SUMERI
(XXXII, p. 990; App. III, II, p. 870; IV, III, p. 544)
Quanto all'origine dei S. si sa per certo che non sono autoctoni, ma si discute ancora oggi sulla loro provenienza; mentre alcuni studiosi ritengono che essi siano originari del subcontinente indiano, venuti quindi per mare, cosa che giustificherebbe il ruolo centrale di Dilmun (le isole Baḥrein) nel mito, altri propendono per una provenienza dalle montagne del Caucaso, cosa questa che darebbe ragione ad altri miti incentrati sulla figura di Enlil, il capo incontrastato del pantheon sumerico, appellato ''grande montagna'', in base ai quali la civiltà sarebbe stata creata su una mitica montagna.
Nelle iscrizioni cuneiformi da loro composte, i S. si chiamano coerentemente sag-gi6, "le teste nere", la qual cosa ha fatto pensare che essi appartenessero al tipo negroide. Il loro paese, poi, è denominato ki-en-gi, un termine che non ha ancora trovato una spiegazione etimologica soddisfacente. Né, in qualche modo, ci è di aiuto per la definizione etnica dei S. la lingua da loro parlata: eme-kengir, "lingua di Ki'engi". Questa appartiene chiaramente al gruppo di lingue agglutinanti, di cui si hanno vari esempi anche in Europa, dal basco all'ungherese, al turco, ma nessuna delle tipologie oggi attestate presenta le stesse caratteristiche di complessità del sumerico; si è voluto metterla in relazione con il bantu dell'Africa, con alcune lingue del Borneo, e recentemente anche con il cinese, che però appartiene al gruppo isolante. Insediatisi in Mesopotamia attorno al 5° millennio a.C., i S. danno origine alle culture di Eridu e Obeid, caratterizzate da particolari tipologie di ceramica lavorata già con il tornio, ma essi entrano prepotentemente nella storia con la terza fase, quella di Uruk, quando costruiscono la prima città, costituiscono il primo nucleo statale e inventano la scrittura cuneiforme, proponendosi in tal modo come gli artefici della ''rivoluzione urbana''.
Grazie agli scavi condotti negli antichi centri sumerici da Uruk a Ur, a Lagaš, a Kiš, a Nippur, a Isin, a Larsa e in numerosissimi siti archeologici dell'area, e grazie a rinvenimenti epigrafici, si è ora in grado di definire meglio i periodi storici di quella oggi chiamata comunemente la ''civiltà sumerica'', così come si è in grado di conoscere più dettagliatamente la struttura dello stato, le sue istituzioni, il suo mondo intellettuale e spirituale, e anche l'irradiamento in tutta l'area del Vicino Oriente antico. Se infatti i primi cinquant'anni della ricerca archeologico-storico-epigrafica sono serviti per inquadrare meglio il fenomeno sumerico, in questi ultimi quarant'anni si è proceduto non solo alla verifica, ma anche all'approfondimento dei temi centrali riguardanti tale cultura. Affondando le radici della civiltà sumerica proprio nella Uruk protostorica, le cui imponenti costruzioni architettoniche facevano già presagire una struttura dello stato molto complessa, era opportuno estendere la ricerca archeologica in altri siti del Vicino Oriente, per verificare la portata degli influssi della cultura di Uruk nella Mezzaluna Fertile. D'altra parte l'esistenza del ciclo epico che ruota attorno ai sovrani mitici della i Dinastia di Uruk, Enmerkar, Lugalbanda e Gilgameš, le cui gesta riguardano conflitti con il mondo iranico e con la Siria-Palestina, faceva già pensare che almeno nell'immaginario dei S. del periodo storico, quello di Uruk dovesse rappresentare un momento fondante della loro civiltà.
Fino agli anni Cinquanta era noto lo stretto rapporto che legava Uruk alla Susiana. È invece di recente acquisizione, in seguito alla campagna internazionale di salvataggio, la scoperta dei siti archeologici della grande ansa dell'Eufrate, dove si doveva realizzare il Lago Asad in Siria: negli anni Settanta sono stati infatti portati alla luce insediamenti di tipo urukita, come Ḥabuba Kabira e Tell Qannāṣ, Ǧebel ῾Arūḍa, Tell al-Ḥaǧǧa e Tell al-Šayh Ḥasan, per menzionare i più importanti. La loro scoperta non poteva essere senza conseguenze: gli archeologi infatti hanno cominciato a indagare tutti i tell delle rive dell'Eufrate, ottenendo una mappa accurata della sistematica occupazione della gente di Uruk da Norsun Tepe e Malatya al Nord, a Tell Ramādī (un sito nelle vicinanze di Mari) al Sud. Persino nel deserto siriano, più precisamente nella regione di Qawwum, è stata rinvenuta una ceramica di tipo urukita. Nella regione di Terqa, poi, sono state trovate tracce dell'occupazione di Uruk nello scavo di Tell Qrayyā, tanto da permettere la conclusione che proprio l'Eufrate serviva da via di penetrazione verso il cuore dell'Anatolia. Scavi recenti hanno messo inoltre in evidenza la presenza di Uruk nella Gezirah, nella Mesopotamia settentrionale: grazie agli scavi ad Ḥammām al-Turkmān sul Balīẖ, ma soprattutto a Tell Laylān, siamo venuti a conoscenza persino di edifici pubblici costruiti secondo la tecnica propria di Uruk. È inoltre di recente acquisizione che anche Tell Brak fosse occupata all'epoca di Uruk.
La cultura di Uruk, quindi, non soltanto si organizza all'interno con una struttura cittadina che oseremmo definire ormai statale, ma, superando i confini della Mesopotamia, si espande ben oltre i limiti di questa regione, raggiungendo tutto l'arco geografico noto come Mezzaluna Fertile. I ritrovamenti archeologici fatti in Iran, Turchia, Siria ed Egitto rendono inoltre verosimile quanto ci è narrato nei poemi epici sumerici: le lotte tra Uruk e Aratta in Iran, e tra Uruk e la ''Foresta dei Cedri'', cioè il Libano, non sono forse altro che il pallido riflesso della grandiosa irradiazione della cultura di Uruk già in tempi preistorici. Da recentissimi scavi archeologici, infine, quelli di Tell Baẖtiyār a opera di una missione belga e quelli di Tell Mardīkh-Ebla, a opera di una missione italiana, si ricavano le prove che la frequentazione sumerica dell'area siriana fu assidua anche nei periodi storici (attorno al 2600-2500 a.C.). Proprio dallo studio dell'eccezionale biblioteca rinvenuta a Ebla, apprendiamo tra l'altro che il titolo di sovrano, en, riservato ai mitici sovrani della Uruk protostorica, da Enmerkar a Gilgameš, non fosse, come si è voluto, un titolo sacerdotale − cosa questa che ha dato origine alla tesi famosa della città-tempio sumerica, per cui il capo della città sarebbe stato un rappresentante del dio poliade −, bensì un titolo laico; anzi esso serviva a indicare il sovrano, per così dire, sovra-nazionale, rispetto ai capi locali chiamati lugal.
La ricerca sumerologica, sia linguistica sia storico-culturale, sta vivendo oggi una situazione molto felice. I nuovi scavi archeologici e i nuovi rinvenimenti epigrafici − in particolare quelli di Me-Turan e Sibbār degli ultimi anni − arricchiscono sempre più le nostre conoscenze, contribuendo a chiarire le zone d'ombra di quella che a buona ragione possiamo ormai senza enfasi chiamare la ''culla della civiltà'', della stessa nostra civiltà.
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