SUCCESSIONE NECESSARIA.
– Concetto e fondamento. I legittimari. Il coniuge superstite. I figli. Gli ascendenti. L’intangibilità della riserva. Autonomia testamentaria e successione necessaria. Bibliografia
Concetto e fondamento. – Dall’entrata in vigore del codice civile del 1942, la s. n. permane, nelle linee ispiratrici, e nella sostanza, immutata. Occorre eccettuare, beninteso, le modifiche apportate, al catalogo dei legittimari, per opera della novella del 1975 (l. 19 maggio 1975 nr. 151) e, recentemente, della l. 10 dic. 2012 nr. 219 e del d. legisl. 28 dic. 2013 nr. 154.
L’espressione continua a designare la disciplina di tutela dei legittimari, cui la legge riserva, garantendoli, una quota di eredità o altri diritti successori; nel calcolo, si deve tener conto sia dei diritti compresi nell’eredità, sia di quanto il de cuius abbia donato in vita. Sono, codesti soggetti, gli stretti congiunti del de cuius (art. 536 c.c.), che possono succedere anche contro la sua volontà. La sistemazione dei loro diritti può anche avvenire con il patto di famiglia (l. 14 febbr. 2006 nr. 55).
Nel linguaggio corrente, e in quello giuridico (art. 537 c.c.), quanto competa ai legittimari è espresso, altresì, con il termine riserva, che evoca un quid garantito; invero, l’ordinamento appronta i mezzi diretti a reagire all’eventuale volontà contraria del testatore, o alla situazione creata dall’ereditando, il quale, durante la sua vita, abbia donato diritti. Le disposizioni testamentarie non possono pregiudicare i diritti, che la legge riserva ai legittimari (art. 457, ultimo co., c.c.). Ove, dunque, il testatore abbia violato, intenzionalmente o erroneamente, i diritti loro riservati, è consentito l’esercizio dell’azione di riduzione. Le disposizioni in violazione di riserva non sono, di per sé, invalide, ma possono essere private di effetto con provvedimento giudiziale, eccitato con l’azione di riduzione. Il legittimario pretermesso ha l’onere di agire in riduzione, ove voglia conseguire i beni attribuiti, ad altri soggetti, con testamento o donazioni. La lesione dei legittimari può occorrere anche nel caso di successione legittima: ove l’ereditando abbia donato beni per un valore superiore alla disponibile, nonostante la successione sia ex lege, data l’assenza di testamento, potrebbe darsi lesione.
Si comprende perché la successione in esame si denomini necessaria. Essa è regolata dalla legge, che indica criteri e regole di devoluzione; pertanto, è anch’essa successione «legittima», e si attua, altresì, contro la volontà del testatore. In questo senso, dunque, necessaria; deve escludersi che possano rintracciarsi analogie con l’originaria nozione, che esprimeva l’idea che certi soggetti acquistavano l’eredità automaticamente, senza potervi rinunziare: i necessarii di diritto romano, appunto, venivano alla successione sive velint sive nolint; l’heres necessarius era forzosamente erede. L’ordinamento moderno non tollera che un soggetto divenga erede, ove non lo voglia; pertanto, può rinunziare all’eredità. In senso tecnico, dunque, l’espressione s. n. è impropria, trattandosi, piuttosto, di disciplina a tutela dei legittimari; essa, però, è entrata nel linguaggio dei giuristi. Per comodità, suo tramite si allude, oggi, alla circostanza che ogni patrimonio, ove sussistano legittimari, è scomponibile in due spicchi: uno, disponibile, liberamente devolvibile con testamento o donazione; l’altro, riservato ai legittimari.
Quanto alle ragioni, che portano l’ordinamento a stabilire che gli stretti congiunti trovino riservata una quota del patrimonio relitto, va ricordata, fra l’altro, l’esigenza di solidarietà tra i congiunti più stretti. Del resto, già durante la vita dell’ereditando si manifesta intenso interesse verso la famiglia (si pensi all’obbligo legale degli alimenti), e il medesimo si prolunga dopo la morte, tramite il riconoscimento, agli stretti congiunti del defunto, di un diritto, riservato e autonomo, su una parte del suo patrimonio. I diritti successori di determinati componenti la famiglia, però, competono indipendentemente dal loro stato di bisogno, sicché non può farsi leva soltanto sulla funzione assistenziale, ché i diritti dei legittimari sono sorretti dall’esistenza, in sé, dello stretto vincolo familiare con il de cuius. La successione legittima in senso stretto, diretta a regolare la trasmissione dell’eredità, o di una sua parte, in assenza di testamento, realizza anch’essa la tutela della famiglia, ché i suoi componenti sono preferiti ad altri. La s. n., a sua volta, valorizza i legami familiari esistenti tra ereditando e legittimari: vuoi perché già erano destinatari di benefici dal de cuius, quindi giova perpetuarli; vuoi perché hanno contribuito a conservare, e incrementare, il suo patrimonio; vuoi perché, infine, appare di per sé giusto riconoscere agli stretti congiunti la preferenza, rispetto agli estranei, il nostro ordinamento adotta il principio-base di riservare loro una parte del patrimonio del congiunto deceduto. L’esigenza di assicurare la legittima, però, non è sempre apparsa, né appare, imprescindibile in ogni esperienza giuridica. Non mancano ordinamenti, infatti, che riconoscono all’ereditando il potere di disporre dell’intero patrimonio: si privilegia la sovranità dispositiva, che integra la piena libertà di testare. Ne è variante, la possibilità di diseredare gli stretti congiunti. Il nostro ordinamento, al contrario, ha sempre salvaguardato quell’esigenza, caratterizzando come cogenti le norme sulla successione necessaria. Esse rivelano un’opzione, che conforma un principio di ordine pubblico. Del resto, già il diritto romano, in una sua fase, espresse la regola, secondo cui i figli dovessero trovare garantiti diritti successori, in conformità all’officium pietatis.
Si agitano, da tempo, anche nel nostro ordinamento, convincenti proposte, altresì normative, volte all’eliminazione della vigente, opprimente, disciplina della s. n., allo scopo di restituire all’ereditando piena disponibilità del patrimonio, lasciando dunque, alla sua valutazione, la scelta di beneficare i familiari stretti. Trattasi di scelta, che, coerente alle idee giuridiche contemporanee, innoverebbe l’architettura del nostro diritto successorio; infatti, la pressante tutela dei familiari sacrifica l’autonomia privata.
I legittimari. – Il sistema giuridico italiano riconosce, quale titolo primario della vocazione ereditaria, il testamento: suprema espressione della volontà dell’uomo. Accanto, pone la successione legittima, che ha funzione suppletiva: interviene in assenza della volontà mortis causa o di sua incapacità, per qualche vizio, di produrre effetti. La s. n., invece, corregge quella volontà: limita il potere di disposizione dell’ereditando, ove gli sopravvivano legittimari.
Sono legittimari, coloro, cui la legge «riserva una quota di eredità o altri diritti nella successione» (art. 536 c.c.). Di regola, essi, e i successori legittimi, hanno diritto a una quota di eredità, sicché sono vocati a titolo universale. Sussiste, altresì, la vocazione attributiva della qualità di legatario: si ha attribuzione, ex lege, di diritti o chiamata in un dato rapporto; quindi, si danno legati ex lege (per es., art. 540, co. 2°, c.c.).
Legittimari, sono il coniuge, i figli, gli ascendenti. La l. 219/2012 e il d. legisl. 154/2013 hanno sostituito, alle espressioni «figli legittimi» e «figli naturali», la seguente: «figli», giusta il principio, oggi vigente, di unicità dello status filiationis (art. 315 c.c.). Le quote riconosciute a ciascun legittimario variano secondo il numero dei soggetti, e le categorie, concorrenti. La quota disponibile, oggi, non è mai inferiore a un quarto dell’asse, tenendosi conto del relictum, dei debiti e del donatum.
Il catalogo dei legittimari è stato oggetto di modifica, per opera, anzitutto, della novella del 1975: radicalmente riformando il sistema successorio familiare, collocò, al primo posto, il coniuge superstite. Equiparò, inoltre, ai figli legittimi, quelli meramente naturali. La distinzione è superata, ché la l. 219/2012 afferma il principio dell’unicità dello status filiationis. I figli nati fuori del matrimonio vengono alla successione, solo se sia stato accertato il relativo status.
Il coniuge superstite. – La posizione successoria del coniuge superstite è stata modificata con la novella del 1975. Prima, gli spettava il diritto di usufrutto, cd. uxorio, su una quota dell’asse, sicché non assumeva posizione di erede, bensì di legatario. Oggi, ha diritto a una quota in piena proprietà; quindi, è erede. La sua valorizzazione dà atto della meritevolezza, non solo dei vincoli di sangue, bensì anche di quelli di sentimento. Titolo a succedere è il rapporto di coniugio, in atto all’apertura della successione; non deve essere attuale il divorzio. Gli è riservata una quota del patrimonio; inoltre, ha il diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili a corredo, ove di proprietà del defunto o comuni (art. 540 c.c.). Il coniuge separato senza addebito vanta i medesimi diritti del coniuge non separato (art. 548, co. 1°, c.c.). Al coniuge cui sia stata addebitata la separazione compete soltanto un assegno successorio. Il matrimonio si scioglie per morte o divorzio, cui si lega la perdita dello status coniugale, quindi della qualità di legittimario e successibile legittimo; è fatta salva la chiamata testamentaria, ché il divorzio, da solo, non la caduca. L’art. 9 bis l. 1° dic. 1970 nr. 898 (cd. legge sul divorzio) prevede che a colui, al quale sia stato riconosciuto l’assegno postmatrimoniale, spetti, dopo il decesso dell’obbligato e se continui a versare in stato di bisogno, un assegno periodico a carico dell’eredità. Non competono, al convivente more uxorio, diritti successori ex lege; quel soggetto potrà essere istituito erede, o legatario, con testamento.
I figli. – Ai figli è riservata una quota di eredità. La loro vocazione esclude tutti gli altri successibili, eccezion fatta per il coniuge. L’eguaglianza piena dei figli si deve alla l. 219/2012, e al d. legisl. 154/2013, che, fra l’altro, ha tout court cancellato, e improvvidamente, il diritto di commutazione, prima vigente.
Permane un differente statuto giuridico tra figli adottivi, a seconda che siano minori di età o maggiorenni: i primi conoscono, in toto, quello riservato ai figli (cfr. art. 74 c.c., nella versione aggiornata dalla l. 219/2012); differentemente i secondi: l’adozione genera soltanto il rapporto di filiazione civile tra adottante e adottato.
Consentito, seppur con limitazioni, il riconoscimento dei figli detti incestuosi, con conseguenti riflessi sui diritti successori. Giusta la l. 219/2012, e il d. legisl. 154/2013, infatti, è stato modificato l’art. 251 c.c.: il figlio nato da persone tra le quali esista vincolo di parentela in linea retta all’infinito o in linea collaterale nel secondo grado, o vincolo di affinità in linea retta, può essere riconosciuto previa autorizzazione del giudice, avuto riguardo all’interesse del figlio e alla necessità di evitargli qualsiasi pregiudizio. Avvenuto il riconoscimento, saranno pieni i diritti successori. Analogamente dicasi a ragione della dichiarazione giudiziale di paternità e maternità.
Gli ascendenti. – Gli ascendenti sono legittimari, ove non sopravvivano, al de cuius, figli o loro discendenti. La nuova versione degli artt. 74 (l. 219/2012) e 536 c.c. (d. legisl. 154/2013), con l’abrogazione del richiamo agli ascendenti legittimi, cancella ogni ragione di dubbio sulla successibilità degli ascendenti detti, un tempo, naturali. Sono pressanti le critiche alla riserva di diritti successori agli ascendenti, meritevoli, secondo gran parte degli interpreti, più che di diritti dominicali, di posizioni di credito.
L’intangibilità della riserva. – I legittimari sono anche detti necessari; trattasi di necessarietà relativa: il legittimario può non voler divenire erede, quindi può rinunziare all’eredità. Può essere, inoltre, che il testatore abbia disposto, in suo favore, un legato in sostituzione di legittima, acquistato il quale, sarà legatario; può essere che i suoi diritti siano stati soddisfatti con donazioni. L’interpretazione prevalente, invero, è nel senso che l’intangibilità della quota di riserva vada intesa in senso quantitativo, o di valore. Ne consegue, che il testatore possa soddisfare le ragioni del legittimario con beni di qualunque natura. Quello leso ha un diritto potestativo verso il beneficiario di disposizioni testamentarie, o a titolo di liberalità inter vivos, lesive. Per ottenere quanto riservatogli, deve agire in riduzione; il beneficiario delle disposizioni lesive può riconoscere il suo diritto, ché, se convenuto in riduzione, soccomberebbe. Le norme non assicurano, ai legittimari, l’intangibilità qualitativa dei loro diritti; salvaguardando quella quantitativa, esaltano l’autonomia testamentaria. L’ordinamento appronta i seguenti rimedi: azione di riduzione; azione di restituzione contro i beneficiari delle disposizioni ridotte; azione di restituzione contro i terzi acquirenti dei beni oggetto di disposizioni lesive; divieto di pesi o condizioni (art. 549 c.c.).
Il principio di intangibilità conosce eccezioni: cautela sociniana (art. 550 c.c.); legato in sostituzione di legittima (art. 551 c.c.); fedecommesso assistenziale, che può anche gravare sui beni costituenti la legittima (art. 692 c.c.); diritti di abitazione e uso al coniuge superstite; disposizione di indivisione (art. 713, co. 3°, c.c.), ché l’art. 549 c.c. fa salve le norme sulla divisione. Al fine di evitare l’elusione delle norme sulla s. n., alterando la posizione dei legittimari con donazioni, che favoriscano uno di loro o estranei, se ne deve tener conto, tramite la cd. riunione fittizia (art. 556 c.c.).
Autonomia testamentaria e successione necessaria. – Le norme sui legittimari costituiscono un limite all’autonomia del testatore. Al quale, non di meno, sono conservati ampi spazi: può indirizzare a suo agio la quota disponibile; contemplare legati in sostituzione di legittima; avvalersi della deroga prevista dall’art. 549 codice civile. Il sistema consente di acquisire come il legittimario abbia sì diritti riservati, epperò la loro intangibilità attenga alla quantità dei beni, che comporranno la porzione riservatagli, non già alla loro qualità. Il che valorizza la volontà mortis causa. L’autonomia può essere espressa con disposizioni che compongano, con beni determinati, e la quota disponibile, e quella indisponibile, servendosi di beni di diversa natura, alla luce degli interessi, che si vogliano realizzare. Possono essere dettate disposizioni di preferenza circa i beni da utilizzare per reagire alla lesione.
Bibliografia: L. Mengoni, Successioni per causa di morte. Parte speciale, 2° vol., Successione necessaria, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da A. Cicu, F. Messineo, L. Mengoni, continuato da P. Schlesinger, Milano 1967, 20004; La successione necessaria, in Trattato di diritto delle successioni e donazioni, diretto da G. Bonilini, 3° vol., Milano 2009; G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, Torino 20147.