STRASSOLDO, Giulio Cesare conte di
– Nacque a Gorizia probabilmente nel 1791, terzo figlio maschio (e sestogenito) del conte Leopold Lorenz von Strassoldo e della contessa Maria Franziska von Auesperg.
Per nascita, apparteneva alla più antica nobiltà del Sacro Romano Impero: feudi di proprietà della casata erano attestati in Friuli fin dal XII secolo e alla metà del XVII, dopo aver sostenuto gli imperatori nelle contese contro Venezia, gli Strassoldo vennero creati conti e poi nobili d’Ungheria. Il castello avito, che spettava al ramo principale (distinto dal predicato Graffemberg o Gräfenberg), testimoniava non solo la ricchezza dei suoi possedimenti, ma anche l’importanza raggiunta dalla famiglia negli equilibri politici nel Nord-Est della penisola.
Nobili di spada, gli Strassoldo erano tradizionalmente al servizio negli eserciti e nella burocrazia imperiali, quando non occupavano i ruoli più alti nella gerarchia religiosa del patriarcato di Aquileia. All’epoca della nascita di Giulio Cesare, detenevano ancora una posizione fondamentale nella politica italiana degli Asburgo, come testimoniato dalla rete di alleanze familiari intessute tra il XVIII e la metà del XIX secolo. Il padre di Giulio Cesare, Leopold (1739-1809), giunse al grado di feldmarschall-lieutenant (il secondo gradino del rango di generale). Il più giovane dei suoi figli (e fratello minore di Giulio Cesare) Michele (1800-1873) fu, dal 1851, governatore civile della Lombardia, ufficio che occupò stroncando con rigore le agitazioni dei patrioti italiani in accordo con il feldmaresciallo Josef Radetzky, il potente governatore generale che era anche suo cognato, avendo sposato la contessa Franziska, primogenita di Leopoldo. Il figlio di Michele e nipote omonimo di Giulio Cesare, Giulio Cesare jr. von Strassoldo, avrebbe sposato a sua volta Rosa Kuhn von Kuhnenfeld, figlia del governatore del Tirolo Franz Kuhn, uno dei più influenti generali austriaci della seconda metà del XIX secolo.
Non essendo il primogenito, che si sarebbe occupato della gestione delle terre ereditarie, Giulio Cesare venne dunque avviato alla carriera militare. Nel gennaio del 1808 fu ammesso come allievo ufficiale (cadet) nel 4° reggimento di fanteria Hoch- und Deutschmeister, una delle unità più prestigiose dell’esercito comune imperiale, fondato nel 1696, stanziato tradizionalmente a Vienna e il cui comandante onorario, il cosiddetto colonnello proprietario (inhaber), era storicamente il gran maestro dell’Ordine teutonico. Prima della riforma del 1867, il cursus honorum di un ‘cadetto reggimentale’, uno dei percorsi di formazione degli ufficiali, poteva essere estremamente lungo e deprimente, e in mancanza di denaro e raccomandazioni familiari si poteva attendere una promozione per anni. Il destino del rampollo degli Strassoldo fu naturalmente assai diverso: nel febbraio del 1809, appena un anno dopo essersi arruolato, Giulio Cesare ottenne il grado di alfiere (fähnrich), il più basso della gerarchia militare asburgica (equivalente approssimativamente a un sottotenente di prima nomina) e venne trasferito in forza al V battaglione cacciatori (jäger, un onore particolare: gli jäger erano ritenuti una specialità più prestigiosa della comune fanteria di linea) dove, nel marzo dello stesso anno, venne promosso tenente (unterlieutenant) e in luglio tenente anziano (oberlieutenant).
La rapidità della sua carriera si spiega solo in parte con l’influenza familiare. Erano gli anni delle guerre napoleoniche e il giovane Strassoldo si distinse nelle diverse battaglie sostenute dal suo reggimento. Combatté a Regensburg (aprile 1809), dove fu anche ferito e dove si fece notare per il coraggio e il sangue freddo nel condurre i propri uomini sotto il fuoco, e a Wagram (luglio 1809). Partecipò alla campagna del 1812 in Russia, inquadrato nella brigata Suden del corpo di spedizione austriaco a fianco della Grande Armée, occasione in cui ricevette gli elogi del comandante dell’armata austriaca, il potente principe Karl zu Schwarzenberg. I suoi meriti sul campo si tradussero in rapidi progressi di carriera: nell’estate del 1813 era già capitano giovane (capitänlieutenant) e pochi giorni dopo capitano (hauptmann), comandante titolare di compagnia con almeno dieci anni di anticipo sulla carriera consueta dei suoi parigrado. Con questo grado partecipò alla battaglia di Lipsia, poi all’assedio e alla cattura di Dresda e infine all’invasione della Francia, dove partecipò a numerosi scontri e dove venne nuovamente ferito, fino all’assedio di Parigi e all’abdicazione di Napoleone I. Trasferito al III battaglione jäger, partecipò alla campagna del 1815 inquadrato nel corpo di riserva comandato da Ferdinando d’Este, che però non ebbe praticamente occasione di combattere. Nel 1821 prese parte alla spedizione austriaca inviata a Napoli per ripristinare l’ordine legittimista schiacciando la rivoluzione liberale: servì anche nelle truppe di occupazione che gli Asburgo lasciarono nel Napoletano per assicurarsi che il regime borbonico non venisse ulteriormente minacciato e venne ricompensato dal re di Napoli con il conferimento dell’Ordine cavalleresco di S. Giorgio della Riunione.
In quegli anni, contraddistinti da tagli ai bilanci militari e dalla smobilitazione di parte dell’esercito imperiale, ridotto al ruolo di gendarme a guardia dell’ordine impostato dalla Restaurazione, la carriera di Strassoldo subì un rallentamento. Solo nel 1833 venne promosso al grado di maggiore, anche se questa lunga attesa venne compensata con il trasferimento al kaiserjäger regiment, uno dei più prestigiosi e ambiti reparti di tutta la monarchia, creato nel 1815 dall’imperatore Francesco I come unità d’élite e come tributo alla fedeltà delle compagnie di tiratori tirolesi, che tradizionalmente ne componevano i ranghi. Da quel momento, la progressione di Strassoldo verso i vertici delle forze armate riprese rapida. Nel 1836 divenne tenente colonnello e nel luglio di due anni dopo colonnello (oberst) e comandante titolare del 26° reggimento di fanteria di linea. Nel 1841 tornò in servizio presso gli jäger assumendo la guida del X battaglione autonomo, mentre nell’aprile del 1846 venne promosso generalmajor (generale di brigata).
Nel 1848, Strassoldo era al comando di una brigata di stanza a Verona e in quella veste venne travolto dalla rivoluzione all’interno dell’Impero e dalla guerra contro il Regno di Sardegna e l’insurrezione risorgimentale in Italia. Come molte altre unità dell’armata di Radetzky nel Lombardo-Veneto, anche la brigata di Strassoldo venne fortemente indebolita dalle diserzioni e dall’ammutinamento di interi reparti. La sua aliquota di manovra principale, il 45° reggimento di fanteria, era venezianisches, costituito cioè con coscritti provenienti in larga parte dal distretto di reclutamento (Haupt-Werbbezirks-Station) della provincia veronese. Quando l’insurrezione scoppiò a Milano e poi a Venezia, la forza di Strassoldo si ridusse drasticamente: le truppe di lingua italiana passarono in larga parte ai rivoltosi, mentre altre unità (come i reggimenti austriaci schierati nell’Alta Lombardia) vennero catturate o disertarono in massa. La parentela con Radetzky protesse comunque la posizione di Strassoldo, che poté salvaguardare il comando nonostante la perdita della maggior parte delle forze alle proprie dipendenze. Alla battaglia di S. Lucia (maggio 1848) condusse una colonna ridotta ad appena 2300 uomini, il cui nucleo era costituito ancora dal X battaglione jäger a cui si affiancavano i superstiti lealisti del 45° reggimento di fanteria di linea, alcuni pezzi di artiglieria e due squadroni di ussari che Radetzky aveva concesso per rafforzare la brigata. A differenza delle raccogliticce truppe della coalizione italiana e delle forze sabaude, tuttavia, i reparti restanti agli ordini di Strassoldo erano perlopiù composti da veterani, uomini fedeli alla dinastia ed etnicamente poco propensi a simpatizzare con la causa italiana (gli jäger erano di reclutamento compattamente tedesco). Strassoldo si dimostrò, in condizioni di inferiorità numerica, un tattico abile e un comandante carismatico: i suoi reparti sostennero gli assalti della brigata Aosta e della brigata Guardie (che mettevano in campo un contingente doppio), gestendo una difficile battaglia difensiva e giocando un ruolo decisivo nella vittoria che salvò la piazzaforte di Verona, un successo che gli valse le lodi dello stesso maresciallo Radetzky. La brigata Strassoldo combatté poi a Curtatone e Sommacampagna e prese parte alla riconquista del Veneto come aliquota della colonna che espugnò Vicenza, dopo l’aspra battaglia a Monte Berico, e Padova. In agosto, la brigata Strassoldo fu l’avanguardia del corpo che investì Milano (agosto 1848): l’aggressività di Strassoldo, le cui truppe inseguirono i piemontesi in ritirata fino alle porte della città catturando molti prigionieri e intere batterie di cannoni, fu decisiva per piegare la volontà di resistenza dei sabaudi, convincendo Carlo Alberto a consegnare la città pur di assicurarsi il ripiegamento al di là del Ticino.
Alla ripresa delle ostilità da parte dei piemontesi (marzo 1849), Strassoldo fu incaricato di portarsi con la sua brigata (costituita da truppe del 17° reggimento di fanteria tedesco e dai fedelissimi jäger) all’avanguardia dell’armata austriaca, ma non ebbe un ruolo particolare nella battaglia di Novara che mise fine alla prima guerra di indipendenza. La sua brigata fu invece aggregata al corpo di spedizione austriaco nello Stato pontificio al fine di reprimere le sollevazioni di Bologna e Ancona, al cui assedio (e successivo saccheggio) le truppe di Strassoldo presero parte attiva. Ancora una volta, venne ricompensato per la propria intraprendenza. Nel 1849 gli Asburgo avevano ormai ripreso il controllo dell’Impero (Budapest e Venezia sarebbero state espugnate alla fine di agosto), grazie soprattutto ai buoni uffici del maresciallo Radetzky e dei militari che erano rimasti leali alla dinastia. Inoltre, Strassoldo era il rappresentante ideale di un’aristocrazia militare che aveva posto la propria fedeltà al di sopra di ogni identità nazionale, una scelta che ne faceva un buon esempio di quella corporazione di professionisti della guerra e di nobili su cui Vienna contava per ricostruire le strutture imperiali nell’epoca dei nazionalismi. Lo scioglimento delle proprie unità pochi mesi prima venne dimenticato e Strassoldo fu promosso in aprile feldmarschall-lieutenant, e insignito in luglio dell’Ordine di Maria Teresa, la più alta ricompensa militare asburgica, e successivamente della croce di comandante dell’Ordine di Leopoldo, onori che lo elevarono al rango di generale tra i più in vista della monarchia asburgica. Il suo ultimo incarico fu quello di comandante della divisione di Milano, che mantenne fino a che, nel giugno del 1853, fu congedato dal servizio attivo dopo quarantacinque anni. A titolo di ricompensa postuma per i servigi concessi all’Impero, gli venne intitolato uno dei forti eretti attorno a Verona negli anni Cinquanta del XIX secolo (Werk Strassoldo, poi Forte Croce Bianca), che sarebbe poi stato demolito.
Ritiratosi a vita privata nei possedimenti di famiglia in Friuli, Strassoldo morì per un attacco di colera a Palmanova, il 22 settembre 1855.
Fonti e Bibl.: J. Strack, Die Generale der österreichischen Armee. Nach k. k. Feld-Acten und anderen gedruckten Quellen, Wien 1850, ad ind.; J. Hirtenfeld, Der Militär-Maria-Theresienorden und seine Mitglieder, II, Wien 1857, ad ind.; Le Cinque giornate del ’48 in Como, Como 1949, ad ind.; A. Sked, Radetzky e le armate imperiali, Bologna 1983, ad ind.; Id., Radetzky. Imperial victor and military genius, London 2011, ad indicem.