STRATI SOTTILI
SOTTILI Si definiscono come tali (anche film sottili) strutture a strato di materiale solido con spessore inferiore a qualche μm.
I primi tentativi di studio di s. s. possono farsi risalire al 1857, quando M. Faraday, facendo esplodere fili metallici in un'atmosfera di gas inerte, otteneva depositi a s. s.; e già nel 1887 R. Nahrwold e A. Kundt eseguivano misurazioni dell'indice di rifrazione su strati metallici ottenuti per evaporazione da un crogiuolo di platino riscaldato ad alta temperatura. Ma solo nella seconda metà del sec. 20°, con lo sviluppo delle tecniche del vuoto, e soprattutto negli ultimi anni con lo sviluppo dell'elettronica integrata e dei circuiti elettronici microminiaturizzati (v. elettronica, in questa App.), si è avuta un'utilizzazione crescente dei film sottili a livello sia scientifico sia industriale: le principali applicazioni si hanno nell'ottica (strati antiriflettenti, filtri interferenziali, specchi) e nell'elettronica (strati fotosensibili e fotoemettitori, circuiti di memoria nei calcolatori e soprattutto nelle tecnologie realizzative dell'elettronica e dell'optoelettronica integrata).
Tecniche di deposizione. - I metodi per ottenere s. s. possono essere classificati sotto le seguenti tecniche: a) deposizione sotto vuoto per evaporazione termica; b) bombardamento catodico (sputtering) e ionico (ion beam); c) elettrodeposizione; d) deposizione termochimica da fase vapore; e) crescita per reazione chimica da processi di diffusione.
La deposizione sotto vuoto (pressioni minori di 10-5 mmHg), evaporando il materiale tramite una sorgente riscaldante, è senz'altro la tecnica attualmente più usata. Tale tecnica è basata sull'evaporazione della sostanza desiderata riscaldandola a una temperatura sufficientemente elevata, tale da assicurare l'evaporazione (o la sublimazione) della sostanza stessa senza che avvenga l'ebollizione; ciò avviene a basse pressioni, per evitare contaminazione con i gas atmosferici, in un ambiente (camera da vuoto) nel quale la pressione gassosa residua è ridotta a un valore tale da assicurare che il cammino libero medio degli atomi del materiale evaporante sia maggiore della distanza sorgente-substrato.
Lo schema tipico di un impianto di evaporazione è indicato in fig. 1. Prima d'iniziare il processo di evaporazione la camera da vuoto è portata normalmente a pressioni inferiori a 10-6mmHh, utilizzando generalmente un primo stadio di pompe rotative meccaniche o pompe criogeniche (fino a 10-3mmHg) seguito da uno stadio di pompe a diffusione, pompe a scarica o a filamento di titanio e più recentemente pompe turbomolecolari. L'evaporazione dei materiali in un sistema da vuoto richiede una sorgente, detta "crogiuolo", capace di fornire al materiale da evaporare contenuto in esso il calore di vaporizzazione necessario a mantenere la quantità di materiale a una temperatura sufficientemente elevata, tale da produrre la tensione di vapore voluta. Dato che le velocità di deposizione normalmente usate sono comprese tra 1 Å/sec e circa 103Å/sec, anche se le temperature di evaporazione di alcuni materiali differiscono notevolmente (fig. 2), assumendo una tensione di vapore di circa 10-2mmHg, per i materiali di maggiore interesse si ha una temperatura compresa tra 1000 e 2000 °C. Al fine di evitare contaminazione nel film depositato, il materiale costituente il crogiuolo dev'essere chimicamente inattivo e avere dissociazione e tensione di vapore trascurabili alla temperatura di lavoro.
Una diversa forma di fornire energia termica alla sorgente è per bombardamento di un fascetto di elettroni con alta energia (normalmente accelerati da una tensione di 5 ÷ 10 kV) focalizzato sulla superficie del materiale da evaporare (cannone elettronico).
Con le tecniche menzionate si ottiene in genere che le specie predominanti nella fase gassosa del materiale evaporato siano atomi singoli: ciò, pur non causando eccessivi problemi nel caso di sostanze elementari come i metalli, può causare gravi problemi nel caso di evaporazione di composti, data la dissociazione di essi e la successiva condensazione con percentuale stechiometrica diversa da quella del materiale di partenza. Per tale motivo recentemente sono state sviluppate alcune tecniche, quale l'evaporazione istantanea, nella quale piccolissime quantità di materiale, composto da particelle dei singoli elementi componenti, vengono fatte evaporare simultaneamente e totalmente in modo da avere un'eventuale variazione di composizione stechiometrica solo in alcuni strati molecolari. Un'altra tecnica è quella delle sorgenti multiple, con la quale si forniscono i singoli elementi componenti in quantità e velocità di evaporazione in proporzione tale da compensare eventuali variazioni nella stechiometria a causa delle diverse tensioni di vapore e delle diverse velocità di condensazione dei componenti.
La tecnica del bombardamento catodico risale al 1852 (W. R. Grove) come processo di scarica gassosa dove gli ioni, accelerati da un'elevata differenza di potenziale continua, bombardano un bersaglio catodico costituito dal materiale che si vuole far depositare su un opportuno substrato. Solo recentemente però è stato possibile ottenere un controllo adeguato di tale metodo di evaporazione e un grado di purezza del materiale depositato comparabile a quello ottenibile con i processi di evaporazione in alto vuoto. Normalmente viene usata una struttura del tipo di quella schematizzata in fig. 3, inserita in una camera da vuoto nella quale, dopo aver raggiunto un vuoto migliore di 10-6mmHBg, si fa fluire del gas inerte (in genere argo) fino a mantenere una pressione dinamica dell'ordine di 10-1 ÷ 10-3mmHg. Applicando una tensione elettrica dell'ordine di 1 ÷ 5 kV s'innesca una scarica elettrica nel gas a bassa pressione. Il modulo di sputtering viene progettato in modo da avere la zona contenente il materiale da evaporare come catodo soggetto al bombardamento ionico, mentre il substrato viene sostenuto nella zona anodica.
Tale processo di evaporazione è però possibile solo per materiali con buona conducibilità elettrica, mentre chiaramente materiali dielettrici o isolanti, caricandosi con gli ioni positivi bombardanti, darebbero luogo a un campo elettrico tale da opporsi all'arrivo di ulteriori cariche positive e quindi bloccante il processo di asportazione del materiale catodico. Tale limite tecnologico è stato superato con l'applicazione di un campo elettrico a radiofrequenza (sputtering RF) ai capi dei due elettrodi anodo-catodo: ipotizzata nel 1955 (G.K. Wehner) tale tecnica è stata poi realizzata nella forma più comune a diodo anodo-catodo nel 1965 (P. D. Davidse e L. I. Maissel). In tal caso è possibile un bombardamento catodico in quanto che, essendo le cariche negative elettroniche molto più leggere di quelle ioniche positive, si viene a stabilire sul catodo, con opportuna configurazione geometrica, una polarizzazione negativa tale da compensare mediamente la maggiore mobilità degli elettroni. Il motivo dell'utilizzazione della radiofrequenza (13,56 MHz è quella stabilita negli SUA dalla Federal communications commission) è il facile innesco e la buona stabilità della scarica gassosa, anche se il processo è applicabile già con frequenze di qualche kHz. Infine nel 1970 (C. Corsi) è stata sviluppata una tecnica di spruzzamento catodico a radiofrequenza multicatodica in grado di far depositare insieme diversi materiali da più sorgenti permettendo d'investigare nuovi materiali composti da molti elementi.
Quanto all'elettrodeposizione come pure alla deposizione da fase valore e alla crescita da fase liquida, si tratta di tecniche basate su reazioni chimiche e non su processi fisici.
Fondamentalmente basata su apparati con un elettrodo catodico e uno anodico, la tecnica dell'elettrodeposizione per elettrolisi permette di ottenere a tutt'oggi s. s. di almeno 33 dei 70 elementi metallici e circa un centinaio di leghe metalliche. Nel 1964 (D. Mattox) è stata introdotta l'elettrodeposizione ionica, che è una specie di evaporazione accompagnata da un plasma gassoso che permette di ionizzare particelle metalliche evaporanti e di accelerarle verso il substrato mantenuto a un'elevata tensione negativa. Esistono inoltre numerosi metodi di deposizione per riduzione chimica, cioè senza l'applicazione di un campo elettrico. Diversi tipi di reazione possono essere distinti: a) reazione non catalitica, che ha luogo su qualsiasi superficie immersa nel bagno di deposizione: specchi argentati sono ottenuti, per es., utilizzando un leggero agente riducente, come la formaldeide, in una soluzione di nitrato di argento; b) reazioni catalitiche, cioè un metodo di deposizione selettiva solo su alcune superfici di sostanze e opportunamente attivate o con certi potenziali elettrochimici, di cui esempio notevole è la deposizione di nichel per riduzione chimica di NiCl2 tramite ipofosfito di sodio.
La deposizione da fase vapore fa parte, assieme alla crescita da fase liquida, di tutta una branca della scienza dei materiali che negli ultimi anni ha avuto un grande sviluppo. Tale tecnica è basata su una reazione chimica sia sulla superficie esposta del substrato sia direttamente nella fase gassosa trasportante il materiale; è largamente usata per preparare strati di silicio, utilizzando sia triclorosilano, SiHCl3, sia tetracloruro di silicio.
Infine una notevole quantità di s. s. può essere formata per ossidazione anodica (anodizzazione), soprattutto su substrati metallici, riscaldandoli in opportuni ambienti gassosi. Normalmente tali strati hanno limiti di spessore, dato che il processo è autocontrollato.
In conclusione, tra i vari metodi accennati, malgrado l'enorme potenzialità di alcuni metodi chimici, l'evaporazione sotto vuoto e lo sputtering sono senz'altro quelli di maggiore possibilità d'impiego e quelli a cui generalmente ci si riferisce con il termine di tecnologie per s. sottili (v. tab.).
Controllo delle tecniche di deposizione. - Scopo delle tecniche di deposizione è l'ottenimento di film con particolari proprietà. Pertanto è molto importante controllare, oltre alle condizioni termodinamiche e di vuoto, alcuni parametri del processo di deposizione, come la velocità di condensazione e lo spessore dei film.
Uno dei metodi più usati è quello della determinazione della massa depositantesi sia misurandone lo spessore sia misurando il cambiamento nella frequenza di oscillazione di un quarzo piezoelettrico sul quale si depositi contemporaneamente il materiale stesso. Ambedue tali tecniche necessitano però di una taratura perché in genere la densità degli s. s. è diversa da quella dei materiali massivi, e inoltre le condizioni della ("testa" di misura possono differire notevolmente da quelle del substrato, per cui anche le caratteristiche dei film possono essere molto diverse sia nelle proprietà fisico-chimiche sia nello spessore. Un metodo per la misurazione reale dello spessore dei film può essere basato o su una lettura meccanica a stilo con trasduttore piezoelettrico (sensibìlità di ≈ 10 Å) o con tecniche ottiche interferometriche (sensibilità e precisione di ≈ 100 Å). Sullo stesso principio interferometrico, ma con lettura dinamica durante il processo di deposizione e quindi solo per film con buona trasparenza ottica, è basato il metodo che utilizza le variazioni periodiche nell'intensità di luce trasmessa che si hanno per riflessioni multiple entro il film stesso.
Diagnostica e struttura degli strati sottili. - Col termine "struttura" s'intendono, analogamente al caso dei materiali massivi, sia i dati cristallografici della cella unitaria su scala atomica ottenuti con metodi di diffrazione, sia i dati riguardanti la microstruttura, vale a dire la dimensione, la forma e il posizionamento reciproco dei singoli cristalliti, e, infine, la morfologia del materiale stesso sotto forma di s. sottile. Pertanto tecniche similari a quelle usate per i materiali massivi vengono usate per la diagnostica della struttura dei film sottili. In particolare, dato il minimo spessore dei film, essi, pur fornendo particolari difficoltà a metodi diagnostici con raggi X, risultano particolarmente adatti allo studio tramite microscopia elettronica sia per diffrazione in riflessione e in trasmissione sia per microscopia a scansione o a replica superficiale (v. metallurgia, App. III, 11, p. 77).
Naturalmente gli s. s. presentano una struttura cristallografica e una morfologia superficiale fortemente dipendenti dal tipo di substrato usato oltre che dai principali parametri regolanti il processo di deposizione, e cioè pressione di lavoro, velocità di evaporazione, energia delle particelle evaporanti, temperatura del substrato e velocità di condensazione. Agendo su tali parametri è possibile ottenere s. s. monocristallini epitassiali, cioè con caratteristiche analoghe a quelle del cristallo utilizzato come substrato, o in generale eteroepitassiali nel caso di un substrato monocristallino di materiale diverso da quello depositato.
Tutta una vasta gamma di strutture possono poi ottenersi variando alcuni parametri della deposizione, ottenendosi così film amorfi, policristallini, monocristallini; è evidente pertanto la vastità di caratteristiche fisico-chimiche ottenibili con i vari materiali in forma di s. sottili. Recentemente sono stati sviluppati eccezionali mezzi diagnostici, tra i più importanti la spettroscopia Auger, il SIMS (Secondary Ion Mass Spectroscopy), l'Ion beam back-scattering, oltre, naturalmente, la spettrometria di massa.
La spettroscopia emissiva Auger, assieme alla tecnica di diffrazione elettronica a bassa energia, che fornisce informazioni sulla disposizione degli atomi superficiali, identifica le specie atomiche in superficie misurando lo spettro energetico dovuto alla transizione emissiva Auger degli elettroni da un'orbita esterna a quella interna eccitata dagli elettroni primari incidenti (3 kV o meno). Il SIMS consiste in una tecnica di retrospruzzamento catodico a bassissime pressioni, che permette di analizzare la composizione dei film tramite un'analisi di spettrometria di massa delle particelle asportate dal film stesso. L'Ion beam back-scattering (e anche le tecniche di reazioni nucleari) pur essendo non distruttivo permette di analizzare la composizione dei film in funzione della distanza dalla superficie e l'ordine su larga scala. Attualmente tale tecnica è basata sul bombardamento del film con ioni leggeri (4He+) ad alta (1 ÷ 2 MeV), media (100 ÷ 700 keV) e bassa (1 ÷ 2 keV) energia e sull'analisi dello spettro energetico delle particelle riflesse dopo l'interazione con il reticolo cristallino del film stesso.
Proprietà e applicazioni. - Proprietà alquanto interessanti vengono riscontrate negli s. s. particolarmente nelle caratteristiche elettríche. Esempi tipici sono la conducibilità elettronica ottenibile in s. s. isolanti compresi tra due elettrodi metallici, le proprietà di resistenza negativa di alcuni film semiconduttori, le caratteristiche piezoelettriche utilizzate in circuiti di ritardo e di manipolazione di segnali elettronici (onde acustiche superficiali), e le caratteristiche magnetiche utilizzate in memorie nei calcolatori. Recentemente, infine, un enorme sviluppo si è avuto nel campo degli s. s. sia per l'elettronica sia per l'optoelettronica integrata, mentre interessanti proprietà sono state riscontrate in dispositivi criogenici a film sottile.
Uno dei fattori che hanno maggiormente contribuito allo sviluppo dell'elettronica integrata e della microminiaturizzazione dei circuiti elettronici è stata la possibilità di ottenere risoluzioni nella struttura geometrica dei film sottili dell'ordine del μm utilizzando tecniche di fotoincisione e fotolitografiche. In tal modo sono state possibili le interconnessioni necessarie per i collegamenti elettrici dei vari elementi circuitali realizzati nel substrato stesso (in genere silicio o germanio), oltre alla realizzazione più recente degli stessi elementi circuitali attivi, come, per es., il transistore a effetto di campo a film sottile. In genere le applicazioni dei film sottili nel campo della microelettronica sono suddivise in tre sottogruppi e cioè: a) circuiti monolitici, dove tutti gli elementi circuitali passivi (resistori, condensatori, induttori) e attivi (diodi, transistori, ecc.) sono fabbricati in uno stesso cristallo semiconduttore utilizzando interconnessioni e terminali con s. s. metallici; b) circuiti ibridi, dove i componenti passivi e le interconnessioni sono nella forma di s. s. o strati spessi depositati su un substrato isolante inserendo i dispositivi attivi con un successivo processo di saldatura e inglobamento; c) circuiti a film sottile, dove tutti gli elementi elettronici, attivi e passivi, sono realizzati utilizzando tecnologie a film sottile (v. esempi in fig. 4).
Infine nel campo dell'otpoelettronica si distinguono due tipi di applicazioni: uno per elementi passivi di propagazione (accoppiatori, filtri, ecc.) e l'altro per elementi attivi (emettitori e rivelatori di radiazione elettromagnetica visibile e infrarossa). Per gli elementi passivi, cioè in genere guide ottiche a film sottile con bassa perdita di attenuazione di propagazione, si usa in genere lo spruzzamento catodico, la deposizione pirolitica, il bombardamento ionico di quarzo fuso e lo scambio ionico nel vetro. Una volta che la guida ottica planare è stata depositata su un opportuno substrato, tramite tecniche fotolitografiche si possono ottenere le strutture per accoppiare la guida a sorgenti, utilizzatori, ecc. e le desiderate forme degli elementi ottici inglobati. Recentemente infine sono stati realizzati elementi attivi, sorgenti e rivelatori, tramite le tecnologie dei film sottili anche di materiali semiconduttori complessi, per cui sarà possibile realizzare circuiti optoelettronici completamente integrati sia nel visibile sia nell'infrarosso, com'è già nel campo delle microonde.
Bibl.: G. Hass, R. E. Thun, Physics of thin films, voll. 1-11, New York 1963 segg.; E. Siddal, J. Zemel, in Thin solid films, 1969 segg.; L. I. Maissel, R. G. Glang, Handbook of thin film technology, New York 1970.