STRENNA
. Antichità classica. - Si dissero strenae i donativi, di carattere simbolico e di significato religioso, che i Romani usavano scambiarsi in giorni di festa, specie alle calende di gennaio quale augurio per il nuovo anno, e che i clienti offrivano al loro patrono e i cittadini all'imperatore. In tempi remoti furono unite al culto della dea Strenia, personificazione della salute, di origine sabina; infatti strena è voce sabina, equivalente a Sanitas. Si dice risalga al re sabino Tazio l'uso di offrire, come dono per il nuovo anno, i rami sacri tagliati dal bosco di Strenia (lucus Streniae), che era al principio della via Sacra, sul Velia. In origine, alle calende di gennaio si donavano ramoscelli sacri (verbenae) di alloro o di olivo, fichi e miele, perché l'anno fosse dolce come questo, e anche datteri dorati. A questi doni primitivi si sostituì col tempo il denaro. In età imperiale si usò donare oggetti varî. Donativi si scambiavano anche durante l'anno, in occasione di feste solenni, quali ad esempio, i Saturnali. Fino dai primordî dell'Impero s'introdusse il costume di offrire, al principio dell'anno, strenne all'imperatore, anche assente. Augusto adoperò il ricavato delle strenne nell'acquisto di statue, che distribuì in varie parti di Roma. Tiberio si mostrò contrario ad accettarle; Caligola le fece rivivere. Claudio tolse l'abuso ma lo ritroviamo sotto Commodo, Claudio II e Teodosio.
Bibl.: A. Scheiffele, Die Gelübde der Alten, der erste Januar im alten Rom, Stoccarda 1851, pp. 15-17; L. Preller, Römische Mythologie, 3ª ed., Berlino 1881-83, I, p. 179; II, p. 234; J. Marquardt, Privatleben der Römer, I, 3ª ed., Lipsia 1886, p. 251 segg.; L. Deubner, Strena, in Glotta, III (1912), p. 34 segg.; L. Friedlaender, Darstellungen aus d. Sittengeschichte Roms, I, 10ª ed., Lipsia 1922, p. 81; Ab. Martigny, in Dictionnaire des antiquités chrétiennes, Parigi 1877, s. v. Etrennes e Ianvier (Calendes de); E. Maynial, in Diction. des ant. grecques et rom., IV, p. 1530, s. v. Strenae.
Folklore. - Ancora oggi è vivo l'uso di fare doni nelle solenni ricorrenze del Natale, del Capodanno, dell'Epifania e talvolta del Carnevale, ad amici, familiari e dipendenti. Tra il popolino per lo più i doni consistono in frutta e commestibili; comunissimi per i fanciulli sono i regali di frutti dorati o argentati (pigne, arance, ecc., con una fogliolina di argento o di oro), di focacce, dolci, ninnoli, giocattoli. Dagli oggetti il nome è passato a indicare le canzoni augurali (dette anche "mattinate" e "cantate" in Italia, colinde in Romania) che le comitive dei fanciulli intonano sugli usci e sotto le finestre delle case per avere mance e offerte, e che, in caso di rifiuto dei padroni, si mutano in imprecazioni e invettive.
Bibl.: P. Saintyves, Rondes enfantines et quêtes saisonnières, Parigi 1919; L. Dubino, Elenco di alcuni costumi, usi e detti romani derivati dagli antichi, Roma 1875; V. Dorsa, La tradizione greco-latina negli usi e nelle credenze della Calabria, cit., 2ª ed., Cosenza 1884.