SUPERANTIGENE
Il termine ''superantigene'' è stato proposto da J. White nel 1989 per descrivere un gruppo di molecole capaci d'interagire e di attivare i linfociti T tramite un meccanismo completamente diverso da quello attuato dagli antigeni convenzionali e dai mitogeni. La maggior parte delle informazioni su queste sostanze deriva dagli studi effettuati sulle prime molecole classificate come s., vale a dire un gruppo di proteine, prodotte da molte specie di batteri, denominate enterotossine.
Lo studio del prodotto di certi loci genetici presenti nel topo, dei quali solo nel 1991 è stata definita l'origine virale e che per anni sono stati definiti Minor lymphocyte stimulating o Mls, ha successivamente contribuito ad approfondire le conoscenze attuali delle proprietà biologiche di queste sostanze. A causa della loro origine, gli Mls sono stati anche denominati s. endogeni e quindi, per analogia, le enterotossine sono state definite s. esogeni. Vengono qui riassunte le più recenti acquisizioni su struttura, organizzazione, meccanismo d'azione dei s., sul loro coinvolgimento nella generazione del repertorio immune normale e sul ruolo da essi giocato nell'indurre alcune patologie.
Meccanismo d'azione dei superantigeni. - I s. possiedono caratteristiche che li differenziano notevolmente da mitogeni e antigeni convenzionali. Mitogeni come fitoemoagglutinina, concanavalina A e pokeweed attivano linfociti indipendentemente dalla specificità di questi ultimi, provocando quindi quella che viene definita un'attivazione policlonale. Gli antigeni convenzionali, al contrario, non interagiscono con i linfociti T nella loro forma nativa, ma subiscono una serie di modificazioni prima di poter esercitare la loro azione sulle cellule del sistema immune. Essi, infatti, devono essere fagocitati e trasportati all'interno di cellule specializzate, macrofagi o cellule presentanti l'antigene, dove vengono frammentati in tante catene aminoacidiche più corte (della lunghezza di 10÷20 aminoacidi), denominate peptidi. Solo dopo questo processamento gli antigeni vengono presentati sulla superficie cellulare in associazione a un'altra molecola, codificata dai geni del complesso maggiore d'istocompatibilità (Human Leucocytic Antigen, HLA). Questi due fenomeni, denominati processamento e presentazione, permettono alla proteina d'interagire con i linfociti T che esprimono in superficie un recettore, specifico per l'antigene, chiamato TCR (T Cell Receptor o recettore per l'antigene delle cellule T). Ogni antigene può essere quindi riconosciuto, complessato alle molecole del sistema HLA, solo dalle poche cellule che esprimono il recettore specifico. Il legame tra recettore e ligando specifico provoca aumento di Ca++ intracellulare, il crollo dei livelli di fosfatidilinositolo e conseguente attivazione e proliferazione dei linfociti T. Si viene perciò a determinare un'attivazione ''clonale'', cioè soltanto di quel determinato clone. L'aumento di linfociti specifici per un antigene porta alla distruzione proprio di quella molecola invasiva, caratterizzata dalla presenza di quel particolare antigene.
Nel 1988 due gruppi di ricercatori, uno svedese e uno tedesco, riuscirono a dimostrare l'esistenza di nuove sostanze, denominate in seguito s., che, come gli antigeni convenzionali, attivano essenzialmente i linfociti T helper, ma con un'intensità di stimolazione estremamente più elevata: se la frequenza di risposta a un antigene convenzionale è dell'ordine di una cellula su 10.000, la frequenza di risposta a un s. si aggira tra una cellula su 5 e una cellula su 50. La differenza essenziale tra antigeni e s. consiste però nella loro modalità di legame al TCR: gli antigeni convenzionali interagiscono con entrambe le regioni variabili del recettore, mentre i s. reagiscono esclusivamente con una sola delle due porzioni variabili che compongono il TCR (fig. 1).
È stata proprio la delucidazione della struttura e organizzazione molecolare del TCR a dare notevole impulso al le conoscenze sul meccanismo d'azione dei superantigeni. Tale recettore è presente sulla superficie cellulare in 2 forme simili, ma geneticamente distinte: TCRAB e TCRGD; entrambe sono eterodimeri di peso molecolare di circa 90 KD. Le cellule che esprimono il recettore TCRGD sono capaci di produrre linfochine e, salvo alcuni casi, non necessitano dell'associazione a prodotti dell'MHC (Major Histocompatibility Complex) per poter svolgere attività citolitica. La specificità delle cellule TCRGD e la relazione tra il loro differenziamento e quello delle cellule TCRAB, non sono ancora ben conosciute. Molte informazioni sono invece disponibili sulla struttura, organizzazione e funzione del TCRAB. Le catene A e B del TCR sono composte da una regione costante e da una regione variabile che, nell'uomo, si formano dall'assemblaggio di geni localizzati sul cromosoma 14 per le catene A e sul cromosoma 7 per le catene B.
L'organizzazione di tali geni è molto complessa e del tutto simile a quella dei geni preposti alla sintesi delle immunoglobuline. Esiste un solo gene che codifica per la regione costante della catena A (TCRAC), mentre vi sono due geni distinti che codificano per la regione costante della catena B (TCRBC1 e TCRBC2). La parte variabile della catena TCRB è codificata da 3 segmenti genici differenti, ciascuno dei quali può a sua volta essere codificato da un numero variabile di geni presenti non appaiati sul cromosoma. Le tre porzioni, denominate V (variabile), D (diversità) e J (giunzione), sono sparse sul cromosoma della linea germinale, ma si associano tramite riarrangiamenti per costituire a livello dei linfociti T maturi le regioni variabili funzionali. Nell'uomo i segmenti V della catena B finora identificati sono circa 60 e vengono suddivisi, in base a omologie di sequenza, in varie sottofamiglie, alcune delle quali sono composte da più di un membro. I segmenti D sono presenti solo sulla catena B in quanto la catena A deriva dai riarrangiamenti delle sole regioni V e J. Nell'uomo sono state identificate circa 25 famiglie TCRAV, che comprendono un centinaio di diverse sequenze (fig. 2).
Anche i meccanismi che presiedono al riarrangiamento del TCR sono del tutto simili a quelli che avvengono per le immunoglobuline. Durante la maturazione della cellula T, un gene V si appaia a uno D e a uno J per formare un segmento che dà origine a quella che globalmente viene definita regione variabile della catena B. Analogamente, un gene V e uno J si riuniscono per formare una regione TCRAV. Come per i geni delle immunoglobuline, ciascun componente funzionale V, D e J del TCR è fiancheggiato, in posizione 3′ rispetto a V, 5′ rispetto a J e su entrambe le estremità D, da sequenze conservate di 7 basi (eptamero) e di 9 basi (nonamero), separate rispettivamente da 12 e 23 nucleotidi. Questi elementi seguono la regola ''12/23''; secondo tale regola un elemento (eptamero o nonamero) separato da 12 nucleotidi si appaia con un elemento omologo separato da 23 nucleotidi. Tutto ciò provoca la formazione di una struttura a gambo (stem loop) che rende colineari i segmenti V, D e J, i quali riarrangiano mediante delezione o escisione del DNA presente tra i segmenti riarrangiati. L'RNA che si forma sulla base della sequenza di DNA riarrangiato contiene le sequenze V, D e J accoppiate, ma è ancora separato dalla parte che codifica per la regione costante, che viene però eliminata tramite un processo di splicing con conseguente formazione dell'RNA messaggero. Dopo tutti questi passaggi, l'RNA così costruito conterrà l'informazione genetica per poter tradurre una catena TCRA o TCRB con una ben definita sequenza proteica.
Tutti i 5 prodotti codificati dai geni della regione variabile di immunoglobuline e TCR partecipano al processo di riconoscimento dell'antigene presentato nel contesto di HLA, ma vi sono regioni che sembrano avere un ruolo predominante rispetto ad altre. Nelle immunoglobuline, per es., vi sono regioni che partecipa-no più direttamente al legame con i peptidi antigenici. L'analisi della struttura tridimensionale del complesso antigene-anticorpo ha provato che anche i residui aminoacidici che si trovano al di fuori della regione ipervariabile possono interagire con l'antigene. Si può ipotizzare, sulla base della sua sequenza aminoacidica, che anche il TCR si comporti nello stesso modo e che quindi tutte le parti variabili TCRAV-TCRAJ e TCRBV-TCRBD-TCRBJ possano partecipare al legame con l'antigene convenzionale.
L'interazione dei s. con il TCR è caratterizzata da meccanismi completamente differenti. Innanzitutto, studi recenti hanno dimostrato che il legame dei s. con le molecole MHC avviene in una zona situata al di fuori della regione deputata all'interazione con l'antigene processato e, a differenza di quanto avviene per gli antigeni convenzionali, i s. non hanno bisogno di essere processati per poter associarsi alle molecole MHC. Il complesso s.-MHC possiede, a questo punto, la capacità di legarsi esclusivamente con certe porzioni TCRBV, indipendentemente dalla presenza delle altre regioni TCRAV, TCRAJ, TCRDB e TCRBJ. L'utilizzo di anticorpi monoclonali che riconoscono le varie catene TCRBV, ma soprattutto la tecnica che meglio si presta a questo scopo, la Polymerase Chain Reaction (PCR), hanno evidenziato che ogni tipo di complesso s.-MHC può interagire con una o più regioni V della catena TCRBV. Oltre alla proprietà caratteristica ed esclusiva di queste sostanze di ''super'' attivare le cellule con specifici segmenti TCRBV, i s. posseggono anche la capacità d'indurre nei linfociti T attivati uno stato di anergia. Questo si traduce nell'impossibilità dei linfociti che sono venuti a contatto con i s. di rispondere in maniera efficiente a qualsiasi successivo stimolo antigenico convenzionale. In alcune situazioni sperimentali è stato inoltre dimostrato che i linfociti attivati possono andare incontro a quella che viene definita apoptosi, che può essere considerata una specie di suicidio cellulare. I fenomeni di anergia e apoptosi aprono inevitabilmente delle falle nello scudo protettivo dell'organismo che si attua attraverso l'immunità cellulare.
La rilevanza di queste ultime proprietà dei s. è attualmente oggetto di intensi studi, soprattutto per quanto riguarda il loro possibile coinvolgimento in alcune condizioni patologiche. Le ricerche in questo senso, anche iniziate solo recentemente, sembrano infatti suggerire un ruolo dei s. nell'eziologia di alcune malattie infettive e autoimmuni. Ormai a uno stadio più avanzato, almeno nel sistema murino, sono invece gli studi miranti a stabilire il ruolo dei s. nella generazione del repertorio immune.
Superantigeni esogeni. - Origine batterica. L'interazione tra l'organismo umano e i batteri che lo colonizzano è regolata da meccanismi molto complessi: molti microrganismi, per es., non sono dannosi in condizioni normali, ma possono diventare estremamente pericolosi per l'ospite quando la normale omeostasi viene alterata, il sistema immune è compromesso, o quando essi sono in grado di sintetizzare nuovi e dannosi prodotti. È proprio tra le molecole nocive per l'organismo che si possono includere i s. (tab. 1). Il loro prototipo è un gruppo di tossine, prodotte da ceppi di Staphylococcus aureus, capaci di causare intossicazione alimentare e responsabili, negli Stati Uniti, di almeno un quarto dei casi di questa malattia.
Quando particolari ceppi di Staphylococcus aureus colonizzano gli alimenti, rilasciano una o più enterotossine, chiamate enterotossina stafilococcica A (SEA), B (SEB), C1, C2 e C3 (SEC1, SEC2, SEC3), D (SED) ed E (SEE), distinguibili tra di loro mediante l'uso di specifici antisieri policlonali. Tali sostanze, dopo qualche ora dall'ingestione degli alimenti contaminati, provocano brividi, nausea, vomito e diarrea, sintomi che cessano solo quando gli enzimi intestinali hanno degradato le enterotossine. Dallo stesso microrganismo da cui sono state isolate le enterotossine è stata identificata, nel 1980, un'altra molecola con le medesime proprietà, la TSST1, ritenuta causa dello shock tossico da tampone igienico. Forse anche l'esotossina A dello Pseudomonas aeruginosa e un costituente della Yersinia enterocolitica hanno un'attività superantigenica, ma le prove in questo senso non sono ancora decisive. Anche certe preparazioni di proteina M dello Streptococcus pyogenes, molecola isolata per la prima volta più di 50 anni orsono, sembrano presentare attività superantigenica. Il dato era stato inizialmente messo in discussione perché, dopo purificazione estrema, le preparazioni di proteina M perdevano l'attività mitogenica. Questo, però, è un problema legato a tutte le preparazioni proteiche derivate da streptococchi e stafilococchi: è infatti possibile che nel prodotto non perfettamente purificato rimangano tracce di alcune esotossine estremamente potenti, che possono produrre drammatici effetti mitogenici. Tali esotossine, però, non sono mai state evidenziate con alcun metodo biochimico. La possibilità che un prodotto derivato dallo Streptococcus pyogenes possegga un'attività superantigenica potrebbe avere un importante valore epidemiologico, poiché l'infezione da parte di questo microrganismo è ancora persistente in tutto il mondo: nella sola India, nel 1981, più di sei milioni di bambini hanno contratto la febbre reumatica e, negli anni Ottanta, sia negli Stati Uniti sia in Europa, si è assistito a una recrudescenza di infezioni da parte di un ceppo particolarmente virulento di Streptococcus pyogenes, che ha provocato casi particolarmente severi di febbre reumatica e shock tossico.
Molto recentemente è stato dimostrato che anche un peptide del tossoide tetanico, comprendente la regione 830-844, sembra avere le caratteristiche di un superantigene. Infine, una proteina con chiara attività superantigenica negli animali da esperimento è un fattore mitogenico isolato dal Mycoplasma arthritidis, denominato MAM (Mycoplasma Arthritidis Mitogen), che provoca nei roditori una malattia cronica caratterizzata da riacutizzazione, istologicamente molto simile all'artrite reumatoide che colpisce l'uomo.
La lista di sostanze con attività superantigenica è probabilmente ancora incompleta ed è prevedibile che negli anni futuri gli studi porteranno all'identificazione di un numero sempre più rilevante di sostanze con tali caratteristiche. Ancora oggi non si conosce l'esatto meccanismo patogenetico dei s., ma, almeno per quanto riguarda le enterotossine, sembra ormai sempre più evidente che tutte queste molecole utilizzano un meccanismo d'azione comune per determinare la malattia.
La straordinaria capacità delle enterotossine d'indurre l'attivazione massima delle cellule del sistema immune era già stata notata da alcuni decenni dai patologi. Innanzitutto il tessuto intestinale dei pazienti con intossicazione da stafilococco appariva al microscopio straordinariamente integro, ed era chiaro perciò che non erano i batteri ad aggredire direttamente le cellule specializzate nella regolarizzazione del passaggio di sostanze nutritizie dall'apparato digerente al circolo ematico: dunque la severa intossicazione alimentare doveva essere provocata da una sostanza solubile, secreta dal microrganismo. La presenza di un gran numero di linfociti nella sede dell'infiammazione non aveva stupito e, inizialmente, era stata ritenuta una normale risposta immunitaria all'infezione, la stessa che avviene dopo una qualsiasi invasione batterica. Solo più tardi ci si rese conto che l'accumulo di globuli bianchi era del tutto peculiare, in quanto veramente massiccio e costituito quasi esclusivamente da linfociti T. Ma ancora più importante fu la dimostrazione che proprio delle proteine secrete dai batteri, le enterotossine, inducevano così facilmente la proliferazione dei linfociti T, e che bastavano quantità davvero minime di tali sostanze per scatenare l'attivazione delle cellule del sistema immune. Con la loro capacità d'indurre la proliferazione di linfociti T a concentrazioni di picomoli, le enterotossine si sono dimostrate tra i più potenti attivatori del sistema immune: poche centinaia di molecole di enterotossine provocano infatti una proliferazione molto più massiccia di quella causata da un milione di molecole di un antigene convenzionale qual è, per es., il virus dell'influenza.
Il termine s. era stato suggerito proprio dalla straordinaria ''super'' capacità delle enterotossine di promuovere la stimolazione di un numero molto elevato di linfociti T. Alla ''super'' attivazione del sistema immune si accompagnano, inevitabilmente, altre modificazioni del sistema stesso. Si assiste infatti a un notevole incremento della produzione d'interferone gamma (IFN-γ), di Tumor Necrosis Factor (TNF) e d'interleuchina 2 (IL-2), prodotta dai linfociti T helper. Infatti, di per sé, questi ultimi non attaccano direttamente i microrganismi patogeni, ma hanno il compito di dirigere e regolare la risposta immune, affidando proprio alle citochine il compito di attivare i linfociti T killer o citotossici che però non si limitano a uccidere solo le cellule infettate. L'IL-2 in eccesso non agirebbe solo a livello locale, ma, facendosi strada nel circolo ematico, arriverebbe o invierebbe segnali ai centri cerebrali che, a loro volta, trasmetterebbero gli impulsi responsabili della nausea, della febbre e dei disturbi gastrici.
La compromissione dell'organismo diventa drammatica quando si verificano infezioni con ceppi di Staphylococcus aureus che si riproducono attivamente nell'organismo. Il paziente, di conseguenza, è esposto a una maggiore quantità di tossina, e, quindi, a livelli più elevati e mantenuti più a lungo di IL-2, può presentare, oltre ai sintomi d'intossicazione alimentare, anche un quadro da shock tossico, estremamente grave, a volte fatale. Sarebbero proprio IL-2, IFN e TNF, secreti a dosi così elevate, a indurre le manifestazioni cliniche tipiche dell'intossicazione alimentare e dello shock tossico.
Struttura, organizzazione molecolare e interazione con il TCR. La comprensione della struttura delle enterotossine è merito, in gran parte, di un gruppo di ricercatori dell'università del Wisconsin che, intorno agli anni Settanta, ha determinato la sequenza aminoacidica del SEB. Tutte le enterotossine secrete dallo Staphylococcus aureus sono proteine di medie dimensioni (il loro peso molecolare è di circa 22÷30 KD), ricche in aminoacidi idrofilici. Esse sono composte principalmente di strutture beta, quindi con uno scheletro proteico disteso anziché avvolto su se stesso. Le molecole sono perciò assai poco compatte e con gran parte della superficie esposta all'ambiente acquoso; ciò favorisce la loro interazione con le altre molecole dell'organismo. Le enterotossine sono strettamente correlate tra di loro: SEA e SEE hanno una sequenza aminoacidica simile fino al 90%, quindi certamente derivano da un gene comune. Studi strutturali hanno permesso di dimostrare che anche SED è molto simile a SEA e SEE, come lo sono tra loro SEB, SEC1 e SEC3.
La capacità delle enterotossine d'interagire esclusivamente con le porzioni TCRBV umane e murine è stata dimostrata, inizialmente, con esperimenti in vitro nei quali veniva messa in evidenza la loro capacità d'indurre la proliferazione di linfociti esprimenti solo determinati TCRBV. Successivamente questi dati sono stati confermati con prove in vivo eseguite mediante iniezione delle enterotossine nell'animale da esperimento, che dimostravano l'eliminazione dal pool dei linfociti circolanti di cellule con particolari catene TCRBV. Nella tab. 2 sono riassunte le conoscenze sulla specificità del legame dei s. esogeni con le catene TCRBV, che però sono sicuramente incomplete in quanto non tutti i segmenti TCRBV sono stati ancora identificati. La selettività delle enterotossine per un determinato TCRBV era stata inizialmente interpretata come il risultato della capacità di determinate molecole accessorie di presentare il s. in modo tale che potesse essere selettivamente riconosciuto solo da alcuni tipi di cellule T, esprimenti determinate catene TCRBV. In parte questa conclusione potrebbe essere corretta, in quanto alcuni anni più tardi è stato dimostrato che non tutti gli antigeni HLA di classe ii hanno la stessa affinità per le enterotossine: la maggior parte di queste ultime, infatti, si lega preferenzialmente all'HLA-DR, meno bene all'HLA-DQ, quasi per niente all'HLA-DP. L'esatta localizzazione del sito di legame delle enterotossine con la classe ii e la catena TCRBV è stata difficile: solo tra il 1992 e il 1993 si è dimostrato che l'estremità carbossilica delle molecole SEA e SEE è fondamentale per il legame con l'HLA, mentre entrambe le porzioni carbossi e amino terminale della proteina parteciperebbero al legame con il TCR.
Superantigeni endogeni. - Per molti anni la caratterizzazione dei s. endogeni è stata un problema per gli immunologi. Che nel sistema immune esistessero delle molecole endogene con attività ''super'' era però noto da parecchi anni. Già nel 1973 H. Festenstein e collaboratori avevano individuato nel topo la presenza di una molecola, espressa sulla superficie cellulare dei linfociti splenici, capace di stimolare in coltura mista linfocitaria le cellule T di topi della stessa razza, che possedevano quindi gli stessi antigeni HLA. Poiché le molecole implicate in questo fenomeno non appartenevano al sistema H2 (equivalente al sistema HLA umano), vennero appunto denominate Minor lymphocyte stimulating o Mls.
Quando i linfociti di due razze di topi sono diversi per i loro Mls, le cellule di una razza riconoscono questa diversità e sono indotte a proliferare: la risposta immunitaria ottenuta è d'intensità simile a quella che si verifica tra cellule con H2 diverso, ma differisce da questa per la sua unidirezionalità e per l'incapacità di generare cellule con attività citotossica. I primi studi di genetica sembrarono suggerire che gli Mls mappassero in un singolo locus genetico, situato sul cromosoma 1. Più tardi venne dimostrato che essi sono codificati da loci differenti, non correlati tra loro, situati al di fuori del sistema H2, che vengono designati con un numero (Mls-1, Mls-2, ecc.). Se un allele di un locus Mls possiede attività stimolatrice in coltura mista, esso viene definito di aplotipo ''a'', quello che viene attivato è definito di aplotipo ''b''. La distribuzione degli antigeni Mls è del tutto casuale: il locus Mls-1ª, per es., è espresso nei topi di razza CBA/J e provoca la proliferazione dei linfociti T di topi CBA/Ca, che possiedono il medesimo H2, ma che sono Mls-1b; altri Mls sono invece espressi dalla quasi totalità delle razze di topi analizzate. Gli Mls condividono molte proprietà con le enterotossine batteriche. Come queste ultime, essi stimolano le cellule T interagendo in maniera selettiva soltanto con particolari segmenti TCRBV (tab. 3), indipendentemente dalle altre parti variabili del TCR. L'attività degli Mls dipende dall'espressione della classe ii del sistema H2 sulle cellule presentanti l'antigene. Come avviene per i s. esogeni, anche in questo caso alcuni prodotti genici all'H2 presentano gli antigeni Mls meglio di altri.
Ruolo degli Mls nella generazione del repertorio del TCR. Sebbene il ruolo funzionale degli Mls sia stato per anni un enigma, oggi si ritiene che essi abbiano un forte impatto nello sviluppo del repertorio T. Utilizzando anticorpi monoclonali, che discriminano tra le 20 o più famiglie TCRBV del topo, è stato dimostrato che le razze che esprimono certi Mls eliminano quelle cellule la cui catena TCRBV conferisce la reattività verso quel determinato Mls. Le cellule che presentano questi recettori autoreattivi sono originate nel timo, ma vengono eliminate o, per usare un termine che definisce proprio questo fenomeno, ''delete'' prima della loro maturazione, al fine di mantenere una condizione di non responsività o ''tolleranza'' nei confronti degli Mls propri. Nei topi di razza DBA/1 con Mls-1ª i linfociti che esprimono le catene TCRBV6, TCRBV7, TCRBV8S1 e TCRBV9 sono presenti nel timo in una fase precoce della loro differenziazione, ma tali cellule vengono poi delete clonalmente dal pool dei timociti maturi come conseguenza del fenomeno di ''tolleranza''. È stato dimostrato che la tolleranza agli antigeni Mls può essere indotta sperimentalmente iniettando cellule di topi Mlsa o Mlsc in topi neonati Mlsb.
La proprietà biologica dei s. endogeni di provocare la delezione di catene TCRBV è stata qualche anno fa messa in discussione da J.-P. Cazenave e collaboratori. Questi ricercatori hanno trovato che i topi selvatici, benché abbiano solo piccolissimi cambiamenti all'interno delle sequenze che codificano per loci Mls o per gli elementi TCRBV, non eliminano le cellule esprimenti le catene TCRBV bersaglio. Questa è solo una delle molte problematiche ancora aperte sugli Mls: non si conosce ancora, per es., il modo esatto con cui i s. endogeni attivano le cellule T, né si conosce la loro esatta struttura e funzione nell'economia del sistema immune.
La risposta a quest'ultimo quesito può essere trovata in un'ipotesi formulata da J. Kappler e P. Marrack, secondo la quale i s. endogeni si sarebbero sviluppati nel sistema murino per eliminare per delezione clonale i linfociti T specifici per le enterotossine batteriche con attività superantigenica, al fine quindi di prevenire gli effetti dannosi da esse causati. Un'altra risposta si potrebbe trovare nella teoria proposta da C.A. Janeway, secondo la quale gli Mls possono giocare un ruolo determinante nello stabilizzare l'interazione del TCR con il suo ligando e l'MHC. Secondo questo autore gli Mls potrebbero funzionare come quelle proteine che vengono denominate coligandi, che agiscono incrementando la risposta delle cellule T a dosi molto basse di antigene, e che inducono di conseguenza una risposta antigenica molto più rapida di quella che si avrebbe in loro assenza. Il problema principale di questa ipotesi è che le strutture denominate coligandi non sono state mai identificate nell'uomo.
Un altro quesito fondamentale sui s. endogeni è stato invece pienamente soddisfatto e riguarda l'origine genetica di tali molecole. Un tempo si riteneva che gli Mls fossero naturalmente presenti nel topo; tuttavia vari lavori indipendenti, pubblicati all'inizio del 1991, hanno dimostrato che i s. endogeni sono codificati da geni di natura retrovirale, più precisamente dai geni dei Mouse Mammary Tumor Virus (MMTV). Questi retrovirus incorporano i propri geni nel DNA dell'animale, che inizia quindi a sintetizzare gli antigeni Mls virali come se fossero proteine del loro genoma. Finora sono stati identificati 51 diversi loci provirali di MMTV, altamente distribuiti nelle razze di topi da esperimento. Dall'analisi della tab. 4 si può notare che alcune razze murine esprimono varie combinazioni di provirus MMTV e che la delezione di segmenti TCRBV può essere molto ampia. Le proprietà funzionali dei MMTV che producono molecole con attività superantigenica sono invece riassunte nella tab. 5.
In base a esperimenti di transfezione o mediante la creazione di topi transgenici si sono ottenute prove convincenti che la regione del retrovirus che codifica per i s. endogeni è localizzata nella Open Reading Frame (ORF) situata all'interno della regione 3′ long terminal repeat. L'analisi della sequenza aminoacidica di ORF, dedotta sulla base della sua sequenza nucleotidica, ha dimostrato che i prodotti genici di tutti questi segmenti presentano tra di loro un'analogia di circa il 90%. Le zone di diversità, che si trovano tutte localizzate a livello della regione carbossi-terminale, posseggono però delle similitudini che hanno permesso una loro suddivisione in varie classi. È stato dimostrato che i MMTV che condividono la specificità per alcuni particolari TCRBV appartengono a sottoclassi di segmenti ORF molto simili: ciò suggerisce che la regione carbossi-terminale del gene ORF possiede attività superantigenica. Un'ulteriore informazione sul collegamento tra retrovirus e s. è stata trovata analizzando un virus difettivo della leucemia murina, che provoca nel topo un'immunodeficienza molto simile all'AIDS. Questo microrganismo produce infatti una sostanza superantigenica che interagisce specificamente con la catena TCRBV. Le implicazioni di questa scoperta sul ruolo dei retrovirus nella patologia umana, specialmente nell'AIDS, sono ovvie. La scoperta che gli Mls sono codificati da retrovirus endogeni può fornire una spiegazione diretta per il loro comportamento come geni autosomici dominanti, e può spiegare l'esistenza sia di alleli stimolatori sia di alleli responder come il risultato della segregazione random di siti d'integrazione provirale. Ciò può inoltre servire per comprendere l'apparente assenza di delezioni di segmenti TCRBV in altre specie che non siano murine.
Si crede oggi che i retrovirus endogeni siano stati probabilmente integrati all'interno del genoma del topo, almeno 3÷5 milioni di anni fa, e che siano sopravvissuti alla pressione evoluzionistica per il solo fatto di non presentare svantaggi selettivi. I topi potrebbero infatti sopravvivere pur presentando importanti delezioni nel loro repertorio TCRBV poiché tale repertorio sarebbe in realtà ridondante. Questa spiegazione è però in contrasto con il principio generale dell'evoluzione, che afferma che la natura tende a eliminare quei geni che non sono necessari. L'unica conclusione proponibile, a questo punto, è che gli Mls possano conferire vantaggi selettivi sia al topo sia al retrovirus infettante. In base a queste ultime considerazioni è possibile avanzare un'ulteriore ipotesi sulla funzione degli Mls, che completa quella proposta da Kappler e Marrack: le delezioni indotte dagli Mls non limitano solo il numero dei possibili bersagli dei s. esogeni, ma anche quelle specificità che conferiscono suscettibilità ad altri e più dannosi virus esogeni.
Relazione tra superantigeni e malattie umane a patogenesi sconosciuta. È stato postulato che i s. endogeni umani non esistano, ma è anche possibile che fino a oggi non siano stati identificati a causa di problemi tecnici. Infatti, sfortunatamente, le conoscenze attuali sull'espressione dei geni del TCR nell'uomo sono molto meno avanzate di quelle ottenute nel sistema murino. Ciò è dovuto sia alla mancanza di anticorpi monoclonali specifici per tutte le catene TCRBV che permettano una misura accurata del livello di espressione di queste molecole nell'uomo, sia alla complessità genetica dei loci codificanti il TCR, che impedisce un'interpretazione completa dei dati. Infine grossi limiti sono anche imposti da ovvie ragioni etiche che limitano l'accessibilità ai campioni biologici umani e alla sperimentazione in vivo.
Nonostante questi problemi, molti ricercatori sono attivamente impegnati a comprendere un possibile coinvolgimento dei s. in alcune patologie umane. È evidente infatti che le cellule T possono influire nella patogenesi di varie malattie immunologiche a genesi sconosciuta, quali per es. le malattie autoimmuni. Le conoscenze finora disponibili hanno peraltro già fornito alcune informazioni utili per comprendere i meccanismi utilizzati dalle cellule T per eludere la tolleranza immunologica e innescare la cascata di eventi che portano all'autoimmunità, nonché sul coinvolgimento di alcuni s. nella patogenesi di malattie infettive e autoimmunitarie. Studi di linkage genetico in differenti modelli animali, per es., hanno indicato che le regioni variabili del TCR sono importanti nell'induzione di alcune malattie immunitarie nell'animale da esperimento: nell'artrite, causata nel topo dall'iniezione di collagene, risulta evidente che i geni TCRBV sono importanti nel conferire la suscettibilità o la resistenza alla malattia. Indipendentemente dalla presenza di un aplotipo HLA permissivo, razze di topi con una delezione genomica, che risulta nella perdita del 50% dei geni delle regioni TCRBV, sono resistenti all'induzione dell'artrite. È stato anche riscontrato un coinvolgimento del TCR nella patologia umana: modificazioni dei geni variabili del TCR sono state dimostrate nei linfociti di pazienti con sclerosi multipla, morbo di Crohn, sindrome di Sjogren, sindrome da shock tossico e artrite reumatoide (tab. 6). Infine, l'eventuale dimostrazione che alcuni retrovirus umani codifichino per molecole con attività superantigenica, potrebbe offrire interessanti prospettive per comprendere la patogenesi di alcune patologie umane causate da retrovirus, per es. l'AIDS.
La ricerca del ruolo dei s. nella patologia umana non servirà tuttavia solamente a chiarire le cause di alcune malattie a eziologia ancora sconosciuta, ma potrà aprire nuove prospettive in campo terapeutico. Sono già state ipotizzate cure, mirate all'inibizione dell'attività dei s., attuabili mediante somministrazione di peptidi sintetici che competano con il legame dei s. all'MHC o al TCR. Sono già state invece attuate terapie con enterotossine che hanno prevenuto l'insorgenza della sclerosi multipla nel topo o ridotto la gravità della nefrite in modelli animali di lupus eritematoso. La possibilità di attuare terapie in malattie immunitarie finora ritenute incurabili è forse lo stimolo più forte a continue ricerche mirate a identificare nuove molecole superantigeniche, a comprendere il loro meccanismo d'azione e, soprattutto, a definire il loro migliore utilizzo nella cura delle malattie.
Bibl.: C.A. Janeway, Self-superantigens!, in Cell, 63 (1990), pp. 659-61; P. Marrack, J. Kappler, The staphylococcal enterotoxins and their relatives, in Science, 248 (1990), pp. 705-11; T. Chatila, R.S. Geha, Superantigens, in Curr. Opin. Immunol., 4 (1990), pp. 74-78; L. Imberti, A. Sottini, A. Bettinardi, C. Mazza, D. Primi, The paradoxical paradigm of superantigens activity, in J. Immunol. Res., 4 (1992), pp. 86-98; H.M. Johnson, J.K. Russel, C.H. Pontzer, Superantigeni e malattie dell'uomo, in Le Scienze, 286 (1992), pp. 40-48.