SUBIACO (A. T., 24-25-26 bis)
Cittadina del Lazio, situata fra i 400 e i 470 m. sulla destra dell'alto Aniene. L'abitato conserva ancora il suo aspetto medievale, con strade generalmente strette (tranne le due arterie principali, via Garibaldi e via Cadorna), talora a forte pendenza, o a gradinata, case di pietra assai antiche con scala esterna e portali spesso ogivali. Un quartiere moderno si è sviluppato lungo la via Cadorna. Al sommo del pendio è la Rocca, con resti delle mura. Subiaco aveva circa 2400 ab. nel 1656 e altrettanti o poco più al principio del sec. XVIII, 3526 nel 1742 e 4663 nel 1782. Il censimento napoleonico del 1811 vi noverò 3413 abitanti, 4783 quello del 1816, 6526 quello del 1853 e 7367 il primo censimento italiano del 1871 (di cui 6990 in città). Nel 1901 Subiaco aveva 8005 ab., nel 1921 9108, ma nel 1931 era disceso a 8704, l'oscillazione essendo da attribuirsi soprattutto all'emigrazione. Il centro vero e proprio raccoglieva circa 7000 ab.; gli altri erano considerati come sparsi. A Subiaco faceva capo un piccolo tronco ferroviario proveniente da Mandela sulla linea Roma-Sulmona, ora sostituito da un servizio automobilistico. Il comune (kmq. 63,7) ha estese zone a uliveti e vigneti, inoltre colture di grano e di orzo.
Storia e monumenti. - La topografia dell'alta valle dell'Aniene ebbe nell'antichità per elementi principali i Simbruina Stagna, di cui parlano Tacito e Plinio, cioè i laghi da cui Subiaco (Sublaqueum) ha tratto il nome. Non è da escludere che fin dai tempi preistorici ivi esistessero, come ritiene il Lanciani, alcuni laghetti naturali e che quindi il nome fosse anteriore ai grandi lavori del periodo neroniano; ma è certo che almeno due dei tre laghi relativamente vasti menzionati dai suddetti autori, ebbero formazione artificiale e furono connessi alla costruzione della grande villa eretta da Nerone.
La grande diga di sbarramento della vallata che tratteneva il corso dell'acqua, e che Traiano poi utilizzò per la presa dell'Anio Novus, fu costruita allora, e rimase integra per quasi tredici secoli, cioè fino al 1305, col suo ponte, il cosiddetto pons marmoreus, del Medioevo, che vi passava sopra traversando la valle. Crollò improvvisamente in tale anno, per effetto di una piena (come ci testimonia il Chronicon Sublacense) e il lago si vuotò producendo un terribile disastro nella vallata. Ne rimangono tuttora in piedi gli avanzi, e ci mostrano la sua struttura formata da un muro dello spessore di 14 metri e dell'altezza di circa 40 metri nel mezzo; e anche la loro posizione permette, riportando a monte il livello dell'incile, di ricostruire idealmente il perimetro dello specchio dell'acqua. Il bacino così formato si estendeva longitudinalmente nella valle e aveva una strettoia intermedia, sicché pareva costituito da due laghi distinti. Sulle sponde si estendevano i padiglioni della sontuosa villa neroniana, disseminati su vasta zona con un concetto ancora più estensivo di quello della Villa Adriana, e di essi rimangono ruderi cospicui.
Quando sullo scorcio del secolo V, san Benedetto instaurò nella Valle Santa i suoi dodici monasteri, alcuni di questi dovettero allogarsi, come quelli del Sacro Speco e di S. Maria di Morrabotte, nelle grotte naturali del Monte Taleo sistemate con rozze murature, altri invece utilizzarono i resti delle costruzioni romane; e forse fu tra questi il monastero di S. Clemente, che il Tosti ritiene centro della comunità, e che è da supporre posto nell'antico edificio alla testata del ponte e della diga, dove ora sorgono ampie rovine.
V. tavv. CXLI e CXLII.
Il primo documento autentico sul monastero di Subiaco è per altro costituito da una notizia del Liber Pontificalis, di alcuni doni fatti al cenobio da Leone IV (847-855). Per il periodo anteriore non si hanno altro che i privilegi di papa Zaccaria, di Gregorio Magno, di Giovanni VIII e di Niccolò I, i quali, sebbene quasi certamente non autentici, dànno tuttavia testimonianza della tradizione sicura che ricollegava il primo fiorire del monastero al favore particolare della sede apostolica.
Tali legami furono infatti strettissimi. Anzi si può asserire che la prima potenza del monastero non sia altro che un riflesso della potenza di chi domina, per tutto l'alto Medioevo, in Roma, siano essi Gregorio Magno o Alberico II, gli Ottoni e i papi imperiali, o i grandi pontefici promotori della riforma della Chiesa.
Il patrimonio del monastero si costituisce così in poco più di 80 anni intorno al primitivo nucleo della pontificia "massa Jubenzana", in un territorio che si estende a poco a poco da Vallepietra a Tivoli, e da Carsoli a Olevano Romano, e alla potenza economica si intrecciano ben presto le manifestazioni di una notevole potenza politica che porta nel chiuso del chiostro il cozzo degl'interessi delle principali famiglie signorili di Roma e del territorio circostante, e gli echi dei contrasti che travagliarono Roma e il papato dei secoli X e XI. Le case di Teofilatto, i Crescenzî, i conti Tuscolani, i signori di Monticelli contano infatti numerosi membri delle loro famiglie tra i monaci, donano al monastero e ne ricevono terre in enfiteusi o in livello, rivendicano o assaltano territorî del monastero, cercano di assodare la loro influenza nell'interno del cenobio, sforzandosi di impossessarsi dello stesso seggio abbaziale. Si scatenano così le lotte furibonde che sono caratteristiche della storia sublacense dei secoli XI-XIII, in cui decade la primitiva purezza della vita monastica, ma si afferma pienamente la potenza politica dell'abate come signore feudale che domina gran parte del territorio che dalla valle del Simbrivio va quasi fino alle porte di Roma. L'apogeo della potenza monastica, che si era già saldamente costituita con l'abate Umberto, imposto da Leone IX nel 1032, fu raggiunto dall'abate Giovanni VII, che, imposto a sua volta da Alessandro II o dal partito della riforma della Chiesa, governò l'abbazia splendidamente per 52 anni dal 1065 al 1117. Ma il decadimento progressivo del monastero per tutto il sec. XII e il XIII fece sì che esso benché riformato più volte da Innocenzo IV, Gregorio IX, Innocenzo IV, Alessandro IV, cadesse sotto il peso della commenda alla fine del sec. XIV.
Poco lungi del monastero di S. Scolastica si sviluppò ben presto un centro abitato da coloni, liberi e servi, che viene nominato come "castrum" già nell'atto di conferma dei beni del monastero concesso da Leone VII nel 937. Verso i primi del sec. XI l'organizzazione della città appare definitivamente compiuta nelle forme di quel particolare feudalismo patrimoniale che si sviluppa nella regione romana specialmente nell'ambito della proprietà ecclesiastica. La popolazione appare divisa in pedites, o liberi artigiani, e maiores o vassalli che hanno l'obbligo del servizio militare a favore dell'abate. Tra questi maiores esso sceglie il vicecomes che governa in suo nome la città.
Ma col 1193 il populus sublacense con a capo un "Malevestitus vicecomes" e un Giovanni Girardi "comestabulus populi" riscatta la sua autonomia col pagamento di un'assisa e inizia la sua vita comunale che non fu mai però molto rigogliosa, dato il continuo e preponderante controllo degli abati conventuali prima, degli abati commendatarî dopo. Del comune sublacense ci rimangono ancora statuti del sec. XIV approvati dal cardinal legato Sciarra Colonna.
Col decadere del monastero anche la città di Subiaco si ridusse a un borgo la cui storia non ebbe più nell'età moderna vicende degne di rilievo.
Del monastero di S. Scolastica l'importanza è essenzialmente architettonica e l'interesse sta nella stessa ineguaglianza stilistica delle opere che mano a mano vi sono sorte.
Unico elemento ancora superstite delle grandi fabbriche sorte nel sec. XI è il campanile la cui data è attestata da un'epigrafe ora murata nell'atrio della chiesa.
Nella tipologia delle torri campanarie romaniche esso ha un posto veramente notevole in quanto rappresenta forse il primo esempio di importazione nell'Italia centrale degli schemi e delle forme dei campanili lombardi, a cui seguirà, con l'innesto di alcuni elementi bizantineggianti, tutta la fioritura dei campanili medievali di Roma e del Lazio.
La seconda opera in ordine di tempo che si conserva a S. Scolastica è il fabbricato duecentesco del monastero, elevantesi dalla valle con i possenti speroni e comprendente il gentile chiostro cosmatesco, cominciato a costruire nei primi del sec. XIII da Iacopo di Lorenzo, e completato poi intorno al 1235, come è documentato da un'iscrizione, da Cosma e dai suoi figli Luca e Iacopo II (v. cosmati). Quasi contemporanea è la chiesa, che sorse, radicalmente trasformando il precedente edificio chiesastico, seguendo le linee goticheggianti dello stile che dai monasteri cisterciensi di Fossanova e Casamari e S. Martino al Cimino si andava diffondendo nel Lazio.
La chiesa era suddivisa in tante campate da arconi acuti che, a guisa di capriate, sostenevano il tetto, ed era tutta adorna di affreschi; e arconi ed affreschi ancora appaiono nei sottotetti, poiché la chiesa attuale eretta dal Quarenghi intorno al 1764 (interessante anch'essa come uno dei primi esempî di un neoclassico palladiano) si è inserita nell'antica, salvandone le pareti esterne e la copertura.
L'atrio irregolarissimo anteriore della chiesa è opera del Quattrocento e rivela, nei particolari del grande portale che in esso si apre, un carattere di tardo gotico, il quale si riannoda alla preponderante influenza dei monaci tedeschi, in quel tempo dominanti nell'abbazia: quei monaci tedeschi che ebbero il merito di chiamarvi lo Sweynheim e il Pannartz a fondaivi la prima stamperia in Italia (v. appresso).
Il rimanente delle costruzioni estese nella parte anteriore del monastero è opera della fine del Cinquecento e non riveste speciale importanza.
Quanto al convento del Sacro Speco, sorto intorno al luogo della prima dimora eremitica del fondatore e anch'esso pervenutoci come accatastamento di opere di vario tempo, la sua alta e suggestiva bellezza risiede specialmente nella pittoresca associazione irregolare di pareti, di vòlte, di scale che quasi s'immedesimano con la roccia, e nelle pitture che rivestono tutte le superficie, dando mille riflessi e popolando di immagini la penombra degli anditi e delle grotte.
Elementi principali di questo così vario insieme sono: la grotta di S. Benedetto (recentemente restaurata e riportata alla sua forma naturale); la chiesa inferiore rivestita di pitture, tutte attinenti alla leggenda della vita del santo, eseguite in parte ai primi del Duecento da un Magister Conxolus, che si è firmato accanto all'immagine della Madonna; e sono pitture in cui F. Hermanin scorge una corrente popolaresca dell'arte medievale romana; e infine la chiesa superiore elevata nella metà del Trecento e ricca di pitture di scuola senese, tra cui primeggia la grande scena della Crocifissione. Elementi annessi sono la cappella della Madonna e quella di S. Gregorio: quest'ultima consacrata da Gregorio IX e contenente il noto ritratto di S. Francesco.
Parallelo allo sviluppo dei monasteri sublacensi è quello del castello di Subiaco, che, sorto forse nel sec. IX, ha rappresentato il centro del potere temporale dell'abbazia e, specialmente nel secolo XI, ha assunto grande importanza militare, per divenire poi il palazzo dei cardinali commendatarî. Il solito andamento della formazione dei centri medievali, dai gruppi di piccole abitazioni raccolte intorno alla fortezza, al borgo con le sue case stabili e la sua chiesa, ha portato anche qui alla graduale costituzione del paese vero e proprio. Chiese, edicole, pittoreschi aggruppamenti edilizî del tempo tra il Duecento e il Trecento testimoniano questo sviluppo fabbricativo del paese di Subiaco, e ancora rimane il ponte che porta alla chiesa di S. Francesco, in cui sono notevoli un trittico di Antonino Romano e affreschi della scuola del Sodoma. I tempi moderni hanno aggiunto ben più vaste costruzioni nelle zone vallive e strade, e ponti, e utilizzazione a scopo industriale del corso dell'Aniene, che, derivato dal suo corso in un punto a monte degli antichi laghi, viene, dopo un percorso in galleria, ad azionare una centrale elettrica in prossimità del paese.
Arte della stampa. - Subiaco vide gli albori della tipografia in Italia: la prima edizione dell'opera di Lactantius reca in fine l'indicazione "in venerabili monasterio Sublacensi" e la data 29 ottobre 1465. Due altri volumi furono impressi con i medesimi tipi; ma uno, Cicero, De oratore, è privo di qualsiasi nota tipografica, l'altro, Augustinus, De Civitate Dei, reca la sola data 12 giugno 1467. Un quarto volume fu certamente stampato a Subiaco, forse prima degli altri, Donatus, Pro puerulis, ma di esso non si conosce alcun esemplare. Sebbene il Lactantius sia considerato il primo libro datato apparso in Italia, pure è il De oratore di Cicerone che deve avere la precedenza. Infatti in un esemplare di questo libro (quello di Lipsia) una nota manoscritta permette di stabilire ch'esso era già pubblicato il 30 settembre 1465. Del Cicerone si conoscono gli esemplari del convento di Subiaco, della Biblioteca Angelica di Roma, della Classense di Ravenna, della Laurenziana di Firenze, del Kunstgewerbemuseum di Lipsia, della biblioteca Sainte-Geneviève di Parigi, del British Museum. Il Lactantius è meno raro, mentre del S. Agostino sono noti soltanto gli esemplari delle biblioteche nazionali di Firenze e Napoli, della Biblioteca Angelica, della Laurenziana, Palatina di Parma, Nazionale e Sainte-Geneviève di Parigi, del British Museum. L'esemplare della Biblioteca Nazionale di Parigi è specialmente notevole per una nota che ci apprende come il volume fu comprato dal vescovo Leonardo Dati nel novembre 1467 "de propria pecunia, aureis octo et grossis duobus papalibus, ab ipsis Theutonicis Romae commorantibus, qui huiusmodi libros innumeros non scribere sed formare solent". Questi Teutonici non v'ha dubbio essere Conrad Sweynheim (v.) e Arnold Pannartz (v.). I tipi, assai belli, con cui furono impressi i tre libri noti apparsi a Subiaco non furono mai impiegati altrove (cfr. la riproduzione alla voce libro, XXI, tav. xvii).
Bibl.: Fonti principali della storia sublacense sono il Regesto Sublacense del sec. XI, pubblicato dalla R. Soc. Rom. di storia patria a cura di L. Allodi e S. Levi, Roma 1885 e il Chronicon Sublacense ed. di R. Morghen nella ristampa del Muratori, Bologna 1927, XXIV, vi, fasc. 212. V. anche P. Egidi, G. Giovannoni, F. Hermanin, V. Federici, I monasteri di Subiaco, Roma 1904; R. Morghen, Le relazioni del Monastero sublacense col Papato, la feudalità e il comune nell'alto Medioevo, in Archivio della R. Soc. rom. di st. patria, LI, Roma 1930; id., I primi monasteri Sublacensi, in Bull. dell'Ist. stor. ital., n. 44; id., Gli Annales Sublacenses e le note obituarie e storiche dei codici F. 25 di Perugia e Chigiano C. VI, 177, ibid., n. 44. - Per l'assisa del 1193, v. Statuti della provincia Romana pubbl. dall'Istituto storico italiano, II, Roma 1929. - Per i monumenti, v.: L. Cascina, Edifizi, ecc., Roma 1839, pp. 44, 45, 137; M. Cherubino, Cronaca sublacense, ivi 1885; P. Toesca, Storia dell'arte italiana, I, Torino 1927, passim; R. van Marle, Italian Schools of Painting, I e VIII, L'Aia 1923 e 1927, passim.