Vedi SUASA dell'anno: 1966 - 1997
SUASA (v. vol. VII, p. 536)
Situata in un territorio che la ricerca archeologica mostra ricco e densamente popolato nella prima età imperiale, S. conobbe la sua massima fioritura nel corso del I e del II sec. d.C., per decadere poi nei secoli successivi, come indicano i risultati dei recenti scavi. Nel corso del VI sec. si verificò l'abbandono della città non più difendibile, che in seguito fu sottoposta a spoliazione a favore di altri agglomerati siti sulle alture vicine.
Stando alle persistenze centuriali e alla geografia fisica, il territorio suasano doveva estendersi su entrambe le rive del Cesano e giungere al monte San Vicino verso l'interno e, verso la costa, fino alla bassa valle, dove inizia la centuriazione di Sena Gallica. Le dorsali che separano il bacino del Cesano da quello del Metauro a Ν e del Misa a S dovevano segnare il confine fra l'ager di S. e quelli di Forum Semproni e Ostra.
All'interno della pertica suasana era stata ricavata, probabilmente da Augusto, cui occorrevano terre per sistemare i suoi veterani, un 'enclave assegnata a Pisaurum: lo dimostrano i due cippi confinarî che recano la duplice iscrizione fines Suasanorum/fines Pisaurensium trovati l'uno alla sinistra del Cesano, nella zona di Miralbello e attualmente conservato presso l'Antiquarium di S. Lorenzo in Campo, l'altro sulla destra, immediatamente a monte della città, ora depositato pressò il municipio di Castel- leone di Suasa.
Al momento non è possibile dire nulla di preciso sull'urbanistica: la città occupava solo la sponda destra del Cesano e varí dati lasciano intendere che si trattasse di un centro «di strada» nato lungo l'asse che tagliava il pianoro. La via, asse generatore della città, non era, come è stato in passato supposto, un diverticulum della Via Flaminia, ma quella che, ricalcando una pista preromana, univa Sentinum, posta all'estremità settentrionale della valle Camerte, con il settore costiero.
Le insulae della città romana erano organizzate su questo asse stradale, ma non è possibile indicarne scansioni e dimensioni, né precisare dove si trovassero le aree pubbliche. L'unico monumento rimasto visibile è l'anfiteatro ubicato nella zona di raccordo fra il ripiano del terrazzo e il versante meridionale della valle e quindi in una zona presumibilmente periferica, mentre non è stata rinvenuta traccia del teatro. Il foro si trovava forse nella zona immediatamente a Ν della casa colonica detta II Tappatino, tra la strada e il fiume, ma si tratta di un'ipotesi che solo successive campagne di scavo potranno confermare o smentire.
Nel XVII sec. V. Cimarelli, storico del Ducato di Urbino, delineava il quadro delle antichità di S., dal quale si può dedurre che all'epoca diverse rovine fossero ancora visibili, con la certezza di frequenti recuperi di notevoli sculture anche dall'area sulla sponda sinistra del Cesano. Ricerche effettuate alla fine del secolo scorso hanno peraltro messo in luce alcuni avanzi monumentali e anche qualche scultura di notevole pregio.
L'anfiteatro (98,70 X 77,20 m), dal 1988 oggetto di nuove indagini da parte della Soprintendenza delle Marche, è del tipo parzialmente scavato che sfrutta il pendio del terreno e si presenta, all'esterno, con diverse dimensioni dell'alzato e con accessi a quote diverse. Nelle murature perimetrali è impiegato il piccolo apparecchio di blocchetti di calcare rosa locale alternati a laterizi.
Due ingressi principali, posti sull'asse maggiore, davano accesso all'arena, mentre sei corridoi voltati conducevano ai diversi settori della cavea. Sono stati messi in luce il podio in laterizio dell'arena e le gradinate della cavea, costruite con blocchi lapidei solo nel settore dell'ima cavea, mentre media e summa cavea dovevano avere gradinate di legno; i diversi settori erano separati da praecinctiones di c.a I m di larghezza, con scalette di collegamento. La cronologia dell'anfiteatro di S. deve ancora essere fissata con sicurezza: in via d'ipotesi si possono indicare i decenni conclusivi del I sec. d.C.
Dal 1987 l'Istituto di Archeologia dell'Università di Bologna ha avviato lo scavo sistematico dei resti della città antica e lo studio di tutta la documentazione che la riguarda.
Indagini preliminari hanno, fra l'altro, portato all'individuazione di una conserva d'acqua nella zona collinare, con vasca di decantazione e bacino di attingimento, e di due tombe altomedioevali poste lungo la strada moderna, in una zona già occupata dalla necropoli di età romana. Una delle due sepolture reimpiegava come sponde una stele con ritratto femminile della liberta Safinia Prima e un blocco con fregio a girali originariamente pertinente a un monumento funerario a dado di un liberto. Databili a età tiberiano-claudia, incrementano a S. la documentazione della scultura funeraria alto-imperiale per ora non consistente ma di notevole qualità, confermando la diversità delle tipologie monumentali presenti nei sepolcreti.
Le campagne più recenti hanno avviato l'esplorazione di una ricca ed estesa domus di età imperiale che si affacciava sull'asse viario principale della città, a O dell'anfiteatro (33 m in facciata e circa 100 m verso l'interno) della quale sono stati riportati in luce oltre i due terzi. Un documento epigrafico fa attribuire la domus alla famiglia senatoria dei Coiedii, almeno per il I-II sec. d.C.
La domus ebbe due fasi costruttive. Nella prima, di età tardorepubblicana-augustea, erano impiegati Y opus incertum e mattoni sesquipedali rettangolari interi, con pavimenti a mosaico e in cocciopesto. Presentava la sequenza tradizionale di fauces-atrium-tablinum, affiancata da cubicula e ala su un solo lato.
L'ampliamento successivo, degli inizi del II sec., utilizza paramenti laterizi e pavimenti a mosaico, in opus sectile e in cotto. Alcuni vani vennero rimaneggiati e venne realizzato un nuovo quartiere di rappresentanza con un ampio atrio tetrastilo (colonne in laterizio, stuccate) attorno al quale furono sistemate quattro sale dotate di sontuosi pavimenti a mosaico e in opus sectile, oltre ad alcuni vani di servizio pavimentati in cotto e a corridoio di comunicazione e di disimpegno. Il settore meridionale era occupato da altri vani di servizio (un piccolo quartiere termale, cucine, latrina, stalle?). Parzialmente scavato è un ampio peristilio con vasca semicircolare al centro del giardino, che in età tardoantica fu trasformato in area di servizio e poi di scarico di rifiuti. Successivi rimaneggiamenti documentano un uso prolungato del complesso, fino all'inoltrato V sec. d.C. secondo quanto attestano ceramiche e monete. Un definitivo abbandono avvenne nel secolo successivo.
Di particolare importanza sono i mosaici, che assieme a qualche testimonianza della prima fase appartengono alla ristrutturazione della domus degli inizi del II secolo.
Ampio e articolato è il repertorio dei mosaici in bianco e nero con motivi geometrici che accompagnano elementi figurati nel rifacimento del tablinum (uccelli che beccano frutti, giovane satiro ebbro), o elementi vegetali e decorativi in altri ambienti attigui. Un oecus (9,50 X 6,60 m) presenta una pavimentazione in opus sectile che impiega uno schema reticolare di quadrati e rettangoli di modulo medio (cfr. F. Guidobaldi, in StMisc, xxvi, 1981-83, p. 197, fig. 17), sempre variato nei colori dei marmi e nelle figurazioni geometriche, al quale è accostato un doppio modulo di ampie dimensioni comprendente due grandi dischi di porfido rosso e di marmo africano (luculleo), con un accostamento imperfetto e del tutto singolare, probabilmente imposto dalla necessità di utilizzare i materiali prefabbricati disponibili al momento. Nella fascia musiva bianca che attornia l'opus sectile furono inseriti presso un angolo della sala, probabilmente in un tempo assai posteriore e utilizzando anche tessere di pasta vitrea verdi e blu, le figurazioni di alcuni oggetti la cui simbologia si riferisce con ogni probabilità alla sfera dei ludi gladiato- rii, con evidente allusione alle attività di uno (probabilmente fra gli ultimi) dei proprietari della domus, di cui va ricordata a questo proposito la vicinanza all'anfiteatro.
Tre vani del settore meridionale furono infine ripavimentati agli inizi del III sec. d.C., con mosaici dalla sobria policromia, figurati con temi mitologici: lo scudo gorgonico a scaglie decrescenti, la lotta fra Eros e Pan alla presenza di Bacco e Arianna, Leda e il cigno fra i busti delle Stagioni.
In diversi ambienti si sono rinvenuti consistenti resti delle pitture parietali, negli strati di crollo a contatto coi pavimenti e talora parzialmente aderenti agli zoccoli delle pareti. Essi, unitamente alle pitture del criptoportico di Urbs Salvia (v. Ch. Delplace, in BdA, VI, II, 1981, pp. 25-48), costituiscono il complesso pittorico d'età romana più significativo dell'intera regione. Si distinguono in particolare le pitture dell'atrio e dell'ala, i cui frammenti mostrano architetture, bande decorative, dettagli figurativi e vegetali che riprendono taluni elementi del repertorio del c.d. IV stile e sono riferibili dunque alla seconda fase del complesso. In alcuni vani nel settore S della domus sono apparsi ultimamente (1992-1994) importanti resti di pitture della fine del ΙΙ-inizî del III sec. d.C., fra cui un ciclo comprendente figure di Muse e il mito dell'invenzione del flauto da parte di Atena.
Da strati di abbandono e di scarico provengono sculture, certamente pertinenti ad altri edifici della città, tra le quali si segnalano una statua funeraria femminile acefala di calcare locale e, in particolare, una testa-ritratto marmorea di Augusto, di alta qualità, da una statua onoraria postuma, forse di età Claudia.
Nella zona O dell'area scavata, presso la strada moderna e ora parzialmente coperto da questa, si impiantò un edificio ad ambiente unico che prese il posto di una parte dei vani della domus. Il suo pavimento, a una quota sensibilmente più alta di quella dei mosaici della domus, è costituito da un ampio tessellato policromo (largh. 9,40 m, lungh. almeno 9,60 m) con motivi marini databile alla prima metà del III sec. d.C. Resta per il momento difficile definire la funzione di questo edificio, forse sede di un collegium.
Gli scavi più recenti (1994-1995), estesi a S della domus dei Coiedii, stanno rivelando importanti resti di edifici privati di età repubblicana, fra cui due cubicula con pareti in argilla cruda, stucchi di primo stile e pavimento a scutulatum con bordo a mura e porte di città, della fine del II sec. a.C.
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(P. L. Dall'Aglio - S. De Maria)