sudden stop
Improvvisa diminuzione dei flussi in entrata dei capitali esteri, che finanziavano disavanzi di parte corrente della bilancia dei pagamenti (➔), motivata soprattutto da timori di mancato rimborso del debito pubblico estero.
Quando si verifica un s. s., l’aumento delle esportazioni nette necessario per compensare i minori finanziamenti esteri richiede il deprezzamento del cambio reale, la cui intensità dipende anche dalla composizione per valuta del debito estero, soprattutto pubblico: tanto maggiore è la quota in valuta estera tanto elevata è la svalutazione del cambio nominale (➔ base monetaria), necessaria per ridurre il rapporto debito pubblico complessivo/PIL. Il denominatore cresce infatti sia per l’effetto positivo di una maggiore domanda estera sia per l’inflazione (➔ p) generata dalla svalutazione. Tuttavia, i Paesi dove la quota del debito in valuta estera è significativamente alta possono difficilmente assorbire ‒ senza compromettere la sostenibilità fiscale ‒ una svalutazione elevata che aumenterebbe il valore del debito e degli interessi espressi in valuta nazionale. La sola aspettativa di svalutazione del cambio creerebbe dunque nei creditori esteri dubbi sulla sostenibilità fiscale e l’inevitabile conseguenza sarebbe un aumento dei tassi d’interesse per incorporare il maggior premio al rischio, che renderebbe la posizione fiscale del Paese ancora meno sostenibile. Nei casi estremi, come è accaduto in Argentina nel 2002, il default sul debito estero risulterebbe inevitabile.