SUPPLICAZIONI (Supplicationes)
Si chiamavano così, in Roma antica, certe cerimonie sacre pubbliche che si celebravano per ordine dei consoli o del senato e con l'intervento di gran folla di cittadini. Si ricorreva alle supplicazioni quando si volevano stornare dalla città e dal popolo le sventure annunziate da tristi presagi o quando si volevano pregare gli dei affinché risparmiassero allo stato qualche imminente calamità e volessero usare verso i cittadini perdono e misericordia. Ma, oltre che per questi motivi, si tenevano anche supplicazioni di ringraziamento.
Il rito ufficiale delle supplicazioni era quello greco; e infatti esse venivano ordinariamente deliberate in seguito alla consultazione dei libri sibillini e dietro suggerimento dei decemviri sacris faciundis, ai quali veniva anche commessa la direzione della cerimonia. All'invito dei decemviri, tutto il popolo di Roma e del suburbio si riuniva nel luogo indicato. Intervenivano uomini e donne, con corone in testa e con rami di alloro in mano, recando offerte di vino e d'incenso: le donne; specialmente, esprimevano in modo piu drammatico la loro angoscia o la loro gratitudine. Ordinariamente le supplicazioni avevano la durata di un giorno; in certi casi, però, specie quando si trattava di rendimenti di grazie, si estendevano per più giorni; e sono noti i casi di supplicazioni di dieci, venti e anche cinquanta giorni, ordinate dal senato, nell'ultimo secolo della repubblica, per ringraziamento delle vittorie riportate dai generali e a scopo di adulazione verso di essi. La stessa cosa si verificò poi di frequente nell'età dell'impero. Il cerimoniale del rito era sempre lo stesso: salvo che le supplicazioni per richiesta di grazie culminavano nella cosiddetta obsecratio (formula di scongiuro e di supplica), quelle per rendimento di grazie nella gratulatio (preghiera e dimostrazione di gioia e di riconoscenza). Ad alcune di queste supplicazioni prendevano parte cori di fanciulle, i quali fecero la loro prima comparsa in Roma, nella supplicazione del 207 a. C., e cantarono allora il carme scritto per l'occasione da Livio Andronico.
Bibl.: J. Toutain, in Daremberg e Saglio, Dictionnaire des antiquités, VIII, p. 1565 seg.; G. Wissowa, Religion und Kultus der Römer, 2ª ed., Monaco 1912, p. 423 segg.; id., in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., der class. Altert., IV A, col. 942 segg.; F. Altheim, Terra Mater, Giessen 1931, p. 1 segg.