MESSINA, Stretto di
È il canale che congiunge il Tirreno e lo Ionio, separando la punta meridionale della Calabria dalla cuspide NE. della Sicilia. Lo delimitano a N. il C. Peloro e la rupe di Scilla, a S. il C. d'Alì e il C. Pellaro: entro questi limiti ha una lunghezza di 33 km. da N. a S., e una larghezza che da un minimo di poco più che 3 km. nella sua estremità settentrionale (fra il C. Peloro e la Punta Torre Cavallo) giunge fino a 16 km. a mezzodì. Lo stretto ha quindi forma d'imbuto, o meglio è una depressione largamente aperta verso S., ma interrotta da una soglia subacquea, emergente fino a poco più di 100 m. sotto il livello del mare, in continuazione della Punta Pezzo; soglia che divide la depressione stessa in due gronde asimmetriche (la più piccola a N.). La dissimmetria è accentuata dal fatto che mentre a N. della soglia i fondali superano di poco, al massimo, i 300 m., a S. si scende al disotto di 1200 prima di raggiungere l'imbocco del canale.
Lo stretto è serrato fra i due pilastri montuosi dell'Aspromonte e dei Peloritani, litologicamente e geologicamente simili, perché costituiti da masse cristallino-scistose su cui si appoggiano, lateralmente, depositi cenozoici e quaternarî che andarono soggetti a movimenti epeirogenetici. Che la genesi dello stretto postuli una frattura, è ipotesi sostenuta con buone ragioni anche dai geologi moderni, pur se non condivisa da tutti; a ogni modo, è fuori dubbio che si tratta di crisi assai antica, per lo meno miocenica (messiniano), dopo la quale, anzi, lo stretto ha continuato a ridursi di ampiezza - anche se in misura relativamente debole - e di profondità per il sollevamento delle terre che lo fiancheggiavano e il conseguente innalzarsi della soglia fra quelle interposta.
Fino dall'epoca classica lo stretto andò noto per le difficoltà che v'incontrava la navigazione, adombrandosi nella leggenda di Scilla e Cariddi (Incidit in Scillam qui vult vitare Charybdim) le conseguenze dei movimenti cui le acque vanno soggette per l'incontro delle avverse correnti, o per l'urto contro gli opposti promontorî di Punta Peloro e di Punta Torre Cavallo; conseguenze che vanno poste in rapporto, però, con le piccole imbarcazioni di cui si faceva uso in epoca classica. In realtà le correnti dello stretto hanno comportamento piuttosto complesso, ma dipendono soprattutto dalla tendenza a livellarsi dei due bacini, tirreno e ionio, che il canale congiunge, dalle maree e, in misura non trascurabile, dalle condizioni meteoriche. La loro periodicità è data dall'alternarsi della cosiddetta rema montante, che procede da N. a S., con la rema scendente, che ha direzione opposta, di sei in sei ore; il cambiamento di senso non avviene nelle stesse ore del giorno, ma segue piuttosto il corso lunare, ritardando all'incirca 50′ ogni giorno. La scendente - che s'inizia quattro ore prima del passaggio della luna al meridiano di Messina - impiega intorno a quattro ore per stabilirsi in tutto il canale; un po' meno, la montante; l'intervallo (in genere inferiore a 30′) di calma tra l'inversione è detto acque stanche. L'inversione ha principio per la scendente a C. Peloro, a Punta Pezzo per la montante. Tra la parte mediana dello stretto e le sponde si determinano controcorrenti (bastardi) larghe fino oltre 1 km. circa un'ora dopo la formazione delle correnti cui si oppongono: nella zona limite e nei seni lungo le coste si hanno i temuti moti vorticosi e ondosi (garofoli o refoli), di cui i principali prendono il nome da Cariddi (dinnanzi alla spiagga del Faro) e da Scilla (Punta Pezzo) - ambedue dovuti alla montante - e si localizzano di regola presso il faro di Messina (ascendente), S. Agata, Punta Grotte, S. Salvatore dei Greci e Catona. La montante è sempre più violenta della scendente (velocid massima 9 km. orarî) e capace di rigettare sulle spiagge pesci abissali strappati al fondo. I dislivelli massimi assommano a mezzo metro: le acque si abbassano di regola di 15-20 cm. con la montante, s'innalzano d'altrettanto con la scendente.
Le acque dello stretto, che rappresentano una delle vie più frequentate per le migrazioni periodiche di numerose specie di pesci, sono più ricche di plancton di quelle dei mari periferici, e hanno avuto in ogni età grande importanza per la pesca, che vi viene esercitata soprattutto dagl'isolani. Interessante, anche per le modalità con cui si compie, la pesca del pesce spada (Xiphias gladius), alla quale si dedicano circa tremila pescatori d'ambo le sponde.
All'azione delle correnti fretensi è stata attribuita la formazione del porto di Messina, ossia del braccio falciforme che chiude e delimita il porto stesso (imboccatura: 387 m.), costituendo uno degli apparati litoranei indubbiamente più singolari che si conoscano. E certo il giuoco delle correnti è stato necessario al trasporto, alla distribuzione e all'accumulo dei materiali sottili (sabbie e ghiaie, poi consolidate in panchina), da cui risulta il piano della penisoletta, materiali forniti dalle fiumare scendenti a S. della città; ma l'edificio intero della falce mal si comprende senza la preesistenza di un nucleo basale di rocce in posto, che non è più possibile contestare.
Intorno allo stretto di Messina (πορϑμδς σικελικός, fretum siculum), gli antichi fecero molte osservazioni e narrarono diverse leggende. Per quel che riguarda la sua lunghezza, Plinio dette la misura di 15.000 passi, mentre per la larghezza diversi sono i dati (Strabone 607 stadî, Polibio 12 stadî, Plinio 1500 passi, Tucidide 20 stadî), ma la cifra prevalente è di 13 stadî, cioè una larghezza sempre minore di quella di 3614 m. che oggi si misurano nel punto in cui le due coste sono più vicine. Sull'origine dello stretto, a cominciare da Eschilo, taluni narrarono che la separazione delle due terre era dovuta a un cataclisma che avrebbe disgiunto l'isola dal continente o al lento ma continuo lavorio delle onde, quasi simboleggiato dal mito di Posidone. Tale credenza era dovuta specialmente all'etimologia di Reggio il cui nome si faceva, forse erroneamente, derivare dal verbo greco ῥήγνυμι (rompere) mentre era da vedere in esso un toponimo di origine italica. Gli antichi osservarono altresì le correnti dello stretto, ora cercandone la causa nella diversità di livello dei due mari che il canale mette in comunicazione (Eratostene), ora rilevando l'influenza che su di esse aveva la luna. Nel pericoloso vortice del Garofalo, che queste correnti costituivano non lungi da Messina, essi identificarono l'omerica Cariddi, identificazione dovuta certamente ai Calcidesi che ricollegarono talune descrizioni dei poemi epici col ricordo delle loro prime audaci peregrinazioni ed esplorazioni nei mari di occidente.
Bibl.: E. Cortese, Sulla formazione dello stretto di Messina, in Boll. Comit. Geol., XIII (1882); C. De Stefani, Origine del porto di Messina e di alcuni interrimenti lungo lo stretto, in Boll. Soc. geolog. ital., VIII (1888), p. 231; E. Cortese, Sull'origine del porto di Messina e sui movimenti del mare nello stretto, in Boll. Soc. geolog. ital., VIII (1888), p. 416; E. Saitta, Pesci e molluschi dei mari della Sicilia, Messina 1902; L. Marini, Osserv. talassologiche fatte nello stretto di Messina durante l'anno 1908, Firenze 1909; F. Vercelli, Il regime delle correnti e delle maree nello stretto di Messina, Messina 1925; T. Taramelli, Sull'origine dello stretto di Messina, in Atti della Soc. ital. per il progr. delle scienze, 1910.