SUSA (elam. Shūshan; ebr. Shūshān; Σοῦσα)
1°. - Sul luogo dell'antica S., nell'attuale regione del Khuzistan (Persia sud-orientale) sorge oggi Sush, un modesto villaggio. Poco distante scorre il fiume Karkha, noto in epoca classica con il nome di Choaspes. Sotto l'acropoli scorre un piccolo corso d'acqua: lo Shavur. Il sito posto al centro di una fertile pianura irrigabile, permise fin dalla protostoria lo stanziamento di fiorenti culture agricole e favori in seguito la nascita e lo sviluppo di un grande centro urbano. Gli scavi condotti a S. per oltre trent'anni, hanno portato alla luce la più completa serie oggi esistente di dati controllati relativi alla preistoria e alla storia dell'Iran: S. ci appare come il punto convergente di due grandi civiltà reciprocamente influenzatesi, la civiltà della pianura mesopotamica, specie meridionale, e quella dell'altopiano iranico.
La storia inizia a S. nel III millennio a. C. con la dinastia elamita degli Awan, divenuta, intorno al 2350, vassalla dei re di Akkad (incursioni di Sargon e Narām-Sin). Durante l'ultimo quarto del III millennio, la III dinastia di Ur si sostituì a quella di Akkad nel dominio della Susiana. Nel XVIII sec. la città cadde nelle mani di Hammurapi e rimase vassalla di Babilonia fino a quando iniziò la dominazione cassita. Tra la fine del XIII secolo e gli inizì del XII a. C. S. riacquistò la propria indipendenza. Il suo re, Shutruk-nakhkhunte, saccheggiò Sippar ed Eshnunna, riportando in patria un ingente bottino, (tra cui la stele con il codice di Hammurapi e la stele di Naram-Sin). Assurbanipal, a conclusione di una alterna dominazione assira, assalì S. intorno al 645 a. C. e violò le tombe reali. Nel 612 Ninive venne conquistata dai Medi e la Susiana ritornò alle dipendenze della Babilonia. In epoca achemènide S. fu scelta come capitale invernale dell'impero. Dopo la conquista di Alessandro e durante l'epoca parthica, la città continuò a mantenere un ruolo importante, anche se la decadenza cominciava lentamente a farsi sentire. I Sassanidi in un primo tempo cercarono di favorire la ripresa di S., ma al seguito di un tentativo di ribellione, organizzato - pare - con la collaborazione della comunità cristiana, Shapur II la distrusse. Ricostruita, essa declinò rapidamente.
Le principali rovine dell'antica S. occupano quattro colline artificiali (tell). Esse sono:
1) il tell dell'acropoli, su cui sorgeva la Città Reale elamita. La collina si innalza di 30 m sulla pianura. Gli strati preistorici che stanno al disopra del terreno vergine sono stati raggiunti passando attraverso strati arabi, sassanidi, parthici, seleucidi, achemènidi, neo-elamiti e proto-elamitì.
2) Il tell dell'apadāna. Sito a N del precedente. Vi sorgeva il palazzo di Dario I con annessa sala d'udienza ed altri edifici minori d'epoca achemènide.
3) Il tell della Città Reale. Sono stati riconosciuti nove strati che vanno dall'epoca islamica all'epoca neo-babilonese. Il sito era occupato un tempo dai quartieri di residenza dei funzionarî e dei cortigiani.
4) Il tell cosiddetto della Città degli Artigiani. Si trova più ad E. Metodicamente scavato a partire dal 1946, esso ha mostrato tre strati islamici, uno strato parthico-seleucide (necropoli), uno strato "proto-persiano" (villaggio), uno strato neo-babilonese con tavolette in caratteri elamiti.
La splendida e raffinata ceramica protostorica rinvenuta in notevoli quantità negli strati più profondi di S. (Susa I stile o Susa A. Nella voce elamita, arte detta: Susa B) non nasce - come fu creduto in un primo tempo - dal nulla, ma ha alle sue spalle tutta una vasta produzione vascolare nota oggi con il nome di Sequenza Susiana (Susa A della voce elamita, arte). La Sequenza Susiana è venuta alla luce nello scavo di alcuni tell periferici (Giaffarabad, Giovi, Band-i Bal, Buhallan) distante poche decine di chilometri dalla città principale. Essa è stata suddivisa in quattro distinte fasi, che vanno dalla fine del V millennio alla fine del IV e si mostrano di volta in volta imparentate, per forma o motivi decontivi, con le ceramiche prodotte dalle culture di Tell Ḥssūnah, Samarra, Tell Halaf, Haggi-Muhammad, Musyan V, el-῾Ubaid (si vedano le voci elamita, arte; ceramica). La produzione ceramica di Susa I, non solo rappresenta l'esito naturale delle fasi precedenti, ma può essere a ragione considerata come l'inizio di un nuovo periodo. La sua comparsa coincide infatti con l'invenzione del tornio a ruota lenta e presuppone lo stanziamento di una vasta e ricca comunità agricola in cui si fanno strada esigenze più raffinate.
Il primo stile di S. è il prodotto di una tradizione regionale condizionata in vario modo dai continui contatti intercorsi tra la Mesopotamia e l'altopiano. Nessuna delle sue forme più caratteristiche proviene direttamente dal S; tuttavia alcuni esempî isolati ed inusuali possono essere spiegati soltanto ammettendo una indiretta influenza delle culture mesopotamiche epigone di el-῾Ubaid. Il vasellame di Susa A΄ è stato trovato, generalmente in stato frammentario, negli strati più profondi dell'acropoli (V-IV); esso formava la suppellettile di una necropoli con tombe di secondo tipo, in cui cioè il morto veniva inumato già ridotto allo stato di scheletro. Probabilmente si trattava di una produzione a carattere esclusivamente rituale e funerario. I vasi, infatti, per la loro estrema fragilità e per la loro porosità, ben difficilmente avrebbero potuto servire per impieghi pratici.
Nelle tombe, insieme con i reperti ceramici, sono stati trovati molti sigilli di notevole larghezza, con figurine stilizzate geometricamente. Lo stile dipende piuttosto dall'Iran sud-occidentale che dal Nord mesopotamico. Numerosi gli animali in terracotta, spesso dipinti.
Anche se comincia ad apparire il rame, gli utensili sono ancora nella loro totalità realizzati in selce e ossidiana. La gioielleria consiste prevalentemente in collane di pasta blu e bianca, lapislazzuli e bitume.
Al disopra di Susa I la ceramica dipinta scompare per far porto ad una cermica sempre assai raffinata ma priva di colore, estranea, anche per forme, alla tradizione locale precedente. I due strati (Susa B e C) in cui essa è stata trovata, sono noti comunemente con il nome di "Periodo di transizione". La ceramica non dipinta deriva direttamente dalla produzione vascolare di Uruk ed in seguito anche di Gemdt Naṣr.
Tra gli strati B e C non ci sono improvvise fratture. La scomparsa dei vecchi modelli e l'apparizione dei nuovi avviene gradualmente e senza scosse, sanzionando a lungo andare un progressivo (anche se relativo) allontanamento dai prototopi mesopotamici.
L'improvvisa sostituzione della ceramica dipinta autoctona con una ceramica non dipinta, di chiara ispirazione straniera, probabilmente fu causata da una vera e propria invasione.
Va notato infine che proprio in questo periodo gli stanziamenti umani di S. si organizzarono in un vera e propria città con case edificate usando mattoni crudi.
Durante l'ultima fase (Susa C) divenne comune l'uso di introdurre tra le suppellettili funebri alcuni piccoli vasi in pietra traslucida, talvolta d'alabastro, spesso con forme zoomorfe e in alcuni casi dipinti.
Particolarmente interessante (anche per il complesso simbolismo religioso che potrebbe sottintendere) è infine una piccola scultura a tutto tondo in bitume, lunga 13 cm e alta poco più di 5. Mostra un leone in riposo che tiene nelle fauci spalancate la testa di un ometto seduto tra le sue zampe. L'uomo, nudo all'infuori di una stretta cintura, è accovacciato a terra con le gambe incrociate.
Sotto il nome di Susa II stile o Susa D (periodo dinastico arcaico) viene raggruppata tutta la produzione ceramica protoelamita che va dal 2800 a. C. fino all'epoca di Puzur-Inshushinak, ultimo re degli Awan (2300 a. C.). Il materiale in questo periodo oltre che dagli strati III e II dell'acropoli proviene anche dallo strato più profondo dell'apadāna e dagli strati I e II dela Città Reale.
Con il secondo stile riappare a S. la ceramica dipinta. Il vasellame non raggiunge la perfezione tecnica ed estetica propria di Susa I.
La decorazione può essere messa in rapporto con il precedente stile di Susa I solo nei limiti di una generica persistenza di gusto. Essa deriva principalmente dalla produzione contemporanea delle culture di Gemdet Naṣr e Khafagiah.
Il II stile - monocromo - raggiunse la fine del iii millennio. A questo periodo risalgono i primi reperti architettonici di una certa importanza, come un acquedotto che circondava l'acropoli e le fondamenta dei primo tempio di Susa. Sempre sull'acropoli sono venuti alla luce frammenti di sculture in pietra: mani giunte, un torso frammentario, e l'angolo di un sedile su cui sono scolpiti in bassorilievo alcuni soldati forse facenti parte dell'esercito di Sargon.
Il lungo periodo che va dalla III dinastia di Ur all'epoca neobabilonese può essere diviso in quattro distinte fasi. (Per una descrizione più dettagliata si veda elamita, arte). La prima termina con la comparsa dei Cassiti; la seconda comprende tutta l'epoca della dominazione cassita; la terza discende fino al sorgere dell'impero assiro; la quarta inizia con le conquiste assire per terminare con la comparsa dei Medi.
Durante la prima fase i re della III dinastia di Ur edificarono sull'acropoli due templi dedicati alle divinità Inshushinak e Ninkhursag. Nelle fondamenta sono stati trovati depositi votivi consistenti in alcune piccole statuette in rame o in pietra dura, tavolette di pietra e gioielleria.
All'epoca di Gudea di Lagash (circa 2200 a. C.) risale una stele in calcare di carattere religioso, il cui stile deriva dichiaratamente dal mondo sumerico. Vi sono rappresentati: un dio inginocchiato che tiene in mano un grande cono ed una dea stante, con le mani levate in atto di adorazione.
Lo scavo della necropoli dell'apadāna ha rivelato l'esistenza di varie tombe a carattere familiare, appartenenti a questo periodo. I corpi giacevano su un fianco, coperti da una mezza botte in terracotta. Essi portavano diademi d'oro e d'argento, pettorali d'argento, anelli, orecchini, collane lavorate, braccialetti e cavigliere in metalli pregiati con pietre semipreziose.
La ceramica continua il processo di semplificazione e volgarizzazione già in corso durante l'ultima fase di Susa D.
Negli strati cassiti compare una ceramica invetriata molto bella, con una decorazione scolpita, consistente in rosette, linee spezzate, trecce, bande ondulate, ecc. Si modellano di preferenza giare a forma di zucca, o alti boccali cilindrici con piccole presine impostate verticalmente e coperchio. Una produzione del medesimo tipo si trova contemporaneamente anche in Egitto.
Con il XIII sec. l'arte di S. diviene meglio nota anche per quel che concerne la scultura.
Entro il perimetro del tempio costruito sull'acropoli da Shulgi re di Ur, sono state portate alla luce, insieme con gli atti di donazione di terreni sacri compiuti dai sovrani cassiti, alcune importanti sculture. Si tratta della stele di Untash Khuban (1250 a. C.) divisa in scomparti; di una statua acefala, in bronzo, rappresentante la regina Napirasu; di uno splendido vaso in bronzo; del rilievo bronzeo e della tavola votiva del re Shilkhak Inshushinak; sempre al XII sec. risale un santuario dedicato ad Inshushinak scoperto sull'apadāna. L'edificio misurava m 20 × 20 ed era costruito con mattoni crudi. Nell'interno si sono conservati due rilievi in mattoni, rappresentanti il primo un uomo-toro, barbuto e frontale, posto accanto ad un albero della vita; il secondo una dea che si regge i seni con le mani. Infine, agli inizî del I millennio si datano due leoni accovacciati, di grandezza naturale, in terracotta smaltata, e un bassorilievo in pietra bitumosa rappresentante una filatrice assistita da un'ancella.
Nelle tombe del periodo immediatamente precedente la fine della dominazione assira in Susiana sono state trovate - oltre alle solite suppellettili funebri - anche varie teste-maschere in altorilievo, modellate in argilla cruda. Alcune appaiono ricoperte da una sottile lamina d'oro, altre invece sono dipinte. Gli occhi - grandissimi - venivano lavorati a parte, con una cura particolare.
Con il VI sec. a. C. ricompare in Elam la ceramica invetriata. La decorazione predilige semplici motivi geometrici o rosette; essa non è più scolpita, ma dipinta a vivaci colori (giallo, blu, verde, rosa).
Le prime comunità persiane cominciarono a scendere in Susiana durante il VII sec. a. C. Il loro spostamento dovette essere assai più simile ad una lenta e pacifica inifiltrazione che ad una imponente migrazione in massa. Il primo villaggio persiano di S. occupa il tell cosiddetto degli Artigiani. La sua architettura denota una fase di transizione tra la vita nomade e la vita sedentaria. Al centro dell'abitato si elevava un palazzo di m 30 × 10, il cui interno era suddiviso in molte stanze e stanzette.
Dario I trasferì la propria capitale amministrativa, politica e diplomatica a S., abbandonando Pasargade, ormai troppo scomoda ed eccentrica rispetto ai nuovi confini dell'impero. A Dario si deve la costruzione di tutti i principali monumenti achemènidi della città.
Sulla sommità del tell dell'acropoli sorse la cittadella; a N si innalzarono i palazzi reali; a S si distese la città vera e propria. Tutt'intorno venne edificato un solido muro di difesa, davanti al quale fu scavato un fossato. Il palazzo reale sorse, secondo l'antica tradizione monumentale persiana, su una terrazza simile a quella di Mashgid-i Sulaiman e Pasargade. In mancanza della pietra la spianata sopraelevata fu realizzata con una vera e propria cassa di mattoni crudi, riempita di breccia e scorie. Il palazzo che ne occupò il centro, venne costruito invece secondo il piano degli edifici babilonesi, in uso nei paesi caldi, con tre grandi cortili interni circondati da appartamenti di rappresentanza e abitazione. Contigua e comunicante con il palazzo era l'apadāna o sala di riunione (v. apadāna). La sua pianta non differiva molto da quella di Pasargade; tuttavia essa aveva in più un triplice portico che circondava il salone centrale. Sostenevano il soffitto 72 colonne alte quasi 20 m, sormontate da capitelli con protomi taurine. Di questi uno solo è giunto fino a noi.
Secondo l'uso corrente, Dario collocò l'apadāna sotto la protezione dei suoi geni benevoli e li rappresentò lungo i muri sotto l'aspetto di leoni o tori alati. Ad essi egli volle aggiungere anche una simbolica protezione materiale. Fu così che le immagini religiose vennero affiancate da un secondo rilievo rappresentante una teoria di soldati che avanzavano verso sinistra. Sono gli "Immortali", la fedelissima guardia del corpo del sovrano. I rilievi avevano un carattere monumentale ed erano realizzati in mattonelle smaltate e colorate secondo una tecnica da tempo usata nella pianura.
Il palazzo bruciò completamente durante il regno di Artaserse I e fu ricostruito dopo alcuni decennî da Artaserse II Mnemon. Dato però che la capitale non poteva restare senza una reggia, nell'intervallo fu edificato un palazzetto in miniatura, del tutto simile al precedente. L'apadāna venne sostituita da una sala ipostila di modeste proporzioni, contigua ad una sala da ricevimento connessa a sua volta con le stanze d'abitazione.
Tutta la scultura achemènide in pietra, trovata a S., proviene da qui. Lo stile non è più identico a quello aulico ed eroico di Persepoli ma sembra affinarsi, umanizzarsi, quasi che il soffio dell'arte ateniese della metà del V sec. fosse giunto a lambire la pianura susiana. Circa a quattro chilometri dalla città è venuto alla luce un tempio del fuoco o Ayadana edificato da Artaserse II mnemon (404-358). Infine una tomba achemènide ci ha dato molti pregevoli esemplari di oreficeria.
Gli strati seleucidi-parthici di S. hanno rivelato l'esistenza di una società ibrida, in cui gli iranici ed i semiti vivevano fianco a fianco con gli emigrati greci.
Circa un chilometro a N dell'apadāna, subito ad E della Città Reale, si trovano le tracce di una cinta di mura, le cui porte sono indicate da basi di colonne. All'interno, alcuni tell di modeste proporzioni si innalzano di 6-7 m sul livello della pianura. Si tratta della città parthico-seleucide, battezzata dal Dieulafoy con il nome di Città degli Artigiani.
La necropoli, compresa entro le mura, ha rivelato l'esistenza di tombe di due tipi diversi. Nel primo, le tombe comunicavano con la superficie mediante un pozzo molto profondo e consistevano in una camera voltata costruita in mattoni crudi; nel secondo si trattava di vere e proprie cripte di famiglia, a più ambienti, alle quali si accedeva per mezzo di una ripida scala. I morti erano chiusi entro sarcofagi di terracotta invetriata ovvero - se si trattava di bambini - entro giare.
Dallo strato V della città reale provengono un rilievo in pietra e due teste marmoree molto interessanti. Il rilievo mostra Artabano V con il volto ed il busto frontali e le gambe di tre quarti. Il sovrano è seduto su un trono sostenuto da due grifoni alati e porge al satrapo di S. la corona dell'investitura, secondo uno schema iconografico allora assai comune. I costumi sono quelli caratteristici del tardo impero parthico (mitra, ampi pantaloni, file di perle, ecc.) ed i piedi, posti verticalmente, sostengono corpi tozzi. La data oscilla intorno agli inizî del III sec. d. C.
Delle due teste in marmo, la prima rappresenta un partho dai grandi occhi sbarrati, con barba a punta, baffi, gonfia capigliatura resa con sottili righe verticali e sopracciglia fortemente sottolineate. La figura, tanto tipologicamente quanto stilisticamente, è vicina alla testa di Shami (fig. 306) e ad altre opere d'epoca parthica. La seconda testa rappresenta una regina, coronata da torri merlate. Probabilmente è l'opera di un artista di origine greca ma nativo del luogo, fortemente influenzato dall'arte ellenistica provinciale che ancora sopravviveva nelle antiche colonie seleucidi. La testa apparteneva ad un corpo ora perduto, ma era stata lavorata a parte. Il modellato, sfumato ed un poco incerto nella definizione plastica dei piani, è caratteristico di questa ibrida scuola ellenistico-orientale in via d'estinzione. I caratteri dell'iscrizione ci danno una data a cavallo dell'èra volgare.
Nello stesso strato sono apparse le rovine di un bagno pubblico e di varie case che mostrano le tracce di violente distruzioni, dovute forse ad Ardashir Babakan, il vincitore degli ultimi Arsacidi.
Tra gli scarsi ritrovamenti d'epoca sassanide, ricorderemo soltanto un dipinto rappresentante un cavaliere, rinvenuto nello strato IV della Città Reale. Infine d'epoca islamica e un antichissima moschea in rovina, edificata entro il perimetro della Città degli Artigiani.
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