Vedi Sudafrica dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
Con la liberazione di Nelson Mandela, leader dell’Anc (African National Congress), dopo ventisei anni di prigionia, e la sua elezione a presidente nel 1994, il Sudafrica ha posto fine al lungo regime di segregazione razziale dell’apartheid, inaugurando una nuova stagione democratica. Le conseguenze delle politiche discriminatorie applicate per decenni nel paese continuano però a pesare sia sulla struttura sociale che sulla distribuzione della ricchezza e sull’organizzazione degli spazi urbani.
Mandela ha guidato il paese in un difficile processo di transizione politica e di riconciliazione nazionale. Uno degli elementi fondamentali è stata la creazione di una Commissione per la verità e la riconciliazione, che è riuscita nell’intento di creare un clima di collaborazione e a porre le basi per una rea;le pacificazione. Durante la sua presidenza, Mandela ha basato l’immagine internazionale sulla diplomazia dei diritti, tanto che il Sudafrica è stato mediatore in molte crisi continentali e internazionali e ha partecipato a diverse missioni di peacekeeping nelle zone di conflitto africane. Nel 1996 il Sudafrica si è dotato di una Costituzione all’avanguardia nel campo dei diritti civili, dell’uguaglianza e del rispetto delle minoranze.
Il ruolo di leader morale globale ottemperato dal paese si è trovato spesso in conflitto con quello di potenza continentale. A partire dall’intervento in Lesotho nel 1998, avvenuta dietro richiesta del governo dello stesso Lesotho alla Comunità di sviluppo dell’Africa meridionale (Sadc) dopo i disordini seguiti alle elezioni, lo status del Sudafrica ha iniziato ad appannarsi e la Realpolitik, contrapposta alla rivendicazione di posizioni più vicine al nazionalismo africano e all’attivismo terzomondista, si è fatta strada anche nella condotta del ministero degli esteri.
La presidenza di Thabo Mbeki, succeduto a Mandela nel 1999, ha improntato le relazioni internazionali del paese verso il rafforzamento della posizione del Sudafrica come leader panafricano e portavoce dei paesi in via di sviluppo. Nel 2001 Mbeki, insieme ai presidenti di Nigeria, Algeria e Senegal, nel contesto della sua visione del ‘Rinascimento africano’, ha lanciato il Nepad (New Economic Partnership for Africa’s Development), un piano africano per lo sviluppo del continente. Mbeki è stato uno degli architetti delle istituzioni continentali africane, tra cui l’Unione Africana (Au) e il Meccanismo africano di revisione tra pari (Aprm). Se la politica di Mandela cercava di operare in chiave universalista, quella di Mbeki era profondamente radicata nelle dinamiche del continente, assumendo talvolta posizioni controverse (come la strategia di quiet diplomacy nei confronti dello Zimbabwe durante le contestazioni sulla regolarità delle elezioni). L’insistenza di Mbeki sulle radici africane è degenerata anche verso posizioni estreme, come nel caso della critica agli antiretrovirali per la cura dell’hiv, in quanto prodotto della medicina occidentale a vantaggio dei grandi complessi farmaceutici.
Le elezioni del maggio 2009 sono state un punto di svolta per il paese. Nel 1999 Zuma era stato nominato vicepresidente, predestinato dunque a diventare il successore di Mbeki, ma le strade di Mbeki e Zuma si divisero, anche per alcuni casi di corruzione in cui incorse Zuma. L’ala sinistra del partito, così come le organizzazioni giovanili dell’Anc, il sindacato Cosatu (Congress of South African Trade Unions) e il Partito comunista sudafricano (Sacp) avevano continuato ad appoggiare Zuma, fino a determinare la sua vittoria nel congresso del partito nel 2007. Dopo aver tentato di resistere con l’appoggio di coloro che temevano una deriva in senso populista-socialista, Mbeki si dimise dalla carica di presidente nel 2008. In seguito allo scontro fra Mbeki e Zuma l’Anc ha subìto una scissione che ha dato vita alla formazione del Cope (Congress of the People).
Jacob Zuma ha vinto le elezioni del 2009, con una maggioranza di circa due terzi dei voti. Il suo governo ha ribaltato molte delle posizioni di Mbeki, a partire dalle pressioni su Mugabe per un sistema di cogestione del potere in Zimbabwe e dall’impegno nella lotta all’hiv. I propositi di nazionalizzazione sono stati accantonati e l’entrata di esponenti del Cosatu e del Sacp nell’esecutivo è stata controbilanciata dall’istituzione di un ufficio di coordinamento affidato all’ex ministro delle finanze Trevor Manuel, molto amato dai mercati. La presidenza Zuma ha coinciso con l’aggravarsi della crisi economica mondiale, ciò ha costretto il governo a limitarsi a non ridurre la spesa sociale e non gli ha permesso di prestare fede all’impegno di rilanciare la lotta all’ineguaglianza e alla povertà. I lavoratori, soprattutto quelli di origine nera, hanno visto nella politica di Zuma un tradimento delle promesse elettorali: il culmine delle proteste è stato raggiunto nell’agosto 2012, quando 45 minatori persero la vita negli scontri con la polizia presso le miniere di Marikana. La commissione d’inchiesta istituita per indagare sull’episodio ha accusato la polizia del massacro, ma ha indicato come corresponsabili anche la società mineraria e i sindacati, colpevoli di non aver raggiunto un accordo che avrebbe evitato gli scontri. Gli eventi di Marikana sono stati un segno inquietante dell’incrinarsi della fiducia nella base dell’Anc nei confronti dei suoi rappresentanti, della delusione e del malcontento della maggioranza nera verso l’élite al potere, accusata di perseguire le stesse politiche della leadership bianca. Gli scioperi sono continuati anche negli anni successivi e hanno coinvolto soprattutto il settore minerario. Nel 2014, attraverso le elezioni alle quali per la prima volta hanno partecipato i born free, cioè i sudafricani nati dopo la fine del regime dell’apartheid, Zuma è stato rieletto presidente, anche se l’Anc ha perso quindici seggi rispetto al 2009 (ottenendo il 62,2% dei voti), mentre il principale movimento di opposizione, Democratic Alliance, ne ha guadagnati 89 (con il 22,2% dei voti, sei punti in più rispetto al 2009). Economic Freedom Fighters (Eff), il partito di Julius Malema, espulso dall’Anc per alcune posizioni radicali in merito a questioni come la restituzione delle terre e la redistribuzione delle risorse, si è affermato come la terza piattaforma politica nazionale, raccogliendo il 6% dei voti, nonostante il suo leader sia indagato per frode fiscale.
I casi di corruzione all’interno dell’Anc hanno alimentato la sfiducia degli elettori. Controversa è la stessa figura di Zuma, indagato per diversi casi di corruzione e uno di stupro – per i quali non è mai stato condannato – che hanno profondamente scosso l’opinione pubblica. Nel 2014 il difensore civico Thuli Madonsela ha chiamato Zuma a rispondere dell’utilizzo di fondi pubblici nelle opere di ampliamento della sua abitazione a Nkandla. Il ministro della polizia, Nathi Nhleka, ha però stabilito che le spese erano legittime e dovute alla messa in sicurezza dell’abitazione.
L’Anc fa affidamento all’alleanza con Sacp e Cosatu e continua a mantenere una posizione unificatrice di partito moderato e inclusivo, ma tra le forze sono presenti forti tensioni. L’eredità storica dell’Anc è un alibi sempre meno credibile e la base elettorale si sta dimostrando più restia ad affidare il proprio voto a leader dal codice etico estremamente labile; ciononostante, non esiste ancora un partito in grado di intercettare e convogliare il dissenso proveniente dalle file del primo partito sudafricano.
Un ruolo particolarmente attivo è svolto dal Numsa (National Union of Metalworkers of South Africa), il sindacato più importante del Sudafrica, che attraverso scioperi e congressi sta cercando di far virare l’agenda politica nazionale sulla lotta alla disoccupazione e sulla creazione di impiego. Il Numsa sta così apertamente sfidando le forze più radicali dell’alleanza tripartita, costringendo Cosatu e Sacp a ripensare il proprio sostegno all’African National Congress. Nel novembre 2014 la sua espulsione dal Cosatu ha creato in quest’ultimo una forte divisione che potrebbe portare a una sua scissione.
Poiché il Sudafrica è stato meta di diverse ondate migratorie e conquiste, la composizione della sua popolazione è ricca e complessa. Secondo i dati del censimento 2011, poco meno dell’80% della popolazione è registrata come di origine nera africana, l’8,7% della popolazione è bianca, il 9,5% è di origine coloured, mentre il restante 2,4% è di origine indiana e asiatica in generale. Fra le popolazioni autoctone vi sono i nguni (di cui fanno parte gli zulu, i xhosa, i ndebele e gli swazi), i sotho-tswana, gli tsonga, i venda e gli ultimi discendenti non bantu noti come khoi-san, originari della regione del Capo. I bianchi sudafricani di lingua afrikaans (boeri o afrikaner) discendono dagli olandesi, tedeschi e francesi ugonotti giunti in Sudafrica dal Diciassettesimo secolo; vi sono poi gli inglesi, presenti nel paese dal diciannovesimo secolo a seguito del dominio del Regno Unito, e altri immigrati europei, fra cui greci, portoghesi, ungheresi, italiani e molti cittadini dell’Europa orientale di fede ebraica. I cosiddetti coloured, una denominazione che equivale a meticcio, parlano in prevalenza afrikaans e hanno origini miste risalenti ad asiatici o africani importati con uno statuto di semi-schiavitù, ai kohi-san e alle unioni fra boeri e donne indigene. Gli indiani, in parte indù e in parte musulmani, furono fatti venire dal Regno Unito e risiedono in maggioranza nel Zwa Zulu-Natal. Prima di dedicarsi alla lotta per l’emancipazione dell’India, Gandhi operò a lungo in Sudafrica nella difesa dei diritti degli indiani, lasciando in eredità le pratiche della non violenza. La comunità cinese è in aumento. Negli ultimi anni si è intensificata l’immigrazione di rifugiati e richiedenti asilo provenienti da Zimbabwe, Somalia, Repubblica Democratica del Congo, Angola, Mozambico, Burundi, Ruanda ed Etiopia. Le tensioni derivanti dalle profonde disuguaglianze e dalle dinamiche di esclusione sociale hanno avuto una forte ripercussione sui diritti dei migranti africani, tanto che nell’aprile 2015 è avvenuta un’ondata di violenza xenofoba che ha spinto il governo ha intervenire con l’esercito. Episodi simili erano già avvenuti nel 2008, quando ci sono stati almeno 60 morti, e, in misura minore, nel 2012. La fine dell’apartheid ha inizialmente generato flussi di emigrazione dal paese – verso Australia, Nuova Zelanda, Stati Uniti, Canada o Europa – di bianchi, causati dal timore per la criminalità crescente e di eventuali misure governative intese a ridurre i loro privilegi. La popolazione bianca è diminuita tra il 1996 e il 2001 di 150.000 unità, per poi aumentare di 300.000 unità negli anni successivi.
Nonostante la Costituzione garantisca un ampio spettro di diritti civili individuali, incluso il diritto alla non discriminazione in base all’orientamento sessuale, permane una situazione di profonda diseguaglianza, in cui la minoranza bianca gode di risorse economiche, opportunità e diritti di fatto negati alla maggior parte della popolazione nera, che continua ad avere scarso accesso alle posizioni direttive, al capitale economico e a un’istruzione di qualità. La disoccupazione registrata nel 2013 è stata del 24,9% e la percentuale di occupati neri è di almeno dieci punti inferiore rispetto agli altri gruppi. Ufficialmente il 95% della popolazione ha accesso all’acqua potabile e all’elettricità, un record positivo attribuibile all’impegno dei governi post-apartheid, ma di fatto permangono molti insediamenti informali non compresi nel censimento nazionale, che non sono dotati di nessun servizio di base. La prospettiva media di vita è di soli 56,7 anni. Vari programmi di sviluppo sono dedicati alla costruzione di alloggi popolari, con liste di attesa che possono durare diversi anni e che non arrivano a coprire i bisogni reali. La peculiare struttura delle città durante il lungo periodo dell’apartheid rende estremamente complicata la riqualificazione delle township, l’organizzazione della viabilità e dei trasporti e l’equa distribuzione dei servizi pubblici.
Grazie agli sforzi del governo Zuma, costretto a riparare ai danni della controversa politica di Mbeki (che secondo uno studio dell’Università di Harvard avrebbe provocato 330.000 morti tra il 2000 e il 2005), il tasso di prevalenza dell’hiv è sceso al 19%, rimanendo comunque il quarto a livello mondiale. Oggi il 66% delle persone sieropositive ha accesso al trattamento antiretrovirale e la prevalenza del virus è in diminuzione nei giovani fra i 15 e i 29 anni (passando dal 13% nel 2008 all’8% nel 2011), segno che le campagne di sensibilizzazione e le terapie si stanno rivelando efficaci.
Negli ultimi anni alcune proposte legislative, mai approdate in parlamento, che limiterebbero la libertà di cronaca della Sabc (South African Broadcasting Corporation, ancora indipendente dal governo), hanno fatto temere restrizioni alle libertà civili. Il cosiddetto Secrecy Bill, progetto di legge che condiziona l’accesso alle informazioni considerate sensibili e stabilisce gravi pene per coloro che si trovino in possesso di informazioni riservate, sta avendo un iter parlamentare controverso. Dopo essere stato rimandato per due volte in parlamento, la dichiarazione del ministro della sicurezza statale Mbangiseni Mahlobo a favore della riforma ha riacceso il dibattito.
La vitalità della società civile e delle esperienze associative maturate durante gli anni dell’apartheid rende l’opinione pubblica particolarmente vigile e attiva rispetto alla tutela dei diritti.
La Repubblica Sudafricana si conferma uno degli stati leader del settore minerario nonostante l’esigua crescita. Il paese appartiene ai Brics, associazione fondata nel 2010 che riunisce stati con una forte economia emergente. Nel 2010 il Sudafrica ha raggiunto il 75% della produzione mondiale di platino (di cui è il maggior esportatore a livello mondiale), più del 30% della produzione mondiale di cromo, zinco, vanadio, quasi il 20% di ilmenite e manganese, l’8% di oro e il 3% di nickel. Possiede il 95% delle riserve mondiali di minerali platinoidi. La maggior parte dei giacimenti sudafricani è di proprietà privata: le attività estrattive di diamanti e oro, contrariamente ad altri paesi africani, sono interamente esercitate da grandi compagnie. Nel 2010 l’industria mineraria ha rappresentato l’8,6% del pil. In Sudafrica si svolge il Mining Indaba, uno dei maggiori eventi dedicati agli investimenti nel settore minerario. Il numero di occupati nel settore (488.141) non è aumentato negli ultimi anni a causa della scarsa crescita economica e degli scioperi indetti dai lavoratori per protestare contro le politiche sociali. La produzione di oro è in calo: dopo avere toccato il 16% della produzione mondiale, oggi è all’8%. Tra le cause vi sono la difficoltà di estrarre a grandi profondità e la mancanza di potenza energetica sufficiente.
Il Sudafrica vanta una buona rete infrastrutturale, ma deve confrontarsi con la scarsa potenza energetica. Il settore minerario richiede un enorme fabbisogno in termini di energia. L’impossibilità di avere una fornitura costante ha quindi contribuito a far decrescere la produzione nel settore e ha orientato le imprese minerarie verso lo sviluppo dell’estrazione di materiali a minor consumo energetico. La costruzione del porto di Richard Bay ha facilitato un accesso diretto al mare senza dover passare necessariamente per la lontana Città del Capo o per il territorio del Mozambico.
Allo scopo di attrarre un maggior numero di investitori stranieri, il Sudafrica ha recentemente riformato il codice di sfruttamento delle risorse minerarie, introducendo criteri ambientali e l’integrazione di misure compensative per le comunità locali. Alcuni passi avanti, seppure minimi, sono stati compiuti anche in merito alla difesa dei lavoratori impiegati nel settore minerario (anche per questo motivo l’estrazione dell’oro ha subito un rallentamento). Rimangono comunque aperte le questioni della sicurezza sul lavoro, del diritto a un lavoro dignitoso dei minatori, dello sfruttamento minorile in miniera e i problemi legati ai diritti delle comunità delocalizzate e reinsediate per cause economiche e alla protezione dell’ambiente.
Il Sudafrica aderisce all’accordo di applicazione di certificazione internazionale sui diamanti grezzi, detto Kimberley Process, che attesta la provenienza lecita dei diamanti allo scopo di prevenirne il contrabbando o l’utilizzo come fonte di finanziamento dei conflitti. Nel 2013 il Sudafrica ha ricoperto la presidenza di questa iniziativa.
Il rigore della politica macroeconomica, delineata nel piano Gear (Growth, Employment and Redistribution), è sempre stato oggetto di discussione tra l’ala di maggioranza dell’Anc e le componenti di sinistra dell’Alleanza tripartita (Cosatu e Sacp). Smentendo i dubbi della comunità internazionale e degli avversari politici, il governo sta riuscendo a contenere l’inflazione e a garantire la stabilità del paese, anche a fronte di tassi di crescita non incoraggianti rispetto alla media subsahariana. L’esigua crescita, data dal rallentamento della produzione del settore estrattivo, dagli strascichi della crisi internazionale e da carenze infrastrutturali e di energia non ha permesso di raggiungere i risultati sperati in termini di occupazione, né di supplire al deficit strutturale delle partite correnti. Nel 2014 il governo ha approvato il National Development Plan (Ndp), un programma che dovrebbe cercare di contrastare l’alto tasso di disoccupazione attraverso investimenti e opere pubbliche, strutturato fino al 2019. A pesare sulla scarsa crescita del Sudafrica è anche il settore del turismo, in netto calo nel 2015 dopo l’entrata in vigore delle nuove normative sui visti. Considerate le perdite economiche, Zuma ha promesso che le regole saranno nuovamente modificate.
Il Sudafrica fa parte di tre raggruppamenti economici regionali: la Southern Africa Development Community (Sadc), la Southern Africa Customs Union (Sacu) e la Common Market Authority. All’interno del gruppo regionale della Sadc, il Sudafrica gioca un ruolo molto importante: le esportazioni da parte del paese ammontano al 44% delle esportazioni all’interno del gruppo e al 40% delle importazioni. Nonostante questo, il peso del commercio intraregionale sul totale del commercio sudafricano è ridotto, e ciò malgrado il paese abbia un livello di produzione industriale e manifatturiera molto avanzato rispetto agli altri paesi della regione.
La questione della terra ha un forte valore simbolico anche nel Sudafrica post-apartheid. Il Native Lands Act del 1913, che confinava gli africani nelle riserve definite dal governo (pari al 13% della superficie del paese), è stato uno dei pilastri dell’apartheid e la restituzione delle terre ai proprietari che le detenevano prima dell’insediamento dei bianchi compariva tra i primi obiettivi dell’Anc. Il processo di redistribuzione della terra è stato effettivamente avviato dal nuovo governo, secondo il principio del ‘willing seller, willing buyer’: il trasferimento della proprietà agraria presuppone non solo la volontà del compratore (stato o privati), ma anche della disponibilità del venditore (il proprietario). La redistribuzione procede molto lentamente, anche perché i benefici economici della riforma agraria (con la formazione di una piccola proprietà contadina diffusa, a scapito della più redditizia grande proprietà) sono oggetto di discussione tra gli economisti. Nel 2003 e nuovamente nel 2006 il governo ha dichiarato l’intenzione di abbandonare il principio ‘willing seller’ e di introdurre la possibilità dell’esproprio in base a indennizzi proporzionati al valore di mercato. A febbraio 2015 Zuma ha annunciato una nuova riforma che vieta agli stranieri di possedere terre e impone una grandezza massima alle tenute (12.000 ettari).
Rimane l’enorme nodo irrisolto della restituzione della terra: migliaia di reclami giacciono non ancora esaminati e diverse stime hanno calcolato che per accoglierli tutti non basterebbero cento anni. Il problema della proprietà della terra si incrocia con quello della povertà e dello sviluppo rurale. I piccoli proprietari vorrebbero la terra per praticare una agricoltura di sussistenza, o semplicemente per possedere una proprietà, ma da parte del governo vi è la tendenza a promuovere lo sbocco commerciale dell’agricoltura: una proposta di legge recente prevede per esempio che le antiche aziende agricole vengano divise fra i lavoratori e trasformate in cooperative, con un tutore che segua la loro attività e che investa nella produzione dell’azienda. Inoltre, la legislazione nel campo dell’agricoltura è nettamente più favorevole per le grandi imprese multinazionali che per i piccoli produttori. Gli esperimenti di creazione di cooperative hanno avuto esiti molto diversi fra di loro, e i governi che si sono succeduti hanno fatto estremamente fatica a trovare un quadro legislativo efficace. A questi problemi si aggiunge la questione delle terre tradizionali, possedute dalla comunità e non da singoli individui, che in alcuni casi sono state divise fra le famiglie, mentre in altri sono rimaste sotto l’amministrazione delle autorità tradizionali.
Il settore energetico è stato fortemente determinato sia dalle ricchezze minerarie del Sudafrica, sia dalla vicenda storica del regime dell’apartheid che, a causa delle sanzioni economiche internazionali, ha portato il paese a cercare di rendersi il più autosufficiente possibile. Il carbone è la principale fonte energetica del paese (nel 2013 il 70% dell’offerta energetica derivava da questo minerale). il Sudafrica è l’ottavo produttore al mondo di carbone, con 28 miliardi di tonnellate di riserve, mentre l’impresa Sasol è il primo produttore mondiale di petrolio dal carbone. Il 14% del fabbisogno energetico del Sudafrica proviene dal petrolio, che è importato ma viene raffinato direttamente: il paese possiede infatti impianti per la raffinazione che in Africa sono secondi solo a quelli dell’Egitto. Eskom è l’impresa che produce la maggior parte dell’energia elettrica sudafricana (il 95%) e regionale (il 60%, esportata in Botswana, Lesotho, Mozambico, Namibia, Swaziland e Zimbabwe). Il governo sta cercando di moltiplicare gli investimenti in questo settore: l’offerta supera la domanda, cosa che genera malfunzionamenti nell’erogazione e aumenti nel prezzo dell’energia elettrica (aumentata del 12,5% nel 2015). Il paese è firmatario del Protocollo di Kyoto, a cui ha aderito nel 2002 ma, essendo considerato una nazione in via di sviluppo, non è tenuto a ridurre le proprie emissioni.
Mentre il programma nucleare militare è stato smantellato dopo la fine del regime bianco (la rinuncia alla bomba e l’abolizione della pena di morte furono i primi due atti simbolici della presidenza Mandela), il nucleare civile continua a produrre energia. Oggi i due reattori della centrale di Koeberg, situata a 30 chilometri da Città del Capo, producono il 2,5% del fabbisogno energetico del Sudafrica.
L’esercito sudafricano ha subìto una radicale riforma dopo la fine dell’apartheid. Parallelamente alla rinuncia al programma di offesa nucleare, il governo dell’Anc ha integrato le fila dell’esercito del regime separazionista con soldati provenienti dall’Umkhonto we sizwe (il braccio armato dell’Anc), dall’Azanian People’s Liberation Army (l’ala militare del Pan Africanist Congress) e dalle unità di auto-protezione dell’Inkhata Freedom Party. Il 70% dei soldati sono quindi neri, indiani e coloureds, mentre più del 60% degli ufficiali è bianco. L’esercito sudafricano, che conta circa 37 mila soldati, è uno dei più moderni, efficienti e meglio equipaggiati di tutta l’Africa subsahariana. Il Sudafrica partecipa alle missioni delle Nazioni Unite Monusco, in Repubblica Democratica del Congo e Unamid, in Sudan, rispettivamente con circa 1343 e 809 uomini. La criminalità è uno degli elementi al centro del dibattito sulla sicurezza interna dal 1994. Nelle classifiche dell’United Nations Office on Drugs and Crime, il Sudafrica risulta ai primi posti per l’incidenza pro capite di omicidi, rapine a mano armata e stupri. Altri dati appaiono invece meno eccezionali, se confrontati con quelli dei paesi in via di sviluppo. L’incidenza di questi reati registra la dualità sudafricana: l’attenzione alla tutela dei diritti sessuali e riproduttivi si scontra con femminicidi e violenze sessuali perpetrate ai danni di persone omosessuali; le frequenti rapine e aggressioni restituiscono l’immagine di una società disuguale, in cui malessere psicosociale, frustrazione e condizioni economiche inadeguate generano atteggiamenti criminosi.
Il Sudafrica post-apartheid ha intrecciato relazioni molto strette con Swaziland, Lesotho, Botswana e Namibia, quest’ultima territorio sudafricano fino all’indipendenza nel 1990. L’istituzione di aree di libero scambio e di cooperazione economica ha favorito progetti di collaborazione anche in grandi opere infrastrutturali, fra cui le grandi dighe del Lesotho Highlands Water Project. Nel 2014 il Sudafrica ha anche svolto la funzione di mediatore dopo il colpo di stato avvenuto in Lesotho. Tutti i membri della Sacu, a eccezione del Botswana, fanno parte di un’area monetaria comune, le cui valute sono ancorate al rand sudafricano. Il Sudafrica ha istituito una buona collaborazione anche con il Mozambico, che si è tradotta nel Maputo Development Corridor e nella Trilateral Spatial Development Initiative che coinvolge anche lo Swaziland. Tra Mozambico e Sudafrica esiste anche un forum bilaterale di collaborazione economica che coordina i progetti strategici tra i due stati (il 100 per cento del gas importato da Pretoria proviene dal Mozambico). Sia Mbeki che Zuma sono stati investiti di un ruolo di mediazione durante la crisi in Zimbabwe. Ma mentre Mbeki, nonostante le pressioni internazionali, ha assunto posizioni molto tiepide nei confronti degli abusi imputati a Mugabe, sollecitando una soluzione africana della disputa fra governo e opposizione, Zuma è invece intervenuto con più energia, coinvolgendo anche il presidente dell’Angola José Eduardo dos Santos nel ruolo di mediazione in seno alla Sadc e premendo per l’accettazione di tutte le parti in conflitto del Global Political Agreement. Il Sudafrica si proietta nel mondo multipolare sia come portavoce del continente africano nei consessi internazionali, sia come potenza economica emergente, rinnovando i suoi rapporti con le potenze occidentali e consolidando l’unione programmatica con i nuovi attori internazionali del Sud del mondo, in particolare con Cina, India e Brasile. ll Sudafrica è stato membro non permanente del Consiglio di sicurezza Un tra il 2007 e il 2009 e di nuovo tra il 2011 e il 2013. Il paese è membro del G20, come unico stato africano, e partecipa a forum influenti quali Ibsa (India, Brasile e Sudafrica) e Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica). Il gruppo dei Brics punta a una riforma del sistema della finanza e del commercio mondiale che avvantaggi le economie emergenti. All’interno di Ibsa, Brics e G20 Pretoria gioca di doppio ruolo: oscilla infatti tra la rappresentazione degli interessi di tutto il continente africano (spesso intervenendo al G20 Zuma ha parlato a nome dell’Africa), rivaleggiando con Nigeria ed Etiopia, e la necessità di giungere ad accordi e relazioni, per esempio in campo commerciale, che avvantaggino prima di tutto lo stesso Sudafrica. Dal 2012 l’ex moglie di Zuma, Nkosazana Dlamini-Zuma, è presidente della Commissione, il massimo organo esecutivo dell’Unione Africana. Nel 2010 il Sudafrica e gli Usa hanno firmato l’Us-South Africa Strategic Dialogue, che prevede anche l’istituzione di un forum bilaterale annuale. Nel 2012, durante la visita del segretario di stato Hillary Clinton, è stato firmato un nuovo Trade and Investment Framework Agreement (Tifa). L’anno seguente, il presidente Barack Obama ha visitato il paese. Sudafrica e Stati Uniti sono legati anche dall’Africa Contingency Operations Training and Assistance (Acota), un accordo di cooperazione per il rafforzamento delle competenze nel campo della difesa, e da un sostegno per la ricerca nel settore dell’energia nucleare. Il commercio con gli Usa è inoltre favorito dall’African Growth and Opportunity Act (Agoa), approvato dal Congresso americano nel 2000.
Nel 2012 Zuma ha guidato la delegazione sudafricana al Forum di cooperazione Cina-Africa di Pechino (Focac): la prossima edizione avverrà a dicembre in Sudafrica. La visita effettuata nel 2014 ha permesso di concludere diversi accordi commerciali e di cooperazione economica. Le relazioni con la Cina possono essere definite meno asimmetriche rispetto ai rapporti con altri paesi africani: infatti, se è vero che Pechino è il primo partner commerciale del Sudafrica (malgrado il problema insito nell’importazione di manufatti cinesi a prezzi molto competitivi rispetto a quelli prodotti in loco), è altrettanto vero che Pretoria è riuscita a penetrare il mercato cinese, verso cui dirige il 5 per cento del suo export. Inoltre, relazioni forti con la Cina permettono al Sudafrica di giocare un ruolo internazionale come economia emergente nel gruppo dei Brics. Il Sudafrica ha stretto accordi commerciali, che si vanno estendendo a diversi settori, con Regno Unito, Germania e Francia. Il mancato arresto del presidente del Sudan Omar al-Bashir, condannato dall’Aia per crimini contro l’umanità, presente a Johannesburg nel mese di giugno al summit dell’Unione Africana, ha alimentato diverse critiche internazionali. Il ministro della presidenza, Jeff Radebe, ha risposto minacciando la possibilità di uscita del Sudafrica dalla Corte Penale Internazionale.
Il 5 dicembre 2013, all’età di 95 anni, Nelson ‘Madiba’ Mandela, primo presidente del Sudafrica liberato, è morto per un’infezione polmonare, lascito della tubercolosi contratta nei diciotto anni di prigionia trascorsi a Robben Island. Mandela, un tempo considerato un pericoloso soggetto eversivo, è stato ricordato con imponenti funerali di stato e con riti informali, collettivi e condivisi. Il presidente Zuma, parlando alla nazione subito dopo la morte di Mandela, ha ricordato la lotta per l’eguaglianza, la giustizia e la democrazia del padre del nuovo Sudafrica, esortando la popolazione a camminare nel solco da lui tracciato, e rinnovando la promessa della costruzione di una società in cui nessuno possa dirsi sfruttato o oppresso. Il discorso di Zuma, con cui di fatto il presidente ha ribadito la sua diretta discendenza dal leader dell’Anc quanto ad etica ed appartenenza politica, è stato l’ennesima dimostrazione di come i dirigenti sudafricani si trovino a doversi confrontare con l’eredità di Mandela, in una competizione da cui difficilmente è possibile uscire vincitori. Nonostante molto sia stato detto e scritto, anche evidenziando i limiti di Madiba sia come uomo politico che nella vita privata, Mandela rimane l’ispiratore e il custode ideale di una prassi politica che è riuscita a fare della riconciliazione una vera e propria strategia, in grado di porre le basi per una reale convivenza e integrazione di tutte le fasce della popolazione, senza tuttavia censurare o rileggere il passato. Più i dirigenti si allontanano da questo modello e più la società civile li richiama alla coerenza ricordando gli impegni che l’Anc ha preso negli anni della lotta all’apartheid. La società egualitaria immaginata da Mandela sopravvive quindi come il riferimento ultimo, e più alto, in base al quale l’opinione pubblica valuta l’operato della politica.
L’economia del Sudafrica è la più avanzata del continente, tuttavia i tassi di crescita non incoraggianti degli ultimi anni (nel 2014 sono stati dell’1,5%, nel 2015 del 2%) hanno accentuato il peso dei problemi irrisolti del paese. La scarsa disponibilità di energia, il calo della domanda interna, la riduzione dei prezzi dei minerali esportati e la bassa specializzazione del lavoro sono tutti fattori che influenzano negativamente la crescita. Il settore minerario, quello trainante dell’economia sudafricana, è danneggiato dai numerosi scioperi e la manifattura deve convivere con la scarsità di energia elettrica. Nel 2015 le nuove normative sulla concessione dei visti hanno ridotto le visite turistiche e l’agricoltura, a causa della scarsità delle piogge, non raggiungerà i risultati sperati. A pesare è anche il rallentamento dell’economia cinese, primo partner commerciale del Sudafrica. Gli investimenti infrastrutturali del governo e il basso prezzo del petrolio forniscono invece un modesto stimolo all’economia. Negli ultimi anni la crescita non è stata sufficiente a creare un numero significativo di nuovi posti di lavoro, tanto che la disoccupazione, problema che riguarda quasi una persona su quattro e più del 50% dei giovani, rimane una delle piaghe del paese. Un altro grave problema è quello della diseguaglianza sociale e della povertà, problemi storici generati dall’apartheid. Il Sudafrica resta uno dei paesi più ineguali al mondo e a essere colpita è soprattutto la popolazione nera: l’economia è ancora nelle mani dei bianchi, non c’è una classe media nera. I problemi sociali sono esasperati dai numerosi scandali che colpiscono la classe politica, incapace di risolvere i problemi della popolazione e sempre più lontana dalla propria base elettorale. Gli scioperi e le manifestazioni incarnano un profondo malcontento della popolazione che vede tradite le promesse dello ‘Stato arcobaleno’. Le tensioni sociali sono esplose in diverse ondate di violenze xenofobe, l’ultima delle quali è avvenuta nell’aprile 2015 quando gli immigrati, di origine africana e molti in fuga dai conflitti vicini, sono stati accusati di rubare lavoro ai sudafricani e sono diventati vittime di violenze.
Nel tentativo di sanare le discriminazioni alla base della struttura segregazionista dell’economia sudafricana dell’epoca dell’apartheid, il governo Mandela lanciò un’ambiziosa politica di ‘discriminazione positiva’ chiamata Black Economic Empowerment, poi estesa anche ad altri gruppi svantaggiati, non solo per ragioni razziali, presenti in Sudafrica (da cui il nome Broad-Based Black Economic Empowerment o Bbbee). Il Bbbee prevede un sistema stringente di quote, da attuarsi in qualche decina di anni, sia per l’accesso alle università che ai posti pubblici, e soprattutto per il trasferimento della proprietà e della gestione delle imprese private nelle mani delle minoranze precedentemente discriminate. Il Bbbee è stato ampiamente criticato in quanto, lontano dal ridurre le disuguaglianze, ha invece favorito la creazione di un’élite nera (che rappresenta un quarto del 4% della popolazione sudafricana con un guadagno di oltre cento volte maggiore rispetto a un salario medio). Si è inoltre venuto a creare un sistema in cui il diritto d’accesso ha quasi azzerato la meritocrazia e la competizione, disincentivando una formazione specializzata e un continuo aggiornamento da parte di funzionari e imprenditori neri. Anche se il Bbbee ha subito numerose revisioni, sempre più incentrate sullo sviluppo e il trasferimento delle competenze e sull’espansione delle imprese, i suoi detrattori argomentano che un intervento radicale sull’educazione nazionale porterebbe a risultati migliori e meno controproducenti.