suppa
Solo in Pg XXXIII 36. Prima di vaticinare il prossimo avvento di un messo di Dio, secondo il gusto della criptografia poetica indicato con il numero Cinquecento diece e cinque (v.), Beatrice ricorda che la Chiesa, dilaniata dal demonio, non è più nell'unità e nell'interezza di un tempo; e continua: ma chi n'ha colpa, creda / che vendetta di Dio non teme suppe.
Il senso complessivo del passo non offre gravi difficoltà interpretative: " chi n'ha maggior colpa, tema la vendetta di Dio che non s'arresterà dinanzi alle difese e ai sotterfugi del reo " (Lanza, p. 1220); riesce invece difficile definire il significato dell'espressione nei suoi particolari, anche in relazione alla violenza del termine suppe e al sapore aforistico di tutta la locuzione.
I commentatori antichi, a cominciare da Pietro, parlarono di una superstizione feudale, secondo cui un omicida, che entro nove giorni dal delitto fosse capace di mangiare una zuppa sulla tomba dell'ucciso, poteva esser considerato immune da qualsiasi vendetta dei parenti. A questa giustificazione storico-giuridica, secondo la quale la frase deve voler dire " è sicura da prescrizioni ", " è inevitabile ", si attengono ora i più fra gl'interpreti.
Sono state però proposte altre spiegazioni, soprattutto con l'intento di dar rilievo a un possibile rapporto fra la frase e la polemica anti-francese che, in nome della rivendicazione dei diritti dell'Impero, è condotta per tutto il canto. Così il Mazzoni, precisato che soupe in francese indica un pezzetto di pane tagliato in modo da poter essere immerso in un liquido, ricorda la blasfema abitudine di re Filippo Augusto di ostentare una caricatura dell'ultima cena di Cristo ogni volta che uscisse a battaglia, e spiega: " Chiunque è responsabile della presente abiezione della Chiesa sappia che i falsi giuramenti non fermano mai la vendetta di Dio; fossero pure, quei giuramenti, un simulacro della Santa Cena ".
Il Bassermann, con l'intento di collegare la profezia alla venuta di Enrico VII in Italia, scorse nella frase un'allusione all'ostia avvelenata con la quale sarebbe stato ucciso l'imperatore, ma questa ipotesi fu giudicata " incongruente " dal Parodi.
L'Austin muove anch'egli dal passo di Pietro, e osservando che nella chiosa di lui il termine ‛ suppa ' è presentato come sinonimo di ‛ offa ', ravvisa nel verso un'allusione all'offa buttata a Cerbero da Enea (cfr. Virg. Aen. VI 420) e interpreta: " la vendetta di Dio non si fa placare come l'ira rabbiosa di Cerbero da donativi, da offe, da suppe; la vendetta di Dio è sempre desta ". A conferma di questa interpretazione il Vandelli, recensendo il saggio dell'Austin, osservò che il latino ‛ offa ' era stato reso con " suppa " in una redazione volgare dell'Eneide, quasi certamente dovuta all'opera di Andrea Lancia.
In tutt'altra direzione si mosse il Torraca, il quale, nel suo commento al poema, propose di emendare non teme iuppe , ove ‛ iuppa ' è per " corazza ", e spiegò: " si copra pure di ferro, come vuole il colpevole del misfatto; la vendetta di Dio lo coglierà senza falli, perché la spada di Dio trapassa qualunque armatura ". La lezione congetturata dal Torraca è stata ritenuta improbabile dal Barbi, né ha trovato accoglimento nella critica più recente.
Bibl. - E.G. Parodi, in " Bull. " XVI (1909) 149-150; G. Giani, in " Giorn. d. " XXIII (1915) 53 ss., 141 ss.; G. Mazzoni, Almae luces malae cruces, Bologna 1941, 289-305; H. D. Austin, Dante Notes, in " Modern Language Notes " XL (1925) 339-342; G. Vandelli, in " Studi d. " XII (1927) 102-105; Barbi, Problemi I 223; F. Lanza, Il canto XXXIII del Purgatorio, in Lect. Scaligera II 1220-1221.