SUSINI MILLELIRE, Antonio
e Niccolò. –
Nacquero a La Maddalena rispettivamente l’11 aprile 1819 e il 28 ottobre 1827 da Francesco Susini Ornano e da Anna Maria Millelire.
Appartenevano a un’illustre famiglia originaria di Capraia, da tempo attiva nei traffici mercantili e proprietaria di alcuni appezzamenti di terreno dedicati all’allevamento e alla coltura della vite.
Il giovane Antonio, quintogenito di otto figli, dopo essersi formato sugli studi marittimi, abbandonò la Sardegna per raggiungere il porto di Montevideo nel 1840 durante i combattimenti della Guerra Grande (1839-51). Al suo arrivo, la capitale della piccola repubblica dell’Uruguay era cinta d’assedio dall’assalto delle forze dei blancos di Manuel Oribe, alleato del dittatore argentino Juan Manuel de Rosas, in lotta contro il presidente colorado in carica Fructuoso Rivera. Nel 1841, Antonio si arruolò in qualità di volontario – prima con il grado di soldato semplice, poi come sottufficiale – nella legión argentina del colonnello José María Albariños, impegnata a supporto dell’esercito di Rivera.
Scoppiata come scontro civile tra fazioni portatrici di progetti politici contrapposti, la Guerra Grande si trasformò presto in conflitto transimperiale con l’intervento, in favore del governo colorado, di Francia, Gran Bretagna e Impero del Brasile e la partecipazione di volontari spagnoli, francesi, argentini (di tendenza unitaria) e italiani. In questo contesto, seguendo l’esempio francese, nell’aprile del 1843 nasceva la legione italiana, sotto la guida di Giuseppe Garibaldi. L’Uruguay divenne così uno spazio di mobilitazione per migliaia di combattenti provenienti dal vecchio continente.
Agli inizi dell’anno successivo, su richiesta del generale nizzardo, Antonio fu reclutato nella legione italiana con il grado di tenente, iniziando una lunga carriera in armi nel Rio de la Plata. Il 23 aprile 1844, partecipò alla battaglia per la difesa della fortezza del Cerro. In seguito, fu nominato comandante del brigantino El legionario. Prese parte alla conquista strategica di Colonia del Sacramento e dell’isola Martín García, con lo scopo di permettere alla squadriglia garibaldina di risalire il fiume Uruguay e raggiungere le pianure interne di Salto. Occupata la città, fu messo a capo della batteria di artiglieria, agli ordini di Francesco Anzani. Per diciotto giorni guidò la difesa del fortino, fino alla battaglia di Sant’Antonio (8 febbraio 1846). Nei mesi successivi, continuò a operare nella zona, ordinando una serie di attacchi a sorpresa contro le truppe dei blancos. Dopo aver terminato la missione con il trasferimento delle truppe regolari, la sua flotta rientrò a Montevideo il 5 settembre 1847.
Le sorti del conflitto volgevano ormai a favore dello schieramento dei colorados e anche sulla penisola italiana il contesto era in profonda evoluzione. Tanto le rivoluzioni siciliana e milanese, quanto le precedenti riforme costituzionali avevano aperto la strada al rimpatrio di molti esuli. Il 15 aprile 1848, mentre Garibaldi salpava assieme ad altri 63 volontari dal porto di Montevideo per unirsi alla prima guerra d’indipendenza, Antonio lasciò il comando del Legionario e assunse la guida della legione italiana. Mantenne l’incarico fino all’ottobre del 1851, coadiuvando le autorità locali quale membro della giunta militare per il controllo della città e comandando i combattenti italiani in diverse azioni di guerriglia urbana contro le truppe assedianti. Contemporaneamente si trovò a gestire l’arrivo di una nuova ondata di 173 fuoriusciti provenienti dalla penisola – inizialmente inquadrati nella Compagnia dei lombardi –, responsabili di alcuni episodi di disordine e di insubordinazione.
Appreso dello sbarco di Garibaldi sulla penisola, il 19 luglio 1848 Niccolò, fratello minore di Antonio, si era messo in viaggio verso Genova per raggiungere i volontari della legione italiana. Lì rimase solo tre giorni, prima di partire alla volta di Milano e arruolarsi come soldato semplice di cavalleria. All’indomani della sconfitta di Custoza dovette unirsi alla fortunosa ritirata verso Milano e il 14 agosto si trovò coinvolto nella battaglia di Luino, al comando della formazione degli studenti di Pavia. Da lì, travestito da contadino, ripiegò in direzione della Svizzera. Arrivato a Lugano il 2 settembre, rimase ricoverato a causa di una ferita alla spalla per quasi venti giorni, prima di rifugiarsi a Genova.
Il 28 ottobre, poco dopo che Leopoldo II aveva conferito l’incarico di governo al democratico Giuseppe Montanelli, Niccolò – assieme ad altri 200 volontari – seguì Garibaldi alla volta di Livorno. In cerca di una nuova occupazione in armi, fu presto raggiunto dalla notizia della fuga di papa Pio IX a Gaeta. Ricevuto l’ordine di formare una legione, iniziò una lunga marcia verso Roma, attraversando i comuni di Tolentino, Macerata, Foligno e Rieti. Con i compiti di istruire e addestrare un corpo della guardia nazionale, trascorse l’intero marzo del 1849 a Rivo dell’Utri, negli Abruzzi. Ad aprile, con un drappello di circa 400 uomini, si spostò nell’area di Anagni, al confine con il Regno delle Due Sicilie, dove si stavano concentrando le truppe borboniche. Il 24 aprile, poi, raggiunse Roma partecipando alla difesa della Repubblica contro le armate del generale Nicolas Oudinot.
Firmata la resa con l’esercito francese, la legione italiana fu disciolta e quasi tutti i volontari si dispersero. Niccolò trovò riparo a La Maddalena, dove suo zio – Nicolò Susini Ornano – lo propose, nel novembre del 1849, come ministro saltuario del mandamento. Solo poche settimane prima, proprio nella sua città natale, era sbarcato Garibaldi, accolto dal padre Francesco e dall’altro fratello Pietro. Quest’ultimo, che strinse una lunga amicizia con il generale nizzardo, intercedette in suo favore nell’acquisto dei terreni di Caprera e lo aiutò, nell’ottobre del 1867, a fuggire dall’isola in vista del tentativo di invasione dello Stato pontificio.
Nel 1853, dopo l’apertura del tronco ferroviario che collegava Torino a Genova, Niccolò venne assunto nelle Strade ferrate come bigliettaio di seconda classe e si trasferì nel capoluogo ligure. Ricoprì questo incarico per due anni, prima di venire promosso a capostazione delle Regie Strade ferrate. Nel maggio del 1855, si impegnò in favore della popolazione civile colpita da un’epidemia di colera scoppiata in città, ricevendo dall’intendente generale la «menzione onorevole» per i servizi prestati.
Alla fine della Guerra Grande, il fratello maggiore Antonio era rimasto per altri cinque anni nella capitale uruguayana. Su mandato del ministro della Guerra, condusse le operazioni della commissione incaricata dei lavori di fortificazione della capitale. Nel novembre del 1856 fu chiamato dal governo di Buenos Aires a dirigere la Legión agrícola militar in sostituzione dell’esule Silvino Olivieri, assassinato durante un ammutinamento. Fondata per occupare l’area di Bahía Blanca, la legione aveva il compito di liquidare la resistenza delle popolazioni indigene e fondare la colonia di Nueva Roma. Il nuovo corpo, ristrutturato in reparti di artiglieria, cavalleria e fanteria, abbandonò il carattere colonizzatore e si concentrò sulle operazioni militari contro gli indios. In seguito, fu integrato nell’Esercito del Sud e impiegato nella guerra di frontiera. Antonio assunse quindi il grado di capo di stato maggiore e, per circa tre anni, coordinò la missione nella Pampa orientale. Infine, tra il gennaio e il febbraio del 1858, agli ordini del generale Wenceslao Paunero partecipò alla spedizione conclusiva verso le Salinas Grandes e alla battaglia finale di Pigüe, sconfiggendo le forze del cacique Juan Calfucurá. Per meriti sul campo, fu elevato a luogotenente colonnello.
Nel frattempo, era ricominciata la guerra civile tra la Confederazione argentina e lo Stato di Buenos Aires. Al fine di piegare la resistenza del generale José Justo de Urquiza, il ministro della Guerra Bartolomé Mitre dalla capitale aveva pianificato l’avvio di una campagna controinsurrezionale verso la provincia nemica di Santa Fe. Il governatore Valentín Alsina dispose dunque il rientro dei legionari da arruolare nel corpo spedizionario.
Il 19 maggio 1859, Antonio Susini Millelire fu autorizzato a ricostituire la Legión valiente. Molto presto, però, di fronte alle necessità belliche, fu dirottato al comando del vapore Dipingo e, su nomina dello stato maggiore, assunse il controllo militare dell’isola di Martín García. Alla guida della squadriglia navale, composta di tre vapori e di tre brigantini, svolse una costante perlustrazione delle acque dei fiumi Paraná e Uruguay, volta a impedire il passaggio di contingenti nemici, e un’attiva azione di cannoneggiamento, al fine di riacquistare il controllo dei principali porti.
In quei mesi, gli scontri tra confederati e porteños si susseguirono senza sosta, ribaltando di continuo gli equilibri del conflitto. Il 23 ottobre 1859, dopo una fortunosa fuga dal campo di battaglia di Cepeda, Antonio aiutò a evacuare le truppe dell’esercito di Buenos Aires, recuperandole a bordo delle proprie imbarcazioni ancorate nel porto San Nicolás de los Arroyos. L’azione venne salutata entusiasticamente dai giornali e dai bollettini della capitale, che celebrarono il coraggio del marinaio maddalenino.
Intanto sulla penisola italiana, in vista dell’imminente guerra d’indipendenza contro l’Impero austriaco, le attività di reclutamento entravano nel vivo. Ottenuto il permesso che lo autorizzava ad allontanarsi dall’impiego, conservando anni di anzianità e classe di lavoro, il 1° aprile 1859 Niccolò fu arruolato nei Cacciatori delle Alpi con il grado di capitano. Si distinse nei combattimenti del maggio contro gli austriaci, tanto da ricevere una medaglia d’argento al valor militare per aver capeggiato una coraggiosa imboscata contro l’esercito nemico, durante la battaglia di Varese (26 maggio). Dopo l’armistizio di Villafranca, continuò a militare nei Cacciatori delle Alpi per poi essere incorporato nel 51° reggimento di fanteria dell’esercito regolare. Divenuto capitano della 9ª compagnia, a partire dal giugno del 1861 si trovò a operare in Sicilia.
Nel frattempo, Antonio aveva continuato a battere le acque del fiume Paraná, nel tentativo di mantenere lontana la squadra della Confederazione ed evitare il blocco di Buenos Aires.
I combattimenti continuarono fino al 17 settembre 1861 quando, nel corso della battaglia di Pavón, Bartolomé Mitre riuscì a sbaragliare le truppe confederate, obbligando Urquiza alla ritirata e instaurando un governo provvisorio.
Anche le vicende sulla penisola incalzavano. Al termine della vittoriosa spedizione dei Mille, Garibaldi premeva per riprendere l’iniziativa e liberare i territori ancora sotto il dominio dell’Austria e dello Stato pontificio. Convinto sostenitore della causa nazionale, d’altronde, da almeno un anno, Antonio aveva preso in considerazione l’ipotesi di fare ritorno in patria. Ottenuta la licenza militare, nel marzo del 1861, il console generale d’Italia a Buenos Aires gli rilasciò un certificato di autorizzazione per la partenza. Arrivò sulla penisola il 22 luglio, con l’incarico di effettuare alcune rilevazioni sul lago di Garda e preparare un attacco contro la flottiglia austriaca. Fallito il progetto, tuttavia, soggiornò per un breve periodo a La Maddalena, prima di imbarcarsi per l’Argentina dove fu incorporato nell’esercito nazionale.
In parallelo, con regio decreto del 23 marzo 1862, il fratello Niccolò fu promosso al grado di maggiore di fanteria di linea. Prese parte alle azioni di repressione al brigantaggio. Per le attività svolte nelle province del Mezzogiorno, nel 1865 ricevette l’alta onorificenza del titolo di cavaliere dell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro. Terminò la sua carriera militare nelle file dell’esercito del Regno d’Italia, partecipando alla terza guerra d’indipendenza nel 1866. Ottenuta l’aspettativa per infermità dal servizio, trascorse infine gli ultimi anni di vita a La Maddalena, dove morì il 4 aprile 1869, all’età di quarantuno anni.
Di nuovo nel Rio de la Plata, Antonio si era, invece, trovato presto impegnato nella guerra della Triple alianza. Il 29 marzo 1865, il presidente paraguayano Francisco Solano López – dopo aver rotto diplomaticamente con la corte di Rio de Janeiro, intervenuta in favore del capo del partido colorado uruguayano Venancio Flores – dichiarò guerra al governo argentino, che rispose alleandosi con l’Impero del Brasile e l’Uruguay. In poche settimane, le truppe paraguayane superarono il confine occupando la città di Corrientes, mentre i reggimenti argentini muovevano verso il confine settentrionale. Nel maggio dell’anno successivo, Antonio ricevette, per ordine di Mitre, il comando della 2ª legione volontari. Nel primo anno di scontri, prese parte ai combattimenti del Paso de la Patria (6 aprile), Itapirú (17 aprile) ed Estero Bellaco (2 maggio). Successivamente, assunse il comando della 4ª divisione del I corpo dell’esercito argentino. Alla sua guida, predispose la difesa durante l’assalto di Curupaytí (22 settembre) – la più grave sconfitta per le truppe alleate –, riuscendo a portare in salvo centinaia di militari feriti. Per questa azione, ricevette lo scudo d’oro dal Congresso e, il 1° ottobre 1866, fu promosso a colonnello effettivo. Nonostante i successi conseguiti, scelse però di dare le dimissioni dall’esercito. Nel 1867, ricevuto l’esonero dal servizio militare da parte del ministro Juan Gelly y Obes, salpò verso l’Italia.
Si installò quindi a Genova e svolse, per quasi diciannove anni, l’attività di collaboratore della legazione argentina sulla penisola. Nel 1886 fece ritorno a Buenos Aires, dove venne calorosamente accolto dalle associazioni di emigrati e dai circoli politici della capitale. Su impulso dell’influente giornale cittadino La Nazione italiana, ricevette, per decreto del presidente della Repubblica, la designazione a colonnello effettivo e il riconoscimento ufficiale del servizio prestato presso l’esercito argentino. Rientrato in Italia, fu nominato dal ministro degli Affari esteri agregado militar della legazione argentina a Roma. Effettuò, negli anni successivi, altri brevi soggiorni nella capitale argentina, per svolgere incarichi diplomatici e presenziare a celebrazioni ufficiali.
Nell’aprile del 1890, eliminata la carica degli agregados, decise di rimanere comunque a disposizione dell’apparato consolare argentino. Si trasferì infine stabilmente a Genova, dove morì il 21 novembre 1900 all’età di ottantuno anni.
Fonti e Bibl.: Buenos Aires, Archivo general de la nación, cartt. X.18.8.2 (Legiones italiana, alemana, española, correntina), X.19.6.7 (Legión agrícola militar), X.20.6.1 (Guerra 1861), X.20.6.9 (Ejército de Buenos Aires), X.23.2.2 (Guerras civiles 1825-1861); Cagliari, Biblioteca della Pontificia facoltà teologica di Sardegna, Carte di Giorgio Asproni; La Spezia, Museo navale, Donazione Cabella; L’indipendenza italiana, 1° ottobre 1848; Roma, Biblioteca nazionale dei Lincei, Fondo Cuneo; La Gazzetta popolare, 6, 30 dicembre 1851 e 28 agosto 1861; El Diario, 12 ottobre 1890; Il Secolo XIX, 22 novembre 1900; L’Illustrazione italiana, 16 dicembre 1900; Corriere d’Italia, 13 gennaio 1901. Informazioni primarie sono altresì rinvenibili in: F. Carrano, I Cacciatori delle Alpi comandati dal generale Garibaldi nella guerra del 1859 in Italia, Torino 1860, pp. 266, 269, 285, 297; P.C. Boggio, Storia politico-militare della guerra dell’indipendenza italiana (1859-1860) compilata su documenti e relazioni autentiche, III, Torino 1867, pp. 45, 54, 61 s., 240, 380; C. Mariani, Le guerre dell’indipendenza italiana dal 1848 al 1870. Storia politica e militare, III, Torino 1882, pp. 475 s.; Epistolario di Giuseppe Garibaldi, con documenti e lettere inedite (1836-1882), a cura di E.E. Ximenes, II, Milano 1885, pp. 343, 347, 357, 367, 378 s.; G. Garibaldi, Epistolario, IX, a cura di G. Giordano, Roma 1981, p. 103, XI, a cura di M. de Leonardis, Roma 1988, pp. 43, 283.
Sulle figure di Antonio e Niccolò Susini Millelire: A. Falconi, Come e quando Garibaldi scelse per sua dimora Caprera, Cagliari 1902, ad ind.; E. Loevinson, Giuseppe Garibaldi e la sua legione nello Stato romano 1848-49, Roma 1902, ad ind.; G. Parisi, Storia degli italiani nell’Argentina, Milano 1907, ad ind.; H.N. Gay, Il secondo esilio di Garibaldi (1849-1854). Da documenti inediti, in Nuova antologia di lettere, scienze ed arti, 1910, vol. 147, pp. 635-659; G. Castellini, Eroi garibaldini, Milano 1931, ad ind.; N. Cuneo, Storia dell’emigrazione italiana in Argentina: 1810-1870, Milano 1940, ad ind.; J.F. Sergi, Historia de los italianos en la Argentina, Buenos Aires 1940, ad ind.; S. Candido, Los italianos en la América del Sur y el ‘Resurgimiento’, Montevideo 1963, ad ind.; O. Ales, Reseña histórica del cuerpo de intendencia del ejército argentino (1810-1960), Buenos Aires 1983, ad ind.; P.E. Arguindeguy - H.C. Rodríguez, Buques de la armada argentina 1852-1899. Sus comandos y operaciones, Buenos Aires 1999, ad ind.; G. Zichi, Le campagne garibaldine del 1848-49 raccontate da un volontario sardo: Niccolò Susini, in Il Risorgimento, LIV (2002), 3, pp. 469-492; G. Sotgiu, I Susini. Storia e documenti inediti. I rapporti con Garibaldi, La Maddalena 2004; C. Puliafito, La legione italiana - Bahía Blanca 1856, Buenos Aires 2007, ad ind.; A. Scirocco, Garibaldi. Battaglie, amori, ideali di un cittadino del mondo, Roma-Bari 2011, ad ind.; M. Contu, L’emigrazione italiana in Uruguay attraverso le fonti consolari (1857-1865), Cagliari 2017, ad indicem.
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Niccolò. –