STRUTTURISTICA CHIMICA (App. III, 11, p. 861)
CHIMICA Per s. chimica oggi s'intende l'insieme di procedimenti mediante i quali, dalla diffrazione dei raggi X da parte di un cristallo di un composto, si risale alla posizione degli atomi della molecola del composto nella cella cristallina.
Le fasi di un'analisi strutturale mediante raggi X possono essere schematizzate nel modo seguente. Innanzi tutto si determinano le dimensioni e la simmetria della cella unitaria del cristallo, misurando le direzioni e, approssimativamente, le intensità dei raggi diffratti da questo quando viene investito da un fascetto di raggi X. Si determinano poi i moduli dei fattori di struttura, attraverso la misura accurata delle intensità dei riflessi. Il passo successivo rappresenta il problema fondamentale della s. chimica: la determinazione delle costanti di fase dei vari riflessi. Infatti le costanti di fase non sono misurabili e per la loro determinazione si ricorre a uno dei metodi, diretti o indiretti, ai quali si fa brevemente cenno più avanti. Determinata la fase per un certo numero di riflessi, si può ottenere una mappa della densità elettronica nella cella elementare, sviluppando in serie di Fourier i fattori di struttura. Le coordinate degli atomi ricavate dalla mappa, insieme con dei fattori termici che tengono conto dei moti di vibrazione degli atomi, vanno infine affinate. Per quest'ultima fase si applicano dei procedimenti (minimi quadrati) di minimizzazione delle differenze tra fattori di struttura calcolati in base al modello ottenuto e fattori di struttura osservati.
I maggiori progressi nella metodologia della s. chimica registrati negli ultimi anni riguardano essenzialmente la misura delle intensità dei riflessi e la risoluzione del "problema della fase". Questi progressi, cui hanno contribuito lo sviluppo e la diffusione dei calcolatori elettronici, hanno permesso di applicare la s. chimica alla determinazione della struttura di molecole sempre più complesse.
La misura delle intensità dei riflessi veniva fatta, fino agli anni Cinquanta, esclusivamente mediante il metodo fotografico. Questo consiste nel registrare su pellicole fotografiche, montate in opportune camere, lo spettro di diffrazione del cristallo. La valutazione delle intensità dei riflessi registrati veniva fatta confrontando a occhio, per ciascun riflesso, la densità di annerimento con una scala campione. Un primo grande progresso si è avuto con l'avvento dei densitometri. Questi strumenti, che hanno sostituito l'occhio e le scale campione, sono diventati completamente automatici in quanto un piccolo calcolatore ne controlla il funzionamento. Un ulteriore progresso si è avuto con la messa a punto di sistemi che consentono di registrare su pellicola un gran numero di riflessi contemporaneamente. Ciò permette di ridurre notevolmente il tempo di esposizione di un cristallo ai raggi X. Questo metodo si fa preferire per la raccolta dei dati d'intensità da quei cristalli che decadono per una prolungata esposizione ai raggi X.
Con cristalli stabili oggi la misura delle intensità dei riflessi viene fatta in genere con il metodo diffrattometrico. In un diffrattometro la pellicola fotografica è sostituita da tm contatore di fotoni predisposto a muoversi in modo sincrono con le rotazioni del cristallo. In tal modo, riflesso dopo riflesso, il contatore si posiziona a registrare l'intensità del fascio diffratto dal cristallo. Nei diffrattometri più moderni gli spostamenti del contatore e le rotazioni del cristallo nelle posizioni di riflessione sono controllati da un piccolo calcolatore.
Sia con il metodo fotografico che, ancor più, con il metodo diffrattometrico la misura dell'intensità dei riflessi può essere molto accurata. Questa buona accuratezza è possibile anche grazie ai progressi registrati nella costruzione dei generatori di raggi X. Oggi si è in grado di generare delle radiazioni monocromatiche d'intensità elevata e molto stabile.
Per la soluzione del problema della fase non esiste un metodo generale, ma ne sono stati elaborati diversi. Un metodo molto usato e quasi sempre di risultato sicuro è il metodo dell'atomo pesante. Questo si basa essenzialmente su due considerazioni. La prima è che in genere il contributo di un atomo pesante al fattore di struttura è preponderante. L'altra considerazione risiede nel fatto che un atomo pesante può essere localizzato nella cella cristallina con procedimenti (Patterson) che non richiedono la conoscenza delle fasi. Pertanto se nella molecola di un composto è presente un atomo più pesante degli altri, questo può essere localizzato. Calcolando poi il suo contributo ai fattori di struttura, è possibile determinare le fasi di un numero di riflessi sufficiente a risolvere la struttura. Questo spiega perché lo studio della struttura molecolare di un composto costituito da atomi leggeri è spesso preceduto dalla trasformazione chimica del composto in un derivato contenente un atomo pesante.
Se si dispone di due derivati cristallini contenenti atomi pesanti diversi ma con identica struttura cristallina, il problema della fase può essere risolto con il metodo delle sostituzioni isomorfe. Il principio del metodo può essere illustrato facilmente per i casi centrosimmetrici nei quali il problema della fase si riduce al problema del segno. I fattori di struttura di due derivati isomorfi, A e B, differiscono soltanto per il diverso contributo degli atomi pesanti che sono diversi. Infatti la parte leggera della molecola è la stessa nei due casi e occupa identiche posizioni. Pertanto la differenza tra due fattori di struttura corrispondenti, FA(hkl) − FB(hkl), è uguale alla differenza, FPA − FPB, tra i contributi degli atomi pesanti che hanno la stessa fase perché occupano posizioni identiche. Quest'ultima differenza può essere calcolata una volta determinate le posizioni degli atomi pesanti (Patterson). Si cerca allora quale delle seguenti combinazioni si accorda con quel valore calcolato:
È possibile così determinare i segni da assegnare a FA(hkl) e a FB(hkl).
Un altro metodo per determinare le fasi è basato sul fatto che certi atomi in opportune condizioni diffrangono i raggi X in modo anomalo. Questo effetto, che prende il nome di "dispersione anomala", si manifesta quando la radiazione incidente ha una frequenza vicina a quella di assorbimento dell'elemento irradiato. Gli effetti pratici della dispersione anomala sono simili a quelli della sostituzione isomorfa. Infatti registrare le intensità di una struttura con due radiazioni differenti, per le quali uno o più atomi hanno diversa dispersione anomala, equivale a registrare le intensità di due strutture identiche a meno di uno o più atomi. Il trattamento dei dati è lo stesso per i due metodi. Poiché in generale le differenze sulla dispersione anomala per differenti radiazioni sono molto piccole, per l'applicazione di questo metodo si richiedono misure d'intensità molto precise.
Per risolvere il problema della fase nel caso in cui la molecola del composto in esame contiene solo atomi leggeri si deve ricorrere a metodi che prescindano dalla presenza di un atomo pesante. Il più semplice in linea di principio, ma di difficile applicazione, è il metodo che consiste nel fare delle ipotesi di struttura molecolare e cristallina e provarle. Per la prova in genere si esegue un calcolo dei fattori di struttura sulla base dell'ipotesi fatta e si confrontano questi con quelli sperimentali. Se vi è accordo tra fattori calcolati e fattori osservati il modello è giusto e può essere affirnato; altrimenti occorre fare altri tentativi. In molti casi il calcolo della funzione di Patterson può dare informazioni sulla forma del modello e sulla sua posizione nella cella elementare.
I metodi per risolvere il problema della fase, accennati fin qui, implicano l'uso della funzione di Patterson, funzione che utilizza soltanto i quadrati dei moduli dei fattori di struttura. Se ne deduce che le intensità dei riflessi contengono tutte le informazioni necessarie a risolvere la struttura. Si chiamano metodi diretti quei metodi che tentano di derivare le fasi dei fattori di struttura direttamente, mediante procedimenti esclusivamente matematici, dai moduli dei fattori di struttura. Diverse sono le procedure operative proposte per la determinazione diretta della fase, ma la maggior parte di queste si basa sugli stessi principi fondamentali. La teoria di questi metodi è riportata su testi ormai classici.
Tra le più significative applicazioni della s. chimica sono da annoverare le determinazioni della struttura delle grosse e complesse molecole proteiche, che hanno prevalente interesse nello studio dei problemi della biologia molecolare.
L'analisi ai raggi X di una proteina differisce in molti aspetti da quella di una molecola piccola o media. Le differenze sono in parte quantitative. Un cristallo di proteina infatti ha una cella elementare il cui volume può essere 10 ÷ 20 (o più) volte maggiore di quella di un composto medio o piccolo, e può arrivare a contenere 5000 ÷ 10.000 atomi nell'unità asimmetrica (porzione di cella elementare che non contiene elementi di simmetria). Ne consegue che il numero di parametri da determinare, nel risolvere la struttura di una proteina, è grandissimo. Il numero di riflessi da registrare è perciò molto elevato, una decina di volte più grande di quello richiesto per la risoluzione di una struttura normale. Tutto ciò causa grandi difficoltà nell'applicazione delle varie tecniche cristallografiche convenzionali, e la mole di calcolo è enorme in tutte le fasi.
Tuttavia le differenze sono anche qualitative. Il disordine presente nei cristalli delle proteine non permette un'analisi alla risoluzione atomica, cioè un'analisi che porti a localizzare tutti gli atomi distintamente. Nei casi ottimali si può raggiungere una risoluzione di 1,5 Å; spesso l'analisi termina a una risoluzione di circa 3 Å.
Il metodo delle sostituzioni isomorfe per risolvere il problema della fase nell'analisi a raggi X di una proteina, è ancora oggi il più usato, a volte coadiuvato dall'uso degli effetti della dispersione anomala. Pertanto l'analisi a raggi X di una proteina richiede innanzi tutto la preparazione di monocristalli (di dimensioni 0,3 ÷ 1 mm) isomorfi della proteina e di alcuni suoi derivati contenenti atomi pesanti diversi. L'accrescimento dei cristalli di una proteina e la loro conservazione costituiscono problemi tutt'altro che semplici. Così pure l'introduzione di atomi pesanti per ottenere i derivati cristallini isomorfi.
Il passo successivo consiste nel registrare le intensità dei riflessi di diffrazione sia dai cristalli della proteina nativa che da quelli dei derivati. Si tratta di misurare le intensità di un gran numero di riflessi, per lo più molto deboli, da cristalli che decadono rapidamente quando sono esposti ai raggi X. In genere un cristallo di proteina, che per la raccolta dei dati d'intensità va montato in capillare di vetro chiuso in presenza delle acque madri della soluzione di cristallizzazione, dev'essere sostituito dopo 30 ÷ 40 ore di esposizione ai raggi X.
Le differenze, dovute alle sostituzioni isomorfe e alla dispersione anomala, osservate nelle intensità dei derivati permettono di determinare le posizioni degli atomi pesanti. Possono allora essere calcolati i loro contributi ai fattori di struttura dei rispettivi derivati. Combinando opportunamente i fattori di struttura della proteina nativa con quelli dei derivati isomorfi e con i contributi calcolati degli atomi pesanti è possibile ricavare informazioni sulle fasi dei riflessi. Si può allora calcolare la mappa della densità elettronica sulla quale si cerca poi di adattare un modello della proteina in esame. Il problema successivo è quello di affinare le fasi di un sempre maggior numero di riflessi per aumentare la risoluzione della struttura. A tale scopo sono stati sviluppati diversi metodi, sia diretti che indiretti.
A oggi (1979) per oltre cento proteine, con pesi molecolari tra 6000 e 70.000, è stata risolta la struttura a un grado di risoluzione migliore di 3 Å. Recentemente alcune analisi strutturali di "piccole" molecole proteiche (peso molecolare di circa 6000), a una risoluzione di 1,5 Å con un ottimo accordo finale tra fattori di struttura calcolati e fattori di struttura osservati, hanno raggiunto limiti di accuratezza oltre i quali è impossibile andare per la natura dei cristalli piuttosto che per improbabili limitazioni delle tecniche usate.
Bibl.: A. I. Kitaigorodoskii, The theory of crystal structure analysis, Ne York 1961; M.M. Wollfson, Direct methods in crystallography, ivi 1961; G.H. Stout, L.H. Jensen, X-ray structure determination, New York e Londra 1968; A. C. T. North, D. C. Phillips, X-ray studies of crystalline proteins, in Progress in biophysics and molecular biology (a cura di J.A.V. Butler, D. Noble), Oxford e New York 1969; H. Hauptman, Crystal structure analysis: The role of the cosine seminvariants, New York 1972.