SUDANESI
. I Negri sudanesi sono stanziati nella metà settentrionale dell'Africa e il territorio da loro abitato è limitato dal Sahara a nord, dall'Africa Orientale Italiana a est, dalla selva del Congo a sud e dall'Oceano Atlantico a occidente. La popolazione, assai varia nelle razze, è composta principalmente da Negri, al disopra dei quali esiste spesso una specie di classe superiore o signorile, formata da popolazioni camitiche e semitiche con pelle di tinta più chiara e tipo somatico più simile all'europeo.
L'agricoltura (alla zappa) è molto curata dai Negri sudanesi che rappresentano lo strato più antico e primitivo della popolazione; essi coltivano nella regione boscosa principalmente manioca, igname, mais, banane e arachidi; nella regione stepposa prevalentemente sorgo. Poca importanza ha la caccia e la raccolta. Accanto a queste genti, troviamo una popolazione che costituisce città e stati, dedita all'allevamento del bestiame (cammelli, cavalli, asini, bovini, ovini), all'industria e al commercio. Le incursioni di tribù nomadi dedite alla pastorizia, provenienti dal Nord o dall'Oriente provocarono numerose migrazioni e diedero l'impulso alla fondazione di grandi e importanti stati (Timbuctù, Gana, regno Mandingo, Haussa, Ascianti, Dahomey, Benin, Yoruba, Bornu, Uadai, Darfur, ecc.). Intensi scambî commerciali e culturali si effettuarono tra questi antichi regni e l'oriente (Meroe, Abissinia) da un lato, e il bacino mediterraneo dall'altro.
Influenze mediterranee si palesano nei borghi e nei sotterranei della regione del Niger, nelle abitazioni a pianta rettangolare per lo più completamente o in parte sotto il livello del suolo, dei Bobo, Lobi e Samo, e nelle case di argilla a tetto piatto dei paesi degli Haussa e nella regione del Lago Ciad. Ivi si affermò la tecnica indigena di costruzione in argilla al posto di quella antica in pietra. Questo tipo è usato anche nelle capanne d'argilla con pareti cilindriche e tetto conico che serve di abitazione agli agricoltori. Al carattere nomade dei Fulbè, risponde bene invece la capanna ad alveare. Nelle regioni boscose si usa la capanna rettangolare con tetto a doppio spiovente. I primitivi agricoltori prediligono piccoli villaggi, talvolta molto isolati: le popolazioni artigiane e commerciali si riuniscono invece in centri popolosi, spesso muniti di mura fortificate per difendersi dalle rapine.
L'islamismo si è imposto, tra altro, pure nel vestiario, cosicché nelle regioni venute a contatto con l'Islām si usano vesti maomettane (toben, vesti a foggia di camice, e calzoni di cotone, sandali di cuoio, turbante). Le tribù idolatre vanno nude o portano grembiuli di foglie o di pelle e anche mantelli di pelle. Nelle regioni boscose si usa ancora l'arcaica corteccia d'albero. Molto sviluppato presso i Negri sudanesi dei due sessi l'amore dei monili. Gran copia di bracciali, collane e anelli per i piedi, orecchini e anelli di ferro, oro, argento, ottone e rame nei ceti più elevati; la primitiva popolazione agricola si accontenta di materiale più scadente, anelli di pelle, corteccia, penne, ecc. Perpetuano antichissimi metodi commerciali le perle di agata, di ambra e di terracotta, che si ritrovano spesso anche in antichi sepolcri e di cui si faceva un esteso commercio. Numerosi influssi di culture più ricche si palesano negli oggetti d'ornamento. Questi influssi furono accolti volonterosamente nei regni sudanesi, specie nelle città, da cui poi, dopo varie trasformazioni, vennero trasmessi alle genti primitive dell'aperta campagna. Sono molto amati da varie stirpi sudanesi la coloritura del corpo, le cicatrici ornamentali, l'aguzzare i denti, la perforazione delle narici, del setto nasale a delle labbra, l'inserzione di dischi e cavicchi alle labbra e alle orecchie. La circoncisione viene praticata nelle cerimonie d'iniziazione anche da stirpi non maomettane. Ricordano antiche forme egiziane i bastoni da getto e la multipunta di ferro del bacino del Lago Ciad, del Tibesti e del Darfur, mentre le spade, i fucili a pietra focaia e varî pettorali, che si mettono anche ai cavalli (medio Sudan) palesano influssi di civiltà orientali: alcune forme di archi, frecce e scudi s'ispirano pure a modelli orientali. Anche i prodotti artigiani sudanesi, tessuti, tinture, lavori di pelle, oreficerie e lavori d'ottone rivelano numerose influenze straniere.
In alcune regioni ha raggiunto un alto grado di sviluppo l'estrazione del ferro o la tecnica fabbrile. Il fabbro gode presso varie stirpi sudanesi una posizione privilegiata. Cauri, talleri di Maria Teresa, cotonine e moneta di ferro servivano di unità monetarie nei mercati periodici e stabili del Sudan, mentre i pesi aurei, in forma di animali, degli Ascianti e le perle Aggri della Nigeria, trovate fino sul basso corso dello Zambesi, ci rivelano la vastità dei rapporti commerciali già esistenti e che consentirono a tanta parte del patrimonio culturale straniero di penetrare nel Sudan. Il traffico si compiva e si compie principalmente per mezzo di carovane. Sono usati come strumenti musicali tamburini, tamburi formati di vasi di coccio (Senegambia), tamburi di legno a forma di clessidra o di mortaio, campane doppie di ferro, violini monocordi, liuti (Kru, Mandingo), flauti di Pan, trombe d'avorio, corni di antilope o legno, tamburi scavati (per segnalazioni nelle regioni boscose), silofoni e raganelle (strumenti del culto durante le cerimonie della circoncisione).
La popolazione agricola del Sudan ha una delle più antiche organizzazioni familiari di tipo patriarcale con ben determinate divisioni di classi secondo l'età, caratteristiche leggi ereditarie con prevalenza della discendenza maschile (patriarcale diritto ereditario del fratello), organizzazione totemistica in clan con matrimonî esogamici (esogamia totemistica dei clan). Ogni tribù ha un suo animale, che non può venir né mangiato né ucciso. Non possono contrarre matrimonio individui appartenenti allo stesso animale totem. Accanto a questo sistema così nettamente patriarcale, incontriamo talvolta anche forme matriarcali (Ewè, Ascianti, Uolof, Mandingo), espressioni di strati sociali più recenti (ceto padronale). Spesso nelle regioni boscose, talvolta anche nelle steppe, esistono associazioni segrete, danze con maschere, culti della fecondità, ecc. Le condizioni del commercio e del traffico, le forme iniziali di complessi politici più progrediti (città e regni) favorirono la formazione delle caste, delle monarchie, della burocrazia, delle classi artigiane e dello schiavismo.
L'islamismo ha conquistato religiosamente gran parte del Sudan e tende a raggiungere la costa; accanto ad esso il cristianesimo va riducendo le credenze magiche (feticismo, amuleti, operazioni magiche per provocare la pioggia e la fecondità, evitare le malattie, magia nera e bianca). Esistono ancora culti dedicati ai serpenti e ai coccodrilli, la fede nella rincarnazione, rappresentazioni di divinità (temporali, dio della guerra, ecc.), rappresentazioni manistiche. Una volta non erano rari nei maggiori principati i sacrifici umani; in alcuni luoghi la classe sacerdotale ha avuto un grande sviluppo. Nelle foreste s'incontrano spesso tracce di antropofagia. La plastica lignea è molto sviluppata nel Sudan (maschere, figure degli antenati); il Benin e lo Yoruba vanno considerati come centri di un'arte (scultura in avorio, ottone, fusione a cera perduta) che ricorda alte forme di civiltà e che influì non poco sulle regioni confinanti (Dahomè, Ascianti). Si notano chiaramente in essa ispirazioni attinte al patrimonio formale del primo medioevo, tanto del vicino oriente quanto dell'occidente. (V. tavv. CXLV e CXLVI).
Bibl.: L. Frobenius, Und Afrika sprach..., III (Unter den unsträflichen Aethiopen), Berlino 1913; id., Atlantis, V: Dichten und Denken im Sudan, Monaco 1925; J. Marquardt, Die Beninsammlung des Ethnographischen Rijksmuseums in Leiden, Berlino 1913; F. v. Luschan, Die Altertümer von Benin, ivi 1919; C. G. Seligman, Pagan Tribes of the Nilotic Sudan, Londra 1932.
Lingue.
Il nome di lingue sudanesi è stato introdotto nella glottologia all'inizio del sec. XX dall'africanista D. Westermann, per designare un gruppo di lingue che si presumono genealogicamente affini; esso comprende, grosso modo, gl'idiomi parlati nella zona centrale africana (Sudan, Guinea e regioni finitime), dall'Atlantico fino alle frontiere occidentali dell'Impero Italiano dell'Etiopia (v. africa: Lingue, I, pp. 764-65). Questo gruppo sarebbe, come si è detto, genealogicamente affine, vale a dire che tutte le lingue sudanesi sarebbero la continuazione di un'unica lingua, naturalmente non attestata: il protosudanese. Un principale criterio di discriminazione fra Sudanese e Camitico sarebbe l'assenza del genere nel Sudanese, criterio per cui il Westermann include nel Sudanese il Kunama, il Nuba e il Dinka, da altri studiosi (Reinisch) riuniti al camitico. Un criterio di discriminazione valevole tanto verso il camitico quanto verso il bantu sarebbe il monosillabismo, o per lo meno la tendenza al monosillabismo, e, in buona parte degl'idiomi, la presenza di toni. Il Westermann cerca di ricostruire il protosudanese dall'esame e dalla comparazione di cinque lingue della sezione occidentale, strettamente affini fra di loro, e cioè l'Ewe, il Ci, il Gã, lo Yoruba e l'Efik e di tre lingue della sezione orientale: Nuba, Kunama e Dinka; la scelta si deve al fatto che per queste lingue erano accessibili materiali abbastanza copiosi. Le lingue di tipo sudanese più puro sarebbero quelle della costa atlantica della Guinea settentrionale tra la Senegambia e il Kalabar; avremmo poi lingue di tipo bantoide e lingue sudanesi camitizzate. Il Trombetti (Saggi di glottologia generale comparata, II: I numerali, Bologna 1912, p. 453) criticò severamente le conclusioni del Westermann e osservò: "Il lavoro del Westermann ha molti pregi, ma ha il difetto di prendere in esame poche lingue estremamente logore e corrotte (tipo Ewe) alle quali vengono collegati il Nuba, Kunama e Dinka, che vanno invece col Camitico, come ha dimostrato L. Reinisch, mentre lo Schuchardt con ragione sostiene non potersi il Dinka separare dal Bari, ecc. Il Westermann non ha riconosciuto che le lingue del tipo Ewe sono degradate...; e su così incerta base ha preteso di ricostruire l'Ur-sudanisch!". E ancor più decisamente negli Elementi di glottologia (Bologna 1923, p. 24): "Del resto, in complesso, la costituzione del gruppo sudanese del Westermann rappresenta sotto alcuni aspetti un vero regresso. Tutta la sezione occidentale è strettamente collegata al Bantu, come riconobbero Bleek, Norris, Logan, Christaller, De Gregorio, Krause, Lepsius, Torrend, Finck, W. Schmidt, L. Homburger, la quale ultima ha potuto dimostrare recentemente, con buon metodo e senza sforzo, che il Wolof, Pul e Mande hanno stretta affinità col Bantu. Della sezione centrale, che presenta le maggiori difficoltà per una buona sistemazione, nulla ci dice il Westermann. Quanto alla sezione orientale, il Nuba, Kunama e Dinka furono collegati alle lingue cuscitiche dal Reinisch con dimostrazione ottima, che resta tale anche dopo i lavori di Westermann e Meinhof. Chi può credere che il Nuba sia affine al lontano e differentissimo Ewe più che alle vicine lingue cuscitiche? Ma il punto più curioso si è che il Dinka non si può separare dal Bari: dove va l'uno, deve andare anche l'altro, ciascuno con la sua prossima parentela, cioè quello con lo Scilluk, ecc. questo, tra l'altro, col Masai. Infatti la parentela del Dinka e del Bari fu riconosciuta da tempo e riconfermata recentemente da H. Schuchardt. Ora il Bari e il Masai sono, per il Westermann, lo Struck e il Meinhof, lingue camitiche; e camitico perciò dovrebbe essere il Dinka. Tutti questi contrasti si appianano in ultima analisi, poiché tutte le lingue africane costituiscono un solo gruppo...". La conclusione del Trombetti è, come al solito, monogenistica, ma le sue critiche al Westermann sono fondate. Egli però adotta il nome di "sudanesi" per sostituire quello da lui prima usato di "lingue della zona centrale africana"; nel lavoro sui Numerali, che risale al 1912, conserva ancora il nome di "Lingue della zona centrale africana", ma in questo gruppo ammette tre sottogruppi: Semibantu, Sudanese e Nilotico. Più tardi, negli Elementi di glottologia e in altri lavori, chiama "sudanesi" le lingue del gruppo centrale africano; manda le semibantu con le bantu e le nilotiche decisamente col Camitico. Unisce poi il Sudanese al Bantu in un gruppo di ordine superiore che egli chiama Bantu-Sudanese.
Un'altra classificazione delle lingue "sudanesi" (per quanto questo nome non sia mai ricordato) è quella di A. Drexel (v. africa, I, pp. 764-65, dove se ne fa anche una critica).
Indubbiamente superiore alla classificazione del Drexel è quella dell'africanista francese M. Delafosse (contenuta nell'articolo "Langues du Soudan et de la Guinée", pubblicato nel vol. Les langues du monde, edito sotto la direzione di A. Meillet e M. Cohen a Parigi nel 1924, cfr. pp. 463-560) che ha il merito di considerare le lingue dell'interno completamente lasciate da parte dal Westermann. Il Delafosse poi, al pari del Trombetti, non pone una separazione netta fra lingue "sudanesi" e lingue "bantu". Egli scrive infatti: "En réalité cette distinction entre langues "bantou" et langues "soudanaises", ou, si l'on préfère, entre les langues nègres qui sont cataloguées comme bantou et celles qui ne le sont pas, n'est pas absolue. Les unes et les autres, pour autant qu'il est possible de se prononcer sur des parlers dont on ignore l'origine et l'évolution historique, semblent bien appartenir à une même famille linguistique...". Del resto il Delafosse è uno di quei glottologi che sono propensi ad ammettere l'unità di tutte le lingue dell'Africa (cfr. lingue, XXI, p. 205).
Il Delafosse distingue, nella sua classificazione, che riconosce essere solo provvisoria, 16 gruppi linguistici, e precisamente:
I. Gruppo nilo-čadiano (nilo-tschadien), che è il più vasto ed occupa la valle del Nilo da Assuan a nord, fino a Fašoda al sud; si protende ad est fra il Nilo e l'Atbara e fino al Tigrai e ad occidente penetra nel deserto libico fino al Tibesti. A questo gruppo apparterrebbero il Nuba, Barea, Kunama, Tubu, Mara, Kanuri e 24 altre lingue di minore importanza.
II. Gruppo nilo-abissino, che occupa la valle del medio Nilo Azzurro e quella del Nilo Bianco dall'altezza di Sennâr, a valle, fino ai pressi di Lado, a monte; si protende a oriente lungo il Sobat e fino al basso Omo e ad occidente fin quasi al Lago Vittoria. Comprende il Nuer, Scilluk, Dinka, Gang ed altre undici lingue, alcune delle quali pochissimo conosciute.
III. Gruppo nilo-equatoriale, che si estende su un'ampia zona a sud del gruppo nilo-abissino; comincia a nord circa all'altezza di Lado e si estende a sud fino al 6° di lat. S.; ad occidente passa il Bahr el-Ǧebel e a oriente giunge al Lago Stefania e al Kilimangiaro, spingendo una propaggine fino alle sponde dell'Oceano Indiano, vicino a Mombasa. Apparterrebbero a questo gruppo il Bari, Turkana, Suk, Liri, Nandi, Kavirondo, Masai e altre 19 lingue di minore importanza.
IV. Gruppo del Kordofan (kordofanien), territorialmente intermedio fra i gruppi I e II; comprende solo 10 lingue, tutte di scarsa importanza (Talodi, Eliri, Lafofa, Tagoi, ecc.).
V. Gruppo nilo-congolese, territorialmente intermedio fra i gruppi II e III a NE. e ad E. e fra il gruppo bantu e quello ubanghino a S., O. e NO. Questo gruppo è composto di 19 lingue assai poco conosciute (Auidi, Madi, Mangbetu ecc.).
VI. Gruppo ubanghino (oubangien) a NO. del precedente. Si compone di 25 lingue (Mittu, Mungu, Gobu, Sere, Sango, Bañda, ecc.).
VII. Gruppo šari-uadaico (chari-ouadaïen), a S. e O. del gruppo I e a N. del gruppo VI. Comprende 12 lingue (Gula, Sara, Barma, Ngama, ecc.).
VIII. Gruppo šariano (charien) parlato in un territorio relativamente ristretto lungo il medio ed alto Chari oltre a una propaggine isolata a Afadé e presso il Lago Ciad. Comprende 15 lingue (Sokoro, Sarua, Fania, ecc.).
IX. Gruppo nigero-čadiano (nigéro-tschadien) a occidente dei gruppi I, VII e VIII e comprende 31 lingue, la più importante delle quali è il Haussa (v.).
X. Gruppo nigero-cameruniano ad O. del gruppo VI e a S. dei gruppi IX e XII. Comprende 66 lingue (Kum, Lu, Kunakuna, Kakanda, ecc.).
XI. Gruppo basso-nigeriano, sul basso delta del Niger. Questo gruppo sarebbe formato dalla sola lingua Ǧo (Ijo).
XII. Gruppo voltaico, che occupa tutto il bacino superiore del Volta e si spinge ad oriente fino al Niger. Comprende 53 lingue (Kambari, Gurma, Legba, ecc.).
XIII. Gruppo eburneo-dahomiano, ad occidente del precedente lungo la costa del Golfo di Guinea. Comprende 48 lingue (Fon, Mina, Ewe, Yoruba, Adélé, Gã, Gola, Efik, ecc.).
XIV. Gruppo nigero-senegalese, di grande estensione territoriale, ad occidente del gruppo I e a N., O. e S. del gruppo XII. Comprende 36 lingue (Mande, Songoï, Bambara, Malinke, ecc.).
XV. Gruppo eburneo-liberiano: relativamente poco esteso è limitato a 24 lingue parlate nelle regioni delle foreste fra il Bandama e il San Paolo (Ahizi, Dida, Beté, Ba, Bakué, ecc.).
XVI. Gruppo senegalo-guineense, che comprende 24 idiomi parlati in una zona fra quella del gruppo XIV e il mare (Ful, Wolof, Serer, Temne, ecc.).
La classificazione del Delafosse ha indubbiamente grandi pregi, ma ha anche difetti; essa considera infatti fra le lingue sudanesi tanto le lingue semi-bantu, quanto le nilotiche (v. nilotiche, lingue).
Il problema dei rapporti della famiglia sudanese con quella nilotica è stato affrontato dal Westermann nei lavori posteriori al volume Die Sudansprachen e che sono citati nella bibliografia. Il Westermann considera il Nilotico come composto di due elementi: da una parte egli considera un gruppo niloto-camitico (Iraku, Ufiome, Uassi, Mulungu, Ungomvya; Tatoga, Ndorobo, Nandi; Bari, Masai, Kwafi, Ava, Ngisu ed Elgumi) e dall'altra un nilotosudanese che comprenderebbe lo Scilluk (v.) e i suoi dialetti, il Dinka e il Nuer e infine il Mittu, Madi, Abaka, Luba, Wira, Lendu, Moru.
D'altro canto rimane una parte delle lingue sudanesi che sono evidentemente bantoidi o semi-bantu. Le lingue semi-bantu della regione occidentale erano conosciute da molto tempo; quelle della sezione orientale (Kordofan) vennero conosciute solo molto più tardi. La critica del Westermann (Anthropos, VIII, 1913, p. 468) contro la denominazione "bantoidi", non sembra fondata. I rapporti di questi idiomi col Bantu sono innegabili e furono già intravvisti fin dal 1882 dal De Gregorio e più tardi da G. A. Krause, C. Meinhof, L. Homburger, ecc. Il Meinhof riconosce, per es., che oltre alla struttura grammaticale, circa ⅓ del lessico delle lingue bantoidi concorda perfettamente con quello delle lingue bantu. Nei suoi lavori più recenti il Westermann parla di un gruppo omogeneo di lingue sudanesi occidentali che a sua volta si dividerebbe in cinque sottogruppi: 1. lingue Mandingo; 2. lingue della Guinea; 3. lingue dall'Atlantico occidentale; 4. lingue del Volta; 5. isole linguistiche nel Togo. Le lingue del primo sottogruppo di Westermann corrispondono generalmente a quelle del gruppo XIV (nigero-senegalese) del Delafosse, e alle lingue Ngo-Nke del Drexel. Le lingue del secondo sottogruppo corrispondono a quelle dei gruppi X, XI, XIII e XV del Delafosse. Le lingue del sottogruppo 3 corrispondono a quelle del gruppo XVI del Delafosse; quelle del gruppo 4 corrispondono a quelle del gruppo XII del Delafosse, che, in questo caso, porta anche lo stesso nome (groupe voltaïque). Le lingue del sottogruppo 5 sono comprese nel gruppo XIII del Delafosse.
Data la quantità di idiomi, dato il loro stato di elaborazione poco avanzata e date le grandi differenze che si notano fra le diverse lingue, è molto difficile potere elencare, in breve spazio, i tratti più caratteristici delle lingue sudanesi. Ci limiteremo a pochi cenni.
Il sistema fonetico del Proto-sudanese ricostruito dal Westermann (Sudansprachen, p. 198) è molto semplice e in tutto simile a quello del Proto-bantu. Concorda, per es., col Bantu per la mancanza di s e di r. Mancherebbe al Proto-sudanese l, e vi sarebbe solo la cacuminale ú. Caratteristiche delle lingue sudanesi sono poi anche le "velari-labiali" kp e gb che però hanno riscontro in lingue bantu del Kamerun. Notevoli i mutamenti di esplosive in liquide che si trovano, per es., nello Yoruba, come ta "comprare" ~ ra "vendere"; arũ "5" contro l'Ewe atõ.
Un'altra caratteristica delle lingue sudanesi è il monosillabismo, o per lo meno la tendenza al monosillabismo che si osserva specialmente nelle lingue di tipo Ewe. Certamente in rapporto alla tendenza che porta al monosillabismo e alla scomparsa di sillabe finali o di prefissi è la presenza di toni in molte lingue sudanesi. Toni musicali con valore morfologico e semantico sono stati osservati in lingue appartenenti ai gruppi II, X, XI e XV, nelle lingue della sezione meridionale del gruppo XVI (nella classificazione del Delafosse). Tracce più o meno sicure si trovano anche altrove. I toni si osservano molto bene nelle lingue della Guinea settentrionale. L'Ewe distingue tre toni: alto, medio e basso e due toni composti; per es., wù "uccidere", wû "un albero" wú "superare"; nel Gã abbiamo pure tre toni. Da quanto si è detto appare che la formazione dei toni è anche qui analoga a quella che si osserva, con maggiore chiarezza, nelle lingue indo-cinesi (vedi indocinesi, lingue, XIX, p. 129).
Nella morfologia noteremo prima di tutto la presenza anche nelle lingue sudanesi di "classi nominali" come nel Bantu, o per lo meno, di residui del sistema delle classi, così ampiamente sviluppato nel Bantu (v. bantu, VI, p. 98). Il Delafosse certamente esagera nel volere trovare in quasi tutti i suoi sedici gruppi le classi (farebbero eccezione solo i gruppi VII e XIV), pure è innegabile che si trovano anche nelle lingue sudanesi, e non solo nelle sezioni che comprendono le lingue bantoidi, dei sistemi di classi, per quanto generalmente non così ricchi e perfetti come quelli del Bantu.
Il Gola nella Liberia possiede 4 (o 5) classi nominali; lo Shebro 5, il Serer 8 e il Ǧola 9, mentre il Temne arriva a 17 o 18. Importa poi osservare che mentre le lingue bantu distinguono le classi nominali esclusivamente con un sistema di prefissi, le lingue sudanesi che possiedono sistemi di classificazioni nominali si comportano in modo diverso. Infatti alcune hanno dei sistemi di prefissi analoghi a quelli del Bantu; così, per es., il Temne, il Gola, il Fada, ecc. Invece altre lingue come il Ful, il Wolof, ecc., hanno sistemi di suffissi. Non occorre dare un'eccessiva importanza alla diversa collocazione dell'elemento determinativo che forma ora il prefisso e ora il suffisso; si tratta, in ultima analisi, dello stesso fenomeno che porta in alcune lingue alla posposizione dell'articolo. Inoltre vi sono lingue sudanesi che usano sia prefissi sia suffissi per distinguere le classi nominali; così, per es., il Gola e il Serer.
La presenza delle classi ci spiega anche la mancanza del genere, in quanto la distinzione per classe è maggiormente determinata e più precisa. Quanto al numero, nelle lingue che hanno un sistema di classi, ogni prefisso o suffisso di classe ha il suo corrispondente plurale; per es., nel Gola al prefisso della 4ª classe (cose piccole) di- corrisponde il prefisso plurale ku-, e al prefisso della seconda classe (cose molto pregiate) é- corrisponde al prefisso del plurale si-.
Nelle lingue dove il sistema di classi non esiste, il plurale si forma per mezzo di suffissi, generalmente di origine pronominale; per es., nell'Ewe ati "albero" pl. ati-wo; ame "uomo" pl. ame-wo. Più raramente con un prefisso (pur esso di origine pronominale); per es., nello Yoruba okori "uomo" pl. awõ-okori.
La presenza dei prefissi o suffissi di classe permette di distinguere, laddove essa esiste, il sostantivo dal verbo; per il resto essi sono formalmente uguali e, come il sostantivo manca di declinazione vera e propria, così anche il verbo manca di una flessione. Per es., nell'Ewe yok significa "milza" e "trovare". Mancando completamente la flessione del verbo non si può parlare di "coniugazione" nel senso in cui intendiamo questa nelle lingue indoeuropee o semitiche. I modi e i tempi vengono formati per mezzo di altri verbi o di sostantivi, secondo la teoria del Westermann; per es., nello Yoruba: mo lo "io vado" "io andai" abituale: mo ma lo "io soglio andare". Del resto anche il sistema dei modi e dei tempi è molto differente da quello dell'indoeuropeo e di altri gruppi linguistici. La sintassi delle lingue sudanesi è generalmente molto semplice. Il soggetto precede il predicato; l'oggetto segue il verbo. Il dativo può non essere distinto in nessun modo, ma semplicemente posposto all'accusativo, per es. nell'Ewe ena ga fofo "egli dette denaro [al] padre". Il genitivo precede generalmente il nominativo, ma non mancano lingue nelle quali il nominativo precede il genitivo.
Infine nel lessico delle varie lingue sudanesi notiamo parecchie concordanze, alcune delle quali sono state messe in evidenza dal Westermann e dallo Struck. Occorre però osservare, che, dato il monosillabismo, le coincidenze fortuite possono essere relativamente numerose.
In complesso, riassumendo, possiamo dire che il gruppo linguistico sudanese ha specialmente un valore "negativo". Accanto alle famiglie linguistiche ben determinate come il Bantu e il Camito-semitico, la famiglia sudanese offre ancora molte incertezze. Una buona parte delle lingue sudanesi presentano concordanze strette col Bantu (tutte le bantoidi o semi-bantu); altre, attraverso il Nilotico, si ravvicinano al Camitico (si è visto anzi che alcune lingue considerate da Westermann come sudanesi sono considerate da altri come camitiche, per es., il Kunama, che invece il Conti Rossini ritiene prettamente nilotica). Il gruppo sudanese, per quanto indubbiamente più vicino al Bantu, può segnare un passaggio fra il Bantu e il Camitico, attraverso il Nilotico. Ma ciò si può per il momento solo supporre; una dimostrazione scientifica manca ancora e mancherà per parecchio tempo, giacché molte delle lingue sudanesi sono pochissimo conosciute.
Bibl.: R. Lepsius, Nubische Grammatik, Berlino 1880 (introduzione Die Völker und Sprachen Afrikas); R. N. Cust, A Sketch of the modern languages of Africa, Londra 1883 (superato); G. A. Krause, Die Stellung des Temne innerhalb der Bantusprachen, in Zeitschr. f. afr. u. oz. Sprachen, I (1895), p. 250 segg.; Die Fadasprache am Gebaflusse im port. Westafrika, ibid., p. 363 segg.; D. Westermann, Die Sudansprachen, Amburgo 1911; id., The Shilluk people, their language and folklore, Berlino e Filadelfia 1912; Westsudanische Studien, ivi 1925-28 (Mitteilungen d. Seminars f. orient. Sprachen, XXVIII-XXXI); Die westlichen Sudansprachen und ihre Beziehungen zum Bantu, ivi 1927 (ibid., XXX); B. Struck, Einige Sudan-Worstämme, in Zeitschr. f. Kolonialsprachen, II (1911), pp. 233 segg. e 309 segg.; N. W. Thomas, The sudanic languages, in Bulletin of the School of Oriental Studies (di Londra), I (1920), p. 110 segg.; K. Meinhof, Probleme der afrikanischen Linguistik, in Wiener Zeitschr. f. d. Kunde d. Morgenl., XIX (1905), p. 77 segg.; Das Ful in seiner Bedeutung für die Sprachen der Hamiten, Semiten und Bantu, nella Zeitschr. d. deutschen morgenl. Gesellschaft, LXV (1911), p. 177 segg.; Sudansprachen und Hamitensprachen, in Zeitschrift f. Kolonialsprachen, I (1910), p. 161 segg.; M. Delafosse, Vocabulaires comparatfs de plus de 60 langues ou dialectes parlés à la Côte d'Ivoire et dans les regions limitrophes, Parigi 1904; Esquisse générale des langues de l'Afrique et plus particulièrement de l'Afrique française, ivi 1914, e l'articolo nel volume Les langues du monde, citato nel testo; F. W. H. Migeod, The languages of West-Afrika, Londra 1911; A. Drexel, Die Gliederung der afrikanischen Sprachen, Mödling 1922; L. Homburger, Le wolof et les parlers bantous, in Mem. Soc. Ling. Paris, XVII (1912), p. 311 segg.; Morphèmes africains en peul et dans les parlers bantous, ibid., XVIII, n. 182 segg.; Le bantou et le mandé, ibid,. XIX, p. 234 segg.; Noms des parties du corps dans les langues négro-africaines, Parigi 1928; Les préfixes nominaux dans ls parlers peul, haoussa et bantous, ivi 1929; J. Wils, De nominale Klassificatie in de Afrikaansche Negertalen, Nimega 1935 (con ricca bibliografia).