sunyata
Termine sanscr. (letteral. «vacuità»). Termine chiave del buddismo Mahāyāna e in partic. del pensiero di Nāgārjuna. Possibili antecedenti sono rintracciabili nel Canone buddista in pāli, laddove si invitano i monaci a concentrarsi in luoghi vuoti (śūnya). I commenti della scuola di Buddhaghosa (➔ Theravāda) al Canone, poi, elaborano ulteriormente sul tema, ma sebbene tale direzione di influenza sia stata poco investigata, è possibile che tali commenti e la tradizione interpretativa che ne deriva non siano indipendenti dalla filosofia di Nāgārjuna. Il senso di ś. in Nāgārjuna è stato oggetto di svariate interpretazioni, che vanno dallo scetticismo al nichilismo. Tuttavia, Nāgārjuna rifiuta esplicitamente l’attribuzione della posizione di sostenitore della vacuità. La vacuità va cioè intesa strumentalmente come il risultato dell’analisi di ciascun fenomeno e non come esistente in sé. Già il Canone buddista pāli aveva mostrato come molti dei concetti su cui si basa la nostra vita quotidiana si rivelino – se esaminati criticamente – meri costrutti mentali. Nāgārjuna spinge oltre tale analisi mostrando come anche gli elementi semplici (dharma) elencati dalle scuole dell’Abhidharma dipendano in realtà da ulteriori fattori e come non sia possibile, in ultima analisi, afferrare nulla che esista sostanzialmente, ossia la cui natura propria sia data indipendentemente dal divenire mutualmente dipendente (pratītyasamutpāda, ➔ Theravāda). Infine, Nāgārjuna stesso sembra alludere alla strumentalità del concetto di ś. con un apologo in cui spiega che chi si accanisse a voler intendere la vacuità come una dottrina sarebbe simile a chi, recandosi da un mercante e vedendosi rispondere che questi non ha più «nulla» da vendere, si ostinasse a voler comprare tale nulla. Successivamente, all’interno del Madhyamaka, sul modo di intendere ś. si oppongono due scuole, una delle quali sostiene la vacuità di tutti i fattori eterogenei che costituiscono il mondo fenomenico (senza negare però la possibilità di un ulteriore livello di realtà al di là dei fenomeni) e l’altra la vacuità intesa come assenza di natura propria di ogni cosa. Secondo la prima interpretazione, la vacuità propugnata dal Madhyamaka sarebbe solo relativa ai fattori illusori della nostra esperienza ordinaria, non alla legge buddista, alle quattro nobili verità, ecc. (➔ tibetana, filosofia).