Vedi STUCCO dell'anno: 1966 - 1997
STUCCO
Definizione tecnica; 1. Ambiente egeo ed Egitto faraonico; 2. Grecia classica; 3. Egitto ellenistico e romano; 4. Etruria; 5. Roma; 6. Iran parthico; 7. Iran sassanide; 8. India e Gandhāra.
Definizione tecnica: impasto di gesso cotto, mescolato con acqua, talvolta con l'aggiunta di altre sostanze; nell'antichità poteva anche consistere in un impasto di calce e pozzolana o calcite spatica mista a polvere di marmo e di gesso. Ricerche di E. Schiavi portano a ritenere che la tecnica dello s. presenta analogie con quella dell'encausto (v.). Usando infatti colore bianco (solfato di calcio), impastato con cera punica e calce, l'amalgama che ne risulta si presta ad una modellazione plastica estremamente fluida, eseguibile anche a pennello. Tale s. poteva anche essere sottoposto a trattamento analogo a quello per l'encausto e, elaborato con ferri caldi, assumere una compattezza e una durezza simili a quella del marmo.
Va tenuto distinto l'impiego dello s. per riempire vuoti esistenti sulle superfici (il tectorium, albarium opus degli antichi, Plin., Nat. hist., xxxvi, 174-177; Vitruv., vii, 3 ss.), come rifinitura di opere architettoniche (sulle pareti interne in vista di una successiva decorazione pittorica; su sarcofagi lignei o maschere generalmente dipinte) o come rivestimento di elementi architettonici (per esempio le scanalature sulle colonne dei templi costruite in calcare conchiglifero o tufo poroso), dallo s. usato come decorazione, rilievo (caelatura tectorii), o scuultra a tutto tondo, che interessa più particolarmente la storia dell'arte. In questo caso, come materiale plastico, lo s. in pasta fine e molle si applicava sull'intonaco fresco con una spatola e lo si modellava con stecche sottili e anche con le dita. Il rilievo è di solito molto basso; per le membrature architettoniche si poteva ricorrere anche allo stampo e, per quelle aggettanti, si adoperavano perni interni di ferro dolce e di piombo, che ne assicuravano l'adesione alla struttura portante.
1. Ambiente egeo ed Egitto faraonico. - Gli scavi di Creta hanno dato numerosi frammenti di figure a rilievo di s. dipinto, specie da Cnosso, del periodo tardo-minoico.
Esempî simili e contemporanei li abbiamo in Egitto, di dove provengono anche teste modellate a tutto tondo in s. da Teli el-῾Amārnah; della XVIII dinastia, che appaiono però piuttosto calchi in gesso (v. ritratto). Fin dall'Antico Regno, ambienti di case e di tombe, sarcofagi e coperchi di sarcofagi soprattutto lignei, maschere di mummie, furono ricoperti od eseguiti direttamente in gesso e in s.; e, sembra che lo s. plastico per la scultura a tutto tondo e per il rilievo vi sia stato in uso a partire dalla XVIII dinastia.
2. Grecia classica. - Nel mondo greco classico l'arte dello s. modellato fu conosciuta e diffusa, ma ce ne mancano i documenti archeologici. Pausania (viii, 25, 2) menziona i rilievi del tempio di Artemide a Stymphalos, che però egli non sapeva se giudicare di legno o di stucco.
3. Egitto ellenistico e romano. - Il largo impiego che si fece dello s. nell'Egitto ellenistico può essere fatto risalire (a causa della nota deficienza di marmi bianchi e di calcari consistenti) al multiforme uso in cui lo s. era stato adoperato fin dai tempi più antichi (ma si tengano presenti tombe della Macedonia: v. salonicco).
Si ricordi anche che la composizione geologica della costa mediterranea dell'Egitto è gessosa, e si potrà meglio comprendere come in età faraonica ed in età ellenistica la lavorazione del gesso e dello s. abbia avuto tanta fortuna, alla pari con altri materiali più nobili. D'altra parte, il persistente impiego dello s. anche in periodi in cui l'importazione dei marmi per opere di scultura nell'Egitto ellenistico-romano è largamente provata, dimostra che per le sue caratteristiche di immediata realizzazione e di applicazione su vasta scala il materiale continuò ad essere preferito e, certo, ad essere esportato. È lecito affermare che fra i centri ellenistico-romani dell'Oriente (Hadda, Taxila, Begram, ecc. v. oltre) e dell'Occidente (Palmira, Antiochia, Pergamo, Pompei, Roma) il ruolo che raggiunse Alessandria nella lavorazione e nell'impiego dello s. sia stato tanto preminente da configurarsi come centro specializzato, sia nell'ambito della produzione artistica che di quella artigianale.
a) Per la scultura segnaliamo una testina di Alessandro dall'Egitto a Dresda ed un ritratto di giovane dello stesso museo; un busto di un personaggio libico, due busti dalla necropoli occidentale del Wardian e il noto ritratto da Plinthine, tutti al Museo Greco-Romano di Alessandria; alcuni frammenti di panneggio a Stoccarda e ad Alessandria; e diverse testine conservate ad Alessandria, certo modelli plastici per sculture di modulo maggiore; e inoltre alcuni modelli con bustini a tutto tondo rinvenuti a Begram (v.).
L'uso di completare in s. alcune zone mancanti di una scultura, soprattutto se non nobili o poco visibili, in molti casi le parti posteriori delle teste, è documentato da una lunga serie di esempi: l'Alessandro von Sieglin di Stoccarda; il ritratto di Tolemeo I della Gliptoteca Ny Carlsberg di Copenaghen; le teste di Tolemeo III ad Alessandria e Cirene, di Tolemeo VI ad Alessandria e a Providence. In età romana un procedimento analogo si riscontra in due ritratti di Tiberio e in uno di Claudio del Museo Greco-Romano di Alessandria, - per ricordare solo tre esempî da ricondurre alla produzione dell'Egitto romanizzato - e in un bel ritratto flavio, già von Sieglin, conservato a Stoccarda.
Lo s. fu anche variamente impiegato nella rappresentazione delle maschere di mummia, spesso ravvivate dal colore, applicabili al sarcofago ligneo. Gli esemplari conservati al Cairo e al Louvre offrono da soli un repertorio particolareggiato di questa espressiva ritrattistica funeraria creata con l'impiego dello stucco.
b) Non si può non tener conto, nella discussione sul rilievo in s. nell'Egitto ellenistico, del grande modello di emblema argenteo con la rappresentazione di Tolemeo I e Berenice del Museo Greco-Romano di Alessandria, del frammento di placchetta con figura di giovane donna che munge una capra conservato nello stesso museo, dei modelli di gesso di Hildesheim (con scene mitologiche e di sacrificio), dei modeli di Mit Rahine, della placchetta di Alessandria che ripete una scena del noto vaso argenteo di Ingolstadt, degli ormai notissimi modelli di Begram (v.) con scene a carattere idillico e sacro. La traduzione in gesso e in s. di motivi particolari del repertorio dei toreuti, assicurano la persistenza ad Alessandria di una fervida industria dello s. sia per necessità di bottega (modelli, campioni, ecc.) sia per fini commerciali (placchette, tondi, altorilievi, ecc.).
c) Riuscirebbe impossibile presentare una panoramica, sia pure limitata, dell'impiego dello s. come materiale decorativo adattato a paraste, sovrapporte, cornici, architravi, colonnine, transenne, nicchie, letti funebri, banchine, porte di loculo, vòlte e pareti stuccate e dipinte, ecc.
Le decorazioni in s. degli ipogei ellenistici alessandrini di Shatbi, di Sidi Gaber, di Mustafa Pascià, di Anfushi, spesso ricoperte da vivaci colorazioni; le note porte di loculo in calcare stuccato e dipinto delle necropoli di Hadra, di Ibrahimieh e di Shatbi; il rivestimento di alcuni ambienti e le decorazioni di alcune parti nobili degli stessi ambienti negli ipogei più tardi del Gabbari, del Wardian, di Kōm esh-Shōgafa, e dell'ipogeo di via Tigrane Pascià ad Alessandria, offrono amplissimo materiale per un giudizio complessivo sulla tecnica della decorazione in s. e sulla validità dei risultati artistici e artigianali raggiunti in questo particolare settore nell'Egitto ellenistico.
Monumenti considerati. - Testina di Alessandro a Dresda: C. Watzinger, Malerei und Plastik (Exp. von Sieglin, II, 1, B), Lipsia 1927, n. 3 a, fig. 1. Ritratto di giovane a Dresda: id., op. cit., tav. XXXIV. Busto di un libico ad Alessandria: E. Breccia, Alexandrea ad Aegyptum (ed. franc.), Bergamo 1914, p. 200, fig. 71; P. Graindor, Bustes et statues-portraits d'Égypte romaine, Cairo s. d., p. 89, n. 38, tav. XXXII. Ritratti e busti ad Alessandria (dal Wardian, da Plinthine, da Alessandria città): E. Breccia, op. cit., pp. 197-198; nn. 32-32 a, figg. 69-70; P. Graindor, op. cit., pp. 23 ss., 26; F. Poulsen, From the Collections of the Ny Carlsberg Glyptothek, II, 1938, p. 41, fig. 41. Alessandro von Sieglin a Stoccarda: C. Watzinger, op. cit., n. 1, tavv. I-III. Tolemeo I di Copenaghen: L. Laurenzi, Ritratti greci, Firenze 1941, n. 52. Tolemeo III di Cirene: id., op. cit., n. 72. Tolemeo III di Alessandria: F. Poulsen, art. cit., p. 21, figg. 16-17. Tolerneo VI di Alessandria: A. Adriani, in Bull. Soc. Arch. Alex., 32, 1938, p. 97 ss., tavv. XI-XII; L. Laurenzi, op. cit., n. 89. Tolemeo VI di Providence: B. Conticello, in Arch. Class., XIV, 1962, p. 46 ss., tavv. XXIX-XXXIII. Ritratti di Tiberio ad Alessandria: N. Bonacasa, in Boll. d'Arte, 1962, P. 171 ss., figg. 1-3, 11-12. Ritratto di Claudio ad Alessandria: N. Bonacasa, in Römn. Mitt., LXVII, 1960, p. 126 ss., tavv. 37-38. Ritratto flavio a Stoccarda: C. Watzinger, op. cit., n. 5, fig. 4. Modello con Tolemeo I e Berenice ad Alessandria: A. Adriani, art. cit., p. 77 ss., tav. VI. Placchetta con scena di mungitura ad Alessandria: A. Adriani, Divagazioni (in Bibl.), p. 10 ss., tav. IX, 30. Modelli del Pelizaeus Museum di Hildesheim: A. Ippel, Guss und Treibarbeit in Silber, in 97. Wilckelmanns-programm, Berlino-Lipsia 1937. Modelli da Mit Rahine: A. Adriani, in Bull. Soc. Arch. Alex., 33, 1939, p. 350 ss. (con bibl.). Vaso di Ingolstadt e placchetta di Alessandria: id., in Röm. Mitt., LXVII, 1960, p. 111 ss. Modelli di Begram: J. Hackin ed altri, Nouvelles recherches archeologiques a Begram, Parigi 1954, p. 140 ss.; A. Adriani, in Arch. Class., VII, 1955, p. 124 ss. Maschere e ritratti di mummie al Cairo e al Louvre (v. Bibl.). Elementi decorativi (loculi, tombe ipogee, ecc.) (v. Bibl.).
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(N. Bonacasa)
4. Etruria. - In Etruria la decorazione in s. su pareti di tufo è tutt'altro che rara. Ma molte volte, soprattutto per quanto riguarda le tombe, si tratta solo di uno strato spesso ma omogeneo di s., per lo più colorato, che ricopre interamente le pareti e che è più giusto interpretare come un tipo particolare di intonaco. Quando esiste la vera decorazione a s. si tratta di motivi architettonici lineari e, più spesso, solo qualche singolo elemento (cornici o simili) è aggettante. È questo il caso, per esempio, della Tomba François di Vulci.
L'esempio più cospicuo di una decorazione in s. plastico, con composizioni in rilievo (caelatura tectorii) è offerto dalla Tomba dei Rilievi (o degli Stucchi) di Caere: le pareti attorno ai loculi e i pilastri che sostengono il tetto sono interamente rivestiti di s. a rilievo e colorato che dà l'effetto della pittura..
Sul lato opposto all'ingresso due figure mostruose, Scilla e Cerbero, alludono al mondo infernale. Nel resto dello spazio sono riprodotte le cose predilette dai defunti e le suppellettili della casa: animali domestici (cani, felini), armi (elmi, spade, schinieri, scudi), la bisaccia e lo zaino, coppe, brocche, le tenaglie, la sega, un lituo; coltello, recipienti e arnesi varî da cucina, un rotolo di fune, la tabula lusoria ecc. Non in tutti i casi gli oggetti risultano identificabili con sicurezza e anche recentemente sono state date per varî elementi nuove proposte di interpretazione. Sulla parete di fondo nel loculo centrale è imitato in s. un letto con l'intelaiatura lignea, i cuscini e, davanti, lo sgabello con i sandali.
Le rappresentazioni di questa tomba costituiscono un documento prezioso e, potremmo dire, unico, quanto a ricchezza di materiale, per la conoscenza della vita privata degli Etruschi. La decorazione è tradizionalmente assegnata al III sec. a. C. e costituirebbe perciò il più antico esempio, in Italia, di s. a rilievo. Ma, anche se la struttura architettonica della tomba appartiene con sicurezza a questa epoca, non si può escludere in linea assoluta che la decorazione sia successiva.
(S. De Marinis)
5. Roma. - Nel mondo romano la decorazione a s. fu largamente sfruttata per decorare sia superfici esterne, sia vòlte di ambienti interni, di cui ci restano esempi notevolissimi per finezza tecnica e gusto artistico. La rapidità e l'immediatezza della tecnica ne facevano un genere molto vicino alla pittura con la quale era spesso unito anche in una stessa composizione.
Lo studio degli s. non può essere condotto isolatamente; per risolvere la ancora tanto discussa questione della cronologia degli s. romani, il loro studio dovrà essere abbinato a quello della pittura contemporanea, in rapporto agli stili e alle suddivisioni cronologiche di questi. Non esiste ancora nessun lavoro organico che comprenda in una visione di insieme tutta la produzione degli s. in età romana. L'unico del genere, quello della Wadsworth, è incompleto e discutibile sotto molti punti di vista.
È da escludere che i Romani abbiano appreso l'arte dello s. dalle città campane, come è stato più volte affermato sulla base di errati presupposti. È invece assai probabile che l'uso dello s. sia stato introdotto in Etruria e a Roma dall'Oriente ellenistico; non è tuttavia possibile stabilire in quale epoca.
L'adozione della decorazione a s. negli edifici romani era consigliata caso per caso da ragioni, oltre che di gusto, di convenienza pratica, di visibilità, di conservazione. Per questo vediamo applicato lo s. con tanta frequenza per vòlte, superfici esterne di edifici soprattutto sepolcrali (a Pompei molti sepolcri fuori Porta Ercolano hanno all'esterno rilievi in s., come per esempio il sepolcro di Umbricio Scauro con rilievi ispirati a spettacoli gladiatori), per ambienti sotterranei (ipogei, sepolcri) esposti all'umidità permanente, per l'interno di ambienti particolarmente soggetti a sbalzi di temperatura, umidità e fumo come gli edifici termali. Che lo s. a rilievo fosse la usuale decorazione per vòlte di terme ci è testimoniato dalle istruzioni a questo riguardo date da Vitruvio (v, 10, 3), e dai numerosissimi resti conservati: nelle Terme di Caracalla a Roma, in quelle di Villa Adriana, oltre agli s. delle terme campane di Baia e Cales. Non sembrano però esistere te stimonianze di s. in Roma, anteriori al I sec. a. C. e gli esempî appartenenti a questo periodo non sono molti. Vi si possono assegnare alcune case repubblicane sul Palatino che hanno una decorazione a s. in connessione con pareti dipinte nella fase più antica del II stile (Casa dei Grifi dal Palatino: v. roma). Ma in tutti questi casi lo s. sembra essere in posizione del tutto subordinata rispetto alla pittura e il suo impiego doveva servire semplicemente a creare degli effetti di luce. Di recente scoperta sono gli s. di Cales. Anch'essi, in parte almeno, appartengono ancora all'età repubblicana. Una sala delle terme (databili alla prima metà del I sec.) ha una parete chiusa da semicolonne di mattoni, tra le quali, in alto, compaiono pannelli quasi quadrati in s., con erme di tipo ellenistico, maschili e per lo più barbate, che recano in mano oggetti e attributi vari (vasi, rami ecc.); sul fondo alberi e simili motivi paesistici.
È indubbio che l'arte dello s. raggiunga il suo maggiore sviluppo e diffusione in età augustea e nel I sec. dell'impero, continuando certamente poi per tutto il II sec., fino all'età antoniniana; si ritiene comunemente che dopo tale epoca la tecnica dello s. sia usata con minore frequenza per motivi economici.
I più importanti complessi decorativi li troviamo a Roma e nelle città campane (Pompei, Baia, Pozzuoli, Cales); ma la maggior parte di questi ultimi sono ancora inediti, purtroppo, perché potrebbero essere molto importanti al fine di un chiarimento del problema cronologico: a Baia, per esempio, esiste una notevolissima quantità di s. (nelle vòlte soprattutto) che iniziano dall'età augustea e continuano certo fino all età antoniniana avanzata, se non anche severiana, con tutte le fasi intermedie.
Esempî cospicui sono costituiti dalle Terme pompeiane: la decorazione delle Terme Stabiane, soprattutto delle vòlte dell'apodyterium e dell'atrio a lacunari e cassettoni con clipei e motivi araldici (età fiavia) ci dà uno degli esemplari più splendidi dell'uso di questa tecnica nell'arte romana. Delle terme del Foro va ricordata la vòlta a strigilature del calidarium e quella del tepidarium a lacunari con medaglioni rotondi divisi da candelabri; sotto corre una fascia con fregio a volute.
Il favore di cui godeva l'arte degli s. nel mondo romano è dimostrato dal fatto che ne erano adorni gli stessi edifici imperiali. Resti di vòlte stuccate, ripartite in cassettoni con figure ed emblemi varî, ravvivate da colori, dorature e, in origine, anche da pietre variegate, si conservano fra i ruderi del Palatino (supposta casa di Tiberio, Criptoportico, casa sotto il palazzo dei Flavi). Altri s. importanti sono quelli della Villa di Livia a Prima Porta (di cui non restano che scarse tracce), quelli della Domus Aurea neroniana, della Villa di Domiziano a Castel Gandolfo, degli ambulacri dell'Anfiteatro Flavio.
Tra i complessi più significativi sono gli s. della Farnesina e tra i più importanti quern della basilica sotterranea di Porta Maggiore (v. roma). I primi che appartengono ad un edificio (probabilmente una casa-villa) dell'inizio dell'età augustea, si trovano oggi al Museo Nazionale Romano. Si tratta, fondamentalmente, dei soflitti a vòlta, centinati e di notevole lunghezza, di tre ambienti. Nel soffitto del cubicolo gli elementi più importanti della decorazione sono, per la cronologia e per la discendenza artistica, le figure di Vittorie di tipo neoattico e le due immagini del Sole. Le scene figurate dei riquadri presentano soprattutto soggetti bacchici: un sileno semiebbro, donne che recano focacce e bende a un simulacro di Priapo. In tutti questi rilievi eccezionale è la finezza della esecuzione tecnica, la delicatezza del rilievo, bassissimo, l'eleganza miniaturistica dei particolari. Appartiene invece con molta probabilità alla fine del III sec. la decorazione di alcuni edifici ostiensi, fra cui un sacello rettangolare, dove su una parete è rappresentata, in altorilievo, una figura virile seduta, a grandezza metà del vero; in essa, sebbene priva della testa, è stato possibile riconoscere con certezza l'immagine di Giove Serapide.
Quanto ai sepolcri, nei quali il rilievo a s. risulta adoperato largamente per tutta l'età imperiale migliore, gli esempi di maggior rilievo sono costituiti: dall'ipogeo di L. Arruntius sulla via Prenestina, i cui s. scomparsi e noti soltanto da stampe del Piranesi, sono tuttavia databili con sicurezza all'età augustea; dal colombario di Pomponio Hilas, forse tiberiano; e soprattutto dalle tombe a camera della necropoli dell'Isola Sacra (fatiche di Ercole di una tomba di età traianea), della necropoli vaticana sotto la confessione di S. Pietro (v. roma, F; Necropoli vaticane) e della via Latina (tomba dei Valerî e tomba dei Pancrazî) della prima metà del II secolo. Nella tomba dei Valeri la vòlta è decorata a grandi cassettoni quadrangolari, alternati a medaglioni rotondi. Entro ognuno di questi ultimi è un gruppo di due figure. Nei cassettoni quadrangolari si alternano rosette e amorini. Figure di ninfe inquadrate entro motivi floreali occupano le lunette estreme delle opposte pareti. Rilievo in s. e pittura sono accoppiati nel complicatissimo sistema decorativo della vòlta e delle pareti della tomba dei Pancrazi: gli elementi principali della vòlta sono costituiti da un medaglione centrale che presenta Giove sull'aquila, e da quattro sezioni rettangolari, in ognuna delle quali è rappresentata una scena mitologica. Interessanti gli s. (praticamente inediti) di un sepolcro presso Ponte Mammolo con scene riferibili al mito della nascita dei Dioscuri (Roma, Museo Nazionale Romano). Di età certamente più tarda e di fattura meno fine sono gli s. rinvenuti negli ipogei; scoperti verso il 1915 sotto la Basilica di San Sebastiano ad Catacumbas. Uno degli ambienti ha la vòlta ripartita in cassettoni esagonali con rosette, separati da motivi ornamentali geometrici e sviluppatisi attorno ad un cassettone centrale. In un altro ambiente tutta la vòlta a crociera è occupata da una decorazione di rami di vite con pampini e grappoli che partono da vasi posti agli spigoli della vòlta. Decorazioni affini, con lacunari in rilievo e rosette ricoprono anche le vòlte dei corridoi vicini. Del primo venticinquennio del III sec. sono le decorazioni del mitreo di S. Prisca, con la statua recumbente di Oceanus nella nicchia e altre teste di divinità.
Una vera e propria decorazione in s. sembra essere piuttosto rara negli ipogei e nelle catacombe cristiane: è forse un indice dell'alto prezzo di questo genere d'arte che poteva essere utilizzato solo da persone ricche. Tuttavia ne abbiamo un esempio nelle catacombe di S. Priscilla: in un piccolo ambiente a destra della cosiddetta Cappella Greca appaiono sulle pareti motivi floreali di acanto, pampini, volute, che separano tre larghi pannelli in bassorilievo di s. bianco, che contenevano scene con figure umane, di cui ora restano solo scarsissime tracce. Ma il più notevole esempio di decorazione in s. nelle catacombe è stato trovato, non lontano dalla suddetta Cappella Greca, al di sopra di una tomba, datata dal Wilpert alla prima metà del II sec.: si tratta della rappresentazione di un Buon Pastore, in corta tunica con un capretto sulle spalle; ai lati stanno due pecore; alberi fiori e altri elementi di sfondo sono aggiunti in pittura.
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Per la necropoli vaticana: B. M. Apollonj Ghetti e altri, Esplorazioni sotto la confessione di S. Pietro in Vaticano (1940-49), Città del Vaticano, 1951, pp. 31-2; 58-9; 61-2; 83-4. Mitreo di S. Prisca: A. Ferrua, in Bull. Com., LXVIII, 1940, p. 59 ss.; M. J. Vermaseren-C. C. van Essen, in Antiquity and Survival, I, 1955, p. 3 ss. (p. 15-18); M. J. Vermaseren, Corpus insc. et monum. Religionis mitriacae, l'Aja 1956, n. 478, p. 196. Per le catacombe di S. Priscilla: A. Profumo, Un Battistero cristiano, in Studi Romani, 1913, p. 71 ss.; O. Marucchi, in Bull. Arch. Crist., 1914, p. 110 ss. Per gli edifici ostiensi: Bull. Com., 1938, p. 301.
(S. De Marinis)
6. Iran parthico. - L'uso dello s., come materiale plastico, sembra apparire per la prima volta in Iran durante il periodo parthico. L'origine di questa tecnica, secondo alcuni studiosi (Herzfeld, Debevoise), dovrebbe essere ricercata nelle regioni orientali dell'Iran, ma la concentrazione dei documenti nelle zone occidentali e il sicuro impiego dello s. nell'età seleucide sembrano contrastare con questa ipotesi. L'importante funzione dello s. nell'architettura arsacide fu rivelata dalle scoperte archeologiche del Loftus che, verso la metà del secolo scorso, rinvenne a Warka (v.), in Mesopotamia, resti di capitelli, cornici e placche, brillantemente policromati. Il ricco repertorio di motivi ornamentali documentato dai reperti di Warka comprende sia figure di tipo geometrico, come cerchi inscritti entro quadrati, motivi cruciformi, a scacchiera e a zig-zag, sia elementi vegetali, tra i quali rosette, fiori di loto, palmette e tralci di vite. Vi compaiono inoltre forme miste, derivanti dalla fusione di temi geometrici e vegetali, come il fiore inserito in un esagono e costruito per mezzo di archi di circonferenza. Caratteristico di questa decorazione è anche un elemento merlato di forma digradante, al centro del quale è inserito un motivo a rosetta, oppure un antico simbolo iranico, la cuspide di freccia. Successivamente i cospicui resti di Assur, databili al I sec. d. C., hanno permesso di ricostruire la facciata di un palazzo parthico, contribuendo a chiarire la funzione degli elementi decorativi. Il fronte dell'edificio appare diviso in vari piani mediante finestre cieche o nicchie, che non sono in rapporto con la suddivisione dello spazio interno, ma rispondono ad un criterio distributivo di natura essenzialmente scenografica, per il quale la facciata di Assur è stata avvicinata alle scaenae frontes e ai ninfei romani. In questa concezione architettonica la decorazione diviene quasi un arazzo che ricopre le superfici murarie senza rispetto per le strutture.
Ad Assur, come a Warka, vengono ampiamente sfruttati elementi ornamentali di derivazione classica, quali il meandro, il tralcio di vite e la voluta ionica, insieme ad altri di carattere geometrico tratti da un patrimonio figurativo tipicamente orientale. Peculiare invece è lo sviluppo di questi temi nella forma del motivo continuo la cui origine va ricercata, secondo il Goldman, nell'ambiente assiro, e che si sarebbe trasmesso all'arte parthica per il tramite di una produzione in legno non pervenutaci. Lo stesso linguaggio figurativo documentato dagli s. di Warka ed Assur si ritrova nel Seistan, a Kuh-i Khwagia, i cui resti più antichi sono stati datati dallo Herzfeld al I sec. d. C. Anche qui, mediante la decorazione, si tenta di rompere l'uniformità delle superfici architettoniche e di risolverle coloristicamente con un contrasto di luci e di ombre che richiama le tecniche pittoriche. I resti della Mesopotamia e del Seistan paiono confermare che la tecnica dello s., non documentata a Nisa nella fase più antica dell'architettura arsacide, ebbe il suo periodo di fioritura a partire dal I sec. d. C. e sì sviluppò in una fase architettonica caratterizzata da un'attiva reazione ai suggerimenti ellénistici e dalla elaborazione di forme più vicine al gusto iranico. È probabile che durante il II sec. una nuova, più forte ondata di influssi classici, il cui centro di irradiazione dovrebbe essere ricercato in Siria, desse vita a forme architettoniche più strettamente aderenti ai modelli ellenistico-romani. Anche in questa fase, rappresentata dai monumenti di Hatra, continua ad essere impiegata una decorazione in s. che ripete i motivi ormai tradizionali del fiore-esagono, delle foglie d'alloro e del meandro, tuttora inseriti nello schema del motivo continuo. La stessa concezione decorativa si trova inoltre documentata a Nippur. Alla fine del II sec. d. C. sembra datare la cornice in s. del tempio di Artemide Nanaia a Dura Europos, che presenta elementi decorativi fortemente influenzati dalla tradizione ellenistica.
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7. Iran sassanide. - Nel lungo periodo, durante il quale i Sassanidi dominano l'Iran, la decorazione in s. perviene ad un grado di sviluppo e di diffusione di gran lunga superiore a quello raggiunto nell'epoca parthica. Per quanto riguarda il repertorio figurativo, vengono ampiamente sfruttate le esperienze precedenti. Cospicui sono gli elementi di derivazione classica, passati attraverso il filtro dell'arte parthica, o direttamente pervenuti da centri di propagazione dell'arte romana. Suggerimenti ed apporti giungono probabilmente dalle regioni dell'Iran esteriore e non è assente in taluni casi l'influsso indiano. La decorazione in s. è localizzata principalmente nei centri di Kish, Ctesifonte, Taqi Bustan, Rhagai (v.), Damghan e Bishapur, ed appare perciò diffusa su tutta l'area dell'impero; i suoi influssi si irradiano inoltre verso zone più lontane come la Sogdiana e il Chorezm. Le cause di questa fioritura vanno ricercate nel carattere stesso, fastoso e celebrativo, dell'architettura sassanide, ed anche nelle possibilità di sviluppo e, si potrebbe dire, di industrializzazione della plastica in s. mediante l'uso di stampi. L'impiego dello s. è ancora limitato nel palazzo costruito da Ardashīr a Firuzabad; lo testimoniano praticamente solo le cosiddette cornici egizie che si ricollegano direttamente a quelle dei palazzi achemènidi. La decorazione si fa più ampia e vistosa nel palazzo di Bishapur, che Shāpūr fece costruire nella regione natale del Fars poco prima o poco dopo la sua vittoria su Valeriano. Vi si notano elementi a greca, motivi lanceolati, temi vegetali di vario genere, tra i quali ampio posto trovano le foglie d'acanto che coprono le vòlte dipinte in rosso vivo, nero e giallo. In questo nuovo tipo di decorazione appaiono assai forti gli influssi siro-romani. Nell'ambito dell'ornato geometrico, le forme più semplici sono quelle a zig-zag parallele o quelle a losanga e a cerchio che compaiono nel palazzo I a Kish. Più complessi appaiono i motivi a meandro e a greca che, intrecciandosi, formano un fregio di elementi a svastica, un tema decorativo già presente negli s. parthici di Hatra e che, nel periodo sassanide, compare a Kish e Ctesifonte. I motivi vegetali, stilizzati, o trattati in maniera naturalistica, sono anch'essi impiegati molto frequentemente. L'origine degli elementi che compongono la ricca tematica sassanide non è sempre facilmente rintracciabile. Si può dire tuttavia che accanto a forme desunte chiaramente dal patrimonio decorativo ellenistico, come il meandro, le foglie d'acanto, gli ovoli, i dentelli e le fasce perlate, se ne trovano altre che sembrano tratte dagli antichi repertori asiatici, particolarmente ricchi di forme astratte. Assai interessante è anche la produzione più propriamente figurativa che può in qualche modo integrare le nostre conoscenze riguardo alla scultura sassanide. Una vera e propria scena, analoga a quelle rappresentate in pietra, proviene da Shāhār Turkhan, presso Rhagai (Rey). Si tratta di una serie di pannelli di varia misura, eseguiti separatamente, che si combinano in modo da formare una composizione continua. Vi è rappresentata una caccia regale, il tema più caro agli artisti sassanidi; il rilievo presenta tre momenti della caccia: il re attaccato dai cinghiali, le belve respinte, il branco in fuga. Uomini ed animali sono rappresentati in file parallele, disposte in stretto accordo con la forma del pannello. La scena nel suo insieme e la narrazione simultanea dei vari momenti dell'azione ricordano in qualche modo la scultura indiana. L'opera è stata attribuita all'epoca di Chosroe II (590-628), ma vi è chi ritiene di riconoscervi una rappresentazione di Peroz (459-484). Il busto umano, inserito entro medaglioni o cornici quadrangolari, è largamente utilizzato come motivo ornamentale. Questo tipo di decorazione, che compare a Kish e a Damghan, ma anche a Paikuli, dove è realizzato in pietra, ha precedenti nell'arte parthica. Si tratta in genere di immagini stereotipe, prive di caratterizzazione individuale, ma la produzione in s. sassanide comprende anche alcune teste maschili di notevole vivacità, perché rozzamente realizzate, tra le quali un probabile ritratto di Kavadh I (488-531).
Assai più frequente che non la figura umana è la rappresentazione dell'animale, a volte araldicamente concepito, in altri casi raffigurato in maniera più realistica e viva. La figura animale è sovente racchiusa in medaglioni o cornici, nei quali compaiono talvolta vere e proprie zoomachie. Degno di rilievo è il fatto che interpretazioni realistiche e figure araldicamente atteggiate convivono nel medesimo ambiente; le migliori realizzazioni in s., anzi, rivelano non di rado la fusione di entrambe le tendenze. Tale è il caso dei cavalli di Nizamabad e Ctesifonte, nei quali la stilizzazione delle forme è ravvivata dal senso della vitalità dell'animale.
Purtroppo è assai difficile dare un significato cronologico alle variazioni stilistiche, che si rilevano nella produzione in s. sassanide, per la scarsità di dati archeologici certi. Inoltre la datazione di queste opere è resa più ardua dal fatto che, per la loro fragilità, esse sopravvivevano molto meno dell'edificio che dovevano decorare e venivano quindi sostituite. Nel complesso si può rilevare che la decorazione, limitata ancora nel primo periodo sassanide, si sviluppa prodigiosamente dall'epoca di Shāpūr I, ispirandosi alle tecniche e alle realizzazioni della pittura murale, come testimoniano gli effetti pittorici ottenuti mediante l'uso di un rilievo piuttosto basso e della policromia. Il repertorio decorativo diviene sempre più vasto e gli s. assumono un'importanza così rilevante da influenzare persino la scultura in pietra. Sembra infine che, con il passar del tempo, nella plastica in s. si manifesti una tendenza sempre più accentuata verso la stilizzazione, tuttavia le forme naturalistiche sono attestate fino ad epoca tarda.
Si parla talora impropriamente di s. nel caso di fregi decorativi nell'interno di alcuni palazzi scoperti nella Sogdiana (v. sogdiana, arte), che in realtà sono eseguiti in argilla ricoperta di uno strato di colore dopo la essiccazione.
Bibl.: N. C. Debevoise, A Portrait of Kobad I, in Bulletin of the Art Institute of Chicago, XXIV, 1930, p. 10; M. S. Dimand, Sasanian Wall Decoration in Stucco, in Bulletin of the Metropolitan Museum of Art, XXVI, 1931, pp. 193-195; J. H. Schmidt, Figurliche sasanidische Stuckdecoration aus Ktesiphon, in Ars Islamica, 1936-37, p. 176 ss.; J. Baltrušaitis, Sasanian Stucco, A. Ornamental, in Survey of Persian Art, I, Londra 1938, pp. 601-630; A. U. Pope, Sasanian Stucco, B. Figural, ibid., I, pp. 631-645; K. Erdmann, Die Kunst Irans zur Zeit der Sasaniden, Berlino 1943; V. A. Šišhin, Architekturnaja Dekoracia Dvorcia v Varakše, in Trudi otdela Vostoka Gosudarstvennogo Ermitaža, IV, 1947, pp. 225-292; H. Lenzen, Zur relativen Chronologie der Sasanidischen Stuckarbeiten, in Arch. Anz., LXVII, 1952, c. 188-221; R. Ghirshmann, Bichāpūr II. Les Mosaïques Sassanides, Parigi 1956; id., Persian Art - The Parthian and Sassanian Dynasties, New York 1962; R. Heidenreich, Stuckfigur aus Ktesiphon, in Wissenschaftl. Zeitschr. d. Karl-Marx-Universität, Lipsia, XII, 1963.
8. India e Gandhara. - Nell'area di diffusione dell'arte del Gandhāra, cioè nella vasta zona che comprende le regioni nord-occidentali della penisola indiana, oggi politicamente appartenenti al Pakistan e all'Afghanistan, la plastica in s. celebra il suo trionfo, divenendo l'espressione artistica più significativa di tutta un'epoca. La tecnica dello s. è nota sin dagli inizî della scuola gandharica, tuttavia durante il lungo periodo in cui prevale la scultura in pietra, la sua applicazione rimane limitata a poche opere, anche se di pregio non trascurabile. Ma quasi improvvisamente, in un momento particolarmente critico della storia di queste regioni, la plastica in s. raggiunge una diffusione talmente ampia da sommergere ogni altra produzione figurativa.
Il fenomeno sembra essere stato determinato, almeno in parte, da ragioni di convenienza economica e dall'insufficienza o dall'esaurimento delle cave di pietra locali. Tuttavia questi motivi non bastano da soli a spiegare un cambiamento che non è soltanto di materiale e di tecnica, ma soprattutto di gusto e di tendenze stilistiche.
La qualità stessa del materiale diviene più fine e le tecniche di lavorazione progrediscono sempre più, fino a raggiungere una certa industrializzazione mediante l'uso di stampi che, permettendo una maggiore rapidità di produzione, danno la possibilità di soddisfare una clientela assai vasta. La figura viene generalmente eseguita ricoprendo con una patina di s. un nucleo di pasta argillosa, mentre le teste vengono lavorate dall'interno, se vuote, oppure ottenute per colatura in stampi; i particolari sono resi con la stecca. È attestata anche una tecnica più rudimentale, che è poi quella centro-asiatica, impiegata in varie località afghane, come Bamiyan, Kunduz, Kabul e nel Fundukistan. Essa consiste nel plasmare la figura mediante argilla impastata con crini di cavallo e lana. Il centro che ha rivelato i più cospicui resti di opere in s. è senza dubbio quello di Hadda (v.), la cui produzione plastica sembra riassumere la varietà delle tendenze stilistiche e delle correnti d'arte che confluiscono nelle multiformi esperienze figurative dell'epoca. Gli s. di Hadda suscitano, nel complesso, l'impressione di una ripresa di forme ellenistiche, non solo per lo stile nel quale sono realizzati, ma anche per la preferenza accordata a particolari temi iconografici. Uno stile diverso si rivela nelle immagini di Buddha e di Bodhisattva, nelle quali l'espressione di una serenità interiore viene raggiunta con una trattazione del volto a superfici lisce e luminose e mediante l'indicazione dei tratti con linee sottili e simmetriche. Queste varie tendenze si ritrovano nella vasta produzione di Taxila, che presenta anch'essa figure demoniache e divine insieme ad altre di più diretta derivazione classica. Tali opere, nel complesso, possono essere avvicinate a quelle di Hadda e testimoniano un'analogia evolutiva ed una probabile contemporaneità tra i due centri. La piena fioritura della fase degli s. sembra essersi verificata nel corso del V sec. d. C. Il periodo più tardo è caratterizzato dall'affermarsi di uno stile che risente fortemente gli influssi dell'arte Gupta (v.). Questa tendenza è rappresentata principalmente da opere del Fundukistan, dove si trovano anche realizzazioni plastiche ispirate a forme di derivazione ellenistico-gandharica o a schemi di gusto iranico. La straordinaria vitalità delle soluzioni stilistiche e dei temi iconografici, elaborati nella fase degli s. è dimostrata dai sensibilissimi influssi che questa plastica esercita nell'Asia Centrale ed in particolare nelle produzioni coroplastiche di centri come Tumshuq, Karashahr, Shorshuq e Miran. Sopravvivenze tarde della scultura in s. gandharica si ritrovano anche nel Kashmir (v.).
Accanto alla vistosa fioritura degli s. nord-occidentali bisogna ricordare una produzione più limitata, ma non priva di importanza, che si sviluppa in altre regioni dell' India e che viene raramente segnalata. La conoscenza della tecnica dello s. è documentata principalmente nell'arte Andhra (v.), ove probabilmente pervenne dal mondo ellenistico romano lungo le rotte marine, al tempo della massima fioritura dei commerci fra l'Egitto e le coste occidentali della penisola indiana. A Nagarjunikonda, nel II e III sec. d. C., questo materiale è adoperato per la decorazione dei santuarî, ma vi sono anche stùpa che presentano un particolare accostamento di elementi decorativi in pietra e s., secondo un sistema diffuso anche nel Gandhāra. Le sculture realizzate su lastre di pietra vengono applicate alla parte più bassa del monumento, mentre la cupola è ricoperta di stucchi. L'impiego di questo materiale facilmente plasmabile è probabilmente determinato, in simili casi, dalla difficoltà di decorare le superfici curve della cupola. Un uso analogo dello s. è documentato ad Amaravati, dove sono stati inoltre rinvenuti resti di figure probabilmente appartenenti alla decorazione di qualche monumento buddista. Questa plastica continua ad essere coltivata anche in periodo più tardo. Lungo il basso corso dell'Indo è dislocata una serie di edifici sacri e di stūpa, databili al V-VI sec. d. C., che presentano sculture in s. con caratteri di derivazione gandharica. Nelle regioni orientali tale plastica è documentata a Nalanda in edifici adorni di fregi in s. e nelle sculture degli stūpa; alcuni di questi monumenti, per la maggior parte tardi, risalgono al VI secolo. Ma l'uso dello s. è noto anche nelle regioni più meridionali dell'India, fino a Ceylon, dove probabilmente si diffuse per l'influsso dell'arte Andhra. Questa tecnica ebbe una notevole fioritura nell'isola, specie in epoca tarda; tra i documenti del periodo più antico vanno ricordate le immagini che adornavano il parco di Sigiri, databili con probabilità al V sec. d. C.
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(M. Spagnoli Mariottini)