SUBORDINAZIONISMO
. Il pensiero cristiano si è trovato fin dall'inizio di fronte alla difficoltà di accordare la fede in un unico Dio creatore con gli onori divini tributati al Cristo, al problema dei rapporti fra l'economia religiosa giudaica e il nuovo messaggio religioso, alla necessità di far partecipare il Cristo, in quanto Dio, all'opera della creazione. Esclusa a priori la fede in una pluralità di dei e mancando d'altra parte ancora una definizione esatta dei concetti e dei termini di sostanza (o essenza) e di persona, questi problemi potevano trovare la loro soluzione sia insistendo sull'identità della natura di Cristo, ritenuta unica, con quella di Dio, sia ammettendo un'"adozione" divina (v. adozionismo) della persona, ritenuta umana, di Gesù per opera di Dio. Ma avevano Cristo e Dio in comune un'unica natura divina e - più genericamente - come dovevano essere concepiti i rapporti fra i due? Il Cristo era un semplice modo di esistere del Padre; oppure era entità a sé, distinta dal Padre? La prima soluzione è la caratteristica delle varie dottrine dette appunto modaliste o monarchianiste (v. monarchianismo). La seconda è il punto di partenza della formulazione ortodossa della dottrina trinitaria, quale sarà consacrata nella grande epoca conciliare che va da Nicea a Calcedonia. Ma questa formulazione, che si compendia nell'affermazione di un'unita di sostanza divina in una pluralità di persone, è stata possibile allora in quanto, proprio allora, erano stati appunto chiariti i concetti e i termini di "essenza" e di "persona". Nell'epoca antenicena lo stesso punto di partenza, cioè l'unità di sostanza divina in Dio e in Cristo, porta fatalmente i teologi a parlare del Cristo (cioè del Figlio) come di una divinità che, pur partecipando alla natura divina del Padre, è in certo qual modo subordinata a questo. Questo atteggiamento teologico, al quale si riferisce, nella storia dei dogmi, l'attributo di "subordinazionistico" è comune pressoché a tutti gli scrittori preniceni e, naturalmente, dati i motivi che presiedono ad esso, non riveste il carattere di una dottrina precisa, né quindi ha dato luogo, come tale, ad alcuna controversia teologica, ma ha anzi caratteristiche ed entità diverse nei singoli scrittori. Il subordinazionismo trinitario è una conseguenza inevitabile delle difficoltà attraverso le quali la Chiesa procede nel fissare le definizioni della propria fede.
È caratteristico il fatto che gli stessi scrittori neotestamentarî non siano andati esenti, secondo alcuni storici del dogma, da atteggiamenti di subordinazionismo. Ed è anzi da osservare che una particolare interpretazione di alcuni passi neotestamentarî sia entrata per qualche cosa nel determinare la corrente subordinazionistica. Tale, per es., il passo di Giovanni, XIV, 28: "Il Padre è maggiore di me" e della I Cor., XV, 28: "anche il Figlio stesso sarà sottoposto a Colui che gli ha sottoposto ogni cosa, affinché Dio sia tutto in tutto".
Gli apologisti, Ireneo, Clemente d'Alessandria, Origene, Ippolito, hanno fatto ricorso, nell'esposizione delle loro dotrine cristologiche, a espressioni nettamente subordinazionistiche, sia pure in misura diversa. E tracce inequivocabili di subordinazionismo si riscontrano nello stesso Tertulliano, al quale pure il cristianesimo occidentale deve certo il contributo maggiore alla fissazione del dogma trinitario. Occorre però osservare che in generale la subordinazione non è tanto affermata (se se ne escludono, forse, Clemente e Origene) come derivante da inferiorità di natura, ma piuttosto (soprattutto negli apologisti) dal fatto che il Verbo è dipinto come strumento, ministro di Dio nell'opera della creazione.
Una dottrina radicalmente subordinazionistica, che concepisce cioè la subordinazione con riguardo alla natura divina del Verbo, inferiore al Padre e da lui generato nel tempo, cioè creatura di Dio, è la caratteristica dell'arianesimo (v.).