SUSANNA (gr. Σουσαννά, Σωσαννά; dall'ebraico shūshan "giglio")
Nome della protagonista di un episodio il cui racconto è una delle parti deuterocanoniche del libro di Daniele (v.).
L'episodio è trasmesso con divergenze nelle varie recensioni, ma la sua sostanza è la seguente. Nei primi tempi in cui gli Ebrei erano in esilio in Babilonia viveva colà, donna bellissima e virtuosa e moglie di un facoltoso Joakim. Due anziani israeliti, che erano anche giudici del loro popolo, concepirono desiderî disonesti su di lei, pur non manifestando l'uno all'altro il proprio segreto. Frequentando essi spesso l'abitazione di Joakim che aveva un giardino annesso, un giorno vi si ritrovarono insieme benché si fossero accomiatati pochi momenti prima, e allora si confessarono a vicenda il loro segreto e decisero d'agire d'accordo. Nascostisi ivi, sorpresero un altro giorno S. sola nel giardino mentre faceva il bagno, ma essa rifiutò le loro proposte; i due anziani allora l'accusarono pubblicamente di averla colta in flagrante adulterio nel giardino, pur non essendo riusciti a fermare il complice ch'era fuggito. Dall'assemblea popolare S., nonostante le sue proteste d'innocenza, fu condannata a morte. Mentre si predisponeva l'esecuzione della sentenza, intervenne Daniele, ancora giovanissimo, e fece rinnovare l'inchiesta, domandando separatamente ai due anziani sotto quale albero avevano veduto commettere il delitto; i due interrogati nominarono due alberi diversi; allora il popolo riconobbe l'innocenza di S., i due calunniatori furono messi a morte e Daniele acquistò grande reputazione.
Questo racconto, assente nel testo ebraico di Daniele, è trasmesso nella Bibbia greca e nelle altre versioni che da essa derivano. La recensione greca dei Settanta, che ne è il documento più antico, è conservata in un solo codice corsivo del sec. IX (Chigiano 87; un altro codice del sec. III sembra sia stato ricuperato recentemente nel gruppo dei codici Chester Beatty, ma è tuttora inedito). La recensione di Teodozione, alquanto diversa dalla precedente, ne ha preso il posto negli antichi manoscritti, e da essa dipende la Volgata latina; ma mentre Teodozione e la Vetus Latina mettono questo racconto prima del cap. I di Daniele, la Volgata lo mette come cap. XIII. In siriaco, oltre alla siro-esaplare (fedele ai Settanta) e alla Peshitta, vi sono anche altre recensioni. A ogni modo il testo più antico oggi superstite è indubbiamente quello dei Settanta; è tuttavia probabile che esso a sua volta, nonostante le paronomasie che contiene (XIII, 54, 58), dipenda da un testo semitico, più verosimilmente aramaico che ebraico.
Nulla consta dell'autore di questo racconto; molti studiosi, specialmente acattolici, ritengono che sia stato scritto fra i secoli II-I a C. da qualche giudeo di Palestina.
Le Chiese greca e latina hanno accettato fin dai tempi più antichi questa parte del libro di Daniele come canonica; si trova citata già da Ireneo, Adv. haer., IV, 26, 3, da Tertulliano, De corona, 4, ed espressamente difesa contro Giulio Africano da Origene, Epist. ad Africanum, 9.
Bibl.: Oltre ai commenti citati s. v. daniele, cfr. C. Julius, Die griech. Danielzusätze u. ihre kanon. Geltung, Friburgo in B. 1901; E. Schürer, Gesch. d. jüd. Volkes im Zeitalter Jesu Christi, III, 4ª ed., Lipsia 1909, pp. 452-458.