STUCCO
Termine che si riferisce alla decorazione a rilievo della superficie parietale o alla configurazione del dettaglio architettonico attraverso l'applicazione di un materiale che ha come principali componenti il gesso e la calce, mescolati tra loro in diverse proporzioni e con eventuale aggiunta di altre sostanze. La facile reperibilità, l'agevole modellazione e il basso costo dei materiali motivano nel Medioevo il largo impiego dello s., che esige comunque l'intervento di maestranze specializzate in un cantiere unitariamente organizzato.Lo studio della tecnica degli s. medievali non è facilitato dalla scarsità delle fonti scritte, dalla frammentarietà delle testimonianze superstiti e dall'avvio solo negli ultimi decenni di indagini chimico-fisiche e mineralogico-petrografiche sui materiali, mentre soltanto in pochi casi ci si avvale dell'analisi mediante microscopia ottica ed elettronica a scansione per lo studio della matrice, costituita dal legante artificiale, e dello scheletro, costituito dalla componente detritica.
La scelta dei materiali e il loro proporzionamento sono legati alla necessità di mantenere all'impasto un buon grado di lavorabilità, oltre che una sicura aderenza al supporto e una buona resistenza meccanica. Nel corso del Medioevo, lo s. si caratterizzò per la prevalente presenza di gesso, a differenza dello s. romano che era essenzialmente a base di calce e sabbia; per l'Europa settentrionale la tradizione dello s. in gesso proseguì fino al Barocco, ma dal Cinquecento essa dovette confrontarsi con la riscoperta dello s. romano a calce che Giovanni da Udine e altri artisti della bottega di Raffaello diffusero da Roma in Italia e in Europa.Lo sviluppo della plastica in gesso tra i secc. 8° e 9° con una tecnica altamente specializzata si connette forse alla tradizione orientale o alla conquista omayyade della Spagna nel 756 (Emmenegger, 1997, p. 6). Se alcuni campioni della basilica eufrasiana di Parenzo attestano una prevalenza di calcite (Casadio, Perusini, Spadea, 1996, p. 46) e se i frammenti da St. Martin a Disentis nei Grigioni (Disentis, Klostermus.) aggregano ancora sabbia e solfato di calcio, negli s. di Cividale, Brescia, Germigny-des-Prés e Malles il solfato di calce oscilla tra il 69 e il 77% con minime quantità di calce e la percentuale di solfato di calce sale a 93-98% negli s. della Sassonia (Berndt, 1932): il dato è confermato per il ciborio di S. Ambrogio a Milano (Il ciborio, 1981, p. 122, dall'88 al 94%), a Lomello (Romanini, 1968, p. 22) e a Saint-Jean-de-Maurienne (Sapin, 1995, p. 70). Le varianti riguardano la composizione degli inerti, quali il cocciopesto, inerti calcarei provenienti da marmi o da rocce sedimentarie carbonatiche, paglia e altri materiali.La cottura del gesso ad altissime temperature (tra 800 e 1000°C, a volte fino a 1300°C), evidenziabile attraverso ana lisi al microscopio (Kühn, 1996, p. 20), comporta un lento indurimento (tra dieci ore a due giorni) di un materiale che può essere facilmente intagliato o modellato e raggiunge una compattezza superiore a quella del normale gesso cotto (solfato di calcio semidrato cotto da 110-130°C e fino a 110-200°C). Anche se le cotture in forni preindustriali non dovevano essere uniformi e i gessi ottenuti potevano presentare caratteristiche intermedie, le indagini compiute da Berndt (1932) sugli s. sassoni hanno evidenziato la presenza di gesso cotto ad alte temperature e il dato è stato confermato dai reperti di Corvey; l'uso del gesso cotto ad alte temperature proseguì per tutto il Medioevo e solo verso la fine del sec. 11° si segnala l'uso del gesso cotto a basse temperature, il cui primo esempio sarebbe rappresentato dalla decorazione della Ulrichskapelle di Müstair (Brandt, Emmenegger, 1996, p. 78).
Alla stesura di un primo strato di s. poteva seguire la stesura di linee di riferimento in terra rossa, relative al tracciato compositivo e proporzionale. Tra le scarse attestazioni di disegni preparatori si possono citare: i clipei sovrastanti le arcate settentrionali della basilica eufrasiana di Parenzo, forse relativi a medaglioni rilevati in s.; gli elementi del dettaglio architettonico delle nicchie di S. Benedetto a Malles, con la significativa traccia di varianti nella resa plastica; le lunette del duomo di Hildesheim; l'eccezionale ritrovamento del Westwerk di Corvey, dove la sagoma delle figure si connette direttamente al paramento lapideo e a linee di proporzionamento trasversali, sovrapposte al tracciato di una corda; nel ciborio di S. Ambrogio a Milano le tracce di sinopie si collegano a tracciati incisi sull'intonaco.
Lo s. poteva essere applicato direttamente alla parete attraverso l'aggregazione di strati successivi, modellati con stecche o intagliati con coltelli quando la materia era ancora umida, ma era prevista anche l'applicazione di pezzi seriali lavorati fuori opera a getto o con l'uso di sagome, forme o stampi. Per evitare deformazioni o un'imperfetta aderenza al supporto, specie in corrispondenza di spessori rilevanti, si applicavano alla parete, anche mescolati al primo strato di s. ruvido e granuloso, mattoni o pietrame o blocchi di s. secco (Malles), ma venivano anche utilizzati a intervalli regolari chiodi di ferro (in Santa Croce a Ravenna chiodi di rame) o tasselli in legno; l'adesione al supporto murario, anche con funzione di alleggerimento, poteva essere garantita da fasci di ramoscelli o di cannucce ancorati alla parete con chiodi (Cividale, Brescia, Malles, Disentis, Lomello) o da assicelle (Saint-Jean-de-Maurienne: Sapin, 1995, p. 72; Alet e Brioude: Deschamps, 1962, pp. 183-184; Halberstadt: Möller, 1996, p. 89). Poteva essere approntata un'armatura di sostegno per pezzi di forte aggetto o modellati a tutto tondo: si può citare il nucleo in pietra del sarcofago del conte Lotario II (m. nel 964) della chiesa parrocchiale di Walbeck presso Helmstedt, in Bassa Sassonia, e della Vergine nel tesoro del duomo di Erfurt, o quello in cotto dell'ambone di S. Maria del Lago di Moscufo (prov. Pescara).Per la configurazione del rilievo si aggiungeva la materia plastica a strati successivi di spessore decrescente dall'interno all'esterno e, con martellinature e graffiature della superficie sottostante, si facilitava l'adesione degli strati più superficiali, più fini e sottili: a Cividale essi sono composti solo da gesso come matrice e piccole inclusioni di cocciopesto, sabbia fine e polvere di marmo come inerte e non superano cm 2 di spessore nelle sante del tempietto di S. Maria in Valle a Cividale (variano a Malles da cm 0,5 a 1). La modulazione plastica si realizzava con una tecnica 'a togliere' tipica della scultura, con rifiniture a materiale ancora fresco e con l'uso di diversi strumenti - stecca, coltello, spatola, raspa, lima -, mentre non si trovano in Occidente segni di lavorazione delle superfici con scalpelli dopo l'indurimento del materiale: non risultano significative in questo senso le tracce evidenziate sul dettaglio architettonico della chiesa tardogotica di St. Regula a Coira e del coro di Waltensburg (Emmenegger, 1997, p. 8). Tuttavia, per es. a Cividale, si documenta in parallelo l'utilizzo di diverse tecniche, sia attraverso l'applicazione di strati successivi di s. sia attraverso la giunzione di pezzi seriali realizzati a stampo e fatti aderire con una malta di gesso più liquida, o con l'ausilio di chiodi di ferro o di legno. In S. Maria Maggiore a Lomello (Verzone, 1941-1942, p. 124) è probabile che una testa aggettante fosse fissata a un bastone inserito in un foro praticato tra le spalle del busto ancora in situ; la lavorazione tramite stampi e la sovrapposizione di strati di malta risultano compresenti nel Santo Sepolcro nella collegiata di St. Cyriakus a Gernrode (Möller, 1996, p. 81) e nella recinzione del coro dell'abbaziale di St. Michael a Hildesheim, dove, al di sopra di un rivestimento di assi e di gesso, è stato riconosciuto (Turek, 1996) nelle figure di grandi dimensioni l'utilizzo di stampi, nei busti delle figure più piccole e degli angeli l'uso di calchi, mentre ali e nimbi sembrano realizzati direttamente sul supporto. Per l'approntamento di elementi dell'arredo liturgico, lastre o pannelli potevano essere preformati mediante casseforme, recando talvolta sul retro impronte della tela, che poteva facilitare il distacco a formatura avvenuta, come nell'ambone di Moscufo (Perugini, 1996, p. 144), nel quale sembra che le lastre abbiano fatto da supporto per l'addizione di nuova materia plastica, diversamente da Kirbat al-Mafjar, dove le figurazioni, ora conservate a Gerusalemme (Rockefeller Mus.) venivano scolpite direttamente sulla superficie di pannelli rimasti talvolta incompiuti.
Non disponendo di una documentazione diretta sulla policromia degli s. ravennati, attraverso le fonti è possibile ipotizzare integrazioni pittoriche almeno parziali che omologavano l'apparato plastico alla preziosa policromia degli affreschi, dei mosaici e del rivestimento marmoreo: gipsea metalla sculpta sono ricordati da Agnello di Ravenna (m. post 846; Liber Pontificalis Ecclesiae Ravennatis, 23, 41; MGH. SS rer. Lang., 1878, pp. 289, 306) nella basilica Ursiana e in Santa Croce, da cui sono pervenuti reperti frammentari, solo in un esempio arricchiti di quelle dorature cui sembra alludere il testo dello storico ravennate. Nella stessa direzione sembrano orientare le fonti altomedievali: nelle Etymologiae (XIX, 15, 1; ed. a cura di W.M. Lindsay, Oxford 1911), Isidoro da Siviglia (570-636), seguito da Rabano Mauro (780-856; De Universo, XXI, 8; PL, CXI, col. 563), così si esprime, facendo ovviamente riferimento al gesso come componente primaria: "De Plastis. Plastice est parietum ex gypso effigies signaque exprimere pingique coloribus"; anche Anschero, abate di Centula/Saint-Riquier (m. nel 1136), nella Vita sancti Angilberti (Schlosser, 1892, nr. 979) menziona bellissime composizioni in s. con mosaici dorati e colori magnifici che s. Angilberto (m. nell'814) aveva fatto eseguire quando era abate di Saint-Riquier ("operae ex gypso figuratae et auro musivo aliisque pretiosis coloribus pulcherrimae compositae sunt").Seppure con scarse e lacunose testimonianze, i reperti altomedievali sembrano tuttavia indicare che il complemento pittorico poteva incidere in misura diversa sulla superficie plastica. A lato delle tracce limitate evidenziate sui volti e sulle vesti delle sante di Cividale, non si segnalano a Brescia significative tracce di colore, tanto che si è ipotizzato che la colorazione chiara degli s. potesse esplicitare l'aspirazione a richiamare quella del marmo (Peroni, 1986, p. 79); devono comunque essere intese come complementi dello sfarzoso decoro policromo interno l'inserzione di ampolle vitree a Cividale, a Brescia, nei frammenti forse carolingi reimpiegati entro gli archetti pensili romanici dell'atrio di S. Ambrogio di Milano (Peroni, 1974, p. 75), e l'applicazione di placche di vetro su medaglioni circolari dipinti a Saint-Jean-de-Maurienne (Sapin, 1995, p. 73) o di schegge di carbone inserite in un foro appositamente preparato per costituire la pupilla nell'ambone di Moscufo (Perugini, 1996, p. 147). Per Malles, se gli scarsi residui di colore dei frammenti decorativi suggeriscono una colorazione chiara, quasi in riferimento alle cornici a intreccio dipinte intorno alle nicchie, le integrazioni pittoriche dei capitelli accentuano la pregnanza della modulazione plastica (nei busti le vesti sono rosse, l'incarnato ocra con sfumature grige, i tratti fisionomici neri con risalti rossi sulle labbra); così a Disentis e negli s. provenienti da Vouneuil-sous-Biard (Poitiers, Mus. Sainte-Croix) sui tratti sommari del modellato le pennellate di colore si traducono in elementi di incisiva definizione formale. Nelle lunette del duomo di Hildesheim il colore è stratificato, con le figure in ocra e rosso rosato, bianco e azzurrite, nero e fondo grigio.Colori vivaci, stesi a fresco e applicati anche in due strati, a definire l'abbigliamento delle figure, caratterizzano l'esterno del Santo Sepolcro in St. Cyriakus a Gernrode, in forte contrasto con l'interno monocromo (Möller, 1996, pp. 81-84) e una cromia accesa, a tempera, caratterizza anche i frammenti della chiesa monastica di St. Nikolaus di Grosskomburg (Stoccarda, Württembergisches Landesmus.; rosso minio, bluverde, giallo verde su fondo bianco-grigio, per il fondo degli archi blu, verde e rosso alternati, per i nimbi fondo giallo con tracce di metallo). Era esaltata dalla luce, proveniente da un'apertura stretta e strombata posta dietro il capo della Vergine, la policromia del dossale di Erfurt (tesoro del duomo), forse stesa con legante proteico (Möller, 1996, p. 84), arricchita da paste vitree e da pietre inserite in corrispondenza della corona di Cristo e del trono della Vergine. Come esempio più tardo dell'utilizzo del colore secondo moduli che rinviano alla coeva pittura su tavola si può citare la recinzione del coro della Liebfrauenkirche di Halberstadt, dove, sullo sfondo in azzurrite con tracce di bianco e colla, spicca la policromia delle vesti delle figure, con rosso scuro e violaceo, verde e oro, stesi con un legante oleoso; nell'aureola della Vergine è compresa una cavità per il contenimento delle reliquie.
Frammentarie e scarse risultano le testimonianze della decorazione in s. databili tra il sec. 4° e il 6°, dalla fascia con foglie e frutti di una finestra dell'ambulacro di S. Lorenzo e dal frammento perduto di S. Aquilino a Milano, ai resti dell'oratorio di Notre-Dame presso Saint-Victor a Marsiglia, alle frammentarie testimonianze romane: archi dell'edificio civile poi inglobato in S. Maria in Cosmedin del tardo sec. 4°, arcosoli della platonia di S. Sebastiano, due resti del fregio dell'arcata trionfale di S. Maria Maggiore, di tenuta ancora classicheggiante, del sec. 5° e 6°, cornice del presbiterio di S. Maria Antiqua, con un motivo a girali, fiori e frutta di andamento semplificato, precedente o coevo al tempo di Martino I (649-653).Nel corso del sec. 5°, più consistente e significativa dell'attività di maestranze specializzate risulta la documentazione sugli s. ravennati, anche per l'attestazione della stretta connessione tra la decorazione in s., l'affresco, il mosaico e l'applicazione di crustae marmoree, secondo la perdurante prassi ellenistico-romana: si possono citare i reperti emersi nell'area di Santa Croce (Ravenna, Mus. Naz.), relativi all'elaborazione del dettaglio architettonico, il piccolo tratto di cornice del mausoleo di Galla Placidia, la fascia di S. Andrea all'arcivescovado - tralcio di vite ricorrente sul toro con le sottostanti tenie integrato dai restauri e simile alla cornice posta al di sopra dei marmi di rivestimento del piano inferiore della chiesa di Santa Sofia di Costantinopoli -, i frammenti della decorazione architettonica, documentata dal restauro del 1916-1919, del battistero degli Ariani. Si deve tuttavia ricordare che l'esistenza di gipsea metalla è ricordata da Agnello, oltre che nella basilica Ursiana e nella chiesa di Santa Croce, anche nel battistero Neoniano, nella chiesa di S. Apollinare Nuovo e di S. Martino in Coelum aureum, di fondazione teodoriciana (Liber, 28, 86; MGH. SS rer. Lang., 1878, pp. 292, 334-335). Il ruolo della decorazione a s. nella vitale rielaborazione della parete muraria, in stretta connessione con il mosaico e le sottostanti crustae marmoree, risulta ben evidenziato nel battistero Neoniano e nella cattedrale (il frammento di cornice ritrovato nel sottotetto sopra l'imposta della cupola viene interpretato come segno della copertura a soffitto piano dell'edificio ursiano). Su ciascun lato dell'ottagono del battistero, le ghiere in s. del triforio, rette da colonnine marmoree, configurano tre nicchie: quella centrale sottolinea l'archivolto della finestra, quelle laterali racchiudono edicole connesse in sequenza alternata ad arcate e cuspidi e includono figure virili, forse di profeti, che indossano tunica e pallio e reggono un libro o un rotolo; al di sopra delle edicole, entro gli archivolti superiori, sono raffigurate quattro scene dell'Antico e Nuovo Testamento e coppie di animali affrontati, mentre tra gli arconi e le triplici archeggiature la decorazione con vasi, racemi e girali si conserva parzialmente dopo le demolizioni del 1883. La complessa orchestrazione architettonica della decorazione in s., forse ricollegabile alle trasformazioni neoniane dopo la metà del sec. 5°, configura effetti di dilatata articolazione spaziale, connessa al risalto contenuto delle figure, articolate secondo un punto di vista scorciato e ribassato, e cromaticamente raccordata al rivestimento musivo dalla policromia originaria.Per l'età giustinianea, in S. Vitale l'ornamentazione del vano triangolare compreso tra l'ambulacro e il nartece, a destra dell'accesso originario - nella volta si tratta di un rivestimento a reticolato con larga foglia di vite, e nei sottarchi e nelle pareti di motivi vegetali di origine orientale -, esplicita una valenza più strettamente decorativa; se il frammento di cornice della seconda campata a sinistra del presbiterio attesta una primitiva copertura piana dell'ambulacro, resti della decorazione in s. con una raffinata elaborazione dei dettagli sono conservati in corrispondenza delle finestre, delle due trifore inferiori del presbiterio, della trifora vicina alla torre scalare nord, di tenuta simile a Parenzo.La decorazione in s. delle arcate settentrionali della basilica eufrasiana di Parenzo, pertinente alla ricostruzione del vescovo Eufrasio (543-554), presenta una scansione regolare, ma orchestrata sulla declinazione di differenti motivi decorativi, e un alto livello qualitativo, forse da riferire a maestranze di provenienza greco-costantinopolitana. L'uso di decorare le arcate in s. rivela risoluzioni funzionali e procedimenti esecutivi che diventarono tradizionali nell'architettura dell'Occidente, secondo una documentazione che si dipana, sebbene in modo frammentario, attraverso i secoli fino all'età romanica: nello stretto legame con il supporto architettonico, va sottolineata l'estensione dell'ornamentazione in s. dai sottarchi e dalle ghiere delle arcate longitudinali alle cornici dell'emiciclo absidale e alle finestre della facciata, ma si deve ricordare anche la decorazione dell'arcata trionfale dell'aula dell'episcopium. A Pola, nella cappella meridionale di S. Maria Formosa, la ghirlanda con uccellini dell'abside e il fregio a foglie di alloro delle nervature della volta conservano, come a Parenzo, ricordi della tradizione classica, che suggeriscono la presenza di maestranze costantinopolitane, mentre più schematica appare l'elaborazione in s. di un pilastro della cattedrale, databile tra il 5° e il 6° secolo. Una tenuta secca e tagliente caratterizza la fascia con palmette pentapartite e foglie della finestra absidale di S. Maria delle Grazie a Grado, connessa ai lavori promossi dal vescovo Elia (571-587).Un netto distacco dalla tradizione tardoantica si registra in ambito merovingio. L'utilizzo dello s. nella regione parigina si documenta dall'epoca romana, perché il gesso è presente tra la Senna e la Marna, nei dintorni della capitale, e affiora sulle colline di Ménilmontant e sull'altura di Montmartre. Gli scavi hanno rivelato l'esistenza di pareti a graticcio rivestite di s. nelle case a pali di legno, ma anche nell'architettura in pietra lo s. e la malta di calce rivestivano pareti e pavimento. A partire dalla metà del sec. 6° e nel corso del 7° si affermò a Parigi e nelle necropoli periferiche la produzione in serie di sarcofagi realizzati in s. con l'utilizzo di matrici lignee (Parigi, Mus. Carnavalet), che erano talvolta impiegate per dozzine di esemplari (le prove uscite da uno stesso stampo sono abbastanza frequenti e arrivano fino a diciassette per gli esemplari a N del giardino di Saint-Denis) e che motivano comunque la tenuta ripetitiva dell'ornamentazione, ispirata all'oreficeria cloisonnée e in genere limitata ai pannelli di testa e di piedi. Si tratta di motivi cristiani o di ispirazione cristiana, come croci entro cerchi, di elementi geometrizzanti, più limitatamente di uccelli, di figure con quadrupedi o con la croce. Nonostante la cautela imposta da dati statistici frammentari e di difficile interpretazione, non si ravvisa un'evoluzione dei repertori decorativi, presenti anche nell'ornamentazione monumentale e negli epitafi, mentre la sola ispirazione, peraltro deformata, ai sarcofagi in marmo si può riconoscere nei rari pannelli longitudinali, interamente ornati, come quelli di Saint-Germain-des-Prés. Nella necropoli di Saint-Denis e nelle chiese funerarie a essa collegate sono stati ritrovati anche un centinaio di frammenti, ripartiti in tre gruppi. Il più antico, con motivi di ispirazione vegetale pertinenti a bordi e a cornici, appartiene alla prima fase di costruzione della chiesa di Saint-Pierre (fine del sec. 6°); il secondo gruppo, con motivi vegetali e frammenti di decorazione architettonica a colonnine e pilastrini, proveniente dalla chiesa dedicata a s. Bartolomeo, presenta tracce di policromia su intonaco e si data tra la fine del sec. 6° e il 9°; il terzo era reimpiegato nella muratura di un pozzo abbandonato verso il 900 circa.Dalle frammentarie testimonianze altomedievali romane non si ricavano segnali di stretta continuità con la tradizione tardoantica: si possono ricordare il ciborio con decorazione a intreccio di S. Giovanni in Argentella a Palombara Sabina, i frammenti di lastre a nastri intrecciati di S. Erasmo a Formia e, a Roma, il motivo a dente di sega del braccio meridionale e le rosette entro dischi del soffitto della cripta di S. Prassede, connessa al pontificato di Pasquale I (817-824), i motivi geometrizzanti con incavi ad alveoli della cripta di S. Marco, da collocare tra l'827 e l'844, i frammenti di transenne di finestre di S. Prassede, S. Sabina, S. Giorgio al Velabro, vicini a quelli di Castel Sant'Elia presso Nepi, le transenne frammentarie del chiostro di S. Lorenzo f.l.m., ascritte al pontificato di Giovanni XIX (1024-1032). Transenne per finestre si documentano nel sec. 11° anche nella cattedrale di Bovino (prov. Foggia).La correlazione stretta dello s. con l'ornamentazione ad affresco e a mosaico si manifesta nella decorazione del tempietto di S. Maria in Valle a Cividale, di S. Salvatore di Brescia, di S. Benedetto a Malles, dell'oratorio di Germigny-des-Prés, nel coro di S. Ambrogio a Milano, fino al S. Pietro al Monte a Civate e alle testimonianze tedesche di età romanica e gotica, esplicitando segnali di continuità con una tradizione che riconduce al complemento decorativo del battistero Neoniano a Ravenna.Per gli s. di Cividale e Brescia, e per i relativi cicli pittorici, il dibattito critico si è riacceso con interpretazioni variamente giustificate, che hanno proposto un differimento cronologico anche alla tarda età carolingia.L'eccezionale stato di conservazione fa del tempietto di S. Maria in Valle a Cividale una testimonianza altamente evocativa in relazione alla determinazione della sostanza stilistica qualitativamente intensa e alla restituzione del partito decorativo nella complementare integrazione del rivestimento marmoreo, di s., affreschi e mosaici. Sulle pareti dell'aula, la decorazione in s., ben conservata a O, di nicchioni poco profondi si compone di semicolonne, capitelli corinzi, archivolti con tralcio vitineo profondamente lavorato 'a giorno' tra due fregi a fiori con ampolla vitrea centrale e ornamentazione esterna a foglie peltiformi, mentre il fregio posto a O, tra i capitelli della porta, doveva probabilmente proseguire all'interno dell'aula. In corrispondenza della zona superiore della parete occidentale, tra due fregi stellati, contrassegnati da ampolle vitree, sei sante sono collocate ai lati di una finestra, sottolineata da modanature architettoniche e recante sul rivestimento in s. delle spalle l'iscrizione "Paganus", relativa al capo dei magistri cementarii e responsabile della decorazione in s. del tempietto. La stessa articolazione parietale caratterizza i settori murari contigui a N e a S, dove tre sante in s. erano poste tra due finestre. Se restano aperte questioni critiche relative alle fasi costruttive e alla determinazione del lasso di tempo intercorso prima dell'avvio della decorazione pittorica e plastica, non possono essere sottaciuti gli approfondimenti critici di L'Orange e Torp (1977-1979), che tendono a contenere l'approntamento dell'apparato decorativo entro la fine del regno longobardo, escludendo che si possa pensare a un lasso di tempo successivo ai primi due decenni del sec. 9°, a un clima culturale favorevolmente influenzato dalla personalità di s. Paolino (787-802), patriarca di Aquileia. Ribadendo l'unitarietà della compagine decorativa (l'esecuzione degli s. precedette quella degli affreschi), si possono ricordare i legami tra gli affreschi del tempietto e quelli di S. Maria Antiqua a Roma e, in relazione alla componente orientale, la connessione degli s. cividalesi con l'ornamentazione in s. di castelli omayyadi, come quello di Khirbat al-Mafjar.Le indubbie tangenze con gli s. di S. Salvatore a Brescia devono essere ribadite anche nel segno di una ripresa classicheggiante, nonostante si sia aperto il dibattito critico sulle fasi costruttive, di fatto anticipate, della basilica bresciana, ma con l'ipotesi di una dilazione cronologica inaccettabile alla tarda età carolingia per il ciclo pittorico. Mentre rimane aperto il dibattito sulla datazione degli affreschi, legata all'interpretazione delle iscrizioni della parete destra relative a Desiderio e Ludovico (o Lotario), e andrà confermata l'assegnazione al sec. 12° degli s. della cripta, va sottolineato che le arcate oltrepassate della navata centrale sono modellate secondo un profilo semicircolare dallo s., applicato dopo la stesura dell'intonaco affrescato. In S. Salvatore a Brescia, si ispira a Parenzo la vitale, raffinata rielaborazione plastica delle membrature architettoniche nella connessione tra sottarchi e ghiere, articolate sui due lati, ma di minori proporzioni quelle verso le navate laterali, secondo un disegno distributivo unitario anche rispetto alla decorazione pittorica; le ghiere sono bipartite nella giunzione di un motivo esterno variamente organizzato e di una doppia fascia a perloni con fiori a più petali e ampolle vitree centrali, a simulare un bocciolo, ma il complemento decorativo in s. tocca anche le aureole delle figure affrescate di Cristo e della Vergine e, come correttivo degli esemplari in pietra, anche la formulazione di un capitello della serie settentrionale.Un divario significativo separa gli s. di Cividale e Brescia dalle testimonianze dell'area alpina e transalpina. Nella cripta di Saint-Paul di Jouarre, i pannelli del cenotafio di Agilberta declinano tematiche che evocano tessuti e s. sasanidi e omayyadi per la fitta orditura romboidale con palmette trifide, contornate da una greca.
Dai frammenti di Vouneuil-sous-Biard (Poitiers, Mus. Sainte-Croix) si ricompone la probabile sequenza di figure entro arcate e colonne, cui si aggiungono altri elementi quali croci, dischi, rami, fiori, uccelli; la datazione proposta alla prima metà del sec. 8° potrebbe forse essere calibrata dal raffronto con s. tardoantichi e altomedievali ritrovati a Poitiers e Bordeaux, ma stringente appare la connessione avanzata con Disentis (Camus, 1996, p. 60) sulla base di una volumetria ferma, anche se sostanziata da un risalto plastico più risentito, e dell'integrazione essenziale, anche a fini descrittivi, con il complemento pittorico.Alla grande quantità - ca. diecimila - di frammenti ritrovati nella chiesa di St. Martin a Disentis (Klostermus.), durante gli scavi del 1906-1909 e 1980-1983, corrisponde una straordinaria diversificazione proporzionale e compositiva. Nonostante lo studio dei materiali sia ancora in corso, si identificano elementi architettonici, soprattutto arcate e colonnine dalla tenuta geometrizzante e semplificata, che probabilmente inquadravano figure secondo uno schema compositivo di antica tradizione. Sono stati individuati tre gruppi di figure, a grandezza naturale o leggermente inferiore al naturale e piccole dimensioni, con teste frontali, di tre quarti e di profilo; mentre i piedi risultano quasi sempre laterali e di profilo, varia risulta la disposizione delle mani, chiuse a pugno o aperte in gesti di allocuzione e benedizione o atteggiate per reggere oggetti, con una resa di volta in volta accurata o stilizzata delle dita. Sono state identificate figure di apostoli e di evangelisti, in relazione a frammenti di un toro e di un'aquila, mentre rimangono resti di iscrizioni su nimbi dorati. È stata ipotizzata una teoria di apostoli o santi a decorare le pareti della chiesa II di St. Martin, ma non è per ora sicuro se si trattasse di figure isolate o di scene figurate. Il plasticismo compatto, talvolta sommario, delle figure e dei volti era comunque esaltato dalla vivacità della colorazione - rosso carne, cinabro, rosso scuro, marrone scuro, giallo ocra, blu grigio e grigio scuro tendente al nero -, mentre certi particolari del panneggio fanno pensare che l'individuazione della forma fosse soprattutto affidata al complemento pittorico. Un gruppo di frammenti numericamente inferiore mostra comunque una qualità più alta, tanto da presupporre la provenienza dall'abside centrale. Sono stati ritrovati anche elementi del dettaglio architettonico e frammenti decorativi fortemente stilizzati, elementi vegetali, stelle, palmette, meandri, intrecci, che si integravano alla superficie parietale dipinta. I frammenti pittorici risultano comunque meno numerosi di quelli in stucco.Per l'area svizzera, si possono citare soltanto ritrovamenti, forse di età carolingia, a San Gallo, a Mistail, nella cattedrale di Losanna e di Coira, a Zillis, mentre consistente risulta l'insieme di quattrocentottanta frammenti provenienti dagli scavi della cattedrale di Ginevra e comprendenti motivi vegetali, a intreccio, figurazioni animali, elementi architettonici e resti decorati a meandro della recinzione della chiesa a tre navate.Agli inizi del sec. 9°, il distacco dai riferimenti classicheggianti e tangenze con tematiche insulari, tipiche della miniatura, caratterizzano gli s. della parete orientale di S. Benedetto a Malles (Malles, S. Benedetto; Bolzano, Mus. Civ.), in cui un'intelaiatura architettonica in s. sottolinea il profilo delle tre nicchie. Alle semicolonne con intrecci traforati e ai capitelli a foglie, volute ed elici, includenti teste umane o figure fantastiche, erano sovrapposti animali accovacciati, mentre, in corrispondenza della nicchia centrale più alta, un secondo capitello, appoggiato sul dorso del mostro, mediava l'attacco della ghiera; di essa si conserva eccezionalmente la sinopia, che restituisce la giunzione di un motivo 'a esse' e di un'ornamentazione 'a cima d'onda', cui è seguita, con una significativa variante, l'applicazione di un'arcata in s. decorata con intrecci a occhielli. La cornice a intreccio dipinto in nero sul profilo chiaro delle nicchie è tuttavia indizio di un'impostazione unitaria del partito plastico e pittorico. Integrazioni e sottolineature pittoriche sugli s. incidono la modulazione ferma del rilievo nel segno di una pregnante vitalità plastica. Molto vari, comprensivi anche di elementi figurati e vicini a Disentis, risultano i pezzi ritrovati a S. Pietro di Quarazze (Bolzano, Mus. Civ.), datati al 9° o 10° secolo. La stessa incertezza cronologica riguarda l'elaborazione del dettaglio architettonico della cripta di S. Michele a Olevano sul Tusciano (prov. Salerno).Tra gli s. di età carolingia, qualche tangenza con Cividale e Brescia si può riconoscere negli s. che ornavano l'oratorio di Germigny-des-Prés eretto da Teodulfo, vescovo di Orléans e abate di Fleury (799-818), e che si conservano in stato frammentario al Mus. Historique et Archéologique di Orléans. L'ornamentazione in s., in stretto rapporto con i mosaici, configura elementi del dettaglio architettonico, ritessendo tematiche classicheggianti e di ispirazione orientale, con echi di s. sasanidi e omayyadi; i motivi che possono ricordare Cividale e Brescia evidenziano tuttavia un'emergenza plastica più contenuta e di tenuta uniforme. Le sole testimonianze dell'utilizzo dello s. in Borgogna in età carolingia sembrano essere rappresentate dai frammenti scoperti nella chiesa abbaziale di Saint-Benoît-sur-Loire e da una sorta di 'falso capitello', applicato alla colonna N-O della cripta di Saint-Germain ad Auxerre, caratterizzato da un'elaborazione semplificata, a un solo giro di foglie lisce; per la Francia carolingia si deve menzionare anche la c.d. cripta di Saint-Laurent di Grenoble, senza tralasciare che a Saint-Riquier erano ex gypso figuratae scene della Natività, della Passione, della Risurrezione e dell'Ascensione (Deschamps, 1962, p. 179).Estremamente significative e ben documentate risultano le testimonianze di Hildesheim e Corvey, anche nella direzione di una conferma dell'esistenza di figurazioni monumentali in s. nel corso del 9° secolo. Entro le due lunette sovrastanti le porte di accesso alla cripta del duomo di Hildesheim, la figura di Cristo è campita a N tra quattro figure reverenti, mentre a S Cristo ha come seggio una sfera a rappresentare la terra ed è affiancato da due figure. Se la lunetta sud rappresenta, almeno parzialmente, la realizzazione finale con l'addizione degli strati successivi, quella nord documenta la fase iniziale dell'applicazione dello s., con incisioni sul primo strato in corrispondenza della figura di Cristo per garantire una maggiore aderenza, e quindi sinopie come a Corvey. Si trattava probabilmente dell'Incoronazione di santi (Brandt, Emmenegger, 1996, pp. 75-76), un tema che si connetteva forse alla dislocazione delle figurazioni sovrastanti le porte di accesso alla cripta del duomo consacrato dal vescovo Alfredo nell'872 (un analogo soggetto era dipinto all'ingresso della cripta di Saint-Germain- ad Auxerre, da dove il vescovo aveva fatto venire delle reliquie). L'andamento flessuoso delle figure e l'armonica modulazione del panneggio suggeriscono connessioni stilistiche con l'avorio delle Nozze di Cana del British Mus. di Londra, datato alla seconda metà del sec. 9° e ricollegabile all'ambito del Salterio di Utrecht (Bibl. der Rijksuniv., 32).Recenti lavori di restauro al Westwerk di Corvey hanno portato alla scoperta di sinopie in terra rossa nel vano centrale della chiesa a tribune, detta coro di s. Giovanni: nei settori di parete sovrastanti le arcate sono emerse, a N e a S, due figure maschili frontali in abiti civili, con tunica e clamide, e a S due figure femminili poste di tre quarti, vestite di tunica e pallio, con le mani protese, velate, a reggere oggetti non identificati, mentre altri tratti rossi orizzontali risultano segni di posizionamento per le figure, anche in relazione all'utilizzo del tracciato di una corda. La predisposizione delle sinopie per una decorazione in s. - e segnatamente per trentasei frammenti ritrovati nel 1960 - è confermata dall'esistenza di tasselli in legno di quercia intorno ai contorni delle sinopie stesse e in corrispondenza delle giunture del tessuto murario - il frammento maggiore in s. reca due intacchi corrispondenti ai fori della parete -; inoltre la presenza intorno alle sinopie di tracce dello stesso colore degli affreschi sovrastanti conforta l'opinione che i pittori fossero attivi mentre ancora non erano stati eseguiti gli s. e che insieme lavorassero i frescanti e i pittori delle sinopie. Sulla superficie muraria retrostante le sinopie sono presenti blocchi lapidei conformati a disco attraverso l'applicazione di bande di malta spesse anche cm 5, che tuttavia non presentano patine e quindi segnali di lunga esposizione, quasi si trattasse di una decorazione presto occultata; se l'abate Adalgar (856-877) nell'873 aveva posto le fondamenta del Westwerk, consacrato nell'885, dopo il breve intervallo di due abati (877-879), l'abate Bovo I (879-890) si fece forse promotore di un nuovo programma decorativo, che potrebbe trovare nell'inizio del suo abbaziato un termine post quem (Claussen, 1996, p. 67). Le proporzioni monumentali delle sei figure in s. dovevano armonicamente rapportarsi agli elementi del dettaglio architettonico e ai fregi affrescati, sottolineando l'importanza del vano centrale del Westwerk, all'interno di un programma iconografico che si recupera solo parzialmente e di una generale applicazione di procedimenti decorativi policromi.L'impostazione frontale del clipeo proveniente da Solnhofen (Monaco, Prähistorische Staatssammlung), la cui ascrizione al sec. 9° non è concordemente accettata, caratterizza anche la lastra tombale di una monaca a Drübeck, la cui cronologia oscilla dalla prima metà del 10° al 12° secolo. La stretta connessione con l'articolazione architettonica si coglie nella scansione ad arcate ribassate su semicolonnine applicate alle nicchie parietali della cripta di St. Servatius a Quedlinburg, datata intorno al 965; nel sarcofago di Walbeck del conte Lotario II, alla sequenza architettonica dei fianchi si aggiungono sul bordo i temi dell'intreccio, ampiamente utilizzati fino al sec. 12°, mentre suggerisce una data forse avanzata verso la metà del sec. 11° la graduata e ferma volumetria della testa e della figura frammentarie ritrovate in St. Michael a Hildesheim, già sostanziate delle esperienze del cantiere di Bernoardo di Hildesheim (993-1022).
Le frammentarie testimonianze superstiti devono essere integrate con le numerose citazioni relative alla decorazione architettonica transalpina in s. di ambito carolingio e ottoniano (Clemen, 1916, p. 48ss.).La decorazione del ciborio e della zona presbiteriale di S. Ambrogio a Milano rappresenta uno dei momenti più alti, ma anche più problematici, della plastica in s., segnale di una discriminante stilistica e cronologica a lungo dibattuta tra lo scadere del sec. 10° e la piena età romanica. Forse in previsione della rielaborazione della zona presbiteriale, che aveva tuttavia rispettato l'originaria dislocazione dell'altare determinandone solo un lieve innalzamento, il ciborio ricevette una decorazione in s. con quattro frontoni, profilati da modanature architettoniche, e capitelli con aquile che trattengono pesci negli artigli; sulle fronti sono raffigurate a O la Traditio legis, a E S. Ambrogio, sovrastato da una figura di piccole dimensioni (forse il fanciullo che secondo la tradizione lo avrebbe acclamato tra la folla), tra i ss. Gervasio e Protasio, due figure laterali prostrate, un vescovo con il modellino del ciborio e forse un chierico. Un recente intervento di restauro ha portato alla luce tracce di policromia forse trecentesca e indizi di quella originaria, che doveva essere vivace, secondo quanto si ricava anche dalle tracce emerse in corrispondenza dei sottarchi. Abbandonata la datazione tarda del ciborio (secc. 11°-12°), la critica si è orientata verso l'ultimo trentennio del sec. 10° sulla base dei connotati iconografici e stilistici. Sui lati sud e nord, ai lati di un santo vescovo e di Maria/Ecclesia, nei due personaggi maschili e femminili vengono identificati i sovrani Ottone I e Ottone II con le rispettive consorti Adelaide e Teofano (anche la corta veste corrisponderebbe a quella indossata dai sovrani in occasione dell'incoronazione). L'articolazione complessa del panneggio, siglato da tagli lineari che riportano il plasticismo traspirante delle figure verso il piano di fondo, si connette agli avori milanesi di età ottoniana, e segnatamente all'avorio Trivulzio (Milano, Castello Sforzesco, Civ. Raccolte di Arte Applicata) e alla situla del vescovo Gotofredo (Milano, Tesoro del Duomo). A questo contesto stilistico sembra appartenere anche il busto clipeato di Ambrogio, esemplato sull'effigie del santo del mosaico di S. Vittore in Ciel d'Oro e proveniente dal presbiterio, che subì importanti trasformazioni nell'11° secolo. I vertici della campata del coro rettangolare furono sottolineati da modanature architettoniche in s., con colonne, capitelli e ghiere a girali vegetali, mentre nell'abside l'intelaiatura delle finestre era connessa a una cornice orizzontale modanata. Di questa importante decorazione, distrutta durante i restauri ottocenteschi, rimangono due dei quattro capitelli corinzieggianti del coro, sovrastati dai simboli degli evangelisti Marco e Luca; anche se i rimaneggiamenti e gli interventi restaurativi non permettono di ricostruire la successione delle fasi, ci si è chiesti se tale significativa rielaborazione non risultasse complementare rispetto all'articolazione decorativa nel suo complesso, con la serie dei vescovi dipinti sulle pareti dell'abside e i resti della decorazione pittorica a finti marmi della parete nord del presbiterio.
Nel corso del sec. 11°, in Italia settentrionale il perdurare di moduli e schemi di derivazione ottoniana sostanzia episodi di semplice sopravvivenza, ma anche di vitale continuità, nutrita di consapevoli riferimenti alla classicità e di ritessiture altomedievali (nella figura perduta di S. Caprasio ad Aulla si coglievano relazioni con la plastica ottoniana del tardo sec. 10° e con la margella da pozzo di S. Bartolomeo all'Isola a Roma). L'utilizzo dello s. come complemento dell'affresco doveva suggellare membrature architettoniche di semplice definizione strutturale, come nella chiesa di S. Pietro ad Acqui, eretta dal vescovo Primo (989-1018) - di cui si percepiva soprattutto il riferimento alla decorazione affrescata a intrecci e girali dei pilastri ottagonali -, ma con lo s. si configurano elaborazioni raffinate sostitutive della pietra, come i dischi traforati con draghi rampanti ai lati di un albero fantastico dell'atrio dell'abbazia di Pomposa (due plutei e resti frammentari di incerta datazione si conservano nel Mus. Pomposiano). Tuttavia, entro la compagine architettonica estremamente innovativa di S. Maria Maggiore a Lomello l'affresco incide l'estensione delle arcate trasversali e figure in s. articolano la parete muraria, forse in connessione con una sequenza di arcate su colonnine; si tratta di figure dal modellato corposo, arginato da profilature lineari di valore costruttivo e ritmico, che fanno riferimento al piano frontale, mentre una tenuta plastica sintetica e marcatamente linearistica caratterizza, come nell'abside di S. Ambrogio, i frammenti ornamentali a girali e fogliami (Romanini, 1968). La scarsità numerica dei frammenti - con ornamentazione vegetale, geometrica e figurale - ritrovati negli scavi della cripta di S. Lorenzo a Cremona non impedisce l'accorpamento alla plastica in s. di area lombarda dei primi decenni del sec. 11°, mentre un tema di derivazione tardoantica, spesso presente a scandire registri affrescati, declina anche il fregio in s., a tau e tabelle con pesci, posto sul diaframma murario che separa la navata centrale da quella sud di S. Fruttuoso di Capodimonte presso Camogli; tangenze con la miniatura, ma anche con i capitelli di S. Tommaso a Genova (Genova, Mus. di S. Agostino), si riscontrano negli elementi fitomorfi e zoomorfi dei due plutei frammentari emersi dal materiale di scavo, quasi un'anticipazione dei plutei di S. Pietro al Monte a Civate. L'applicazione di un partito architettonico a semicolonne e arcate in s. all'emiciclo absidale delle cripte a oratorio si documenta in una delle semicolonne di S. Dalmazzo a Pedona, dove si conservano anche frammenti ascritti al sec. 8°, e nella cripta della cattedrale di Saint-Jean-de-Maurienne, in Savoia, nella quale l'elaborazione del dettaglio architettonico combina il tema delle foglie a palmetta con l'intreccio; si devono inoltre ricordare un frammento proveniente dalla cripta di S. Maria Assunta, alla Badia fiorentina, e i frammenti di S. Michele Arcangelo a Lamoli.Allo scadere del sec. 11°, nel segno di un integrale rivestimento pittorico e plastico delle membrature architettoniche, gli s. di S. Pietro al Monte a Civate danno forma alla ghiera a festone vegetale della grande lunetta orientale, alle colonne e capitelli, ai plutei che tripartiscono l'abside, al ciborio e alla configurazione della cripta, anche attraverso scene figurate in aderenza all'emiciclo absidale. Se le modanature architettoniche sono improntate a una grande varietà di temi decorativi e ad accentuazioni plastiche graduate - fino alle risoluzioni appiattite come semplici cordonature dei plutei -, nelle rappresentazioni figurate si individuano tangenze con gli s. di area lombarda, ma anche echi della miniatura ottoniana e della scultura lignea, con particolare riferimento alle porte del duomo di Colonia. All'interno di un unitario progetto decorativo, è stata riconosciuta l'opera di due maestri, di cui il primo sarebbe autore della Dormitio Virginis e della Crocifissione nella cripta, mentre l'altro, che si caratterizza per un plasticismo accentuato e inciso, avrebbe eseguito la Presentazione al Tempio della cripta e il ciborio, strutturato come quello di S. Ambrogio a Milano, ma differenziato negli esiti formali e semantici: le quattro figurazioni delle fronti, con la Crocifissione, le Marie al sepolcro, l'Ascensione e la Traditio clavium, sottolineano il significato salvifico forse in relazione con la funzione penitenziale dell'edificio chiesastico.Sembrano radicate alla cultura dei maestri di Civate più che ai moduli della scultura in pietra le figure in s. ricomposte in un altare a Vigolo Marchese, e vicini a Civate appaiono anche gli s. della Ulrichskapelle nel monastero di S. Giovanni a Müstair, nella quale le modanature architettoniche sono sottolineate da una ghirlanda, da foglie a palmetta e grappoli d'uva, mentre i simboli degli evangelisti e quattro angeli sono posti all'attacco della volta e in chiave d'arco; accanto al tradizionale innesto dello s. sulle membrature architettoniche della cappella, vanno ricordati, nella chiesa, manufatti isolati, come il pannello, prossimo cronologicamente agli s. della cappella, con il Battesimo di Cristo e la discussa figura di un sovrano, tradizionalmente identificato con Carlo Magno, peraltro assai integrata, per la quale sono state avanzate proposte cronologiche assai differenziate, dall'età carolingia alla seconda metà del 12° secolo. L'importanza della produzione in s. nell'area alpina alla fine del sec. 11° è documentata dai frammenti ritrovati negli scavi della chiesa di Suhr presso Aarau, in Svizzera, ancora da indagare a fondo, e dalle figure di S. Giorgio di Castro, S. Remigio di Corzonesco, in Canton Ticino, forse degli inizi del sec. 12°, e dai frammenti di S. Martino di Olivone, per i quali il precedente di Civate sembra risultare l'ancoraggio più sicuro.
Nel corso del sec. 12°, in Italia e in Francia l'utilizzo dello s. venne soppiantato dalla scultura in pietra, che sottolineò con un nuovo, pregnante linguaggio plastico nodi fondamentali di membrature architettoniche scandite strutturalmente. In Italia settentrionale, l'integrazione con stilemi della plastica in pietra -nella volumetria sintetica, nel panneggio rigido e nelle fisionomie geometrizzanti - viene evidenziato da episodi isolati di cronologia attardata, quali i due busti del Civ. Mus. Cristiano di Brescia e il pulpito con i simboli degli evangelisti di S. Stefano a Bologna. Ancora a Bologna, tra il materiale di scavo relativo a una delle chiese demolite per la costruzione di S. Petronio, si segnala il ritrovamento di frammenti con elementi vegetali, ascritti alla prima metà del 14° secolo.Del tutto autonoma rispetto alla cultura figurativa locale, piuttosto legata al contesto arabo-normanno e con assonanze campane e pugliesi, risulta in Abruzzo l'attività di stuccatori pertinenti alla c.d. scuola rogeriana, che si configura in riferimento all'attività di tre maestri (Ruggero, il figlio Roberto e Nicodemo) e in relazione all'ambone della chiesa di S. Maria in Valle Porclaneta presso Rosciolo, firmato da Roberto e Nicodemo e datato 1150 - nella stessa chiesa il ciborio non reca alcuna firma -, al ciborio dell'abbaziale di S. Clemente al Vomano, firmato da Roberto e dal padre Ruggero, all'ambone di S. Maria del Lago a Moscufo, firmato e datato da Nicodemo nel 1159 e commissionato dall'abate Rainaldo, all'ambone della chiesa di S. Stefano a Cugnoli del 1166, che non risulta firmato ma è sicuramente pertinente al gruppo. Caratteristiche risultano la struttura degli amboni a colonne reggenti arcate, anche trilobate, e la cassa decorata con fregi, simboli degli evangelisti e scene figurate. Sono ascritti alla stessa scuola anche il ciborio conservato nella chiesa di S. Cristinziano a San Martino sulla Marrucina presso Guardiagrele, distrutto nel 1919, e i frammenti erratici di un ambone o ciborio rinvenuti presso l'abbazia di San Clemente a Casauria. Dagli inizi del sec. 12°, nella Calabria normanna, i frammenti di S. Maria di Castello di Castrovillari e della chiesa della Panaghia di Rossano, ora al Mus. Naz. di Reggio Calabria, le lastre di S. Maria di Terreti (Reggio Calabria, Mus. Naz.) e i frammenti di S. Maria del Mastro e della Nunziatella di Gerace - con racemi intrecciati a formare orbicoli in cui sono campiti animali contrapposti e affrontati - rivelano la compresenza di motivi bizantini e islamici, anche di ascendenza sasanide, mediati attraverso manufatti tessili ed eburnei. Nel caso di Gerace, accenti prettamente islamici motivano l'apporto di maestranze arabe, analogamente a quanto attestato per la Sicilia, dove si possono ricordare: i frammenti provenienti dalla chiesa dei Ss. Pietro e Paolo a Itàla (Messina, Mus. Regionale); le lastre frammentarie di S. Giuliano (Caltagirone, Mus. Regionale della Ceramica); le stalattiti e fasce iscritte della Zisa, le iscrizioni arabe e pseudoarabe della Martorana, le transenne di finestre della Martorana, di S. Giovanni degli Eremiti, con cristalli colorati montati nei trafori, a Palermo, e quelle di S. Francesco a Messina.In Francia, la persistenza dello s. alle soglie dell'età romanica è attestata dai capitelli di Saint-Remi a Reims, anteriori alla consacrazione del 1049. In alcuni esemplari, il repertorio vegetale è unitariamente costituito da palmette verticali a estremità morbidamente ripiegate, secondo moduli stilistici che sono stati ricondotti a manoscritti anglosassoni o a capitelli ottoniani come quelli della cripta dell'abbaziale di Werden; nei capitelli figurati, la modulazione delicata di atlanti e uccelli risulta soltanto applicata al piano di fondo, nel segno della continuità con la tradizione piuttosto che dell'apertura verso il linguaggio plastico romanico. Accanto ai capitelli della chiesa d'Issy-l'Evêque, nel sec. 12°, si devono ricordare le ghiere in s. delle nicchie absidali dell'abbazia di Notre-Dame d'Alet-les-Bains e il timpano del portale nord di Saint-Julien di Brioude con la raffigurazione dell'Ascensione, stilisticamente vicina alla coeva scultura in pietra.In Svizzera, si segnalano i frammenti del sec. 13° della collegiata di Schönenwerd e del monastero di Rüti, della cappella del campanile di Mörstburg presso Winterthur, del jubé di Notre-Dame-de-Valère a Sion, delle finestre del castello di Chinon.In Germania l'impiego dello s. anche in funzione architettonica, correlato alla presenza di gesso nella regione dello Harz e a S, si documenta senza soluzione di continuità tra sec. 10° e 14°, manifestando consonanze con la scultura in pietra, nel segno di un comune ancoraggio ai precedenti ottoniani, e quindi a una tradizione lessicale per certi versi ininterrotta, soprattutto in ambito sassone.Il Santo Sepolcro di St. Cyriakus a Gernrode, straordinario e monumentale fulcro delle celebrazioni pasquali, occupa entrambe le campate della navata laterale sud della chiesa. A una figura femminile orante del muro ovest, di identificazione contrastata - forse una prima presentazione di Maria Maddalena secondo il passo di Gv. 20, 21 -, seguono sul muro esterno nord Cristo benedicente a sinistra e la Maddalena a destra ai lati del busto di Cristo, mentre all'interno si conservano la figura frammentaria di un angelo, le Marie al sepolcro e la figura di un vescovo (Metrono) con pastorale e palma del martirio. Intorno al 1100, acquisita la lezione di vitale e dinamico plasticismo delle testimonianze del tempo di Bernoardo di Hildesheim, le figure si caratterizzano per un risalto monumentale di straordinaria evidenza, arginato da pieghe che talvolta ricadono rettilinee o tessono intorno alle forme una trama vibrante di sigle ritmiche, sempre in diretta connessione con il piano di fondo. Allo stesso ambito culturale del Santo Sepolcro di Gernrode si collegano sei figure di apostoli con rotoli e libri della collegiata di Gandersheim, in Bassa Sassonia, forse pertinenti a un pontile, caratterizzate da un impianto colonnare ma da masse plastiche più piene e tornite, profilate da percorsi più sottili delle pieghe, indizi di una cronologia avanzata verso il 1130.
Nell'area tedesca meridionale, tra i frammenti relativi alla configurazione del dettaglio architettonico si possono citare ottocentoventicinque frammenti recuperati nella chiesa di St. Nikolaus a Grosskomburg, ora al Württembergisches Landesmus. di Stoccarda: con centoquattordici pezzi è stata ricostruita una sequenza di arcate su colonne, lisce, ottagonali e tortili, includenti figure aureolate, forse pertinente a una recinzione presbiteriale e risalente all'ultimo periodo dell'abbaziato di Hartwig (1109-1139). Si devono inoltre ricordare i capitelli in stile ionico della terminazione ovest della cripta est del duomo di Bamberga, ascritta al tempo del vescovo Ottone I (1102-1139), i frammenti perduti di Feldbach e di Ensdorf - apostoli e un capitello -, cui si aggiungono una figura di evangelista dell'Augustinermus. di Friburgo in Brisgovia e una testa ritrovata nel 1944 nei lavori della chiesa di Obermünster, ora al Diözesanmus. St. Ulrich di Ratisbona. In Turingia si possono citare i frammenti di Oberndorf presso Arnstadt, di Kapellendorf presso Apolda e quelli del monastero cistercense di St. Georg a Ichtershausen del 1154 ca., comprensivi anche di alcuni pezzi figurati.Echi diretti della scultura in pietra si evidenziano invece nelle figure frammentarie di apostoli provenienti da Clus, quasi un ricalco del timpano del portale sud di Gandersheim in Bassa Sassonia, sia per il canone proporzionale sia per le pieghe appiattite e per la declinazione marcatamente decorativa dei bordi delle vesti; le stesse considerazioni possono risultare valide per le tombe delle badesse Adelaide I (m. nel 1043), Beatrice (m. nel 1062) e Adelaide II (m. nel 1095) in St. Servatius a Quedlinburg, datate al primo trentennio del sec. 12° in relazione alla consacrazione del 1129 da parte di Lotario III, o verso il 1160.Intorno al 1160, entro la cornice semicircolare a palmette del dossale d'altare del duomo di Erfurt (tesoro del duomo), Cristo è posto al centro su di una nuvola, ai lati si trovano i Ss. Adalaro ed Eobano e al di sotto quattro santi per lato, mentre nella nicchia centrale troneggia la statua a tutto tondo della Vergine con il Bambino, caratterizzata da un saldo e compatto impianto plastico e da una chiarezza tettonica connessa anche al candelabro di Wolfram dello stesso duomo; la salda volumetria della Vergine era esaltata dalla colorazione intensa, su cui, quasi come un'aureola di luce, si rifletteva un cono luminoso, proveniente da una monofora stretta e strombata, aperta alle spalle del dossale. Il superamento della compatta rigidità del dossale di Erfurt si ravvisa attorno al 1170 nella fronte della tribuna di Groninga (Berlino, Mus. für spätantike und byzantinische Kunst) con Cristo tra gli apostoli seduti, in cui l'evidenza e la graduazione della massa plastica si fondono con la trama diramata delle pieghe fortemente incise. La figura frammentaria del duomo di Goslar (Domvorhalle) declina formule già presenti a Gandersheim e Groninga, con fluenza più morbida e pieghe diagonali, forse per influsso della pittura o dell'oreficeria renana o dell'intaglio eburneo; un panneggio più franto e indipendente dalla struttura corporea presentano le sei figure di santi e imperatori e la Vergine con il Bambino poste sul muro nord dell'atrio dello stesso duomo di Goslar e datate al 1200 ca., mentre le teste della chiesa benedettina di Hecklingen e i frammenti del convento di Gerbsted (Berlino, Mus. für spätantike und byzantinische Kunst) orientano verso il 1170-1180. Mentre la frammentaria recinzione presbiteriale del coro di St. Servatius a Quedlinburg del tardo sec. 12° declina un'ornamentazione fitomorfa e zoomorfa con un risalto plastico contenuto, la compattezza della volumetria del dossale di Erfurt, appiattita dalla rigidità delle pieghe verticali, ritorna nelle otto figure femminili anteriori al 1186 poste tra le arcate della navata meridionale di St. Michael a Hildesheim; poiché sono otto vengono definite beate, ma in realtà la sequenza doveva continuare sulla navata nord, distrutta nel 19° secolo. Nella stessa chiesa e probabilmente tra il 1193, anno della canonizzazione di s. Bernoardo, e il 1197, data della riconsacrazione dell'altare principale della cripta, la fronte nord della recinzione presbiteriale occidentale, decorata dalle figure della Vergine con il Bambino e di sei santi entro nicchie, sovrastate da cupole ed edifici turriti, rivela il grande livello qualitativo raggiunto da maestranze specializzate nell'impostazione dinamica delle figure e nella sottile graduazione dei volumi dopo le esperienze di Quedlinburg e di Goslar. All'incirca coevi risultano gli angeli posti tra le arcate del lato sud della cantoria nord di St. Michael a Hildesheim, in cui si ravvisano influssi renani.Una delle più significative testimonianze della plastica sassone in s. è rappresentata dalla recinzione del coro della Liebfrauenkirche di Halberstadt, con rilievi in s. dipinto raffiguranti gli apostoli seduti, Cristo e Maria, realizzati intorno al 1200-1210; l'impostazione estremamente varia delle figure si accorda all'andamento diramato e frastagliato del panneggio (Zackenstil), con esiti che sono stati connessi alla plastica dei reliquiari, come lo scrigno di Eriberto (Deutz, Neu St. Heribert, Schatz), il reliquiario di s. Servazio a Maastricht (Schatkamer van de Sint-Servaasbasiliek), quelli di s. Servazio e s. Ursula a Colonia, ma anche a recuperi anticheggianti mediati attraverso le arti suntuarie bizantine. Mentre accenti di morbido plasticismo si ravvisano nei capitelli in s., addossati ai capitelli ottoniani in pietra, e nelle cornici della chiesa del monastero di Drübeck, nella lastra tombale della badessa Agnese di Meissen, (m. nel 1203; Quedlinburg, St. Servatius) la tessitura appiattita del panneggio si sostanzia della sequenza ritmica e stratificata delle pieghe e si accompagna alla modulazione morbida del volto; al confronto si evidenzia la mossa articolazione della veste di un'altra badessa, forse Sofia di Brema (m. nel 1230; Quedlinburg, St. Servatius). Allo stesso ambito si collegano le tre figure di apostoli del lato nord della cantoria della chiesa monastica di Hamersleben, nella quale la cifra stilistica delle pieghe angolate raggiunge esiti di grande naturalezza, mentre i volti sono resi, diversamente che a Halberstadt, con formule stereotipate; nell'abside della stessa chiesa sono state ritrovate tracce della fascia basamentale absidale in stucco. È da ricordare anche l'impiego dello s. nella definizione dei timpani, come quelli della navatella nord di St. Godehard a Hildesheim e della parrocchiale di St. Peter und Paul a Goslar. La scansione ridondante (Schwungfaltenstil) delle pieghe svolazzanti, che caratterizza molte testimonianze figurative databili tra 1220-1230, si evidenzia negli angeli delle pareti laterali della chiesa benedettina di St. Georg und Pancratius a Hecklingen e nelle sei figure di Cristo, della Vergine e apostoli del pulpito della chiesa di St. Maria in horto nel monastero di Neuwerk a Goslar.Sulle testimonianze in s. della seconda metà e del tardo sec. 13°, di cui difficilmente si ricostruisce la successione, si avverte l'influsso dei cantieri di Strasburgo, Bamberga, Naumburg, Magdeburgo, Friburgo.Nella Germania meridionale, oltre alle lastre frammentarie, forse di un tramezzo, ritrovate nella cripta della chiesa di St. Veit a Ellwangen e ai frammenti probabilmente di un pontile della chiesa di St. Moritz ad Augusta, si ricordano le figure sedute sotto arcate trilobate sulla balaustra del matroneo della cappella di St. Georg del castello di Trausnitz presso Landshut in Baviera: ai lati di Dio Padre sono posti S. Giovanni, la Vergine, apostoli e santi, mentre sul piano superiore a sinistra sono raffigurate l'Annunciazione e due figure femminili con baldacchino; entro un complesso che vede attivi più maestri dopo la metà del secolo, si riconoscono riflessi dei cantieri di Chartres e soprattutto di Strasburgo.Proviene dalla casa patrizia dei Dollinger a Ratisbona uno dei rari esempi di decorazione in s. di soggetto profano, ricostruito con calchi nel Municipio (la scena della lotta leggendaria tra Hans Dollinger e l'unno Krako al tempo delle invasioni ungare e la figura a cavallo del re Enrico I); i pezzi conservati (Ratisbona, Historisches Mus., Mus. der Stadt Regensburg), la testa del re e di un cavallo e la figura quasi a tutto tondo identificata come quella di s. Osvaldo, variamente datati tra il 1270-1300, ma anche intorno al 1330, evidenziano la conoscenza della plastica del duomo di Strasburgo, per es. del portale centrale o della lastra tombale di s. Erminold e dell'Annunciazione, ma anche del portale ovest del duomo di Basilea, delle sculture dell'atrio del duomo di Friburgo in Brisgovia, del gruppo dell'Adorazione del duomo di Würzburg.L'utilizzo dello s. nel corso del sec. 14° si documenta nella Germania meridionale con la Vergine di St. Martin a Landshut, con i frammenti della figura di Maria della chiesa di St. Bartholomäus a Francoforte sul Meno intorno al 1420, con le figure di apostoli di St. Martin a Rockolding, con le testimonianze di Vohburg an der Donau in Baviera. Più a N, le quattro figure, dette di donatori, poste a coppie ai lati del coro della chiesa di St. Bartholomäus a Blankenburg sono state avvicinate a quelle del duomo di Naumburg. La S. Anna con la Vergine e il Bambino della Nikolaikirche a Straslunda, datata alla fine del sec. 13°, rappresenta uno dei primi esempi di uno schema iconografico ripreso fino al sec. 15°, con s. Anna raffigurata come una matrona sul trono mentre regge sulle ginocchia la Vergine giovinetta; l'Incoronazione della Vergine del St. Annen-Mus. di Lubecca, del 1300 ca., declina schematicamente formule sperimentate nei decenni precedenti. La presenza dello s. anche in fondazioni legate all'Ordine dei Cavalieri Teutonici si documenta nelle figure di apostoli della chiesa dell'Assunzione della SS. Vergine Maria a Chełmno, intorno al 1330, che presentano un'articolazione complessa e una torsione sull'asse verticale vicina agli apostoli del duomo di Colonia, ai profeti del portale ovest del duomo di Strasburgo, al Santo Sepolcro di Friburgo. Si deve infine ricordare la complessa decorazione della cappella del castello di Marienburg (od. Malbork, in Polonia), sede del gran maestro dell'Ordine, consacrata nel 1344, in cui furono attivi almeno due maestri, con cadenze riprese nelle figure in s. del duomo di Königsberg (od. Kaliningrad), della metà del sec. 14°: nel portale nord sono raffigurate l'Incoronazione, la Morte e la Deposizione della Vergine, in quello sud leggende della croce, il Giudizio finale e l'Assunzione di Cristo e ai lati quattro figure di apostoli.
Soprattutto in ambito germanico si documenta l'utilizzo dello s. per pavimenti, nei quali l'ornamentazione è ottenuta con tracciati incisi e riempiti di s. nero o rosso su fondo chiaro. A Gernrode si conserva un frammento di pavimento in s. rosso con inserti lapidei, a Erfurt entro un fondo a scacchiera sono inseriti clipei con busti di figure femminili coronate e rotoli con iscrizioni che le identificano come le Virtù cardinali, nello Heinrichsmünsters di Basilea, intorno alla metà del sec. 12°, un clipeo è inciso da un doppio solco nero, entro cui è campito un drago. In Turingia, resti di pavimentazione con ornamentazione vegetale e geometrizzante sono stati rinvenuti nella zona del coro e davanti all'altare della collegiata di St. Bonifatius a Grossburschla, mentre nella chiesa di Teutleben motivi vegetali e zoomorfi configurano tracciati geometrizzanti di incerta cronologia (dalla prima metà al tardo sec. 12°). Le tracce dell'antica pavimentazione della chiesa del monastero benedettino di Nienburg (Magdeburgo, Domarchiv.), databili intorno al 1200 e ritrovate duranti gli scavi del 1926 nella zona del coro, hanno restituito la figura di Salomone in trono attorniato dalle virtù teologali e da antichi filosofi, circondato da una cornice a motivi floreali e fantastici; brani della pavimentazione della navata centrale del monastero benedettino di Ilsenburg, databili tra i secc. 12° e 13°, si riferiscono a un tralcio ondulato con animali, a simboleggiare la lotta tra il bene e il male, mentre verso E si conservano elementi del dettaglio architettonico e lastre tombali in s. sono orientate verso l'altare.
bibl:
Fonti. - J. von Schlosser, Schriftquellen zur Geschichte der karolingischen Kunst (Quellenschriften für Kunstgeschichte und Kunsttechnik, 4), Wien 1892; id., Quellenbuch zur Kunstgeschichte des abendländischen Mittelalters (Quellenschriften für Kunstgeschichte und Kunsttechnik, n.s., 7), Wien 1896.
Letteratura critica. - P. Clemen, Die romanische Monumentalmalerei in den Rheinlanden (Publikationen der Gesellschaft für rheinische Geschichtskunde, 32), Düsseldorf 1916; F. Berndt, Stuckplastik im frühmittelalterlichen Sachsen, ihre Bedeutung und Technik, Hannover 1932, p. 66; P. Verzone, Note sui rilievi in stucco dell'alto Medioevo nell'Italia settentrionale, Le Arti 4, 1941-1942, pp. 121-128; P. Toesca, Gli stucchi di San Pietro al Monte di Civate, ivi, 5, 1942-1943, pp. 55-58; G. de Francovich, Arte carolingia ed ottoniana in Lombardia, RömJKg 6, 1942-1944, pp. 115-147; M. Salmi, Stucchi e litostrati nell'Altomedioevo italiano, in Stucchi e mosaici alto medioevali, "Atti dell'ottavo Congresso di studi sull'arte dell'alto Medioevo, Verona-Vicenza-Brescia 1959", I, Lo stucco. Il mosaico. Studi vari, Milano 1962, pp. 21-51; J. Porcher, Les débuts de l'art carolingien et l'art longobard, ivi, pp. 55-60; H. Torp, Due opere dell'arte aulica longobarda, ivi, pp. 60-64; G. de Francovich, Il problema cronologico degli stucchi di S. Maria in Valle a Cividale, ivi, pp. 65-85; N. Rasmo, Note preliminari su S. Benedetto di Malles, ivi, pp. 86-110; I. Müller, Zum Stucco von Disentis, ivi, pp. 111-127; A. Marcos Pous, Resumen sobre el relieve de estuco en España desde de la época tardorromana a la prerrománica, ivi, pp. 128-146; J. Ainaud de Lasarte, La decoración en estuco en Cataluña de la antigüedad a la edad media, ivi, pp. 147-153; M. Vieillard-Troiekouroff, Tables de canons et stucs carolingiens, ivi, pp. 154-178; P. Deschamps, Quelques témoins de décors de stuc en France pendant le haut Moyen Age et l'époque romane, ivi, pp. 179-185; L. Grodecki, Les chapiteaux en stuc de Saint-Remi de Reims, ivi, pp. 186-208; O. Homburger, Über eine Federzeichnung des 10. -11. Jahrhunderts und deren Beziehung zu dem Ciborium in St. Ambrogio zu Mailand, ivi, pp. 209-215; G. Panazza, Gli scavi, l'architettura e gli affreschi della chiesa del Salvatore in Brescia, ivi, II, La chiesa di San Salvatore in Brescia, 1962, pp. 5-205; A. Peroni, La ricomposizione degli stucchi preromanici di San Salvatore a Brescia, ivi, pp. 229-315; R. Salvini, Romanico o alto Medioevo? Il problema cronologico della decorazione di S. Pietro al Monte, Arte lombarda 9, 1964, 1, pp. 61-76; D. De Bernardi, M. Cagiano de Azevedo, s.v. Stucco, in EUA, XIII, 1965, coll. 317-326; A. Šonje, Gli stucchi della basilica eufrasiana di Parenzo, FR, s. III, 44, 1967, pp. 51-68; A.M. Romanini, Stucchi inediti di Santa Maria Maggiore a Lomello, Commentari 19, 1968, pp. 18-39; A. Peroni, Gli stucchi decorativi della basilica di S. Salvatore in Brescia. Appunti per un aggiornamento critico nell'ambito dei problemi dell'arte altomedievale, "1. Kolloquium über frühmittelalterliche Skulptur, Heidelberg 1968", a cura di V. Milojčić, Mainz a. R. 1969, pp. 24-45; M.T. Pinza, Decorazioni in stucco degli edifici di culto di Ravenna, FR, s. III, 48-49, 1969, pp. 31-64; id., Decorazioni in stucco degli edifici di culto paleocristiani di Ravenna. Gli stucchi di S. Vitale, ivi, s. IV, 1, 1970, pp. 151-677; K. Riemann, Polychromierte Bildwerke aus Stein und Stuck des 12. und 13. Jahrhunderts, Palette 36, 1970, p. 15ss.; F. Mancinelli, Iconografia e livelli di linguaggio nella decorazione del complesso abbaziale di Civate, L'Arte, n.s., 4, 1971, 15-16, pp. 13-55; E. Gavazza, Lo stucco, in Le tecniche artistiche, a cura di C. Maltese, Milano 1973, pp. 127-132; H. Torp, Der Tempietto in Cividale und seine Ausstattung. Ein Monument der spätlangobardischen Hofkunst, "3. Kolloquium über spätantike und frühmittelalterliche Skulptur, Heidelberg 1972", a cura di V. Milojčić, Mainz a. R. 1974, pp. 1-13; V.H. Elbern, Zur Gewandbildung an den Stuckfiguren im Tempietto zu Cividale, ivi, pp. 15-20; A. Peroni, La plastica in stucco nel S. Ambrogio di Milano: arte ottoniana e romanica in Lombardia, ivi, pp. 59-119; W. Grzimek, Deutsche Stuckplastik, 800 bis 1300, Berlin 1975; Rilevamento delle decorazioni in stucco altomedievali di Roma, in Roma e l'età carolingia, "Atti delle Giornate di studio, Roma 1976" Roma 1976, pp. 301-318; D. Gioseffi, Scultura altomedioevale in Friuli, Milano 1977; H.P. L'Orange, H. Torp, Il Tempietto longobardo di Cividale, AAAH 7, 1-3, 1977-1979; Tecniche di esecuzione. Materiali costitutivi, Roma 1978; G. Bertelli, Note sugli stucchi della cripta di San Pietro al Monte a Civate, BArte, s. VI, 64, 1979, 3, pp. 69-78; G. Pavan, Il problema della decorazione a stucco nelle basiliche ravennati alla luce degli ultimi ritrovamenti, CARB 27, 1980, pp. 137-165; N. Rasmo, Arte carolingia nell'Alto Adige, Culliano 1980, pp. 19-33; Il ciborio della basilica di Sant'Ambrogio in Milano, a cura di C. Bertelli, P. Brambilla Bacilon, A. Gallone, Milano 1981; S. Spada Pintarelli, Stuck- und Freskenfragmente aus St. Benedikt in Mals, in N. Rasmo, Karolingische Kunst in Südtirol, Bozen 1981, pp. 41-76; E. Vergnolle, Inventaire du dépôt lapidaire de Saint-Benoît-sur-Loire (Loiret), BAParis, n.s., 17-18, 1981-1982, pp. 39-114; C. Beutler, Statua. Die Entstehung der nachantiken Statue und des europäichen Individualismus, München 1982; P. Périn, L. Renou, Les sarcophages de plâtre, in P. Périn, Collections mérovingiennes du musée Carnavalet, Paris 1985, pp. 707-761; A. Peroni, Stucco e pittura nel S. Benedetto di Malles, in Festschrift Nicolò Rasmo. Scritti in onore, Bolzano 1986, pp. 79-89; R. Grandi, S. Stefano e la scultura bolognese di età romanica, in 7 Colonne e 7 Chiese. La vicenda ultramillenaria del complesso di Santo Stefano in Bologna, cat., Bologna 1987, pp. 141-175; S. Nepoti, Lo scavo di S. Petronio nel 1976, in Archeologia medievale a Bologna. Gli scavi del convento di San Domenico, a cura di S. Gelichi, R. Merlo, Bologna 1987, pp. 31-41; G. Voltini, S. Lorenzo in Cremona: strutture architettoniche e reperti decorativi tra la fine del X e l'inizio dell'XI secolo, AM, s. II, 1-2, 1987a, pp. 215-257; id., S. Lorenzo in Cremona. Strutture, reperti e fasi costruttive dal X al XIII secolo, Cremona 1987b; S. Tavano, Il Tempietto longobardo di Cividale, Udine 1990; E. Russo, Sculture del complesso eufrasiano di Parenzo, Napoli 1991; A. Weyer, Zur frühmittelalterlichen Stuckdekoration des Klosters Disentis. Die unfigürlichen Stuckfragmente aus den Grabungen 1906-1934, ZSchwAKg 49, 1992, pp. 287-314; P. Périn, Les sarcophages mérovingiens de plâtre moulé et orné de Paris et de Saint-Denis: état de la question, Antiquité tardive 1, 1993, pp. 147-151; A. Peroni, Riflessioni sul rapporto tra architettura e stucco nella basilica eufrasiana di Parenzo e nel San Salvatore di Brescia, in Scritti in onore di Gaetano Panazza, Brescia 1994, pp. 101-115; H. Claussen, Karolingische Stuckfiguren im Corveyer Westwerk. Vorzeichnungen und Stuckfragmente, Kch 48, 1995, 521-534; G. Di Gangi, Alcuni frammenti in stucco di età normanna provenienti dagli scavi medievali di Gerace, AM, s. II, 9, 1995, 1, pp. 85-103; C. Sapin, Les stucs de Saint-Jean-de-Maurienne, CahA 43, 1995, pp. 67-100; Z. Ujčić, Le décor stuqué de la chapelle méridionale de la basilique Sainte-Marie Formosa à Pule, in Hortus artium medievalium, Journal of the International Research Center for Late Antiquity and Middle Ages 1, 1995, pp. 117-125; M. Azarnoush, M. Rautmann, Stucco and Plasterwork, in The Dictionary of Art, XXIX, London 1996, pp. 813-818; G. Binding, Stuck - Plastik, in Lex. Mittelalt., VIII, 1996, coll. 251-252; M. Exner, Zur Stuckplastik des frühen und hohen Mittelalters, in Stuck des frühen und hohen Mittelalters. Geschichte, Technologie, Konservierung, "Tagung des Deutschen Nationalkomitees von ICOMOS, Hildesheim 1995", a cura di M. Exner, München 1996, pp. 9-16; H. Kühn, Was ist Stuck?, ivi, pp. 17-24; A. Peroni, Frühmittelalterlicher Stuck in Oberitalien. Offene Fragen, ivi, pp. 25-36; P. Casadio, T. Perusini, P. Spadea, Zur Stuckdekoration des "Tempietto Longobardo" in Cividale: Technische und naturwissenschaftliche Untersuchungsergebnisse, ivi, pp. 37-51; M. Wyss, Les stucs du Haut Moyen Age découverts à Saint-Denis, ivi, pp. 52-55; M.T. Camus, Les stucs peints de Vouneuil-sous-Biard, ivi, pp. 56-60; H. Claussen, Vorzeichnungen und Fragmente karolingischer Stuckfiguren. Neue Funde im Corveyer Westwerk, ivi, pp. 61-71; M. Brandt, O. Emmenegger, Frühmittelalterlicher Stuck im Hildesheimer Dom, ivi, pp. 72-78; R. Möller, Zur Farbigkeit mittelalterlicher Stuckplastik, ivi, pp. 79-93; E. Rüber-Schütte, Zum mittelalterlichen Stuck in Sachsen-Anhalt, ivi, pp. 94-106; U. Sareik, Beispiele romanische Stuckarbeiten in Thüringen, ivi, pp. 107-110; P. Turek, Untersuchungen an den Stuckdekorationen von St. Michael in Hildesheim, ivi, pp. 111-118; H.F. Reichwald, Die Stuckfragmente aus den Grabungen 1965-1971 in der ehemaligen Stiftskirche St. Nikolaus auf der Grosskomburg, ivi, pp. 119-129; F. Kobler, Süddeutschland als Stuckprovinz, ivi, pp. 130-139; A. Perugini, Der Ambo von Moscufo und Beobachtungen zur Stucktechnik in den Abruzzen, ivi, pp. 140-149; B. Recker, Konservierter Stuck im Aussenbereich. Die Reliefs der Goslarer Domvorhalle, ivi, pp. 150-155; A.M. Iannucci, Repertori ravennati, in Lo stucco da Bisanzio a Roma barocca, Ravenna e l'Emilia Romagna: i segni di una tradizione interrotta, "Atti della Giornata di studi, Ravenna 1994", a cura di S. Onda, S. Celeghin, Venezia 1996, pp. 55-71; G. Pavan, Il problema della decorazione a stucco nelle basiliche ravennati, ivi, pp. 151-166; O. Emmenegger, Gipsstuck und Kalkstuck. Geschichte, Technik und Restaurierung, Kunst + Architektur in der Schweiz, 1997, 4, pp. 6-12; H.R. Sennhauser, Frühund hochmittelalterlicher Stuck in der Schweiz, ivi, pp. 13-23; I. Plan, Le stuc dans le décor de l'ancien groupe épiscopal de Genève, ivi, pp. 24-32; R. Böhmer, Die Stuckfigur Karls des Grossen in Müstair, ivi, pp. 62-65; A. Frondoni, San Fruttuoso: gli stucchi, in Christiana Signa. Testimonianze figurative a Genova fra IV e XI secolo, cat. (Genova 1998-1999), Genova 1998, pp. 23-24.A. Segagni Malacart
Il repertorio decorativo delle opere in s. islamiche è caratterizzato da numerosi motivi geometrici, floreali e fitomorfi, ma anche da rappresentazioni figurative (animali, creature favolose, motivi dell'iconografia imperiale). Del sistema ornamentale geometrico fanno parte per lo più forme semplici (quadrati, esagoni, ottagoni, forme polilobate, stelle), che variano e possono essere combinate con elementi floreali e fitomorfi, tra cui palmette e semipalmette, boccioli, fiori, rosette e viticci, spesso reinterpretati e trasformati in elementi astratti. La decorazione figurata in s. si incontra soprattutto nelle regioni dell'Islam orientale: Siria, Palestina, Turchia, Iran e Asia centrale; il frammento in s. raffigurante una sirena dell'alcazaba di Balaguer a Lérida, risalente alla seconda metà del sec. 11°, costituisce una delle poche eccezioni di area occidentale (Ewert, 1971, fig. 42; Hispania Antiqua, 1996, p. 162s., tav. 71). I più antichi rilievi (secc. 7°-8°) in s. a carattere figurato (animali reali e ibridi mitologici, per es. il senmurv) provengono dal grande palazzo di Chāl Tarkhān a 'Ishqābād presso Rayy, in Iran (Filadelfia, Mus. of Art; Thompson, 1976, tav. XXIII), e da Qaṣr al-Ḥayr al-Gharbī in Siria, del 724-743 (Damasco, Mus. Nat.), dove si sono conservate figure di pantera alla catena (Schlumberger, 1986, tav. 69 bis d). Nel grande palazzo di Tirmiz sull'Amū Daryā sul fiume Oxus, nell'Uzbekistan meridionale (sec. 12°), è attestato, nello zoccolo, il raro motivo del doppio leone costituito da due leoni affrontati e addossati, fusi in un'unica figura con la stessa testa (Denicke, 1939, tav. 23), mentre nel palazzo di Qara-Sarāy, dell'epoca di Badr al-Dīn Lu'lu' a Mosul (sec. 13°), si trovano piccole nicchie, all'interno delle quali sono inserite figure, tra cui busti maschili (Sarre, Herzfeld, 1911-1920, tavv. 96-97). Interessanti dal punto di vista iconografico sono anche i pannelli in s. anatolico-selgiuqidi. I rilievi del palazzo estivo 'Alā' al-Dīn Kayqubād a Qubādābād (1236 ca.) mostrano, oltre a pavoni che incorniciano le nicchie, un principe cavaliere con un cane da caccia e un demone (Otto Dorn, 1969, p. 477, fig. 31) che - come la rappresentazione di due cavalieri a cavallo in lotta con il drago o il 'leone del chiosco', del padiglione del palazzo selgiuqide (sec. 13°) a Konya (Istanbul, Türk ve Islam Eserleri Müz., inv. nr. 2831; Sarre, 1909, tav. 3; 1936, tav. 11) - fa parte dell'iconografia regale.Le prime figure in s. a tutto tondo si trovano nei palazzi omayyadi di Qaṣr al-Ḥayr al-Gharbī e di Khirbat al-Mafjar (743-744), il cui bagno mostra un repertorio di figure particolarmente inconsueto: una grande statua maschile - certamente riferibile al committente dell'edificio, al-Walīd II - e figure femminili senza vesti, secondo la tradizione sasanide, così come anche sei teste in s. caratterizzate da tratti negroidi in un grande medaglione all'interno della cupola della sala delle udienze (Hamilton, 1959, tavv. 53-56). Figure e teste in s. compaiono nuovamente dopo un rilevante lasso di tempo nel periodo selgiuqide-mongolo (Riefstahl, 1931) soltanto in Persia, da dove proviene anche una figura maschile in s., alta cm 62 (Berlino, Staatl. Mus., Pr. Kulturbesitz, Mus. für Islamische Kunst, inv. nr. I, 2658), con resti dell'originaria pittura in blu, rosso e oro, che presumibilmente faceva parte di una scena di corte (Sarre, 1913-1914).La decorazione delle residenze omayyadi è caratterizzata da rilievi in s. con programmi decorativi a motivi geometrici e fitomorfi per rivestire le pareti realizzate in mattoni crudi o cotti. Mentre i palazzi di Khirbat al-Mafjar e di Qaṣr al-Ḥayr al-Gharbī possiedono, oltre a quella ornamentale, una ricca decorazione a carattere figurato, in epoca abbaside, nei palazzi eretti da Hārūn al-Rashīd tra il 786 e l'809 (170-193 a. E.) presso l'Eufrate a Raqqa/Rafīqa, la decorazione in s. - sia pure mantenendo, come in passato, un ruolo preminente - mutò completamente sotto l'aspetto del repertorio in direzione dell'ornato floreale astratto; i tre diversi stili che vi si svilupparono, caratterizzati da un'ornamentazione di tipo fitomorfo dall'intaglio profondo, riconducono tutti a Samarra (Meinecke, 1991). La gigantesca città-palazzo di Samarra presso l'Eufrate (836/883/221 269 a. E.), infatti, possedeva numerosi palazzi e residenze, la cui decorazione interna consisteva soprattutto in rilievi in s. che mostrano tre stili diversi, classificati dall'autore degli scavi come primo, secondo e terzo stile (Herzfeld, 1923) oppure come stile A, B, C (Creswell, 1940). Mentre gli stili A e B sono caratterizzati da motivi floreali (girali di vite), anche in variante decisamente ornamentale, nello stile C, denominato anche 'stile a taglio obliquo', è da riconoscere un'evidente resa astratta. Tale bevelled style (stile smussato), tipico di Samarra, godette in epoca abbaside di un'ampia diffusione (i confronti più vicini si trovano al Cairo, nella moschea di Ibn Ṭūlūn) e venne riprodotto anche in altri materiali (per es. su legno, marmo, vetro; Ettinghausen, 1952).
Le più antiche opere in s. islamiche dell'Iran si riallacciano da un lato a modelli sasanidi, come attestano i pannelli di s. di Chāl Tarkhān (seconda metà del sec. 7°-sec. 8°; Thompson, 1976), mentre d'altra parte risulta determinante l'influenza dell'ornamentazione di Samarra (in particolare il secondo stile). La decorazione in s. delle prime moschee iraniche (Sīrāf, Nāyīn, Ardistān) si concentra nella zona del miḥrāb (campata del miḥrāb e campata antistante il miḥrāb), ma pannelli di s. decorano anche la zona dello zoccolo dei riwāq (porticati) così come le arcate (per es. ad Ardistān). Nella moschea del Venerdì a Nāyīn, di epoca buyide (sec. 10°), anche i pilastri della campata antistante il miḥrāb sono rivestiti da girali di vite con grappoli d'uva e da un motivo costituito da un nastro a intreccio con fasce di perle lavorate a stampo che si basano su semplici costruzioni geometriche. Rispetto alla decorazione sostanzialmente bidimensionale delle colonne, alcuni motivi fitomorfi nel miḥrāb interno sono caratterizzati da un plasticismo significativamente più pronunciato (Flury, 1930, tav. 12), sicché si deve presupporre con certezza che queste opere siano state prodotte in epoca più tarda, in età selgiuqide (Finster, 1994, p. 154, tav. 36, 1). Un'eccezione è costituita dal Masjid-i Tarīkh, la moschea Ḥājjī Piyāda, a Balkh in Afghanistan, forse della seconda metà del sec. 9°, le cui pareti erano, a quanto pare, semplicemente intonacate, mentre le colonne e le arcate sono riccamente decorate da girali di vite, nastri a intreccio con motivi fitomorfi e girali (Golombek, 1969, figg. 4, 12-18; Finster, 1994, pp. 177-181). Sia nei palazzi samanidi (Afrasyab, Nīshāpur, sec. 9°) sia in quelli ghaznavidi (Lashkar-i Bāzār, in Afghanistan, sec. 11°) i rilievi in s. rivestono un ruolo importante (Franz, 1984, figg. 41-45, 47, 61-62). I pannelli e capitelli in s., ancora poco noti, del palazzo di Chulbuk - di datazione incerta (secc. 9°-10° o 11°) - nel Tagikistān meridionale (Gulyamova, 1978; Oxus, 1989, figg. 92-96) mostrano un ampio repertorio ornamentale, che comprende anche figurazioni fra cui soprattutto inseguimenti di animali, ma anche protomi leonine (capitelli in s.).Al tempo dei Selgiuqidi e degli Ilkhanidi la decorazione in s. conobbe le sua massima fioritura, come mostrano soprattutto le moschee del Venerdì selgiuqidi ad Ardistān, Zavāra, Qazvīn e Isfāhān del sec. 12°, dove l'area centrale della nicchia del miḥrāb è ornata da importanti rilievi in s., talvolta su più livelli e da fasce di scrittura calligrafica (Pope, 1965). Anche le madrase (madrasa Ḥaydariyya a Qazvīn), i mausolei e sporadicamente i caravanserragli (Ribāṭ-i Sharaf) mostrano una ricca decorazione in stucco. Il Gunbad-i 'Alawiyyān a Hamadān (seconda metà del sec. 12°), completamente rivestito di s., ne costituisce indubbiamente l'espressione più alta; recenti ricerche hanno dimostrato come, in questo caso, alla decorazione sia sotteso un programma iconografico - comprendente fra l'altro la simbologia del Paradiso - legato a dogmi della fede sciita (Shani, 1996). Rientra ancora nella tradizione selgiuqide la decorazione della moschea a due īvān di Farumād nel Khorasan, del sec. 13°, nella quale la parete del miḥrāb e gli intradossi degli archi sono provvisti di s. a decorazione geometrica All'età ilkhanide risale anche una serie di edifici caratterizzati da un'importante decorazione in s. (Wilber, 1955), per es. il mausoleo di Sulṭān Muḥammad Öljaytü Khudābanda a Sulṭāniyya, nell'Iran settentrionale (1307-1313), dove un apparato di s. costituito da medaglioni, arabeschi e fregi con iscrizioni - realizzato per volontà del committente - ricoprì l'originaria, ricca decorazione in maiolica all'interno della costruzione sepolcrale. Tra le più importanti opere in s. di quest'epoca vanno annoverati inoltre il miḥrāb della moschea del c.d. santuario di Bāyazīd Bisṭāmī (ca. 1310-1313) e il miḥrāb della sala di preghiera invernale datata al 1310/710 a. E. nella Masjid-i jāmi' di Isfahan (Sourdel, Spuler, 1973, pp. 306, 308s., tav. 44); a Bisṭām è stato tramandato il nome dell'architetto, Muḥammad ibn al-Ḥusayn ibn Abī Ṭālib di Dāmghān, il quale fu probabilmente responsabile della decorazione in stucco.Nell'architettura timuride (1370-1506) - caratterizzata essenzialmente dal rivestimento degli edifici con ceramica invetriata colorata realizzata in varie tecniche - la decorazione in s. perse importanza, conservando tuttavia lo stesso ruolo significativo che aveva in precedenza per la costruzione e per il rivestimento delle volte e delle cupole. Ne sono esempi la cupola centrale e alcune volte della moschea funeraria di Aḥmad Yasavī a Turkestan nel Kazakistan (1397-1398), così come le insolite volte a muqarnas in s. dipinto della madrasa Ghiyāthiyya a Khargird nel Khorasan, del 1442-1446 (Golombek, Wilber, 1988, figg. 224, 227). Della stessa epoca si sono conservati in Iran edifici timuridi concentrati a Qumm, che presentano decorazioni in s. dal carattere arcaizzante (O'Kane, 1984).In Anatolia, regione caratterizzata da una lunga ed eccellente tradizione di lavorazione della pietra, la decorazione in s. svolse in epoca selgiuqide nei secc. 12° e 13° un ruolo di secondo piano. La maggior parte dei rilievi in s., di media qualità, proviene dai palazzi di Konya e di Qubādābād, mentre nelle moschee esso veniva impiegato soltanto sporadicamente; gli esempi migliori sono il fregio e il medaglione in s., realizzati come altorilievi, del miḥrāb di ceramica invetriata, datato al 1289-1290, della Arslanhane Cami ad Ankara (Öney, 1978, fig. 66). Nell'epoca degli emirati così come in epoca proto-ottomana (secc. 14°-15°), la decorazione in s. fu priva di grande importanza.Nel Maghreb lo s. ebbe, dal sec. 9° al 15° un ruolo essenziale nella decorazione di moschee e palazzi. Al periodo califfale risalgono gli archi intrecciati, disposti su più livelli, decorati in s., dell'ampliamento della Grande moschea (al-Masjid al-Jāmi') di Córdova del sec. 10°, che si deve ad al-Ḥakīm II (Ewert, 1968), mentre la più ricca decorazione dell'epoca dei regni di Taifas (sec. 11°) - soprattutto arcate - è rappresentata dalla Aljafería di Saragozza (Ewert, 1978-1980).
Per l'epoca almoravide si sono conservate significative opere in s. nella Qubba al-Bārūdiyyīn di ῾Alī b. Yūsuf, la sala destinata alle abluzioni della grande moschea di Marrakech, così come nella moschea al-Qarawiyyīn a Fez (tardo periodo almoravide o prima epoca almohade) con i primi capitelli in s. a tutto tondo (Ewert, 1991, tav. 64 c-f). I campi lavorati a s. nei pennacchi della cupola costolonata della qubba sono ornati da 'reticoli di foglioline' contenenti conchiglie, un motivo insolito (Meunié, Terrasse, Deverdun, 1957, pp. 55-70, figg. 36-39, 95-113; Hispania Antiqua, 1996, p. 108, tavv. 74-77). Gli s. almoravidi di Šīšāwa, nel Marocco meridionale (sec. 11°), con la loro ornamentazione vegetale raffigurante vari tipi di palme e di frutti, vengono considerati l'anello mancante nel passaggio alla decorazione in s. almohade (Ewert, 1987, p. 141ss.), costituita principalmente dalle importanti moschee almohadi di Tinmal e Marrakech (metà del sec. 12°), che presentano lavori in s. di alta qualità. Oltre agli archi dentellati e a numerosi capitelli in s. sono degne di attenzione soprattutto le cupole a muqarnas.Un ultimo momento di splendore di quest'arte venne raggiunto nella decorazione dell'Alhambra, il palazzo dei Nasridi a Granada (secc. 13°-15°), la cui decorazione architettonica è realizzata in gran parte in s.: nella facciata meridionale del Cuarto Dorado - quasi interamente rivestita di s., un tempo policromo (metà sec. 14°) - persino le chiavi degli archi dei portali, importanti dal punto di vista statico, sono costituite da semplice s. (Sourdel, Spuler, 1973, p. 317, fig. 277). Una delle più preziose volte in s. islamiche si trova nella sala de las Dos Hermanas, della seconda metà del sec. 14°: al di sopra di quattro trombe angolari rivestite da una decorazione a muqarnas si innalza, articolata in tre zone sovrapposte, l'alta cupola, costituita da un sistema ridondante di piccole cupole e trombe a muqarnas (Sourdel, Spuler, 1973, p. 319, fig. 282). La Grande moschea di Tlemcen, in Algeria (ca. 1082), mostra un chiaro influsso ispanico-andaluso, documentato anche dalla zona del miḥrāb (1136), riccamente ornata, con cupola in s. a costoloni, a sedici lati, lavorata a giorno (Franz, 1984, p. 153, figg. 151-152).In Egitto la lavorazione dello s. ebbe importanza soprattutto in epoca tulunide, con riferimento a modelli abbasidi, in particolare il bevelled style di Samarra. La zona del miḥrāb, ma anche le arcate della sala di preghiera della moschea di Aḥmad Ibn Ṭūlūn mostrano una ricca decorazione in s.; queste ultime sono accentuate sulla fronte da una bordura che appare come un fregio, mentre gli intradossi sono completamente rivestiti da un'infinita gamma di motivi risultanti da complesse composizioni di nastri intrecciati ed elementi vegetali (Creswell, 1940, tavv. 101-112; Franz, 1984, tavv. 2-3, figg. 2-8). Numerose altre moschee e madrase di epoca fatimide o mamelucca sono ornate da s. importanti : per es. al Cairo le moschee di al-Azhar (Creswell, 1952-1959, I, tavv. 4-11), di al-Ḥakīm, di al-Juyūshī (miḥrāb in s.) del 1085 (Creswell, 1952-1959, I, tav. 48 c), oppure la moschea del sultano Qalāwūn del 1285 (Creswell, 1952-1959, II, tav. 75).L'ambito di impiego dello s. nel mondo islamico è limitato quasi esclusivamente alla decorazione architettonica. A causa della scarsa resistenza del materiale agli agenti atmosferici, la decorazione in s. veniva utilizzata principalmente negli interni e soltanto raramente all'esterno degli edifici, associata per es. a una decorazione in laterizio con inserti in stucco. Costituisce eccezione la residenza omayyade di Qaṣr al Ḥayr al-Gharbī, la cui facciata (Damasco, Mus. Nat.) era rivestita da pannelli di s. (Schlumberger, 1986, tavv. 58-59). I grandi pannelli di s. utilizzati per rivestire le vaste superfici parietali di mattoni, crudi o cotti, caratterizzano i palazzi omayyadi, ma soprattutto abbasidi, laddove i pannelli, realizzati in serie in Schrägschnittstil (stile a taglio obliquo), permisero di erigere in soli pochi anni i grandi palazzi di Samarra senza dover rinunciare a una decorazione in sé compiuta della parete. La parte centrale della moschea, la zona del miḥrāb, viene messa in risalto da una ricca decorazione in s., con la quale si realizzano, tra le altre cose, fasce di scrittura calligrafica. In particolare nelle moschee del Venerdì selgiuqidi, nelle madrase e negli edifici funerari (sec. 12°) dell'Iran e dell'Asia centrale, il miḥrāb viene sottolineato da ornamenti di s. floreali, talvolta in altorilievo. I capitelli in s. sono più diffusi di quanto non si sia ipotizzato in passato; se ne incontrano in Iran e in Asia centrale (Balkh, Chulbuk) e in Egitto (Cairo, moschea di Ibn Ṭūlūn), così come en miniature, come cornice di una transenna di finestra, a Khirbat al-Mafjar (Hamilton, 1959, tav. 53,1). Particolarmente frequenti nel Maghreb (Córdova, Grande moschea, ampliamento di al-Ḥakīm II, capitelli dei pilastri; Fez, Qarawiyyin), sotto gli Almohadi (Tinmal, Marrakech) si diffusero in misura notevolissima. Nella seconda al-Kutubiyya di Marrakech, completata nel 1158, si è conservato il più grande insieme completo di capitelli in s. (ca. duecentocinquanta), tutti completamente diversi l'uno dall'altro per quanto concerne la decorazione (Ewert, 1991). Le arcate a s. della Aljafería di Saragozza (sec. 11°) consistono di una muratura di laterizio rivestita da un sottile intonaco di s. di gesso, in parte costituito da più strati su una base granulosa; si ipotizza inoltre anche la presenza di massicci archi di stucco (Ewert, 1978-1980). I muqarnas - superfici multipartite di volte, articolate in singole celle e costituite per lo più da elementi concavi, disposti l'uno sopra o accanto all'altro, a guisa di mensole (Harb, 1978, p. 12) - sono molto diffusi nelle regioni occidentali e in quelle orientali del mondo islamico. Esempi di cupole di s. sono, nel Maghreb, la cupola della campata antistante il miḥrāb della moschea di Tinmal (sec. 12°), così come le cupole di varie sale dell'Alhambra a Granada (sec. 14°); dei numerosi edifici timuridi va citata la cupola a muqarnas della moschea funeraria di Aḥmad Yasavī a Turkestan (1397-1399). La presenza di transenne di finestra in s. è attestata, per es., a Khirbat al-Mafjar e in diverse moschee del Cairo, mentre nel Maghreb si conservano cupole realizzate a traforo, sia nella Grande moschea di Tlemcen (sec. 11°) sia nella moschea Qarawīyyin di Fez (secc. 11°-12°).Nonostante numerosi edifici islamici di ogni periodo e regione presentino lavori in s., manca tuttora una storia complessiva relativa alla produzione in s. nel mondo islamico. Restando sullo sfondo gli esempi della Mesopotamia (Samarra) e dell'Iran (Sarre, Herzfeld, 1911-1920; Sarre, 1913-1914; Flury, 1913; 1915; 1925; 1930; Pope, 1934b; 1936), a partire dalla fine degli anni Sessanta, grazie a ricerche sistematiche (Ewert, 1968; 1971; 1978-1980; 1987; 1991) sull'arte occidentale, la decorazione in s. ha acquistato un notevole spazio negli studi critici. I rilievi in s. di Samarra vennero suddivisi da Herzfeld (1923) in tre stili coevi: un semplice stile a intaglio obliquo (Stile 1) e due stili entrambi caratterizzati da un intaglio profondo verticale (Stili 2 e 3), mentre Creswell (1940) partì dall'idea di una successione dei tre stili, cambiandone la denominazione (il primo stile divenne stile C, il secondo venne definito stile B e il terzo divenne stile A). Nonostante tale ipotesi si sia imposta, alcune questioni restano aperte. Anche l'ipotesi (Herzfeld, 1923), ampiamente diffusa, che i rilievi in s. venissero realizzati per mezzo di modelli di legno è stata di recente messa seriamente in discussione (Schnyder, 1979), ma una valutazione conclusiva sarà possibile soltanto dopo la definitiva pubblicazione degli s. di Raqqa (Meinecke, 1991), così come di quelli di Madīnat al-Far/Ḥisn Maslāma e Kharab Sejar nella Siria settentrionale, dei quali sono iniziate le indagini. Attende uno studio complessivo l'innumerevole quantità di opere in s. iraniche, così come i numerosi rilievi in s. degli edifici dell'Asia centrale pubblicati in russo. Mentre per l'epoca antica (epoca pre-selgiuqide) esistono delle brevi sintesi (Franz, 1984; Finster, 1994, pp. 150-159), l'unica pubblicazione d'insieme sulle opere in s. persiane (Pope, 1965) è ormai superata perché ne restano escluse datazioni e interpretazioni più recenti (Peterson, 1977; 1994; Shani, 1994; 1996). La datazione delle opere in s. costituisce in generale un problema, perché esse possono essere rinnovate o integrate nel corso dei restauri più facilmente di quanto avvenga per la decorazione in terracotta o in marmo, come nella moschea di Nāyīn o nel mausoleo di Öljaytü a Sulṭāniyya.
Bibl.: F. Sarre, Erzeugnisse islamischer Kunst, II, Islamische Kleinkunst, Leipzig 1909; M. Van Berchem, Une inscription du sultan mongol Uldjaitu, in Mélanges Hartwig Dérenbourg, Paris 1909, pp. 367-378; M. Van Berchem, J. Strzygowski, Amida, Heidelberg 1910; F. Sarre, E. Herzfeld, Archäologische Reise im Euphratund Tigrisgebiet (Forschungen zur Islamischen Kunst, 1), 4 voll., Berlin 1911-1920; S. Flury, Die Ornamente der Hakim und Ashar-Moschee, Heidelberg 1912; id., Samarra und die Ornamentik der Moschee des Ibn Ṭūlūn, Der Islam 4, 1913, pp. 421-432; F. Sarre, Figürliche persische Stuckplastik in der islamischen Kunstabteilung, Amtliche Berichte der Königlichen Kunstsammlungen 35, 1913-1914, pp. 181-189; S. Flury, Die Gipsornamente des Dēr-es-Sūryānī, Der Islam 6, 1915, pp. 71-87; K.A.C. Creswell, Some Newly Discovered Ṭūlūnide Ornament, BurlM 35, 1919, pp. 180-188; E. Herzfeld, Die Gumbadh-i ῾Alawiyyan und die Baukunst der Ilkhane in Iran, in A Volume of Oriental Studies. Presented to G. Browne, a cura di T.W. Arnold, R.A. Nicholson, Cambridge 1922, p. 186ss.; id., Der Wandschmuck der Bauten von Samarra und seine Ornamentik (Forschungen zur islamischen Kunst, 2), a cura di F. Sarre, I, Die Ausgrabungen von Samarra I, Berlin 1923; S. Flury, Ein Stuckmiḥrāb des IV. (X.) Jh., Jahrbuch für asiatische Kunst 2, 1925, pp. 106-110; M. Aga-Oglu, Polychrome Stucco Relief from Persia, BDIA, n.s., 11, 1929, 3, pp. 41-42; A. Coomaraswamy, A Persian Stucco Frieze and other Fragments, Bulletin of the Museum of Fine Arts. Boston 28, 1930, pp. 104-107; S. Flury, La Mosquée de Nayin, Syria 11, 1930, pp. 43-58; R.M. Riefstahl, Persian Islamic Stucco Sculptures, ArtB 13, 1931, pp. 439-463; M.S. Dimand, A Persian Stucco Sculpture, MetMB 29, 1934, pp. 69-70; A.U. Pope, Some Recently Discovered Seldjük Stucco, Ars Islamica 1, 1934a, pp. 110-117; id., The Historical Significance of Stucco Decoration in Persian Architecture, ArtB 16, 1934b, pp. 320-332; M.B. Smith, Imām Zāde Karrār at Buzūn. A Dated Seljuk Ruin, Archäologische Mitteilungen aus Iran 7, 1935, pp. 65-73; E. Herzfeld, Nachtrag, ivi, pp. 73-81; A.U. Pope, Notes on the Stucco Ornament in the Sanctuary of the Masjid-i Jāmi῾, Qazwīn, Bulletin of the American Institute for Persian Art and Archaeology 4, 1936, pp. 209-216; F. Sarre, Der Kiosk von Konya, Berlin 1936; W. Hauser, The Plaster Dado from Sabz Pūshān, MetMB 32, 1937, pp. 23-36; M.S. Dimand, A Persian Stucco Medallion, ivi, pp. 217-218; id., Samanid Stucco Decoration from Nishapur, Journal of the American Oriental Society 58, 1938, pp. 258-261; B.P. Denicke, Le décor en stuc sculpté d'un édifice fouillé a Termez, "III Congrès Internationale d'art et d'archéologie iraniens. Mémoires, Leningrad 1939", Leningrad 1939, pp. 39-44, tavv. 20-23; K.A.C. Creswell, Early Muslim Architecture, II, Oxford 1940, pp. 286-288; N.C. Debevoise, The Origin of Decorative Stucco, AJA 45, 1941, pp. 45-61; M.S. Dimand, Studies in Islamic Ornament, II, The Origin of the Second Style of Samarra Decoration, in Archaeologica orientalia in memoriam Ernst Herzfeld, a cura di G.C. Miles, Locust Valley 1952, pp. 62-68; R. Ettinghausen, The 'Bevelled Style' in the Post-Samarra Period, ivi, pp. 72-83; K.A.C. Creswell, The Muslim Architecture of Egypt, 2 voll., Oxford 1952-1959; D. Wilber, The Architecture of Islamic Iran. The Il Khānid Period, Princeton 1955; H.G. Franz, Die Stuckfenster in Qasr al-Hair al-Gharbi. Eine Untersuchung über das Fenster über der Bogenlünette, ein wenig beachtetes Motiv der frühislamischen Kunst, Wissenschaftliche Annalen der Akademie zu Berlin 5, 1956, pp. 465-483; J. Meunié, H. Terrasse, G. Deverdun, Nouvelles recherches archéologiques à Marrakech, Paris 1957; R. Hamilton, Khirbat al-Mafjar. An Arabian Mansion in the Jordan Valley, Oxford 1959; J. Sourdel-Thomine, Les décors de stuc dans l'Est iranien à l'époque saljuqide, "Akten des 24. Internationalen OrientalistenKongresses, Wiesbaden 1959", Wiesbaden 1959, pp. 342-344; M.E. Masson, Nadpisi na Štuke iz arkhitekturnogo ansamblja u mavzoleja Khakim-i Tarmizi [Iscrizioni in s. dal complesso architettonico del mausoleo di Khakim-i Tarmizi], Trudy Taškentskogo Gosudarstvennogo Universiteta, n.s., 72. Istoričeskije nauki, Bk. 37. Arkheologija Srednei Azii 5, 1960, pp. 44-80; L.I. Rempel, Arkhitekturnij Ornament Uzbekistana [Ornamenti architettonici in Uzbekistan], Tashkent 1961; K. el Masry, Die tūlūnidische Ornamentik der Moschee des Aḥmad Ibn Ṭūlūn in Kairo (tesi), Mainz a.R. 1964; G. Marçais, s.v. Djiṣṣ, in Enc. Islam2, II, 1965, pp. 570-571; A.U. Pope, Persian Architecture. The Triumph of Form and Color, New York 1965, p. 147ss.; A.A. Hameed, Some Aspects in the Evolution of the Samarra Stucco Ornament, Sumer 20, 1965, pp. 70-83; id., The Origin and Characteristics of Samarra's Bevelled Style, ivi, 21, 1966, pp. 83-99; C. Ewert, Spanisch-islamische Systeme sich kreuzender Bögen (Madrider Forschungen, 2), Berlin 1968; T.T. Rice, Some Reflections aroused by Four Seljukid Stucco Statues, Anatolica 2, 1968, pp. 112-121; L. Golombek, Abbasid Mosque at Balkh, OrA, n.s., 15, 1969, pp. 173-189; K. Otto Dorn, Bericht über die Grabung in Kobadabad Architektur, 1966, Archäologischer Anzeiger, 1969, pp. 438-506; I. Akhrarov, L.I. Rempel, Reznoj Štuk Afrasiaba [S. intagliato di Afrasyāb], Taschkent 1971; C. Ewert, Islamische Funde in Balaguer und die Aljafería in Zaragoza (Madrider Forschungen 7), Berlin 1971; R. Bourouiba, Objets de plâtre et pierre sculptés mis au jour à Qala Beni Hammad, Bulletin d'archéologie algérienne 5, 1971-1974, pp. 223-233; G. Öney, Iran᾽ da Erken Ịslam Devri Alçi Ịşçiliğinin Anadolu Selçuklu Sanatindaki Akilseri [Le influenze degli s. del primo periodo islamico d'Iran sull'arte selgiuqide d'Anatolia], Belleten 37, 1973, pp. 257-277; J. Sourdel, B. Spuler, Die Kunst des Islam (Propyläen Kunstgeschichte, n.s., 4), Berlin 1973; E. Esin, s.v. Stuck, in Lexikon der islamischen Welt, III, Stuttgart 1974, p. 128ss.; G. Rex Smith, Marble and Stucco, in The Arts of Islam, cat., London 1976, pp. 295-308; D. Thompson, Stucco from Chal Tarkhan-Eshqabad Near Rayy, Warminster 1976; J. Bergeret, L. Kalus, Analyse de décors épigraphiques et floraux à Qazwin au début du XIe-XIIe siècle, REI 45, 1977, pp. 89-130; S. Peterson, The Masjid-i Pā Minār at Zavāra. A Redating and an Analysis of Early Islamic Iranian Stucco, Artibus Asiae 39, 1977, 1, pp. 60-90; A.U. Pope, Stucco Ornament, in A Survey of Persian Art. From Prehistoric Times to the Present, a cura di A.U. Pope, P. Ackerman, Teheran 19773 (London 1939), III, pp. 1293-1321; S. Flury, Notes on the Miḥrāb of Mašhad-i Miṣriyān, ivi, VI, pp. 2721-2765; U. Bates, Decorated Stucco, Decorated Stonework, in City of the Desert. Qasr al Hayr East, a cura di O. Grabar, Harvard 1978; E. Gulyamova, Reznoj Štuk Khul'buka [S. intagliato di Khulbuka], Materialy Kult. Tadžikistana 3, 1978, pp. 186-202; U. Harb, Ilkhanidische Stalaktitengewölbe, Archäologische Mitteilungen aus Iran, Ergänzungsband 4, 1978; G. Öney, Anadolu Selçuklu mimari Süslem ve el Sanatları [Le decorazioni e le arti applicate nell'architettura selgiuquide anatolica], Ankara 1978 (19882); C. Ewert, Die Aljafería in Zaragoza (Madrider Forschungen 12), I-II, Berlin 1978-1980; R. Schnyder, Zur Frage der Stile von Samarra, "Akten des VII. Internationalen Kongresses für iranische Kunst und Archäologie, München 1976", Berlin 1979, pp. 371-379; ·S. Yetkin, Konya'da yeni bulunmuṣ figürlü stüko süslemeler ve Anadolu Türk mimarisindeki devamı [Le decorazioni figurate in s. recentemente rinvenute a Konya e la loro influenza sull'arte turca d'Anatolia], Sanat Tarihi Yıllığı 9-10, 1979-1980, pp. 353-363; C. Hardy-Guilbert, F. Djindjian, Organisation des décors de stuc sur l'arc du portail de la mosquée de Bust, Les Dossiers de l'archéologie 42, 1980, pp. 88-93; E. Grube, Ilkhanid Stucco Decoration. Notes on the Stucco Decoration of Pir-i Bakran, Isfahan, Venezia 1981, pp. 87-96; T.J. al-Janabi, Studies in Medieval Iraqi Architecture, Baghdad 1982; J. Kröger, Sasanidischer Stuckdekor (Baghdader Forschungen 5), Mainz a. R. 1982; The Anatolian Civilisations, cat., Istanbul 1983, III; H.G. Franz, Von Baghdad bis Córdoba. Ausbreitung und Entfaltung der islamischen Kunst, Graz 1984; B. O'Kane, Timurid Stucco Decoration, Annales Islamologiques 20, 1984, pp. 61-84; Islamische Kunst, a cura di A. Hauptmann von Gladiss, J. Kröger, 2 voll., Mainz a. R. 1985; D. Schlumberger, Qasr el-Heir el Gharbi, Paris 1986; C. Ewert, Der almoravidische Stuckdekor von Šīšāwa (Südmarokko). Ein Vorbericht, MDAIMad 28, 1987, pp. 141-178; ·S. Yetkin, Some New Figural Stucco and Stone Reliefs at Konya, in Ars Turcica, " Akten des VI. Internationalen Kongresses für türkische Kunst, München 1979", München 1987, pp. 653-663; T. Allen, The Arabesque, the Bevelled Style and the Mirage of an Early Islamic Art, in Five Essays on Islamic Art, Sebastopol 1988, pp. 1-15; L. Golombek, D. Wilber, The Timurid Architecture of Iran and Turan, 2 voll., Princeton 1988; Oxus. 2000 Jahre Kunst am Oxus-Fluss in Mittelasien. Neue Funde aus der Sowjetrepublik Tadschikistan, cat., Zürich 1989; R. Shani, On the Stylistic Idiosyncrasies of a Saljuk Stucco Workshop from the Region of Kashan, Iran 27, 1989, pp. 67-74; C. Ewert, Die Kapitelle der Kutubīya Moschee in Marrakesch und der Moschee in Tinmal (Madrider Beiträge, 16), Mainz a. R. 1991; M. Meinecke, Early Abbasid Stucco Decoration in Bilād al-Shām, in Bilād al-Shām during the Abbasid Period, "Proceedings of the Fifth International Conference on the History of Bilād al-Shām 7-11 Sha᾽ban 1410 A.H., Amman 1990", Amman 1991, pp. 226-267; B. O'Kane, Natanz and Turbat-i Jam. New Light on Fourteenth Century Iranian Stucco, Studia Iranica 21, 1992, pp. 85-92; Y. Önge, Konya'da Yeni Bulunan ạlçı Süslemeler [Nuove decorazioni in s. rinvenute a Konya], "IX. Vakıf Haftası Kitabı, Ankara 1991", Ankara 1992, pp. 187-196; B. Finster, Frühe Iranische Moscheen: vom Beginn des Islam bis zur Zeit salǧūqischer Herrschaft, Archäologische Mitteilungen aus Iran. Ergänzungsband 19, 1994; S. Peterson, The Masjid-i Pā Minār at Zavāra. A Redating and an Analysis of Islamic Iranian Stucco, II, The Art or the Saljūqs in Iran and Anatolia (Islamic Art and Architecture Series, 4), a cura di R. Hillenbrand, Costa Mesa 1994, pp. 59-66; R. Shani, Stucco Decoration in the Gunbad-i ῾Alawiyyān at Hamadan, ivi, pp. 71-78; S.S. Blair, J.M. Bloom, Y.V. Zeinal, s.v. Stucco and Plasterwork, in The Dictionary of Art, XXIX, London 1996, pp. 818-823; Hispania Antiqua. Denkmäler des Islam, Mainz a. R. 1996; R. Shani, A Monumental Manifestation of the Shi῾ite Faith in Late Twelfth-Century Iran. The Case of the Gunbad-i ῾Alawiyān. Hamadan (Oxford Studies in Islamic Art, 11), Oxford 1996.J. Gierlichs