad 5).
Nell'uso del termine D. sembra muoversi sulla linea Boezio-Gilberto; i contesti indicano chiaramente, comunque, che il poeta sottolinea, mediante la scelta di s., l'autonomia sovrana nell'essere di Dio, immoltiplicabile nella sua unità; oppure l'autonoma esistenza di pure forme (i nove cori angelici) o di anime separate dal corpo, le une e le altre splendore dell'idea divina o Verbo e partecipazione dell'essere increato, quasi specchio in cui Dio stesso celebra la sua ‛ perseitas '. Così in Pd XXXIII 115 [la] profonda e chiara sussistenza / de l'alto lume, in cui D. scorge i tre giri, designa l'essenza divina una e per sé esistente, ‛ forma delle forme ' in quanto radice e principio della Trinità (per la processione della prima divina triade - Bontà [ὕπαρξις], Potenza [δύναμις] e Conoscenza [νοῦς opp. γνῶσις] - all'interno del platonismo, cfr. Proclo Theol. Plat. I XVII [ediz. Saffrey-Westerink, Parigi 1968, 80]; Elem. theol. prop. 121). In XIII 59 D. afferma che l'idea-Verbo per sua bontate il suo raggiare aduna, / quasi specchiato, in nove sussistenze, nelle nove gerarchie angeliche, e in particolare negli angeli motori dei cieli che sono i mediatori tra lo splendore divino e la potenza della materia, sita nel mondo sublunare (si noti che il Verbo è qui il ‛ mediatore ' tra la Trinità e l'immagine moltiplicata di essa). In XIV 73 le novelle sussistenze sono le anime beate del cielo del Sole.