supply side economics
Approccio alla crescita che favorisce gli interventi del governo sul lato dell’offerta rispetto a quelli sul lato della domanda (demand side). Alla fine degli anni 1970, l’espressione s. s. e. è entrata nel dibattito americano sulla politica economica. In particolare, si riferisce ad azioni di policy volte alla riduzione della pressione fiscale nei confronti delle imprese e dei cittadini, e ai tagli alla spesa di governo, capaci, fra l’altro, di contenere i prezzi di offerta dei prodotti. In generale, la s. s. e. sosteneva – e sostiene tuttora – che un alleggerimento del peso dei governi in ambito economico è obiettivo da perseguire per promuovere una prosperità che si basi sostanzialmente sull’efficienza dei meccanismi di mercato.
Tra i sostenitori più rappresentativi di tale approccio vanno citati R.A. Mundell (➔) e A.B. Laffer, entrambi economisti statunitensi. Dei due, il secondo ha elaborato un modello comunemente richiamato in letteratura come ‘curva di Laffer’ (➔ Laffer, curva di): un’imposizione fiscale più bassa farebbe aumentare gli incentivi al settore privato, che si tradurrebbero in un incremento del tasso di impiego, della produttività e del livello complessivo dell’output per dati prezzi. La domanda, e quindi i consumi, sarebbero trascinati verso l’alto a seguito della crescita della produzione.
Le microfondazioni di questo modello teorico si basano su una concezione secondo cui l’individuo sarebbe condizionato negativamente dalla pressione fiscale nel calcolo razionale che guida la sue scelte economiche. Ossia, un livello di tassazione troppo elevato diventerebbe un freno all’investimento privato, perché ne abbasserebbe le prospettive di profitto futuro. L’obiettivo di politica economica che deriva dalla struttura teorica proposta dalla s. s. e. sarebbe quindi quello di far aumentare, attraverso una diminuzione delle tasse (almeno nel breve periodo), l’offerta di lavoro e di innalzare il livello degli investimenti privati.
L’amministrazione Reagan, al governo degli Stati Uniti negli anni 1981-89, fu particolarmente favorevole all’utilizzo di manovre ispirate ai principi della s. s. e., con l’obiettivo di rilanciare la crescita. La riduzione della fiscalità sulle imprese, annunciata da R.W. Reagan durante la campagna elettorale, fu accompagnata da una contrazione della spesa pubblica e da una progressiva deregolamentazione dei mercati, al fine di limitare le distorsioni provocate dall’intervento pubblico. In realtà, anche se le idee reaganiane attirarono nel breve periodo numerosi consensi, è difficile sostenere che le politiche ispirate alla s. s. e. abbiano portato ai risultati attesi. Negli anni della presidenza Reagan, infatti, la bilancia dei pagamenti continuò a rimanere negativa, mentre la forbice tra esportazioni e importazioni seguitò ad allargarsi in favore di queste ultime. Non si può, però, neanche ignorare che le manovre ispirate alla s. s. e. si inserirono in un contesto economico particolarmente complesso, condizionato dall’eredità degli anni della presidenza di J.E. Carter e da problematiche legate alla progressiva deindustrializzazione degli USA e alla nuova pressione competitiva esercitata soprattutto dai Paesi asiatici.