suppositio
Sostantivo lat., propr. «supposizione». Con questo termine si fa riferimento alla dottrina logica medievale che designa la proprietà di un termine categorematico all’interno di una proposizione. Il termine è un segno che nel discorso rappresenta ciò di cui si parla: data l’impossibilità di portare le cose nella discussione, è necessario usare i nomi in luogo delle cose, come segni di esse. Il linguaggio umano si costituisce, perciò, come sistema di segni o sequenze foniche (voces) che per convenzione hanno la capacità di significare le cose (voces significativae). È detta significazione la proprietà della vox di rappresentare qualcosa all’intelletto. La vox, poi, già costituita come voce significativa, è propriamente «termine», cui spetta di essere usato per designare una realtà; questa proprietà del termine è detta supposizione. Nei primi trattati (secc. 12°-13°), la definizione di s. fa riferimento alla funzione del sostantivo che funge da soggetto in rapporto a un verbo che ha funzione di predicato. La dottrina logica della s. si rivela imparentata con la dottrina grammaticale del sostantivo che è il suppositum di un verbo-predicato. Negli stessi testi si distingue tra s. naturale (o abituale, o assoluta), che compete al termine considerato per sé stesso, cioè al di fuori di un contesto, e s. accidentale (o attuale, o rispettiva), che è propria del termine quando ricorre in un contesto, e in primo luogo in una proposizione, nella quale la sua occorrenza è condizionata dai quantificatori, dal tempo del verbo e dagli eventuali operatori modali; il termine ha così s. per (supponit pro) le cose ch’esso significa in relazione alla complessiva struttura della proposizione. Nel sec. 14° la s. è definita come la «proprietà del termine che funge da soggetto o da predicato d’una proposizione», e si distingue tra s. personale («Socrate è uomo»), semplice («l’uomo è una specie») e materiale («l’uomo è un nome»); ma le interpretazioni di questa articolazione divergono: Occam, «nominalista», ritiene che si abbia s. personale quando il termine è usato per ciò che esso significa, e s. semplice quando è usato non significativamente per il concetto; per il «realista» Burleigh si ha s. semplice quando il termine è assunto nella sua capacità significativa, e s. personale quando esso sta per ciò che accidentalmente significa (per l’individuo che non è significato primariamente); inoltre Buridano riduce la s. semplice a quella materiale; più tardi, Pietro degli Alboini da Mantova (1390 ca.) rifiuta anche la s. materiale e ritiene che sia possibile usare il termine solo in s. personale. Poiché la proposizione è studiata dal logico in quanto afferma o nega qualcosa di qualcos’altro con verità o falsità, la dottrina della s. fornisce la chiave per l’elaborazione delle condizioni di verità e falsità delle proposizioni. Di conseguenza, la s. gioca un ruolo importante anche nella definizione delle condizioni di validità del discorso scientifico: la ripresa, da parte di Buridano, della s. naturale intesa come proprietà del termine di stare, in una proposizione categorica, per le concrete cose significate e con riferimento non a un solo tempo ma a ogni tempo, risponde all’esigenza di garantire la validità delle conclusioni al di là delle distinzioni temporali, cui fa riferimento, invece, la s. accidentale.