Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Lo studio e la comprensione del fenomeno della superconduttività a opera di Heike Kamerlingh Onnes nel 1911 sono profondamente legati agli sviluppi novecenteschi della fisica della materia. La nuova scoperta infatti mette in crisi il cosiddetto modello di Drude (o a elettroni liberi), sul quale si basa fino a quel momento la conduzione dei metalli, in quanto non riesce a giustificare il legame esistente tra temperatura e resistenza elettrica. Di qui il crollo delle teorie della fisica classica a vantaggio di un nuovo modello, quello quantistico, che sarà la giusta premessa agli sviluppi della ricerca nella seconda metà del secolo.
Le proprietà caratteristiche dei superconduttori
La superconduttività è un particolare stato della materia condensata, proprio di molti metalli, di alcuni semiconduttori e di molte leghe metalliche, che si realizza alle basse temperature al di sotto di una certa temperatura critica Tc propria di ogni materiale. La materia nello stato superconduttore manifesta due fondamentali proprietà. La prima proprietà è quella di avere una resistenza elettrica nulla e, se si innesca una corrente elettrica in un circuito superconduttore e si elimina successivamente il generatore, la corrente continua a fluire indefinitamente (persistenza della corrente). La seconda proprietà di un superconduttore è di essere perfettamente diamagnetico, cioè non “penetrabile” da un campo magnetico esterno.
La prima di queste due proprietà è scoperta nel 1911 a Leida da Heike Kamerlingh Onnes, tre anni dopo che questi ha ottenuto per la prima volta la liquefazione dell’elio rendendo disponibile un nuovo metodo per il raggiungimento di bassissime temperature. Kamerlingh Onnes osserva l’annullarsi della resistenza in alcuni metalli, come il platino e il mercurio, alla temperatura dell’elio liquido di 3 K (K sta per gradi Kelvin, i gradi della scala termometrica assoluta). Tra il 1912 e il 1913 i collaboratori di Kamerlingh Onnes al centro criogenetico di Leida confermano queste osservazioni preliminari. Da allora si comincia a parlare di superconduttività come fenomeno distinto dalla normale conduzione elettrica nei metalli. La seconda proprietà fu invece scoperta nel 1933, a Berlino, da Walter Meissner e Robert Ochsenfeld (e oggi è nota come effetto Meissner).
La comprensione del fenomeno della superconduttività interseca gli sviluppi novecenteschi della fisica della materia, un settore dove si ha a che fare con sistemi composti da molti corpi e quindi dove la meccanica statistica gioca un ruolo fondamentale.
Dalla teoria classica a quella quantistica della conduzione nei metalli (1900-1931)
Quando Kamerlingh Onnes arriva a scoprire la superconduttività, il fenomeno della conduttività è ancora interpretato nell’ambito della teoria degli elettroni nei metalli elaborata principalmente da Paul Drude, Hendrik Antoon Lorentz e Joseph John Thomson tra il 1900 e il 1909, e oggi nota come modello di Drude o a elettroni liberi. Utilizzando i risultati della teoria cinetica dei gas, i metalli venivano descritti come un gas di portatori di carica liberi (identificati da Thomson nel 1900 con i “corpuscoli” costituenti i raggi catodici, cioè gli elettroni), la cui distribuzione di velocità all’equilibrio era la distribuzione di Maxwell. Gli elettroni liberi provengono dagli atomi costituenti il metallo: quando questi atomi si trovano aggregati a formare il metallo si trasformano in ioni positivi, cedono cioè uno o più elettroni (i cosiddetti elettroni di valenza) che sono liberi di muoversi nel metallo senza più essere vincolati all’atomo di provenienza. Nel modello di Drude gli elettroni liberi si muovono in presenza degli ioni positivi, questi ultimi svolgono una duplice funzione: spiegano come mai i metalli siano complessivamente neutri e giustificano i valori della resistenza elettrica riconducendola agli urti tra gli elettroni liberi e gli ioni. Gli ioni positivi nel modello di Drude hanno posizioni fisse che, come si scoprirà in seguito, possono essere disposte in modo regolare, dando luogo al cosiddetto reticolo cristallino proprio di molti metalli, oppure in modo irregolare come avviene in molte leghe. Il modello fornisce una spiegazione soddisfacente di vari fatti sperimentali, come la legge empirica trovata da Wiedemann e Franz nel 1853, per la quale il rapporto tra conduttività termica e conduttività elettrica per un gran numero di metalli è direttamente proporzionale alla temperatura, con una costante di proporzionalità che è la stessa per tutti i metalli. D’altra parte, però, il modello di Drude incontra serie difficoltà nella spiegazione di molti fenomeni osservati, e in particolare non dà conto della dipendenza della resistenza elettrica dalla temperatura.
I primi studi sistematici sulla conduzione elettrica dei metalli a basse temperature sono stati intrapresi verso la metà degli anni 1880 da Louis-Paul Cailletet e Edmond-Marie-Léopold Bouty a Parigi, e da Zygmunt Wróblewski a Cracovia. Questi primi studi furono seguiti, nei primi anni 1890, dai contributi di James Dewar e John Ambrose Fleming. Dewar e Fleming osservano che al diminuire della temperatura si produce nei metalli puri una notevole riduzione della resistenza elettrica, e che il fenomeno è disturbato anche dalla minima impurità presente nei metalli. Misurazioni successive sembrano avvalorare l’estrapolazione che alla temperatura dello zero assoluto, la resistenza elettrica si annullerebbe. Ma ben presto ci si accorge che il comportamento è più complesso: per un metallo puro la resistenza diminuisce fino a un valore limite oltre il quale la diminuzione di temperatura non sembra influire sulla resistenza, mentre nel caso di una lega sembra che la resistenza elettrica dopo aver raggiunto un minimo riprenda a crescere. Si avanzano, sulla base del modello a elettroni liberi, vari tentativi di spiegazione di questa classe di fenomeni. Per esempio, Thomson ipotizza che superata una certa temperatura critica, un ulteriore abbassamento della temperatura causerebbe un enorme aumento della resistenza dovuto alla condensazione degli elettroni. Di fatto il modello a elettroni liberi non permette di rendere conto della dipendenza della resistenza elettrica dalla temperatura, limitandosi a introdurre ad hoc una dipendenza dalla temperatura in un particolare parametro della teoria (il cosiddetto tempo di rilassamento) che entra nell’espressione della resistenza elettrica.
Se quindi già la conduzione elettrica usuale costituisce un problema di difficile interpretazione, a maggior ragione lo è la superconduttività scoperta da Kamerlingh Onnes.
Tra il 1907 e il 1912, una serie di contributi sulla questione dei calori specifici dei solidi evidenzia alcuni punti deboli del modello a elettroni liberi e apre la strada alla comprensione della dipendenza della resistenza elettrica dalla temperatura. Il calore specifico è la quantità di calore che è necessario fornire all’unità di massa di un corpo per elevare di un grado la sua temperatura. La legge di Pierre-Louis Dulong e Alexis-Thérèse Petit, comunicata nel 1819, stabilisce che il calore specifico di tutti i solidi è uguale a 5,96 calorie per grado Celsius, indipendentemente dalla temperatura. Tuttavia, dalla fine dell’Ottocento, lo sviluppo della criogenia aveva permesso di evidenziare che il calore specifico diminuisce al diminuire della temperatura violando la legge di Dulong-Petit. Il modello a elettroni liberi non è in grado di spiegare questo andamento e sarà Einstein, nel 1907, a proporre per primo un nuovo approccio alla questione, sviluppato poi tra il 1911 e il 1912 da Peter Debye, Max Born e Theodor von Kármán.
Secondo Einstein il calore specifico non è legato al gas di elettroni ma alle vibrazioni degli ioni del reticolo intorno alle loro posizioni di equilibrio (quelle che nel modello di Drude erano considerate fisse). Einstein ha dimostrato in uno dei suoi fondamentali articoli del 1905 che le vibrazioni del campo elettromagnetico in certe circostanze possono essere descritte nei termini di quanti di luce, in seguito chiamati fotoni. L’idea di Einstein è che anche le vibrazioni meccaniche del reticolo ionico possano dar luogo in determinate situazioni a quanti vibrazionali, cioè a quasi-particelle riconducibili alle vibrazioni d’insieme del reticolo ionico, in seguito chiamate fononi. Seguendo la strada indicata da Einstein il problema della dipendenza della temperatura dei calori specifici si avvia a soluzione e si comincia a capire che l’ipotesi delle posizioni fisse degli ioni nel modello a elettroni liberi è troppo drastica. Nel caso della conduzione elettrica, ammettendo un’interazione tra elettroni liberi e quanti del campo di vibrazione del reticolo ionico si può introdurre una dipendenza dalla temperatura della resistenza elettrica. Ipotizzando infatti che allo zero assoluto (pari a circa -273 °C) le posizioni degli ioni siano fisse, e che a temperature crescenti gli ioni compiano oscillazioni sempre più ampie intorno alle loro posizioni allo zero assoluto, si può capire perché la resistenza elettrica diminuisca al diminuire della temperatura. È il modello che venne proposto per la prima volta da Wilhelm Wien nel 1913 per la conduzione usuale e che lo stesso Kamerlingh Onnes prova ad applicare al caso della superconduttività. Ma in entrambi i casi sono ancora solo i primi passi verso comprensione soddisfacente dei fatti sperimentalmente osservati.
La svolta nell’interpretazione dei fenomeni della conduzione e, più in generale, di tutti i processi che hanno luogo nella materia, tanto più quando si ha che fare con basse temperature, avviene dopo l’introduzione della meccanica quantistica, cioè a partire dalla metà degli anni Venti. Nel contesto della meccanica quantistica si comprende in particolare che il comportamento statistico di aggregati di molte particelle è diverso da quello classico.
Le particelle classiche sono, in linea di principio, distinguibili l’una dall’altra, e statisticamente indipendenti (scorrelate); ne deriva che obbediscono a un’unica statistica, quella di Maxwell-Boltzmann. Le particelle quantistiche invece sono indistinguibili e statisticamente correlate in due modi diversi che danno luogo a due tipi di comportamento statistico, uno per le particelle che hanno spin semintero (1/2, 3/2, …), chiamate fermioni, e uno per le particelle che hanno spin intero (1,2, …), chiamate bosoni. La statistica dei fermioni, come l’elettrone che ha spin 1/2, fu formulata nel 1926 da Enrico Fermi (da cui traggono il nome) e da Paul Dirac, e incorpora il cosiddetto principio di esclusione di Pauli, il fatto cioè che non è possibile trovare due fermioni nello stesso stato (correlazione negativa); mentre la statistica dei bosoni, come il fotone che ha spin 1 o il fonone, fu formulata nel 1924 da Satyendra Bose (da cui traggono il nome) e Albert Einstein, e incorpora il fatto che essi tendono a trovarsi tutti nello stesso stato (correlazione positiva).
Alle basse temperature, quando cioè l’energia di un sistema è piccolissima, questo comportamento statistico delle particelle quantistiche è cruciale: un gas di fermioni alle basse temperature sarà caratterizzato dal fatto che ogni stato (o livello energetico) conterrà un solo fermione, se quindi ho un certo numero n di fermioni questi si distribuiranno su n livelli energetici, a partire dal livello di energia più bassa (o stato fondamentale) fino a un livello di energia massima, nota come energia di Fermi; un gas di bosoni, invece, sarà caratterizzato dal fatto che tutti i bosoni tenderanno ad ammassarsi nello stato fondamentale, dando luogo a una situazione in cui il carattere quantistico dello stato fondamentale può rivelarsi su scala macroscopica.
Il primo ad applicare la statistica di Fermi-Dirac al gas di elettroni del modello di Drude è Arnold Sommerfeld nel 1928, senza tuttavia ottenere risultati particolarmente apprezzabili in quanto mantiene l’ipotesi delle posizioni fisse degli ioni positivi e trascura il campo elettrostatico da questi prodotto. Chi invece ottiene tra il 1928 e il 1931 la prima teoria quantistica di successo per la conduzione dei metalli è Felix Bloch.
Nella teoria di Bloch ciascun elettrone di valenza (cioè ciascun elettrone “impegnato” a formare legami chimici) si muove nel metallo in presenza di un campo elettrico effettivo, che tiene conto sia dell’azione elettrostatica degli ioni positivi disposti nel reticolo con una determinata periodicità (e quindi il campo effettivo è periodico) sia dell’azione di tutti gli altri elettroni di valenza. Nel caso ideale di un reticolo perfetto (e quindi perfettamente periodico) allo zero assoluto il modello di Bloch prevede che la resistenza elettrica sia nulla. Tenendo allora conto delle inevitabili impurità del materiale e delle vibrazioni reticolari a temperature maggiori dello zero assoluto, Bloch riesce a dare una spiegazione dell’andamento della resistenza elettrica con la temperatura in ottimo accordo con i dati sperimentali. Non solo, la teoria di Bloch è così generale da costituire la base per la spiegazione del perché alcune sostanze si comportino come isolanti, altre come semiconduttori e altre ancora come conduttori. Questi sviluppi del lavoro di Bloch sono prima di tutto legati ai contributi che Rudolf Peierls (1907-1995) e Alan Wilson elaboreranno tra il 1929 e il 1930.
La superconduttività tra gli anni 1930 gli anni 1960
La teoria di Bloch tuttavia non riesce a spiegare la superconduttività. È vero che la resistenza è pari a zero alle basse temperature, ma la teoria prevede che in assenza di campi esterni (cioè in assenza di generatori di corrente) lo stato stabile del conduttore sia quello privo di correnti e non quello superconduttore nel quale le correnti persistevano. In altre parole, si ha allo zero assoluto un conduttore ideale ma non un superconduttore.
Tuttavia, la scoperta di Meissner e Ochsenfeld del comportamento diamagnetico di un superconduttore cambia radicalmente il significato della superconduttività, permettendo di superare le difficoltà di interpretazione del fenomeno che, tra il 1929 e il 1933, fisici come Bohr, Pauli, Heisenberg, Bloch, Landau, Frenkel, W. Elsasser, Bethe avevano incontrato. L’effetto Meissner porta a considerare la superconduttività come una transizione di fase reversibile della materia alla stregua delle trasformazioni di fase termodinamiche comuni, come quelle che avvengono tra stati gassoso, liquido e solido.
Nel 1934 i fratelli Fritz e Heinz London presentano una teoria fenomenologica della superconduttività partendo dall’idea che il diamagnetismo sia una proprietà fondamentale del superconduttore e non una conseguenza dell’assenza di resistività. I London riescono a derivare una particolare forma dell’elettrodinamica dei superconduttori che permette di ricavare sia l’assenza di resistività sia l’effetto Meissner al di sotto di una certa temperatura critica Tc. L’effetto Meissner è spiegato dai London in modo relativamente semplice. Un campo magnetico può essere sempre pensato come generato da una corrente elettrica. Nel caso dei superconduttori la presenza di un campo magnetico esterno genera sulla superficie del superconduttore delle correnti elettriche che annullano il campo magnetico al loro interno. In altre parole i superconduttori escludono i campi magnetici al loro interno, producendo un campo magnetico opposto. Il fenomeno spettacolare della levitazione di un superconduttore posto sopra un magnete permanente è dovuto proprio alla forza repulsiva che si instaura tra di essi a causa della diversa polarità magnetica, ed è alla base di alcuni prototipi giapponesi di treni a levitazione magnetica che lo utilizzano per eliminare l’attrito tra treno e rotaia.
Negli anni seguenti vari tentativi sono compiuti per dare un’interpretazione microscopica delle equazioni elettrodinamiche proposte dai London. Tuttavia solo nel 1950 si hanno, quasi contemporaneamente, due importanti novità: una sperimentale, ottenuta all’Università di Rutgers da numerosi scienziati (C.A. Reynolds, B. Serin, W.H. Wright e L.B. Nesbitt) e, indipendentemente, da Emanuel Maxwell al National Bureau of Standards di Washington, e una teorica opera di Vitalij L. Ginzburg e Lev Landau.
A Rutgers e a Washington si osserva che la temperatura di transizione alla fase superconduttiva è influenzata dalla massa degli ioni positivi del reticolo cristallino (il cosiddetto effetto isotopico). Fino a questo momento si è creduto che le masse ioniche, essendo molto maggiori di quelle degli elettroni, non giocassero un ruolo importante nella superconduttività. Solo Herbert Fröhlich, poco prima dei nuovi risultati sperimentali, ipotizza l’esistenza di un’interazione tra vibrazioni reticolari (legate all’energia di punto zero, quella presente anche allo zero assoluto) ed elettroni. L’interazione tra fononi ed elettroni può risolversi in una forza attrattiva tra gli elettroni superiore alla forza repulsiva di carattere elettrostatico. L’intuizione di Fröhlich, sviluppata indipendentemente da John Bardeen poco tempo dopo, va nella direzione giusta, ma la proposta del meccanismo esplicativo si scoprirà scorretta e sarà abbandonata dai due scienziati.
Sul versante teorico, la teoria di Ginzburg-Landau permette sia di cogliere meglio il significato della proposta dei London sia di chiarire alcuni aspetti rilevanti della transizione dalla fase normale a quella superconduttiva. Senza entrare nei dettagli vale la pena ricordare che la teoria è alla base della scoperta di una nuova classe di materiali superconduttori, i cosiddetti superconduttori di tipo II. Nel 1957, infatti, un allievo di Ginzburg e Landau, Aleksej A. Abrikosov, risolvendo le equazioni fondamentali della teoria, scopre che è possibile spiegare le proprietà di materiali che pur rimanendo nella fase superconduttiva si lasciano attraversare da un campo magnetico. Questa superconduttività, che Abrikosov chiama di tipo II per distinguerla dalla superconduttività usuale, è già stata osservata nel 1937 da Leo Vasilyevich Shubnikov in particolari leghe metalliche. In seguito la superconduttività di tipo II viene studiata ai Bell Telephone Laboratories, dove nel 1959 Bernd Theodor Matthias, J. E. Kunzler e Theodor H. Geballe dimostrano che una lega di niobio rimane superconduttiva anche se attraversata da un campo magnetico di intensità fino a 8 Tesla. Il loro lavoro porterà alla realizzazione dei magneti superconduttori per produrre intensi campi magnetici, che hanno avuto importanti applicazioni in molti settori, dalla fisica alla chimica, dalla biologia alla medicina.
La teoria che però fornisce la spiegazione microscopica del fenomeno della superconduttività venne presentata solo nel 1957 da John Bardeen, Leon N. Cooper e J. Robert Schrieffer ed è oggi nota come teoria BCS (dalle iniziali dei loro cognomi). La BCS, che vale ai tre scienziati il premio Nobel per la fisica del 1972, stabilisce che le interazioni tra elettroni e fononi sono causa di una debole attrazione efficace tra coppie di elettroni. Le coppie di elettroni in realtà non sono “attaccate” a formare una particella puntiforme: i due elettroni della coppia si trovano infatti a una distanza tale che la distanza tra le coppie è in media più piccola delle dimensioni di una singola coppia. In altre parole, diverse coppie occupano lo stesso spazio nello stesso tempo.
Mentre però un singolo elettrone è un fermione, una coppia di elettroni con spin opposto è un bosone di spin 0. L’energia che unisce le coppie di elettroni è piccolissima, basta quindi una piccola temperatura per separare le coppie a causa dell’agitazione termica e per trasformarle nei normali elettroni di conduzione. Ma quando la temperatura è molto bassa, al di sotto di Tc, gli elettroni si accoppiano e le coppie si comportano come un gas di bosoni e quindi tendono a trovarsi tutte nello stesso stato dando luogo a un effetto quantistico macroscopico, come aveva congetturato Fritz London già nel 1936.
Sulla base della dinamica microscopica delle coppie di elettroni è possibile spiegare le due proprietà fondamentali dei superconduttori. La resistenza elettrica è nulla perché tutti gli elettroni si trovano nello stesso stato. Nell’usuale conduzione la corrente non si mantiene neanche a temperature molto basse perché gli elettroni possono essere spinti fuori dal flusso ordinato dissipando così energia, mentre in questo caso le coppie di elettroni tendono tutte a mettersi nello stesso stato, e una volta che la corrente è innescata seguita a fluire indefinitamente.
L’effetto Meissner è spiegato in modo altrettanto immediato: siccome tutte le coppie di elettroni si muovono all’unisono, anche una piccola corrente genera un campo magnetico notevole che espelle un campo magnetico esterno. Inoltre, aumentando l’intensità del campo magnetico esterno, aumenta la corrente e quindi la velocità con cui circolano le coppie di elettroni fino a una velocità limite oltre la quale le coppie si dissolvono e la fase superconduttiva viene distrutta, un fenomeno che era già stato osservato. Esiste quindi un valore massimo del campo magnetico che può essere schermato, il campo magnetico critico, oltre il quale il superconduttore viene penetrato dal campo magnetico esterno e torna nella fase normale. Nel caso dei superconduttori di tipo II, la penetrazione del campo magnetico avviene gradualmente. Quando il campo magnetico supera un primo valore critico (campo critico inferiore) il campo magnetico penetra nel superconduttore e si ordina a formare una struttura regolare a nido d’api, (nota come reticolo di Abrikosov) fatta di vortici che racchiudono nuclei di materiale normale sulle cui pareti circola una corrente che scherma il campo magnetico rispetto al resto del materiale che rimane superconduttore. La struttura permane in questa fase mista fino a un valore massimo del campo magnetico (campo critico superiore), oltre il quale lo stato di superconduttore viene distrutto. Su queste basi è possibile anche capire meglio il trasporto della corrente elettrica nei supercoduttori, strettamente legato a quello della veicolazione del campo magnetico. La corrente trasportata da un superconduttore, infatti, genera alla superficie del materiale un campo magnetico che agisce sul materiale come un campo magnetico esterno. Quindi oltre un certo valore limite della corrente trasportata, che corrisponde al raggiungimento del campo critico, la fase superconduttiva viene distrutta. Nel caso dei superconduttori di tipo II il meccanismo è un po’ diverso e dipende anche dall’interazione della corrente trasportata con le linee di flusso in esso presenti e la distruzione della fase superconduttiva è più lenta (il campo critico superiore è solitamente più alto del campo critico dei magneti di tipo I). Tipicamente comunque un superconduttore può sostenere correnti molto più alte di un conduttore usuale e produrre campi magnetici molto più elevati. Da questo discendono le proprietà dei magneti superconduttori.
Le capacità esplicative della BCS, dalla quale nel 1959 Lev P. Gorkov dimostra che può essere derivata la teoria di Ginzburg-Landau, sono state affiancate negli anni seguenti da nuove evidenze teoriche e sperimentali. Citiamo la scoperta fatta nel 1962 da Brian Josephson dell’effetto che porta il suo nome, e che gli vale il premio Nobel per la fisica del 1973. L’effetto Josephson riguarda una particolare proprietà che si manifesta nella giunzione formata da due elettrodi superconduttori separati da un sottilissimo strato isolante: applicando una tensione elettrica continua V ai due elettrodi si genera tra di essi una corrente elettrica alternata di frequenza v.
La spiegazione dell’effetto previsto da Josephson risiede in un effetto quantistico, noto come effetto tunnel, che nel caso dei superconduttori riguarda anche le coppie di elettroni che attraversano il sottile strato isolante. La relazione tra V e v è semplicemente espressa da 2eV = nhv, dove n è un numero intero, h è la costante di Planck ed e è la carica dell’elettrone. Misurando V e v è possibile ricavare il valore del rapporto h/(2e). La comparsa di 2e è una chiara indicazione del ruolo delle coppie di elettroni nella superconduttività, e l’osservazione sperimentale dell’effetto Josephson un’ulteriore conferma della BCS.
Sviluppi recenti e applicazioni
Fino al 1986 sembra che la BCS sia l’ultima parola sulla superconduttività. La BCS prevede che la transizione alla fase superconduttiva non possa avvenire a temperature superiori a circa 25 K (-248 gradi centigradi), limitando fortemente le possibili applicazioni della superconduttività.
Tuttavia nel 1986, Alex Müller e Georg Bednorz scoprono nei laboratori IBM di Zurigo i cosiddetti materiali superconduttori ad alta temperatura critica, una scoperta per la quale gli viene assegnato il premio Nobel per la fisica del 1987. Anche se il composto da loro scoperto, appartenente alla famiglia dei cuprati, ha una temperatura critica di solo 35 K (oggi si producono materiali superconduttori a temperature al di sopra dei 150 K), esso testimonia il fatto che sia possibile superare la soglia dei 25 K fissata dalla BCS. La scoperta di Müller e Bednorz apre quindi un nuovo importante capitolo delle ricerche nel settore della superconduttività e delle sue applicazioni a temperature che richiedevano tecniche criogeniche assai meno costose. Se pure importanti passi avanti sono stati fatti nella comprensione di questa nuova manifestazione della superconduttività, una teoria soddisfacente della nuova fenomenologia non è ancora disponibile.
Certamente trovare materiali superconduttori a temperature sempre più alte, possibilmente a temperatura ambiente (circa 300 K), permetterebbe di ridurre notevolmente i costi per produrre la superconduttività e avrebbe grande rilevanza nelle sue ricadute applicative anche nell’ambito del trasporto di elettricità, annullando le perdite di energia che avvengono nella rete di distribuzione elettrica.
In conclusione citiamo alcuni dei principali settori in cui la superconduttività ha trovato applicazione. Abbiamo già detto dell’ambito dei trasporti (levitazione magnetica) e della realizzazione di magneti superconduttori. Inoltre, l’effetto Josephson è oggi particolarmente usato nella metrologia sia per definire gli standard della tensione V, sia per la misura di costanti fondamentali come la carica dell’elettrone e e la costante di Planck h. Costruendo poi circuti formati da due giunzioni Josephson è possibile misurare piccolissime variazioni di campi magnetici (dell’ordine di 10–10 gauss, cioè un decimiliardesimo del campo magnetico terrestre, e anche più piccoli) che hanno importanti applicazioni in cardiologia, neurofisiologia, geofisica e in tutti i settori in cui si richiedano apparecchi di misura di campi magnetici di alta sensibilità.